La mia coscienza è tranquilla quando son certo che, ad ogni necessità e per ogni tema che la causa offre, io posso ad ogni momento consultare o ricordare tutte le fonti (…) Allora soltanto ha inizio in me, senza alcun intervento della volontà, come per un processo spontaneo di vegetazione delle idee, quella felice inquietudine del cervello e dell’anima che, tumultuando senza angoscia ed affaticandosi senza pena, a poco a poco abbozzano e precisano il disegno dell’arringa.
Alcune precisazioni in tema di responsabilità amministrativa degli enti
La Terza Sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 27148 del 22 giugno 2023 ha ribadito che il modello di organizzazione e gestione, per avere efficacia esimente, debba essere adottato avendo riguardo alla specifica struttura e al tipo di attività dell’impresa.
Secondo i giudici, tale premessa è imprescindibile affinché il modello possa stabilire in modo chiaro e preciso i compiti, le responsabilità individuali e gli strumenti in concreto impiegati al fine di prevenire la commissione di reati, fra cui, nel caso di specie, quelli contro l’ambiente. Il modello prescelto deve inoltre essere efficacemente attuato mediante l’istituzione dell’organismo di vigilanza dotato di concreti poteri di controllo, nonché aggiornato nel corso del tempo attraverso un efficiente sistema di revisione periodica.
Nel caso di specie, infatti, è stata riconosciuta la responsabilità amministrativa della società in materia di reati ambientali a causa della genericità e della lacunosità del modello organizzativo, che pur descrivendo l'attività svolta in merito ai rifiuti, si limitava però ad una mera affermazione di gestione degli stessi “in modo conforme alle normative vigenti o mediante l'applicazione di rigide procedure di controllo sull'affidabilità dei fornitori”. Analogamente, in merito al rischio di inquinamento del sottosuolo e delle acque, pur dando atto di “procedure, istruzioni operative, rispetto dei requisiti ambientali”, il modello della società condannata non prevedeva alcuna disposizione specifica riguardante le misure da adottare e il soggetto che avrebbe dovuto farlo, né un organigramma raffigurante in modo chiaro compiti e responsabilità di ciascun soggetto.
Commette riciclaggio chi mette a disposizione il proprio conto corrente per farvi transitare il denaro altrui ricavato da una frode informatica
In tema di riciclaggio, la sentenza n. 29346 del 6 luglio 2023 emessa dalla Seconda Sezione della Corte di Cassazione ha statuito che integra la fattispecie di reato di cui all’art. 648 bis c.p. «la condotta di chi, senza aver concorso nel delitto presupposto, metta a disposizione il proprio conto corrente per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro da altri precedentemente ricavato, quale profitto conseguito del reato di frode informatica, consentendone il trasferimento tramite bonifici bancari».
Diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, i giudici hanno quindi ritenuto che, avendo l’autore del delitto presupposto già autonomamente conseguito il profitto del reato, «la successiva operazione di immissione del denaro sui conti correnti degli imputati fosse una condotta oggettivamente ulteriore e successiva, idonea a configurare il reato di riciclaggio, mancando il concorso alla realizzazione del reato presupposto, così come impone, in generale, la clausola di riserva prevista dall’art. 648 bis c.p.».
In sostanza, secondo la tesi sostenuta dalla Corte, la condotta del soggetto imputato di riciclaggio si collocherebbe in un momento successivo rispetto alla commissione del reato presupposto, ossia quando sorge l’esigenza di “ripulire” il denaro proveniente dal delitto di frode informatica.
La condotta di chi mette a disposizione il proprio conto corrente al fine di farvi transitare il denaro ricavato da una precedente frode informatica è cioè idonea ad ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro e pertanto è tale da configurare il reato di riciclaggio.
In tema di reati contro la pubblica amministrazione: la distinzione tra i reati di corruzione e traffico di influenze illecite
Con la sentenza n. 25369 del 13 giugno 2023, la Sesta Sezione della Corte di Cassazione si è soffermata sugli elementi distintivi del reato di corruzione rispetto alla meno grave fattispecie di traffico di influenze illecite.
Sul punto, secondo la giurisprudenza maggioritaria, il reato di traffico di influenze illecite si differenzia, dal punto di vista strutturale, dalla fattispecie di corruzione per la connotazione causale del prezzo che deve essere cioè finalizzato a retribuire soltanto l’opera di mediazione, non potendo essere destinato al pubblico agente.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità hanno osservato come il ricorrente non si limitava a porre in contatto il privato con il pubblico agente – restando estraneo all’accordo corruttivo – bensì poneva in essere una condotta partecipativa, tant’è che i privati interessati alle pratiche amministrative curate dai pubblici ufficiali corrotti corrispondevano direttamente a lui il prezzo della corruzione e solo dopo l’ottenimento dell’atto amministrativo (permesso di soggiorno o rinnovo dello stesso). La Suprema Corte fa leva proprio sulla finalità del prezzo, considerato che «la remunerazione percepita dal ricorrente non era finalizzata esclusivamente a remunerare la sua intermediazione, bensì era causalmente dipendente dall’ottenimento dell’atto amministrativo da parte del pubblico ufficiale partecipe dell’accordo corruttivo».
Rilevato quindi che il ricorrente percepiva personalmente il prezzo della corruzione, con l’impegno di dividere l’importo con il pubblico agente, la Corte concluso che la condotta del soggetto rientrasse appieno nello schema corruttivo e non nel meno grave reato di traffico di influenze illecite.
Secondo la Consulta e-mail e messaggi whatsapp sono corrispondenza: accolto il conflitto proposto dal Senato contro la procura della Repubblica
In data 27 luglio 2023 la Corte Costituzionale ha depositato la sentenza n. 170/2023 ha risolto il conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto tra Senato e Procura della Repubblica, a seguito dell’acquisizione di plurime comunicazioni intrattenute da un senatore, nell’ambito di un procedimento penale a carico dello stesso e di altri soggetti, in assenza di una previa autorizzazione da parte del Senato.
La Consulta ha stabilito che la Procura non poteva acquisire, senza la preventiva autorizzazione del Senato, messaggi di posta elettronica e whatsapp del parlamentare, o a lui diretti, conservati in dispositivi elettronici appartenenti a terzi, oggetto di provvedimenti di sequestro nell’ambito di un procedimento penale a carico dello stesso parlamentare e di terzi.
Tali messaggi sono stati ritenuti riconducibili alla nozione di «corrispondenza», costituzionalmente rilevante e la cui tutela non si esaurisce con la ricezione del messaggio da parte del destinatario, ma perdura fin tanto che esso conservi carattere di attualità e interesse per gli interlocutori.
Pertanto, quando in occasione di un sequestro di “smartphone, tablet, computer etc., si riscontri la presenza di messaggi intercorsi con un parlamentare, per procedere all’estrazione di tali messaggi è sempre necessario chiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza, anche se il dispositivo appartiene a terzi e a prescindere dal carattere “occasionale” o “mirato” dell’acquisizione dei messaggi.
Irrilevante la prova dell’eccentricità del comportamento del lavoratore se manca la verifica di idoneità del macchinario
Con la sentenza n. 31542 del 20.07.2023, la Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla rilevanza dell’eccentricità della condotta del lavoratore per l’infortunio dallo stesso subito.
Nel caso di specie, il dipendente che stava procedendo allo scarico di un container da collocarsi su un nastro trasportatore, appoggiava la mano su un cilindro in rotazione e subiva l’amputazione del dito della mano sinistra.
La Suprema Corte ha confermato la condanna del datore di lavoro e del delegato alla sicurezza perché entrambi avevano disatteso il preciso obbligo di accertarsi che la macchina fosse conforme alle norme in materia di prevenzione e di valutare compiutamente i rischi connessi al suo utilizzo, dal momento che il nastro trasportatore non era dotato di protezioni tali da impedire l’accesso ai cilindri in rotazione.
Muovendo da questa considerazione, la Cassazione ha escluso che la condotta del lavoratore potesse definirsi eccentrica, cioè abnorme e imprevedibile e quindi idonea a escludere la responsabilità del datore di lavoro e del dirigente alla sicurezza, proprio perché questi non avevano adottato tutte le cautele necessarie a governare il rischio di infortuni di quel tipo in relazione a quel macchinario.
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Sulla responsabilità degli enti: la fusione per incorporazione di una società non estingue la sua responsabilità amministrativa
Con la sentenza n. 26787 del 2023, in tema di responsabilità degli enti, la Cassazione ha confermato il principio per cui la fusione per incorporazione della società non è un evento assimilabile alla morte dell’imputato e pertanto non è idoneo ad estinguere la sua responsabilità amministrativa.
Benché la Cassazione riconosca che la fusione per incorporazione determini un fenomeno equiparabile alla successione mortis causa di una persona fisica, ha precisato che questa analogia esaurisce i suoi effetti solo nel diritto civile.
Pertanto, l’estinzione della società per effetto della fusione per incorporazione con altro ente non determina le conseguenze tipiche della morte dell’imputato, con la conseguenza che l’ente comunque risponde dell’illecito 231 allo stesso ascritto.
L’effetto della causa di non punibilità ex art. 649 c. 3 c.p. in relazione ai reati contro il patrimonio in ambito familiare
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 22930 del 2023 ha stabilito che la minaccia o la mera violenza psichica non escludono la configurabilità della causa di non punibilità e della perseguibilità a querela per i reati contro il patrimonio commessi in danno dei prossimi congiunti, in quanto la clausola derogatoria prevista dall’art. 649 c. 3 c.p. opera solo quando il fatto sia commesso con violenza fisica.
L’art. 649 c.p. prevede la non punibilità per i delitti contro il patrimonio commessi in danno del coniuge non legalmente separato, di un ascendente o discendente, di un affine in linea retta ovvero dell’adottante o dell’adottato o di un fratello o sorella con cui si convive. Il comma 3 dello stesso articolo precisa che non trova applicazione la causa di non punibilità per i reati di rapina, estorsione e sequestro di persona e di ogni altro delitto contro il patrimonio commesso con violenza alle persone.
Si osserva che tale deroga opera in una duplice direzione: da un lato, la norma enumera esplicitamente tre fattispecie di particolare ed evidente offensività, ovvero i reati di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p., dall’altro, la stessa prevede una clausola generale riferita a tutti i reati contro il patrimonio commessi “con violenza alle persone”.
I reati consumati di rapina, estorsione e sequestro di persona a scopo di estorsione sono dunque sempre punibili, anche quando perpetrati in danno dei congiunti indicati dall’art. 649 c.p. c. 1, seppur posti in essere senza violenza alle persone.
Dunque, secondo il consolidato orientamento della cassazione, è in ogni caso configurabile la causa di non punibilità di cui all’art. 649 c.p., quando il tentativo di estorsione in danno dei prossimi congiunti sia commesso senza violenza fisica.
La responsabilità derivante dall’utilizzo improprio di fondi da parte di una società partecipata
Con la sentenza n. 25173 del 2023, la Corte di Cassazione ha statuito che non integra il delitto di peculato l'utilizzo dei fondi di una società interamente partecipata da un ente pubblico, che provveda al perseguimento di una finalità dell'ente medesimo, in quanto non sussiste il requisito dell'appropriazione, né della distrazione del denaro per fini privatistici.
Secondo il ragionamento della Suprema Corte, se una società in house si fa carico di un esborso nell'interesse dell'ente che ne detiene l'intero capitale sociale, viene meno il requisito dell'appropriazione del bene altrui, proprio in considerazione del fatto che il patrimonio deve ritenersi sostanzialmente comune ed il fine perseguito non incompatibile con l'interesse pubblico.
Si potrebbe in tal caso al più ipotizzare una irregolarità rilevabile sotto il profilo della responsabilità contabile, che attiene esclusivamente al profilo della liceità amministrativa e può, eventualmente, determinare una responsabilità risarcitoria in capo agli amministratori pubblici, senza che da ciò consegua necessariamente anche una responsabilità di tipo penale.
Ove i fondi pubblici non vengano destinati a finalità privatistiche, pur se utilizzati in violazione della normativa contabile, il delitto di peculato non può quindi configurarsi, in quanto manca l'elemento tipico dell'appropriazione dei beni, nonché della destinazione dei beni a finalità incompatibili con quelle del perseguimento di un interesse di natura pubblicistica.
Gli oneri dimostrativi dell’accusa in caso di bancarotta fraudolenta documentale
Con la sentenza n. 28257 del 10 maggio 2023, la Cassazione ha precisato che la diversa configurazione del dolo nelle due ipotesi di bancarotta fraudolenta documentale non richiede una sostanziale diversificazione dell’onere probatorio, dovendosi in entrambe le ipotesi escludere un atteggiamento psicologico di mera superficialità dell’imprenditore fallito.
Con riferimento alla bancarotta documentale correlata alle modalità di tenuta delle scritture contabili, non può farsi derivare la sussistenza dell’elemento soggettivo unicamente dalla sola constatazione dello stato delle scritture, dovendosi, invece, chiarire sulla base di quali elementi il fallito abbia avuto la coscienza e volontà di realizzare l’oggettiva impossibilità di ricostruire il patrimonio e non, al contrario, di trascurare semplicemente la regolare tenuta delle scritture contabili tale da integrare il meno grave reato di bancarotta documentale semplice.
Sicurezza sul lavoro: il datore di lavoro è responsabile penalmente degli infortuni subiti dai dipendenti anche se ha nominato un RSPP
La Quarta Sezione della Corte di Cassazione con sentenza n. 21153 del 18 maggio 2023 ha affrontato la questione della responsabilità penale del datore di lavoro in conseguenza di infortuni subiti da dipendenti, allorché lo stesso datore abbia preventivamente nominato un responsabile del servizio prevenzione e protezione, c.d. RSPP.
In linea con quanto già affermato in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità, la Corte ha ribadito che la mera designazione di un RSPP non costituisce una delega di funzioni e non è, pertanto, sufficiente a sollevare il datore di lavoro e i dirigenti dalle rispettive responsabilità in tema di violazione degli obblighi dettati per la prevenzione degli infortuni sul lavoro.
Difatti, la valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito della struttura aziendale rientra fra gli obblighi fondamentali non delegabili da parte del datore di lavoro; obbligo che quindi non viene meno a seguito della designazione del RSPP che, essendo privo di poteri decisionali, ha la funzione in qualità di consulente del datore di lavoro, di partecipare alla redazione del DVR, fornendo le informazioni e le indicazioni appropriate in merito all’analisi e alla gestione del rischio.
In sostanza, il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, in quanto consulente del datore di lavoro privo di potere decisionale, risponde dell’evento in concorso con il datore di lavoro solo se abbia commesso un errore tecnico nella valutazione dei rischi, dando un suggerimento sbagliato od omettendo di segnalare situazioni di rischio colposamente non considerate.
In tutti i casi, invece, in cui l’infortunio è da ricollegarsi alla mancata valutazione del rischio ovvero alla mancata adozione delle misure previste nel documento, la responsabilità deve essere configurata in capo al datore di lavoro.
La soluzione delle Sezioni Unite sul dolo specifico nel reato di furto
All’esito dell’udienza pubblica del 25 maggio 2023, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno risolto la questione di diritto relativa alla natura del fine di profitto del reato di furto, rimessa nei seguenti termini: «Se il fine di profitto, in cui si concreta il dolo specifico del delitto di furto, debba essere inteso solo come finalità? dell’agente di incrementare la sfera patrimoniale, sia pure in funzione del perseguimento di ulteriori fini conseguibili, ovvero se possa anche consistere nella volontà? di trarre un’utilità non patrimoniale dal bene sottratto».
Secondo un primo orientamento, «la nozione di profitto risulta svincolata dalla natura economica del fine dell’agente: il profitto avuto di mira può, quindi, consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale, e soddisfare un bisogno di tipo psichico, rispondendo alle più svariate finalità di dispetto, ritorsione, vendetta, rappresaglia, emulazione».
Al contrario, un secondo orientamento affermatosi più di recente «inquadra in senso restrittivo la nozione di profitto, nel senso di attribuire rilievo unicamente al perseguimento di una utilità di tipo patrimoniale».
Secondo quanto si apprende dall'informazione provvisoria n. 7 diramata dalla Corte di cassazione, le Sezioni Unite, in linea con le conclusioni adottate dal Procuratore generale, hanno fornito la seguente soluzione: «Il fine di profitto del reato di furto, caratterizzante il dolo specifico dello stesso, può consistere anche in un fine di natura non patrimoniale».
In tema di vantaggi compensativi nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 16294 del 17 aprile 2023 si è pronunciata in tema di bancarotta fraudolenta patrimoniale, statuendo che per escludere la natura distrattiva di un'operazione di trasferimento di somme da una società ad un'altra non sia sufficiente allegare la partecipazione della società depauperata e di quella beneficiaria ad un medesimo "gruppo societario".
Diversamente, è onere dell'interessato dimostrare, in maniera specifica, il saldo finale positivo delle operazioni compiute nella logica e nell'interesse dell’intero gruppo, ovvero la concreta e fondata prevedibilità di vantaggi compensativi, a norma dell’art. 2634 c.c., per la società apparentemente danneggiata.
Omessa valutazione del rischio e comportamento abnorme del lavoratore
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17617 del 28 aprile 2023 si è pronunciata sul ricorso proposto dal legale rappresentante di un’azienda agricola, condannato per il reato di cui all’art. 589, comma 2, c.p. per aver omesso di valutare il rischio presente in azienda – ed in concreto verificatosi – di caduta accidentale dei lavoratori nella vasca di raccolta dell’acqua piovana, all’interno della quale un lavoratore era caduto ed era deceduto per annegamento.
I giudici hanno ritenuto inammissibile il ricorso, ribadendo il costante orientamento sostenuto dalla giurisprudenza di legittimità in materia di infortuni sul lavoro, in base al quale la condotta colposa del lavoratore infortunato non possa assurgere a causa sopravvenuta, da sola sufficiente a produrre l'evento, quando sia comunque riconducibile all'area di rischio propria della lavorazione svolta. In tal senso, il datore di lavoro può ritenersi esonerato da responsabilità soltanto quando il comportamento del lavoratore presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità e dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute.
A ciò deve aggiungersi che la condotta imprudente o negligente dei lavoratore, in presenza di evidenti criticità del sistema di sicurezza approntato dal datore di lavoro, non potrà mai spiegare alcuna efficacia esimente in favore dei soggetti destinatari degli obblighi di sicurezza. Tali disposizioni sono infatti dirette a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti che possano derivare da sua colpa, dovendo, il datore di lavoro, prevedere ed evitare prassi di lavoro non corrette e foriere di eventuali pericoli.
Responsabilità degli enti: la sentenza del Tribunale di Milano nel caso Johnson & Johnson
In tema di responsabilità degli enti ex d. lgs. 231/2001, si segnala l’interessante pronuncia del Tribunale di Milano nell’ambito del procedimento relativo al caso Johnson & Johnson Medical SpA.
Tra i diversi argomenti affrontati dalla pronuncia, di particolare interesse è quello relativo ai criteri sulla base dei quali accertare l’idoneità e l’efficace attuazione del Modello Organizzativo e di Gestione, a seconda che l’autore del reato presupposto sia un soggetto apicale o un sottoposto.
La sentenza n. 3314 del 23 maggio, richiamando un precedente della Suprema Corte, ha affermato che “nel procedimento a carico dell’ente, laddove sia contestata la mancata adozione e attuazione di modelli organizzativi, i presupposti normativi della responsabilità dell’ente per fatto del soggetto sottoposto all’altrui direzione e vigilanza differiscono da quelli della responsabilità per fatto del soggetto apicale solo allorché sia dimostrata l’adozione di misure cautelari idonee a prevenire i reati dei sottoposti, ancorché non formalizzati in un modello, dovendosi in tal caso provare, al fine di affermare la responsabilità dell’ente, che il fatto sia stato propiziato dall’inosservanza del dovere di direzione e vigilanza da parte dei soggetti apicali”.
A tal proposito, occorre evidenziare che l’art. 7 comma 2 d. lgs. 231/2001 specifica che la connessione fra responsabilità dell’ente ed inosservanza degli obblighi di direzione e vigilanza è esclusa in caso di adozione ed efficace attuazione di un modello idoneo a prevenire reati. Dunque, l’accertamento della responsabilità dell’ente, in relazione al reato commesso dal sottoposto, verterà sulla valutazione dell’idoneità ed efficace attuazione del modello organizzativo.
Omesso pagamento degli oneri tributari e impossibilità di adempiere
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 19603 del 21 aprile 2023 è tornata sulle condizioni di configurabilità del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, con particolare riferimento alla nozione di atti fraudolenti.
La fattispecie di cui all’art. 11 d.lgs. 74/2000 sanziona chiunque al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore a cinquantamila euro, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva.
Con riguardo, in particolare, alla nozione di “atti fraudolenti”, devono ritenersi tali tutti quei comportamenti che, quand’anche formalmente leciti, siano tuttavia connotati da elementi di inganno o di artificio, dovendosi cioè ravvisare l’esistenza di uno stratagemma tendente a sottrarre le garanzie patrimoniali all’esecuzione.
In sostanza, secondo la giurisprudenza gli atti dispositivi compiuti dall’obbligato, oggettivamente idonei a eludere l’esecuzione esattoriale, hanno natura fraudolenta allorquando siano connotati da elementi di artificio, inganno o menzogna tali da rappresentare ai terzi una riduzione del patrimonio non corrispondente al vero, così mettendo a repentaglio o, comunque, rendendo più difficoltosa la procedura di riscossione coattiva.
D. Lgs. 10 marzo 2023 n. 24: l’Italia recepisce la direttiva europea sul whistleblowing
Il 30 marzo 2023 è entrato in vigore il D. Lgs. n. 24/2023 recante la “Attuazione della direttiva (UE) 2019/1937 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2019, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali”.
Il Decreto abroga la disciplina nazionale previgente in materia di whistleblowing e racchiude in un unico testo normativo, applicabile sia al settore pubblico sia al settore privato, il regime di protezione dei soggetti che segnalano condotte illecite. In particolare, le tutele vengono estese sia a tutti coloro che segnalano violazioni di cui sono venuti a conoscenza nell’ambito del proprio contesto lavorativo, sia ai cosiddetti “facilitatori”, colleghi, parenti o affetti stabili di chi ha segnalato.
Al fine di rafforzare i principi di trasparenza e responsabilità in materia di segnalazioni, la nuova normativa prevede che le aziende interessate debbano predisporre canali interni di segnalazione in grado di garantire il massimo livello di riservatezza dell'identità del segnalante, della persona coinvolta e della persona menzionata, nonché della relativa documentazione. La gestione del canale di segnalazione interno è affidata ad una persona o ufficio interno autonomo e dedicato e con personale specificatamente formato oppure ad un soggetto esterno autonomo e specificatamente formato.
Ai sensi della nuova disciplina, sono tenuti all'attivazione di un canale di segnalazione interno e di gestione delle segnalazioni: i) gli enti hanno impiegato, nell'ultimo anno, la media di almeno 50 lavoratori subordinati (a tempo indeterminato o determinato); ii) gli enti che hanno adottato il Modello Organizzativo 231; iii) gli enti che operano in particolari settori espressamente individuati dal Decreto (es. servizi finanziari, credito, investimento, assicurativo etc.).
Al ricorrere di determinate circostanze, il segnalante può utilizzare un canale esterno, attivato dall'ANAC che, entro tre mesi dall'entrata in vigore del Decreto, sentito il Garante della privacy, deve adottate le linee guida relative alle procedure per la presentazione e gestione delle segnalazioni esterne.
Il Decreto Whistleblowing prevede inoltre l'ampliamento delle segnalazioni, comprensive non più solo delle violazioni di interesse del D.lgs. 231/2001, ma anche degli illeciti amministrativi, contabili, civili o penali, illeciti relativi ad alcuni settori (es. appalti pubblici, prodotti e mercati finanziari, prevenzione del riciclaggio e finanziamento del terrorismo, etc.).
Gli enti che rientrano nel campo di applicazione della nuova disciplina sono pertanto tenuti ad adottare una specifica procedura Whistleblowing o comunque ad implementare quella già presente entro il termine del 15 luglio 2023 per gli enti con oltre 250 dipendenti ed entro il 17 dicembre 2023 per gli enti con meno di 250 dipendenti.
Bancarotta fraudolenta e condanna del concorrente extraneus
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17831 del 17 febbraio 2023 ha statuito che “la posizione dell’imputato, accusato di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta distrattiva nella posizione di c.d. extraneus, merita un approfondito esame dell’elemento psicologico del reato, che non può essere semplicemente assimilato a quello dell’imprenditore”, in ragione della diversità del contributo causale del concorrente
Secondo i costanti insegnamenti della giurisprudenza, «il dolo del concorrente extraneus nel reato proprio dell'amministratore consiste nella volontarietà della propria condotta di apporto a quella dell'intraneus, con la consapevolezza che essa determina un depauperamento del patrimonio sociale ai danni dei creditori, non essendo, invece, richiesta la specifica conoscenza del dissesto della società, che può rilevare sul piano probatorio, quale indice significativo della rappresentazione della pericolosità della condotta per gli interessi dei creditori».
In sostanza, il giudice deve procedere ad una rigorosa dimostrazione della rappresentazione in capo al concorrente estraneo del concreto rischio di insolvenza a cui si espone la società col compimento dell’atto ritenuto distrattivo, anche se non qualificato dalla specifica volontà di cagionare danno ai creditori, da valutarsi alla luce delle specifiche cognizioni della situazione dell’impresa da parte dell’extraneus.
D. L. 30 marzo 2023, n. 34: una nuova causa di non punibilità per i reati tributari di omesso versamento e indebita compensazione
Con il D.L. 34/2023, c.d. Decreto Bollette, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 30 marzo 2023, il Governo ha introdotto all’art. 23 una speciale causa di non punibilità per i reati di omesso versamento di ritenute, omesso versamento IVA e indebita compensazione, di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater del D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74.
La causa di esclusione della punibilità “quando le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente secondo le modalità e nei termini previsti dall'articolo 1, commi da 153 a 158 e da 166 a 252, della legge 29 dicembre 2022, n. 197” e purché “le relative procedure siano definite prima della pronuncia della sentenza di appello”.
Introdotta al fine di massimizzare gli effetti della manovra, la norma prevede un meccanismo premiale condizionato, che consente l’esito di non punibilità anche a vantaggio di coloro che siano stati ammessi ad una rateizzazione del quantum dovuto. Tale meccanismo si presenta per certi versi analogo all’istituto ex art. 13 D. Lgs. 74/2000, cui l’art. 23 del Decreto Bollette viene ad affiancarsi, senza sovrapporvisi del tutto.
Difatti, l’art. 13 D.Lgs. 74/2000, che trova applicazione anche ai reati di omesso versamento e indebita compensazione, prevede la non punibilità per il caso di pagamento del debito tributario, comprensivo di interessi e sanzioni amministrative, prima dell’apertura del dibattimento, ferma la possibilità di una proroga massima di sei mesi in ipotesi di rateizzazione del debito.
Dal punto di vista temporale, dunque, appare evidente il maggior respiro concesso dal D.L. 34/2023 a coloro cui siano contestati i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater D. Lgs. 74/2000, per cui l’adesione alla tregua fiscale e il conseguente esito di non punibilità saranno possibili ben oltre il termine previsto dall’art. 13 D. Lgs. 74/2000, ossia fino alla pronuncia di appello, beneficiando peraltro, in ipotesi di pagamento dilazionato, dell’effetto di sospensione del processo sin dalla comunicazione del versamento della prima rata.
La dichiarazione di residenza non veritiera integra il reato di falso ideologico
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 17419 del 4 aprile 2023 ha chiarito che la falsa dichiarazione di trasferimento della propria residenza nell’istanza di cambio di residenza integra il delitto di cui all'art. 483 c.p.
Protagonista della vicenda in esame è un soggetto, accusato di aver dichiarato, nell’istanza di cambio di residenza, di avere in locazione un immobile di edilizia popolare pubblica di proprietà del Comune, allegando un contratto di locazione materialmente e ideologicamente falso.
Secondo la giurisprudenza di legittimità «il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) è configurabile solo nei casi in cui una specifica norma giuridica attribuisca all'atto la funzione di provare i fatti attestati dal privato al pubblico ufficiale, così collegando l'efficacia probatoria dell'atto medesimo al dovere del dichiarante di affermare il vero».
La Cassazione ha così ribadito che integra il delitto di cui all'art. 483 c.p. «la falsa dichiarazione di trasferimento della propria dimora abituale resa ai fini dell'iscrizione anagrafica per mutamento della residenza, trattandosi di dichiarazione sostitutiva di atto notorio ai sensi dell'art. 47 D.P.R. n. 445/2000».
La richiesta di denaro per non diffondere foto intime è estorsione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18317 del 3 maggio 2023 ha condannato per estorsione un uomo che aveva chiesto del denaro a due donne minacciandole di diffondere loro foto intime.
In via preliminare, la Suprema Corte ha precisato che il criterio distintivo tra il delitto di estorsione mediante minaccia e quello di truffa cosiddetta vessatoria consiste nel diverso atteggiarsi del pericolo prospettato, sicché si ha truffa aggravata quando il danno viene prospettato come possibile ed eventuale e mai proveniente direttamente o indirettamente dal soggetto che compie la truffa, di modo che la persona offesa non è coartata nella sua volontà ma si determina all’azione o all’omissione versando in stato di errore, mentre ricorre il delitto di estorsione quando viene prospettata l’esistenza di un pericolo reale di un accadimento il cui verificarsi è attribuibile, direttamente o indirettamente, al soggetto che compie l’estorsione ed è tale da non indurre la persona offesa in errore, ma, piuttosto, nell’alternativa ineluttabile di subire lo spossessamento o di incorrere nel danno minacciato»
Nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto configurato il reato di estorsione dal momento che l’uomo ha prospettato alle due persone offese un pericolo che era senz’altro reale, quello della diffusione delle fotografie che le ritraevano a seno nudo, e il cui verificarsi era attribuibile all’uomo, il quale poteva diffondere o meno le predette foto, ponendo alle due donne l’ineluttabile alternativa di consegnare il denaro o subire il male minacciato della diffusione delle fotografie compromettenti per la loro reputazione.
Non punibile chi paga prima del dibattimento
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10730 del 2023 ha ribadito la non punibilità dei reati di omesso versamento (artt. 10 bis, 10 ter e 10 quater comma 1) nel caso di pagamento integrale dei debiti tributari, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, anche a seguito di procedure conciliative e di adesione all’accertamento, nonché di ravvedimento operoso.
Per l’applicazione della causa di non punibilità è necessario che, prima dell’apertura del dibattimento, intervenga il pagamento completo dell’imposta dovuta, non essendo sufficiente il solo accordo tra contribuente e Fisco. In ogni caso, se il debito è in fase di estinzione mediante rateizzazione, è possibile chiedere il rinvio di tre mesi dell’apertura del dibattimento, prorogabile di ulteriori tre mesi se il giudice lo ritiene necessario, per consentire di provvedere all’estinzione integrale del debito.
La Suprema Corte ha precisato che la causa non di non punibilità opera a fronte di tutte le procedure conciliative che permettono il pagamento integrale del debito erariale, a prescindere dal fatto che per effetto di tali istituti siano dovute anche le sanzioni e gli interessi.
In tal senso, rientrano quindi nell’ambito di applicazione della causa di non punibilità anche le c.d. rottamazioni e tutte le sanatorie introdotte con l’ultima legge finanziaria che, pur non avendo l’espressa previsione di uno scudo penale, alla luce del recente insegnamento della Cassazione, possono garantire la non punibilità in ambito penale, trattandosi di accordi di definizione agevolata che assicurano comunque il recupero all’Erario delle somme dovute, pur non essendo compresi anche i relativi interessi e sanzioni.
Nuovo reato 231: False o omesse dichiarazioni per il rilascio del certificato preliminare
Il 22 marzo 2023 è entrato in vigore il D.Lgs. 2 marzo 2023 n. 19 che ha recepito la direttiva UE 2019/2121 di armonizzazione della disciplina dei Paesi membri in materia di tutela dei soci, creditori e lavoratori in relazione ad operazioni societarie di trasformazione, fusione e scissione transfrontaliera. La nuova disciplina avrà effetto – salvo diversa disposizione – dal 3 luglio 2023.
Il decreto in esame introduce il delitto di false o omesse dichiarazioni per il certificato preliminare che punisce, con la reclusione da sei mesi a tre anni, chiunque, al fine di far apparire adempiute le condizioni per il rilascio del certificato preliminare, forma documenti in tutto o in parte falsi, altera documenti veri, rende dichiarazioni false oppure omette informazioni rilevanti.
Nello specifico, il certificato preliminare rappresenta un documento che attesta il regolare adempimento, in conformità alla legge, degli atti e delle formalità preliminari alla realizzazione della fusione. Viene rilasciato dal notaio su richiesta della società italiana partecipante alla fusione transfrontaliera, a seguito di opportune verifiche sulla base della documentazione, delle informazioni e delle dichiarazioni da questa presentate.
Il legislatore ha introdotto la nuova fattispecie di false o omesse dichiarazioni per il rilascio del certificato preliminare nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa dell’ente D.Lgs. 231/2001.
Con l’’inserimento di questo nuovo reato nel catalogo dei reati presupposto 231, le società saranno chiamate ad aggiornare il Modello Organizzativo di cui al D.Lgs. 231/2001, procedendo ad un’attività di analisi volta alla valutazione del nuovo rischio di commissione del reato e all’introduzione di idonei presidi preventivi.
Bancarotta: il concorso dell’amministratore senza deleghe
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7384 del 2023 ha stabilito che in tema di bancarotta, per la configurabilità del concorso degli amministratori senza delega per omesso impedimento dell’evento, è necessaria la prova dell’effettiva conoscenza dei fatti pregiudizievoli per la società o, quantomeno, di “segnali d’allarme” inequivocabili dai quali desumere l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito, secondo i criteri del dolo eventuale.
È inoltre necessaria la dimostrazione della volontà di non attivarsi per scongiurare detto evento lesivo.
La valutazione della conoscenza degli eventi pregiudizievoli e della volontà di non impedire l’evento in capo all’amministratore privo di deleghe deve necessariamente tener conto delle concrete modalità di funzionamento dello specifico consiglio di amministrazione, nel quadro di una specifica contestualizzazione delle condotte dell’amministratore delegato.
Diffamazione a mezzo e-mail ed effettiva lettura del messaggio
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12511 del 2023 ha stabilito che per la configurabilità del reato di diffamazione, realizzato mediante l’invio di una e-mail a più destinatari, è sufficiente la prova dell’effettivo recapito della missiva, non essendo invece necessario che l’e-mail sia stata effettivamente letta dai destinatari.
La Suprema Corte ha quindi chiarito che diversamente da quanto affermato con riguardo a scritti, immagini, o file vocali caricati su siti web o sui social media, nell’ipotesi di invio di messaggi di posta elettronica, il requisito della comunicazione con più persone non può presumersi sulla base dell’inserimento del contenuto offensivo nella rete, ma è necessaria quantomeno la prova dell’effettivo recapito agli stessi. Detto altrimenti, è sufficiente la prova che il messaggio sia stato scaricato e cioè trasferito sul dispositivo dell’utente dell’indirizzo, mentre l’effettiva lettura può presumersi, salvo prova contraria.
Falso in atto pubblico nelle annotazioni successivamente corrette o cancellate nella cartella clinica
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3336 del 2023 ha stabilito che non integra il reato di falso materiale in atto pubblico la condotta del medico responsabile che successivamente corregge le annotazioni apposte in cartella clinica dal medico specializzando.
La Suprema Corte ha chiarito che le annotazioni sulla cartella clinica redatte da un medico specializzando non hanno carattere definitivo, necessitando del controllo del medico responsabile che ha svolto l’attività o alle cui direttive e indicazioni lo specializzando si è attenuto.
Difatti, l’attività del medico specializzando si svolge sempre sotto la vigilanza e il supporto formativo del tutor o del medico responsabile, il quale ha il potere di verifica e di integrazione delle annotazioni materialmente poste in essere dallo specializzando, ma riferite alla prestazione eseguita del medico strutturato, proprio al fine di verificarne la conformità al proprio operato e alle direttive impartite.
Solo all’esito di tale verifica e delle eventuali correzioni apportate dal medico strutturato l’atto assume una connotazione di definitività e quindi rilievo pubblicistico.
Ne consegue che solo a partire da tale momento ogni successiva alterazione può integrare il reato di falso materiale in atto pubblico, al ricorre degli ulteriori requisiti richiesti dalla norma incriminatrice.
Applicabilità della particolare tenuità del fatto in seguito alla c.d. Riforma Cartabia
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7573 del 2023 si è espressa circa l’applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p..
Si ricordi come tale istituto consenta al giudice di escludere la punibilità del colpevole per fatti che, sebbene astrattamente costituiscano reato, sono caratterizzati da un grado di offensività particolarmente tenue. I criteri, infatti, sui quali il giudice si deve basare per decidere in merito alla concessione di tale beneficio sono la particolare tenuità dell’offesa e la non abitualità del comportamento.
Tale causa di non punibilità è stata oggetto di modifica dal recente intervento della c.d. Riforma Cartabia che ne ha ampliato l’ambito di operatività, rendendola applicabile a tutti i reati puniti con la pena della reclusione non superiore nel minimo a due anni.
In particolare, nella sentenza in oggetto, ci si chiedeva se l’istituto trovasse applicazione anche nei giudizi precedenti alla data di entrata in vigore della modifica, relativi pertanto, a reati commessi in precedenza.
A tale quesito i Giudici hanno fornito risposta positiva affermando che deve essere riconosciuta efficacia retroattiva all’applicabilità di tale istituto anche nei giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della riforma aventi ad oggetto reati commessi prima di quella data.
La nozione di convivenza nell’ambito dell’allontanamento d’urgenza
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4572 del 2023 ha chiarito come debba essere interpretato il requisito della convivenza previsto dall’art. 384 bis c.p.p. ai fini dell’applicazione della misura dell’allontanamento d’urgenza della casa familiare.
In prima istanza la Corte ha ricordato come in sede di convalida di tale misura, il Giudice debba sempre controllare la sussistenza dei presupposti che hanno legittimato l’eseguito allontanamento, valutando la legittimità dell’operato della polizia sia in relazione allo stato di flagranza che alla possibilità che il soggetto commetta ulteriori reati.
In riferimento al requisito del rapporto di convivenza, invece, la Corte ha affermato che deve essere inteso come tale quello stabile legame tra due persone connotato da una duratura e significativa convivenza di vita e di affetti, ravvisabile anche quando non sia contraddistinta da coabitazione.
Pertanto, viene sancito il principio secondo il quale allorquando la convivenza, intesa come coabitazione già esistita, non sia più in atto, ma sussistono gli elementi in concreto che depongono in favore di una perdurante frequentazione del soggetto di quel domicilio anche in maniera occasionale o che consistano nel violento ripristino a parte dell’agente della situazione di condivisione del domicilio, appare corretto ravvisare anche l’ulteriore presupposto che legittima l’allontanamento da una casa che l’indagato continua a frequentare, anche contro la volontà della donna con cui ha intrattenuto la relazione.
Furto in abitazione e sottrazione di una bicicletta
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4535 del 2022 depositata nel febbraio 2023 ha catalogato come tentato furto in abitazione l’azione con cui un uomo ha cercato di impossessarsi di una bicicletta collocata in un cortile adibito a parcheggio e costituente pertinenza di due diversi condomini.
In particolare, i giudici hanno ritenuto irrilevante il fatto che il cortile non sia considerabile come privata dimora poiché non vengono compiute attività della vita privata destinate a rimanere riservate.
La Corte ha affermato che il cortile, dove è stato attuato il tentativo di furto, anche in ragione degli oggetti che sono ivi custoditi e riposti, è destinato quale pertinenza delle abitazioni in cui le persone offese abitano o comunque ove i proprietari degli appartamenti svolgono manifestazioni di vita domestica.
Per luogo di privata dimora si deve intendere, pertanto, qualsiasi area anche destinata all’attività lavorativa e professionale in cui si compiono in maniera occasionale atti di vita privata che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi.
Per parlare di furto in abitazione è sufficiente che il ladrocinio sia commesso in un luogo che è pertinenza di una privata dimora e in cui si svolgano non occasionalmente atti della vita privata, anche se quella pertinenza, di per sé stessa considerata, non integra una privata dimora, non venendovi compiute attività della vita privata destinate a rimanere riservate.
Condotte integranti il reato di violenza sessuale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 6596 del 2023 si è pronunciata sulla configurabilità del reato di violenza sessuale ex art. 609 bis c.p..
L’imputato si era avvicinato con estrema disinvoltura alle persone offese, intente ad assistere ad un evento musicale e repentinamente aveva cinto i fianchi di una delle ragazze per poi spostare la mano verso il basso palpeggiandole i glutei. Immediatamente dopo aveva cinto i fianchi dell'altra ragazza, spostando la mano verso il basso con l'evidente finalità di compiere analogo gesto. Considerando le complessive modalità dell'azione ed il contesto in cui si erano realizzati i fatti, risultava evidente la natura sessuale degli atti posti in essere, in maniera repentina, con intrusione nella sfera sessuale delle vittime.
La Corte ribadisce come debbano essere fatti rientrare nel concetto di atti sessuali tutti quelli che siano idonei a compromettere la libera determinazione della sessualità di una persona e ad invadere la sua sfera sessuale – facendovi, pertanto, rientrare anche le zone erogene – con modalità connotate da costrizione, sostituzione ingannevole di persona, ovvero abuso di inferiorità fisica o psichica.
Invece, con riferimento a tutti quegli atti che non sono direttamente indirizzati a zone erogene, ma che possono essere rivolti al soggetto passivo con finalità del tutto diverse – quali ad esempio i baci o gli abbracci - spetterà al giudice di merito valutarne l’idoneità ai fini della configurazione del reato di violenza sessuale.
Tale valutazione deve essere svolta analizzando la condotta nel suo complesso, il contesto in cui si è svolta l’azione, i rapporti intercorrenti fra le persone coinvolte, la sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, il contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e ogni altro dato fattuale qualificante.
Diffamazione mezzo Facebook e competenza
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 7377 del 2023 si è pronunciata sul delitto di diffamazione commesso da due soggetti con residenza e domicilio diversi che avevano, in concorso tra loro, pubblicato su un gruppo Facebook alcuni contenuti offensivi e, pertanto, ci si chiedeva quale dovesse essere identificato come tribunale competente.
La Cassazione ha ritenuto che nel caso in cui i fatti siano ascritti ad una pluralità di soggetti che abbiano residenza o luoghi diversi collocati nei circondari di più tribunali, la competenza territoriale deve essere radicata ove ha sede l’ufficio del PM che per primo ha iscritto la notizia di reato.
Disposizioni antimafia: divieto dell’utilizzo o possesso del cellulare
La Corte costituzionale con la sentenza n. 2 del 2023 ha risposto alle questioni di legittimità sollevate dalla Corte di cassazione e dal Tribunale di Cagliari circa l’art. 3, comma 4 D.lgs. n. 159/2011 – Codice delle leggi antimafia – nella parte in cui includeva i telefoni cellulari nella nozione di apparato di comunicazione radiotrasmittente di cui il questore, mediante l’avviso orale rafforzato, poteva vietarne l’utilizzo.
La Corte ha sottolineato come la misura di prevenzione del divieto di possesso o uso del cellulare possa essere disposto solo per atto motivato dell’autorità giudiziaria.
Nei confronti di persone già condannate per delitti non colposi e, abitualmente dedite alla commissione di reati il questore non può autonomamente disporre la misura di prevenzione consistente nel divieto di possedere o utilizzare telefoni cellulari.
L’autorità di pubblica sicurezza, infatti, può farne proposta ma la decisione spetta comunque all’autorità giudiziaria, come previsto dall’art. 15 della Costituzione (La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell'autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge).
Pertanto, è costituzionalmente illegittima la disposizione del codice delle leggi antimafia nella parte in cui include i telefoni cellulare nella nozione di “apparato di comunicazione radiotrasmittente” di cui il questore può vietarne, mediante l’avviso orale rafforzato, il possesso o l’utilizzo.
La sentenza afferma, infine, che le limitazioni relative all’uso di un determinato mezzo non necessariamente si convertono in restrizioni al diritto fondamentale che l’impiego di quel mezzo consenta di soddisfare. Tuttavia, la disciplina restrittiva relativa al telefono cellulare – considerata la grande diffusione di questo strumento in ogni ambito della vita – “finisce per penetrare all’interno del nucleo essenziale del diritto, determinando evidenti ricadute restrittive sulla libertà tutelata dalla Costituzione”. Per tale ragione, la decisione non può che spettare all’autorità giudiziaria.
Il furto e il fine di profitto
La Cassazione penale con la sentenza n. 693 del 2023 è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione inerente al fine di profitto nella fattispecie di furto.
Il quesito verteva sul se il fine di profitto in cui si concretizza il dolo specifico del delitto di furto dovesse essere inteso solo come finalità dell’agente di incrementare la sfera patrimoniale, sia pure in funzione del perseguimento di ulteriori fini conseguibili, ovvero se potesse consistere anche nella volontà di trarre un’utilità non patrimoniale dal bene sottratto.
Secondo un primo orientamento la nozione di profitto parrebbe svincolata dalla natura economica del fine dell’agente. Il profitto potrebbe, pertanto, consistere in qualsiasi utilità, anche di natura non patrimoniale volta a soddisfare un bisogno di tipo psichico, rispondendo alle più svariate finalità di dispetto, ritorsione, vendetta, rappresaglia o emulazione.
Al contrario, invece, un più recente orientamento di legittimità, avvalorato anche dalla pronuncia in oggetto, propende per una nozione più restrittiva di profitto, attribuendo rilievo unicamente al perseguimento di un’utilità di tipo patrimoniale.
Il contributo dell’associazione mafiosa da parte del concorrente esterno
La Cassazione penale con la sentenza n. 49744 del 2022 si è pronunciata in merito al contributo all’associazione da parte del concorrente esterno e sulla rilevanza delle cd. condizioni di salute della compagine associativa.
La condotta del concorrente esterno per essere punibile non deve tendere ad un incremento della semplice potenzialità operativa dell’organismo criminoso, ma deve porsi come un “frammento di una concreta utilità per la realizzazione di una delle molteplici attività espressive del programma criminoso, al fine di realizzare una contribuzione percepibile al mantenimento in vita dell’organismo criminale”.
La Corte conclude affermando la sussistenza di compiti che per le loro caratteristiche richiedono l’affidamento anche continuativo a soggetti non associati.
Ciò sempre alla luce del fatto che per il raggiungimento di scopi tipici del sodalizio mafioso è necessaria una costante interazione tra il gruppo criminoso e le persone disposte a realizzare attività strumentali che possono spaziare dalla realizzazione di lavori pubblici in modo solo apparentemente lecito, alla protezione della latitanza degli esponenti di rilievo del sodalizio, al reinvestimento in attività ad oggetto lecito delle risorse accumulate.
Diffamazione a mezzo stampa e percezione della pubblicazione
La Cassazione penale con la sentenza n. 503 del 2023 ha affermato che è da escludersi il carattere diffamatorio di una qualsiasi pubblicazione ove la stessa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medio.
Laddove per lettore medio deve intendersi “colui che non si ferma alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (cd. lettore frettoloso) ma esamini senza sforzo e arguzia il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l’immagine, l’occhiello, il sottotitolo e la didascalia”.
Il provvedimento di sequestro preventivo e il periculum in mora
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 3481 del 2022 ha accolto il ricorso dell’imputato avverso l’ordinanza che rigettava il riesame del sequestro preventivo per omesso versamento IVA.
In particolare, la Corte ha ritenuto di dar seguito all’ormai consolidato orientamento secondo il quale “Il provvedimento di sequestro preventivo di beni ex art. 321, comma 2, c.p.p., finalizzato alla confisca di cui all'art. 240 c.p., deve contenere la concisa motivazione anche del periculum in mora, da rapportare alle ragioni che rendono necessaria l'anticipazione dell'effetto ablativo della confisca prima della definizione del giudizio”.
La motivazione del provvedimento di confisca, infatti, non può risolversi nel dare semplicemente atto della confiscabilità della cosa poiché un tale ragionamento andrebbe a ripercuotersi sul piano dei principi costituzionali e, soprattutto, sul principio di presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2 Cost.
Cessioni di droga e la qualifica di “piccolo spaccio”
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 1648 del gennaio 2022 è stata chiamata a ridefinire l’attività qualificata ai sensi dell’art. 73, comma 5 DPR 309/90 come “piccolo spaccio”.
La Corte ha affermato che può essere definita tale quell’attività accertata per un periodo ridotto di tempo della durata di tre mesi, anche se svolta con l’aiuto e la collaborazione di terzi purché abbia ad oggetto la cessione di dosi da strada conteggiate a decine, in quanto idonea a denotare una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni e perciò espressiva di una minore offensività della condotta.
La configurabilità del reato di maltrattamenti in caso di assenza di convivenza tra l’imputato e la vittima
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35633 del 2022 ha risposto al quesito avanzato dalla Corte d’Appello di Brescia, la quale si interrogava sulla configurabilità del reato di maltrattamenti in famiglia nel caso di assenza di convivenza tra l’autore e la vittima.
Secondo la Corte, ai fini dell’applicazione dell’art. 572 c.p., è necessario interpretare i concetti di famiglia e di convivenza secondo un’accezione ristretta, ovvero quella di una “comunità connotata da una radicata e stabile relazione affettiva interpersonale, da una duratura comunanza di affetti, che non solo implichi reciproche aspettative di mutua solidarietà ed assistenza, ma sia fondata sul rapporto di coniugo o di parentela o, comunque su una stabile condivisione dell'abitazione, ancorché, ovviamente, non necessariamente continua”.
Alla luce di tale principio, pertanto, sarà compito del Giudice di merito quello di verificare la sussistenza o meno del rapporto di convivenza rivelando, infine, a quale fattispecie incriminatrice dovranno condursi le condotte accertate.
Responsabilità degli enti ex D.lgs. 231/2001 in materia di infortuni sul lavoro
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 34943 del 2022 si è pronunciata in tema di responsabilità ex D.lgs. 231/2001 e infortuni sul lavoro.
In particolare, la Corte si è soffermata sulla possibilità di attribuire ad un delegato in materia di sicurezza una posizione da “apicale” all’interno della società.
La Corte d’Appello aveva ritenuto che il conferimento di un’ ampia delega nel settore della sicurezza sul lavoro fosse sufficiente ad annoverare il delegato fra i soggetti apicali, poiché mediante l’atto di delega si poneva il destinatario in una posizione di sovraordinazione che era assimilabile a quelle dell’amministrazione o di direzione dell’ente.
La Corte di Cassazione, invece, si discosta da questa interpretazione affermando che per verificare la responsabilità dell’ente è necessario che il Giudice di merito accerti se “l’attribuzione con delega in capo al soggetto incaricato abbia ad oggetto un complessivo assetto di poteri tali da definirne la veste di apicale così come delineato dall’art. 5 lett. a) del D.lgs. 231/2001”.
Lo stesso non può limitarsi a considerare se all’esercizio delle specifiche funzioni delegate siano stati assicurati i correlati poteri, di per sé implicanti una certa misura di indipendenza gestionale, di organizzazione e di controllo, e di autonomia di spesa, necessaria ma anche limitata allo svolgimento di funzioni delegate.
Tali poteri, infatti, non sono in alcun modo indici della ricorrenza di una posizione apicale in capo al delegato, bensì delle mere premesse all’esercizio della delega.
Eccentricità del rischio derivante dalla condotta del lavoratore
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 30814 del 2022 è stata chiamata a pronunciarsi circa l’interruzione del nesso causale tra la condotta colposa del datore di lavoro e l’evento, in ragione dell’eccentricità del rischio determinato dalla condotta del lavoratore.
In particolare, secondo la Corte, il datore di lavoro è esonerato dalla responsabilità unicamente qualora il comportamento del lavoratore e le sue conseguenze presentino i caratteri dell’eccezionalità, dell’abnormità nonché dell’esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo e alle direttive di organizzazione ricevute.
Laddove si definisce abnorme quel comportamento imprudente posto in essere dal lavoratore e che sia consistito in qualcosa di lontano dalle ipotizzabili e prevedibili scelte dello stesso nell’esecuzione del lavoro.
Pertanto, la condotta colposa del lavoratore è idonea ad interrompere il nesso di causalità tra la condotta e l’evento qualora sia tale da determinare un rischio eccentrico o esorbitante dall’area di rischio governata dal soggetto sul quale ricade la relativa gestione.
La demarcazione dell’area di rischio richiede non solo un inquadramento in astratto, ma anche una successiva considerazione con riferimento alla concreta attività svolta dal lavoratore e alle condizioni di contesto dell’esecuzione e, dunque, al rischio in concreto determinatosi in ragione dell’attività lavorativa rientrante o meno nelle mansioni attribuite.
Il concetto di privata dimora
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 32010 del 2022 si è pronunciata circa il concetto di privata dimora in relazione all’art. 266 c.p.p., comma 2, all’interno del quale si disciplinano i limiti di ammissibilità di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni (Negli stessi casi è consentita l'intercettazione di comunicazioni tra presenti che può essere eseguita anche mediante l’inserimento di un captatore informatico su un dispositivo elettronico portatile. Tuttavia, qualora queste avvengano nei luoghi indicati dall'articolo 614 c.p. – violazione di domicilio -, l'intercettazione è consentita solo se vi è fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l'attività criminosa).
In particolare, la Corte ha affermato che l’ufficio del Pubblico Ministero all’interno della Procura non può essere ritenuto in alcun modo luogo di privata dimora poiché è un luogo in cui è ammesso l’accesso, per ragioni di ufficio, ad una platea ampia di persone, talvolta anche in assenza del suo titolare.
I giudici proseguono ricordando come la nozione di privata dimora non possa essere trasposta automaticamente alla nozione dettata dall’art. 266 c.p.p., in quanto vi sono diversi bilanciamenti posti in essere dal legislatore nel delineare il concetto di domicilio, a seconda che il suo intervento sia in funzione della tutela penale di un ambito di riservatezza contro le violazioni e le interferenze illecite altrui o al fine di porre un limite allo svolgimento delle indagini, realizzate nel pubblico interesse al perseguimento di reati.
Sospensione condizionale della pena e condizioni economiche del condannato
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 46834 del 2022 si è pronunciata circa la possibilità di subordinare la sospensione condizionale della pena al versamento di una provvisionale in favore delle vittime.
La Corte aderisce ad un orientamento maggioritario secondo il quale il giudice che voglia subordinare la concessione della sospensione condizionale della pena ad un risarcimento del danno in favore della persona offesa ha l’obbligo di valutare le reali condizioni economiche del condannato, in particolare ove vi sia la prova dell’incapacità dell’imputato di sopportare l’onere risarcitorio.
Distinzione tra estorsione e truffa aggravata
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 48269 del 2022 si è soffermata sulla distinzione tra il reato di truffa e quello di estorsione.
Viene affermato il principio di diritto in base al quale l’elemento idoneo a differenziare la condotta estorsiva da quella di truffa aggravata vessatoria deve essere identificata nelle modalità della condotta ex ante che può qualificarsi come estorsiva se connotata dalla minaccia di un male concretamente realizzabile ad opera dello stesso agente e idonea a coartare la volontà della vittima ponendola difronte alla scelta se sottostare al ricatto o subire le conseguenze dannose del male minacciato.
Laddove la valutazione circa la concreta capacità di coazione della minaccia è un’indagine che deve essere svolta esaminando le circostanze del caso concreto quali ad esempio la potenza oggettiva della minaccia e la sua soggettiva incidenza sulla specifica vittima.
La prova del dolo specifico nella bancarotta fraudolenta documentale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 47762 del 2022 si è espressa circa la sussistenza del dolo specifico nella bancarotta fraudolenta documentale semplice.
In particolare, la prova del dolo contenuta nell’animus nocendi di recare pregiudizio ai creditori e dall’animus lucrandi, consiste nel procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto e deve dedursi dal reale atteggiamento psichico dell’agente nonché a circostanze ed elementi esteriori.
Nel caso oggetto della sentenza, il sottrarsi ad ogni contatto con il curatore per evitare la consegna delle scritture contabili, ammetterne la mancata istituzione e allo stesso modo anche la condotta di occultamento, sottrazione o distruzione delle scritture integrano tutte la prova del dolo specifico richiesto dalla norma incriminatrice.
A TUTTI VOI INOSTRI MIGLIORI AUGURI DI UN ANNO NUOVO RICCO DI SPERANZA E DI SERENITA’
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale in data 31 ottobre 2022 del Decreto-legge n. 162 che introduce misure urgenti in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia, nonché in materia di entrata in vigore del Decreto Legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, di obblighi di vaccinazione anti SARS – COV – 2 e di prevenzione e contrasto dei raduni illegali.
GIUSTIZIA
Il Decreto prevede che, in riferimento ai cosiddetti reati ostativi (si definisce reato ostativo quel reato che impedisce al condannato di accedere ai c.d. benefici penitenziari, quali la sospensione dell’esecuzione della pena, l’affidamento in prova ai servizi sociali e altre misure alternative alla detenzione), al fine della concessione di benefici al condannato non sarà sufficiente solo la buona condotta carceraria o la partecipazione al trattamento, ma saranno previsti, altresì, l’obbligo di risarcire i danni provocati insieme a tutti quei requisiti che consentono di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o il rischio di reiterazione di tali contatti.
Viene, inoltre, introdotto un procedimento rafforzato di valutazione delle richieste che prevede anche l’obbligo da parte del Giudice di Sorveglianza di acquisire il parere del Pubblico Ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di primo grado, nonché del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, il quale ha il compito di acquisire informazioni dalla direzione dell’istituto ove l’istante è detenuto. Vengono disposti, inoltre, accertamenti in ordine al nucleo familiare dell’istante, alle condizioni reddituali, al tenore di vita nonché alle attività economiche eventualmente svolte dagli stessi.
Al fine della liberazione condizionale si prevede che la richiesta possa essere presentata dopo aver scontato trenta anni di pena.
RIFORMA PENALE
Si stabilisce il rinvio dell’entrata in vigore del Decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150 (cd. Riforma Cartabia), al 30 dicembre 2022, al fine di poter perfezionale le misure organizzative già avviate.
SALUTE
Si anticipa dal 31 dicembre 2022 al 1° novembre 2022 la scadenza dell’obbligo vaccinale per il personale esercente le professioni sanitarie, per i lavoratori impiegati in strutture residenziali, socioassistenziali e sociosanitarie e per il personale delle strutture che effettuano attività sanitarie e sociosanitarie.
ORDINE PUBBLICO
È disposta, altresì, l’introduzione del nuovo art. 434 bis c.p. rubricato “Invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”.
Tale norma definisce l’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l'ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica come l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso possa derivare un pericolo per l'ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica.
La pena per coloro che organizzano o promuovono l’invasione è della reclusione da tre a sei anni e della multa da €1.000 a €10.000.
Per il solo fatto di partecipare all’invasione la pena è diminuita.
Nel caso di condanna o applicazione della pena su richiesta di parti è prevista la confisca delle cose utilizzate per commettere il reato.
Violenza fisica e abuso del mezzo correttivo da parte dell’insegnante
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 29661/2022 si è pronunciata sul tema dell’abuso dei mezzi di correzione nonché di disciplina da parte degli insegnati a danno dei propri alunni.
Nello specifico, la Corte ha specificato come la condotta abusante possa consistere in qualsiasi comportamento dell’insegnante che umili, svaluti, denigri o violenti psicologicamente un alunno causandogli pericoli per la salute, atteso che, in ambito scolastico, il potere educativo o disciplinare deve sempre essere esercitato con mezzi consentiti e proporzionati alla gravità del comportamento deviante del minore, senza superare i limiti previsti dall’ordinamento o consistere in trattamenti afflittivi dell’altrui personalità.
Il delitto in oggetto, infatti, presuppone l’uso non appropriato di metodi o comportamenti correttivi in via ordinaria consentiti “con esclusione dell’uso della violenza, quand’anche esercitata per fini correttivi o educativi”.
Responsabilità degli enti ex D.Lgs 231/2001 e l’istituto della messa alla prova
Si segnala l’ordinanza pronunciata dal Tribunale di Bari in data 22 giugno 2022 (nello stesso senso si era già pronunciato il Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Modena nel 2020) mediante la quale si è ritenuto ammissibile l’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova ad una società.
Secondo il Tribunale l’istituto della messa alla prova è da considerarsi compatibile con il sistema di responsabilità exD.lgs 231/2001 “poiché da ciò non deriverebbe alcuna violazione dei principi di tassatività e di riserva di legge, dal momento che il divieto di analogia opera soltanto quanto genera effetti sfavorevoli per l’imputato: la messa alla prova per l’ente determinerebbe, invece, un ampliamento del ventaglio di procedimento speciali a sua disposizione, consentendogli una miglior definizione della strategia processuale”.
L’adozione di un modello organizzativo risponde ad una logica di prevenzione del crimine da perseguire attraverso la rieducazione dell’ente, l’obiettivo è quello di indurre l’ente ad adottare comportamenti riparatori dell’offesa che consentano il superamento del conflitto sociale instaurato con l’illecito nonché idonei, concreti ed efficaci modelli organizzativi che, incidendo strutturalmente sulla cultura dell’impresa, possano consentirgli di continuare ad operare sul mercato nel rispetto della legalità o, meglio, di rientrarvi con una nuova prospettiva di legalità.
L’ammissibilità della messa alla prova per l’ente non determinerebbe nemmeno l’elusione dell’art. 17 d. lgs. 231/2001, atteso che l’ambito di applicazione della norma citata non coincide affatto con quello della messa alla prova: l’art. 17, infatti, stabilisce un trattamento sanzionatorio più mite nell’ipotesi in cui, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, l’ente realizzi le cd. condotte riparatorie; la messa alla prova ha un oggetto ben più ampio, contemplando pure l’affidamento al servizio sociale per un programma che può comprendere attività di volontariato di rilievo sociale nonché la prestazione di pubblica utilità.
Messaggi come prove documentali acquisibili in dibattimento mediante riproduzione fotografica
Con la sentenza n. 31346/2022 la Corte di Cassazione ha ribadito il principio di diritto secondo il quale i messaggi WhatsApp e gli sms conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p. (1. È consentita l'acquisizione di scritti o di altri documenti che rappresentano fatti, persone o cose mediante la fotografia, la cinematografia, la fonografia o qualsiasi altro mezzo. 2. Quando l'originale di un documento del quale occorre far uso è per qualsiasi causa distrutto, smarrito o sottratto e non è possibile recuperarlo, può esserne acquisita copia. 3. È vietata l'acquisizione di documenti che contengono informazioni sulle voci correnti nel pubblico intorno ai fatti di cui si tratta nel processo o sulla moralità in generale delle parti, dei testimoni, dei consulenti tecnici e dei periti).
Pertanto, la relativa attività acquisitiva non soggiace alle regole stabilite per la corrispondenza né alla disciplina delle intercettazioni telefoniche.
Da ciò deriva che i testi dei messaggi devono ritenersi legittimamente acquisiti e utilizzabili ai fini della decisione ove ottenuti mediante riproduzione fotografica a cura degli inquirenti.
Allo stesso modo, ai messaggi WhatsApp e agli SMS rinvenuti in un telefono cellulare sottoposto a sequestro non è applicabile la disciplina dettata dall’art. 254 c.p.p. che regola il sequestro della corrispondenza. Infatti, tali testi non rientrano nel concetto di corrispondenza la cui nozione implica un’attività di spedizione in corso o comunque avviata dal mittente mediante la consegna a terzi per il recapito.
La nozione di commercio di materiale pedopornografico
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 26969/2022 si è pronunciata circa il reato di pornografia minorile disciplinato dall’art. 600 ter c.p..
In particolare, si è soffermata sulla nozione di commercio di materiale pedopornografico disciplinato dal comma 2 dell’articolo in oggetto, giungendo ad affermare che gli elementi caratterizzanti una tale condotta siano: a) lo svolgimento dell’attività in maniera organizzata, ancorché non abituale; b) l’esistenza di una struttura funzionale all’offerta e alla distribuzione di tale materiale ad un numero mutevole e non predeterminato di fruitori; c) la ricorrenza di una finalità lucrativa che abbia natura non necessariamente patrimoniale, che può consistere anche nell’acquisizione della disponibilità di ulteriore materiale pedopornografico, procurato dai cessionari.
Tali elementi permettono di distinguere tale condotta da quella contenuta al comma 4, mediante il quale si disciplina una diversa ipotesi di attività di offerta ovvero di cessione di materiale pedopornografico che si deve concretizzare in qualche cosa di diverso dall’attività di chi fa commercio dello stesso.
La non punibilità nel reato di resistenza a pubblico ufficiale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31365/2022 si è pronunciata in materia di resistenza a pubblico ufficiale disciplinata dall’art.337 c.p.. In particolare, si è soffermata ad analizzare il concetto di atto arbitrario, che costituisce la modalità con la quale il pubblico funzionario deve eccedere le proprie competenze per rendere legittima l’altrui reazione. A tal proposito la Corte ha assecondato quello che fino ad oggi ha rappresentato l’orientamento di legittimità prevalente secondo il quale l’eccesso arbitrario non si esaurisce nella mera illegittimità dell’atto compiuto dal pubblico ufficiale, ma richiede un elemento ulteriore: l’atto per potersi definire arbitrario deve manifestare malanimo, capriccio, setterietà, prepotenza, sopruso e altri simili motivi e, comunque, deve esprimere il consapevole travalicamento da parte del pubblico ufficiale dei limiti e delle modalità entro cui le pubbliche funzioni devono essere esercitate.
L’atto, quindi, non deve essere solo obiettivamente illegittimo, ma deve essere anche partecipato dall’agente con un consapevole atteggiamento di abuso, se non con una deliberata volontà vessatoria.
Tale istituto non potrà operare quando risulti che il pubblico funzionario abbia agito nella consapevolezza di adempiere ad un dovere d’ufficio e, per contro, il privato abbia reagito violentemente, non essendo consapevole dell’abuso oggettivo compiuto nei suoi riguardi.
Responsabilità degli enti e ricezione della contestazione ex art. 59 D.Lgs 231/2001 per la società con sede all’estero
Il Tribunale di Milano con l’ordinanza del 20 maggio 2022 ha riconosciuto alla società di diritto estero il diritto alla ricezione della contestazione dell’illecito amministrativo ex art. 59 D. Lgs. 231/2001 (1. Quando non dispone l’archiviazione, il pubblico ministero contesta all’ente l’illecito amministrativo dipendente dal reato. La contestazione dell’illecito è contenuta in uno degli atti indicati dall’articolo 405, comma 1, del codice di procedura penale.
2. La contestazione contiene gli elementi identificativi dell’ente, l’enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto che può comportare l’applicazione delle sanzioni amministrative, con l’indicazione del reato da cui l’illecito dipende e dei relativi articoli di legge e delle fonti di prova) tradotta nella lingua conosciuta dal legale rappresentante.
Secondo il Tribunale devono riconoscersi alla persona giuridica “le garanzie fondamentali spettanti all’imputato nel procedimento penale, salva la clausola di compatibilità, così da ricondurre anche il procedimento a carico dell’ente nell’alveo del principio costituzionale del giusto processo. Rappresenta primaria garanzia riconosciuta all’imputato nell’ambito del procedimento penale, in ossequio al dettato costituzionale e alla normativa sovranazionale, la messa a conoscenza, in favore del medesimo, qualora cittadino straniero, degli atti principali del procedimento nella lingua da costui conosciuta”.
Pertanto, è inevitabile il riferimento alla lingua conosciuta dal legale rappresentante o dal preposto alla rappresentanza italiana.
Infine, si afferma il principio secondo il quale deve riconoscersi alla società di diritto estero, chiamata a rispondere dell’illecito amministrativo da reato di cui si sarebbe resa responsabile a mezzo della rappresentanza italiana, il diritto alla ricezione degli atti fondamentali del procedimento in forma tale da consentire alla persona giuridica l’utile esercizio delle facoltà e dei diritti alla medesima spettanti.
Responsabilità da reato dell’ente e il dissequestro parziale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 13936 del 2022 si è pronunciata sulla possibilità di concedere ad un ente colpito da un provvedimento di sequestro preventivo il dissequestro parziale delle somme ablate al fine di consentire di adempiere agli obblighi tributari relativi al profitto conseguito per mezzo del reato-presupposto.
Secondo i giudici di legittimità, sebbene il D.Lgs. 231/2001 non contempli espressamente la possibilità di consentire lo svincolo parziale delle somme sequestrate a fini di confisca per pagare le imposte sui redditi illecitamente lucrati a mezzo della commissione del reato-presupposto, una interpretazione costituzionalmente orientata del principio di proporzionalità della misura cautelare impone di concedere il dissequestro qualora l’applicazione del sequestro preventivo potrebbe cagionare la cessazione definitiva dell’esercizio dell’attività dell’ente prima della definizione del processo.
Utilizzabilità degli screenshot e il reato di diffamazione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24600 depositata a giugno 2022 si è pronunciata sul reato di diffamazione e, più in particolare, della consumazione dello stesso attraverso l’utilizzo di messaggi di Facebook.
Nel caso di specie, in secondo grado era stata confermata la responsabilità penale di tre atlete che avevano accusato, tramite la chat dei social network, il giudice di una gara di favorire le sportive da lei allenate e un membro del consiglio nazionale della federazione di riferimento di fare i suoi interessi personali nelle scelte economiche riguardanti la stessa federazione. I messaggi erano stati fotografati tramite alcuni screenshot da parte di altre atlete che partecipavano alla chat ed erano stati portati alla conoscenza degli interessati. Una delle imputate ricorre in Cassazione, denunciando l'inutilizzabilità delle conversazioni della chat riprodotte dagli screenshot.
La Corte di Cassazione afferma che sono da ritenersi utilizzabili i messaggi fotografati dallo schermo di un cellulare poiché non vi è alcuna differenza tra una tale fotografia e quella di qualsiasi altro oggetto.
Ma vi è di più. Infatti, la Corte prosegue dichiarando come non costituisca intercettazione, ai sensi degli artt. 266 e ss. c.p.p., la documentazione di comunicazioni svoltesi su una chat estratte, sebbene senza l'autorizzazione degli altri utenti, a mezzo screenshot da parte di uno dei soggetti che sia ammesso ad assistervi, dunque legittimato a parteciparvi attivamente o anche ad assistere passivamente, costituendo forma di memorizzazione fonica di un fatto storico, della quale l'autore o l'autorità giudiziaria può disporre legittimamente ai fini del processo.
Guida in stato di ebbrezza e messa alla prova
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 163 del 2022 si è pronunciata in materia di stato di ebbrezza.
Nello specifico, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 224, comma 3, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (il quale afferma che “Nelle ipotesi di reato per le quali è prevista la sanzione amministrativa accessoria del fermo amministrativo del veicolo, l'agente o l'organo accertatore della violazione dispone il fermo amministrativo provvisorio del veicolo per trenta giorni, secondo la procedura di cui all'articolo 214, in quanto compatibile”), nella parte in cui non prevede che, nel caso di estinzione del reato di cui all’art. 186, comma 2, lettere b) e c) (rubricato guida sotto l’influenza dell’alcool), del medesimo decreto legislativo, per esito positivo della messa alla prova, il Prefetto, applicando la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente, ne riduca la durata della metà.
Autoriciclaggio e acquisto di moneta virtuale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 27023 del 2022 si è pronunciata in tema di autoriciclaggio di cui all’art 648 ter c.p., in relazione all’acquisto di moneta virtuale con denaro proveniente da truffe.
Nello specifico, secondo la Corte integra il delitto di autoriciclaggio la condotta di chi, in qualità di autore del delitto di truffa impieghi le somme di denaro accreditategli dalla vittima trasferendole mediante disposizioni online su un conto corrente intestato alla piattaforma di scambio di bitcoin per il successivo acquisto di tale valuta.
In tal modo si realizza l’investimento di profitti illeciti in operazioni finanziarie a fini speculativi atte a ostacolare la tracciabilità dell’origine delittuosa del denaro.
Messa alla prova e pluralità di fatti di reato non oggetto di un unico processo
Con la sentenza n. 174 la Corte costituzionale si è pronunciata in tema di messa alla prova.
In particolare, il Tribunale di Bologna aveva sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 168 bis c. 4 c.p. nella parte in cui, stabilendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non possa essere concessa più di una volta, non prevede che l’imputato ne possa usufruire per reati connessi con altri oggetto di procedimenti già definiti.
Pertanto, la Corte costituzionale ha ritenuto la questione fondata, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 168 bis, quarto comma c.p. prevedendo la possibilità che venga concessa una seconda volta il beneficio della sospensione del processo con la messa alla prova quando i reati siano contestati in diversi procedimenti ma siano stati commessi con un’unica azione penale od omissione o in esecuzione di un unico disegno criminoso.
Il giudice dovrà, quindi, compiere una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione della commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato, tenendo conto della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, così come del percorso di riparazione e risocializzazione già compiuto durante la prima prova.
Sequestro preventivo finalizzato alla confisca e la nozione di profitto
Con la sentenza n. 13446 depositata il 7 aprile 2022, la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sulla validità del sequestro preventivo finalizzato alla confisca diretta di somme di denaro nella disponibilità dell'imputato, costituenti il profitto del delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale da quest'ultimo commesso in relazione al fallimento di una S.p.a.
La Corte di Cassazione ha chiarito che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca costituisce profitto del reato anche il bene acquistato con somme di denaro illecitamente conseguite, quando l'impiego del denaro sia causalmente collegabile al reato e sia soggettivamente attribuibile all'autore di quest'ultimo.
In particolare, i Giudici precisano che nel concetto di prodotto o provento di reato vanno compresi non soltanto i beni che l'autore del reato apprende alla sua disponibilità per effetto diretto e immediato dell'illecito, ma anche ogni altra utilità che lo stesso realizza come effetto anche mediato ed indiretto della sua attività criminosa.
Pertanto, «qualsiasi trasformazione che il denaro illecitamente conseguito subisca per effetto di investimento dello stesso deve essere considerata profitto del reato quando sia causalmente collegata al reato stesso ed al profitto immediato - il denaro - conseguito e sia soggettivamente attribuibile all'autore del reato, che quella trasformazione abbia voluto». Ne consegue che il bene costituente profitto del reato è suscettibile di confisca diretta ogni qualvolta esso sia ricollegabile causalmente in modo preciso all'attività criminosa posta in essere dall'agente.
Configurazione della bancarotta “riparata”
Con la sentenza n. 19887 depositata in data 20 maggio 2022 la Corte di Cassazione ritorna sulla configurabilità del reato di bancarotta riparata.
Nello specifico, nel caso in esame, i giudici di secondo grado avevano escluso che alla transazione con la quale il ricorrente aveva rinunciato all'indennità di buona uscita e ad altre voci stipendiali fossero associabili gli effetti della c.d. bancarotta riparata, in quanto aveva rinunciato a quelle pretese ma non aveva restituito i beni distratti prima della dichiarazione di fallimento.
Si ricorda infatti, che “la bancarotta riparata si configura - determinando l'insussistenza dell'elemento materiale del reato - quando la sottrazione dei beni venga annullata da un'attività di segno contrario, che reintegri il patrimonio dell'impresa prima della soglia cronologica costituita dalla dichiarazione di fallimento, così annullando il pregiudizio per i creditori o anche solo la potenzialità di un danno”.
Violenza sessuale di gruppo e il consenso della vittima
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18522/2022 si è pronunciata su un caso di violenza sessuale di gruppo avvenuta all’interno di una discoteca, nei confronti di una ragazza che si trovava in stato confusionale per un tasso alcolemico elevato che ne aveva compromesso le capacità cognitive. La Suprema Corte ha ribadito che “la condotta tipica della violenza sessuale di gruppo è integrata, secondo la previsione legislativa contenuta nell'art. 609-octies, comma 1, dalla "partecipazione di più persone riunite ad atti di violenza sessuale di cui all'art. 609-bis” e che “tra le condizioni di inferiorità psichica o fisica previste dall'art. 609-bis c.p., comma 2, n. 1, rientrano anche quelle conseguenti alla volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto anche in tali casi la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente”.
Pertanto, l’eventuale consenso prestato dalla vittima se è prestato in condizione di menomazione dovuta all’assunzione – anche volontaria – di sostanze alcooliche o stupefacenti deve ritenersi viziato e la consapevolezza da parte dell'agente della situazione di inferiorità psichica in cui versi la persona offesa non integra una circostanza aggravante ma diventa elemento costitutivo del reato.
Inoltre, la Corte ha voluto precisare come “lo stato di minorazione fisica o psichica della vittima non possa rilevare contemporaneamente come elemento costitutivo del reato e come circostanza aggravante dello stesso, in palese violazione del principio generale dettato dall'art. 61, comma 1, c.p., in tema di aggravanti comuni”.
Truffa contrattuale di acquisto di assegni postdatati
Con la sentenza n. 21250/2022 la Corte di Cassazione ha confermato la responsabilità dell’imputato per il reato di truffa contrattuale caratterizzata dal raggiro consistito nella consegna in pagamento di assegni postdatati poi rivelatisi insoluti.
La Corte ha affermato che il momento consumativo del reato di truffa contrattuale non coincide con la consegna del bene da parte del venditore, vittima del reato, ma con il successivo inadempimento dell’agente, ovvero con la definitiva perdita patrimoniale per il soggetto passivo.
Pertanto, nell'ipotesi di truffa contrattuale derivante dal pagamento degli acquisti con assegni postdatati a fronte della cessione di merce, “il momento consumativo del reato si realizza quando le somme non sono correttamente percepite perché gli assegni sono protestati ovvero sono rimasti impagati per assenza di fondi o irregolarità di firma”.
Nel caso di specie, quindi, il momento consumativo del reato deve essere individuato nel mancato pagamento degli assegni, che si è verificato nel momento in cui le somme non sono state definitivamente incamerate.
Responsabilità degli enti, reati colposi e risparmio
In tema di responsabilità degli enti ex D L.gs 231/2001 e reati colposi si segnala la pronuncia n. 13218/2022 con la quale la Corte di Cassazione ha chiarito che deve considerarsi irrilevante, ai fini della responsabilità della persona giuridica, la circostanza che il risparmio conseguito per la mancata adozione delle misure antiinfortunistiche sia stato minimo a fronte delle ingenti spese che la società affronta per la manutenzione e la sicurezza, quando l’infortunio rappresenta l’esito di un rischio per il quale il datore di lavoro ha indicato nel documento di valutazione dei rischi misure idonee a prevenirlo, misure che tuttavia ha consapevolmente disatteso per lungo periodo di tempo.
La circostanza che l’ente abbia conseguito un risparmio minimo a fronte delle ingenti spese sostenute per la sicurezza può avere rilevanza unicamente laddove la violazione delle norme antinfortunistiche da cui esita il sinistro sia il risultato di una sottovalutazione del rischio non accompagnata dall'intenzione di risparmiare sui costi, in un contesto di generale osservanza da parte dell’impresa delle disposizioni antinfortunistiche (principio questo già affermato dalla Suprema Corte con sentenza n. 22256/2021).
Mobbing sul lavoro e stalking occupazionale
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12827/2022 si è pronunciata in materia di mobbing sul lavoro e sulla configurabilità dello stalking occupazionale.
In particolare, ha affermato che integra il delitto di atti persecutori la condotta di mobbing del datore di lavoro “che ponga in essere una mirata reiterazione di plurimi atteggiamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso il lavoratore dipendente e preordinati alla sua mortificazione e al suo isolamento nell’ambiente di lavoro – che ben possono essere rappresentati dall’abuso del potere disciplinare culminante in licenziamenti ritorsivi – tali da determinare un vulnus alla libera autodeterminazione della vittima”.
Nel caso di stalking occupazionale per la sussistenza del reato di cui all’art. 612 bis c.p. è richiesta la mera volontà di attuare reiterate condotte di minaccia e di molestia con la consapevolezza di produrre uno degli eventi alternativamente previsti dalla norma incriminatrice, ma non occorre che tali condotte abbiano un fine specifico.
Inoltre, i giudici hanno specificato come nessun rilievo possa essere riconosciuto dal fatto che le condotte siano finalizzate a rendere più efficiente la società o che le stesse siano condivise dal Consiglio di Amministrazione poiché “la condivisione da parte degli altri componenti del Consiglio di Amministrazione potrebbe semmai comportare una condivisione da parte di tali soggetti della responsabilità penale e, giammai, l’assoluzione dell’imputato”.
Pornografia minorile e concetto di utilizzazione del minore
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4616/2022 ha affermato che in materia di pedopornografia si ha utilizzazione del minore quando, all’esito di un accertamento complessivo che tenga conto del contesto di riferimento, dell'età, maturità, esperienza, stato di dipendenza del minore, si appalesino forme di coercizione o di condizionamento della volontà del minore stesso, restando escluse dalla rilevanza penale solo quelle condotte realmente prive di offensività rispetto all'integrità psico-fisica dello stesso.
Il presupposto necessario della pornografia domestica è che il materiale realizzato sia destinato a rimanere nella disponibilità esclusiva delle parti coinvolte nel rapporto. Lo stesso non può mai essere posto in circolazione. Ove si dovesse verificare tale condizione il minore deve essere ritenuto strumentalizzato nella fase successiva di cessione o diffusione delle immagini.
Il fatto che l’eventuale divulgazione del materiale provenga dal minore o sia comunque effettuata con il suo consenso non ha alcun rilievo.
Infatti, la Corte ha ritenuto che il soggetto minore non possa mai prestare validamente consenso alla circolazione del materiale realizzato poiché non ha ancora raggiunto un livello di maturazione tale da consentirgli una valutazione consapevole.
La responsabilità penale del consigliere di amministrazione senza deleghe per gli illeciti deliberati dal Cda
Con la sentenza n. 11087/2022 la Corte di Cassazione ha affermato che in assenza di deleghe ai componenti del Consiglio di Amministrazione di una società deve ritenersi gravante su tutti i consiglieri la responsabilità per gli illeciti deliberati o posti in essere dal Consiglio stesso, da riferirsi solidamente a ciascuno di essi.
Ciò in conformità all’art. 2392 c.c. secondo il quale gli amministratori all’interno delle S.p.A. sono “solidalmente responsabili verso la società dei danni derivanti dall’inosservanza dei doveri loro imposti dalla legge o dallo statuto, a meno che non si tratti di attribuzioni proprie o del comitato esecutivo o attribuite in concreto ad uno o più di essi, così come ribadisce specificamente per il consiglio di amministrazione l’articolo 2381 c.c., comma 2”.
Pertanto, ove l’atto commesso non rientri nelle attribuzioni delegate al comitato esecutivo o a taluno dei consiglieri che ne fanno parte, tutti i componenti del Consiglio di Amministrazione rispondono degli illeciti deliberati, sebbene non decisi o compiuti da tutti i suoi componenti, eccezion fatta per l’ipotesi dell’attivazione del meccanismo di esonero che prevede l’esternazione e l’annotazione dell’opinione in contrasto da parte del consigliere dissenziente nonché immune da colpa. Diversamente, quando siano state attribuite specifiche materie ad uno o più amministratori, gli illeciti compiuti investono esclusivamente la responsabilità dei consiglieri ad esse delegati.
Disposizioni in vigore dal 1° maggio 2022
Il Decreto – Legge 24 marzo 2022 n. 24 ha disposto che dal 1° maggio 2022 entrino in vigore le nuove regole Covid.
ALL'APERTO
Per tutte le attività all’aperto non si deve più mostrare il Green Pass e non è previsto l’utilizzo della mascherina.
TRASPORTI
Per i trasporti a lunga percorrenza e per il trasporto pubblico locale non è più necessario esibire il Green Pass.
E’, però, necessario indossare la mascherina FFP2 fino al 15 giugno.
BAR E RISTORANTI
Per entrare nei bar e ristoranti non è più necessario né indossare la mascherina né esibire il Green Pass.
NEGOZI, SUPERMERCATI E CENTRI COMMERCIALI
In tali attività non è più necessario esibire il Green Pass o indossare la mascherina.
UFFICI PUBBLICI
I dipendenti pubblici non devono avere in Green Pass per poter acceder all’attività lavorativa. Non hanno l’obbligo di indossare la mascherina, il cui utilizzo è però raccomandato per chi sta allo sportello, quando si sta in fila o si utilizzano gli ascensori.
I cittadini che accedono agli uffici pubblici non devono più indossare la mascherina.
AZIENDE PRIVATE
Anche per i dipendenti privati non è obbligatorio avere il Green Pass e per l’utilizzo dei dispositivi di protezione si seguono i protocolli aziendali.
I clienti non sono tenuti ad indossare la mascherina.
IL REATO DI ATTI PERSECUTORI E I SOCIAL NETWORKS
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 10680/2022 si è pronunciata sulla responsabilità dell’imputato per il reato di atti persecutori (art. 612 bis c.p.) per aver postato sul proprio profilo Facebook le foto dell’ex fidanzata.
In particolare, la Corte ha affermato che in tema di atti persecutori rientra nella nozione di molestia qualsiasi condotta che concretizzi una indebita ingerenza o interferenza, immediata o mediata, nella vita privata e di relazione della vittima attraverso la creazione di un clima intimidatorio e ostile. Tale clima deve essere, altresì, idoneo a compromettere la serenità e la libertà psichica del soggetto passivo, anche attraverso il reiterato inserimento di post sui social networks.
CONFIGURABILITA’ DELL’OMESSA DICHIARAZIONE NEL CASO DI DICHIARAZIONE INCOMPLETA
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5141/2022 in tema di reati tributari ha affermato che non integra il reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. n. 74/2000 la presentazione, nei termini previsti dalle leggi tributarie e nel rispetto delle soglie individuate, di una dichiarazione incompleta (per la mancata compilazione di un quadro apposito).
Infatti, la rigorosa ed esaustiva individuazione normativa della condotta incriminata che consiste nella mancata presentazione agli uffici competenti della dichiarazione non è suscettibile di lettura analogica poiché si pone in contrasto con il principio di legalità.
DIFFAMAZIONE A MEZZO E-MAIL
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 12186/2022 si è pronunciata sulla configurazione del reato di diffamazione tramite lo strumento della posta elettronica.
Nello specifico, la Corte ha affermato che l’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della “comunicazione a più persone” anche nell’ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, qualora l’accesso alla casella e-mail sia consentito almeno ad un altro soggetto. Accesso che deve essere noto al mittente, o quantomeno prevedibile secondo l’ordinaria diligenza, salva esplicita indicazione di riservatezza.
Pertanto, l’invio di e-mail a contenuto diffamatorio realizzato tramite l’utilizzo di internet configura un’ipotesi di diffamazione aggravata e l'eventualità che fra i fruitori del messaggio vi sia anche la persona a cui si rivolgono le espressioni offensive, non consente di mutare il titolo del reato nella diversa ipotesi di ingiuria.
FRODI FISCALI E NON PUNIBILITA’
Con la sentenza n. 11995/2022, in relazione ad una vicenda nella quale era stato contestato il reato di cui all’art art. 2 D.Lgs. n.74/2000 (Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla applicabilità clausola di non punibilità di cui all’art. 13, comma 2 del D.Lgs. 47/2000 secondo la quale “I reati di cui agli articoli 2, 3(1), 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali”.
La Corte ha stabilito che ove il contribuente adempia al pagamento delle maggiori imposte dovute e relative sanzioni e interessi solo in seguito alla ricezione di avvisi di accertamento (e quindi solo dopo la conoscenza dell’avvio di accertamenti amministrativi) non possa ritenersi applicabile la clausola di non punibilità di cui all’art. 13 D.Lgs. 74/2000.
Tale clausola di non punibilità è invece pienamente applicabile nel caso di accesso da parte del contribuente all’istituto del ravvedimento operoso, istituto che, come ribadito dalla Suprema Corte, consente al contribuente di calcolare interessi e sanzioni anche in misura ridotta in maniera autonoma senza dover attendere la ricezione di atti provenienti dagli organi accertatori.
AGGIORNAMENTI NORMATIVI IN MATERIA DI RESPONSABILITA’ AMMINISTRATIVA DGELI ENTI EX D. LGS. 231/2001
La legge n. 238 del 23 dicembre 2021 (c.d. Legge Europea) recante disposizioni per l’adempimento degli obblighi derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione Europea ha apportato alcune modifiche al Catalogo dei Reati 231.
In particolare:
- modifica di alcuni delitti informatici e trattamento illecito di dati richiamati dall’ 24-bis D.Lgs. 231/2001 ed in particolare: ampliamento della descrizione delle condotte dei reati di: i) detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature, codici e altri mezzi atti all’accesso a sistemi informatici o telematici (art. 615 quater c.p.); ii) detenzione, diffusione e installazione abusiva diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a danneggiare o interrompere un sistema informatico o telematico ( 615 quinquies c.p.) e di iii) detenzione, diffusione e installazione abusiva di apparecchiature e di altri mezzi atti a intercettare, impedire o interrompere comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quinquies c.p.) e conseguente modifica della rubrica delle norme; aumento di pena per il reato di intercettazione, impedimento o interruzione illecita di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 617 quater c.p.);
- modifica di alcuni dei delitti contro la personalità individuale ex 25-quinquies D.Lgs. 231/2001 ed in particolare: estensione della condotta del reato di detenzione di materiale pornografico (art. 600 quater c.p.) anche all’ accesso intenzionale; introduzione di aggravanti specifiche al reato di adescamento di minorenni (Art. 609 – undecies c.p.);
- modifica dei reati di market abuse richiamati dall’ 25-sexies D.Lgs. 231/2001, ossia del reato di cui all’art. 184 TUF (ora rubricato “abuso o comunicazione illecita di informazioni privilegiate. raccomandazione o induzione di altri alla commissione di abuso di informazioni privilegiate”) e del reato di manipolazione del mercato di cui all’art. 185 TUF. A tale proposito si precisa che la Legge in esame ha altresì ampliato l’ambito di applicazione dei predetti reati mediante la modifica del testo dell’art. 182 del TUF.
Il D.Lgs. 184/2021 ha introdotto il nuovo art. 25-octies titolato “Delitti in materia di strumenti di pagamento diversi dai contanti” e ha apportato modifiche all’art. 640 ter c.p. (frode informatica) con riferimento all’art. 24 bis del D. Lgs. 231/2001 (reati informatici e di trattamento illecito di dati).
L'art. 25-octies.1, in particolare, al primo comma include le seguenti fattispecie:
1. indebito utilizzo e falsificazione di strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-ter c.p.), che punisce chi, al fine di trarne profitto per sé o per altri, utilizzi indebitamente, falsifichi o alteri carte di credito o di pagamento, documenti analoghi che abilitino al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero ogni altro strumento di pagamento diverso dai contanti. L'art. 493-ter c.p. punisce, altresì chiunque "possiede, cede o acquisisce tali strumenti o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi";
2. detenzione e diffusione di apparecchiature, dispositivi o programmi informatici diretti a commettere reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti (art. 493-quater c.p.), introdotto dal D. Lgs. 184/2021, che punisce chiunque, al fine di farne uso o di consentirne ad altri l'uso nella commissione di reati riguardanti strumenti di pagamento diversi dai contanti, produca, importi, esporti, venda, trasporti, distribuisca, metta a disposizione o in qualsiasi modo procuri a sé o a altri apparecchiature, dispositivi o programmi informatici che, per caratteristiche tecnico-costruttive o di progettazione, sono costruiti principalmente per commettere tali reati, o sono specificamente adattati al medesimo scopo;
3. frode informatica (art. 640-ter c.p.) aggravata dalla realizzazione di un trasferimento di denaro, di valore monetario o di valuta virtuale. Come si ricorderà, tale delitto era già stato previsto nel D. Lgs. 231/2001 quale reato presupposto dell'illecito amministrativo di cui all'art. 24 (indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell'Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture), ma con una rilevanza per l'ente circoscritta alle sole ipotesi di frode informatica commessa in danno dello Stato o di altro ente pubblico, e non quando commesso in danno di soggetti privati.
Si segnala, altresì, che in data 3 marzo 2022 è stata approvata la proposta di legge recante “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”.
Tale Legge opera una riorganizzazione sistematica e un’integrazione del Codice penale mediante l’inserimento del titolo VIII-bis rubricato “Dei delitti contro il patrimonio culturale” composto da 17 nuovi articoli (dal 518-bis al 518-undevicies).
L’art. 3 della presente legge introduce all’interno del D.Lgs. 231/2001 il nuovo art. 25-septiesdecies rubricato “Delitti contro il patrimonio culturale” mediante il quale il Legislatore ha esteso il catalogo dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex D.Lgs. 231/2001 ricomprendendovi:
- art. 518-novies c.p. “Violazioni in materia di alienazione di beni culturali”,
- artt. 518-ter (Appropriazione indebita di beni culturali), 518-decies (Importazione illecita di beni culturali) e 518-undecies (Uscita o esportazione illecite di beni culturali),
- artt. 518-duodecies (Distruzione, dispersione, deterioramento, deturpamento, imbrattamento e uso illecito di beni culturali e paesaggistici) e 518-quaterdecies (Contraffazione di opere d'arte),
- artt. 518-bis (Furto di beni culturali), 518-quater (Ricettazione di beni culturali) e 518-octies (Falsificazione in scrittura privata relativa a beni culturali).
Con l’introduzione dell'art. 25-duodevicies D. Lgs. 231/2001, invece, si è estesa la responsabilità amministrativa degli enti ai nuovi delitti di riciclaggio di beni culturali (art. 518-sexies c.p.) e di devastazione e saccheggio di beni culturali e paesaggistici (art. 518-terdecies c.p.).
Al secondo comma del nuovo art. 25-duodevicies è stata introdotta la sanzione dell’interdizione definitiva dall'esercizio dell'attività ex art. 16, comma 3, D. Lgs. 231/2001, nel caso in cui l'ente (o una sua unità organizzativa) sia stabilmente utilizzato allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei delitti di riciclaggio, devastazione e saccheggio di beni culturali.
NUOVE DISPOSIZIONI COVID
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Decreto-legge 24 marzo 2022 “Misure urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da Covid-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza”.
Le disposizioni del presente decreto sono entrate in vigore il 1° aprile 2022.
accesso ai luoghi di lavoro: dal 1° aprile è possibile per tutti, compresi gli over 50, accedere ai luoghi di lavoro con il Green Pass base (vaccinazione, guarigione o test). Nei luoghi di lavoro è, altresì, sufficiente indossare mascherine chirurgiche. Lo stesso vale anche per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari.
Dal 1° maggio l’obbligo di Green pass sarà eliminato.
attività di ristorazione: dal 1° aprile sino al 30 aprile è possibile entrare senza Green Pass in ristorante e bar all’aperto, alle feste, alle cerimonie, in alberghi e in strutture ricettive.
Dal 1° aprile si potrà entrare con il Green Pass base (solo tampone) nei ristoranti e nei bar al chiuso per il servizio al tavolo e al bancone.
A far data dal 1° maggio non vi sarà più alcun obbligo.
mezzi pubblici: dal 1° al 30 aprile non è più necessario il Green Pass per salire su autobus, metropolitane, tram e qualsiasi altro mezzo di trasporto pubblico locale.
Sarà, però, obbligatorio indossare la mascherina Ffp2.
A far data dal 1° maggio non vi sarà più alcun obbligo.
cinema, teatri e sale da concerto: fino al 30 aprile servirà il Green Pass rafforzato per accedere a cinema teatri e sale da concerto.
Dal 1° maggio non sarà più richiesta né la certificazione verde né sarà in vigore l’obbligo di indossare la mascherina Ffp2.
centri benessere e discoteche: il Green Pass rafforzato resterà in vigore fino al 30 aprile per centri benessere, sale gioco, discoteche, congressi ed eventi sportivi al chiuso.
quarantene e isolamento: dal 1° aprile deve rimanere isolato a casa solo chi ha contratto il virus. Chi ha avuto un contatto stretto con un caso positivo dovrà applicare il regime dell’auto sorveglianza (mascherina FFP2 per 10 giorni dall'ultimo contatto, test alla prima comparsa dei sintomi e, se ancora sintomatici, al quinto giorno successivo alla data dell'ultimo contatto).
Non cambia, invece, la tempistica dell’isolamento: un soggetto positivo dovrà rimanere a casa almeno per sette giorni prima di sottoporsi al tampone per accertare la negatività.
scuola
scuola dell’infanzia: in presenza di almeno quattro casi tra gli alunni della stessa sezione/gruppo classe, le attività proseguono in presenza e docenti, educatori e bambini che abbiano superato i sei anni utilizzano le mascherine FFP2 per dieci giorni dall'ultimo contatto con un soggetto positivo.
In caso di comparsa di sintomi e, se ancora sintomatici, al quinto giorno successivo all'ultimo contatto, va effettuato un test antigenico rapido o molecolare o un test antigenico autosomministrato. In quest'ultimo caso l'esito negativo del test è attestato con autocertificazione.
scuole primaria, secondaria di primo grado, secondaria di secondo grado e sistema di istruzione e formazione professionale: in presenza di almeno quattro casi di positività tra gli alunni, le attività proseguono in presenza e per i docenti e per gli alunni che abbiano superato i sei anni di età è previsto l'utilizzo delle mascherine FFP2 per dieci giorni dall'ultimo contatto con un soggetto positivo.
In caso di comparsa di sintomi e, se ancora sintomatici, al quinto giorno successivo all'ultimo contatto, va effettuato un test antigenico rapido o molecolare o un test antigenico autosomministrato. In quest'ultimo caso l'esito negativo del test è attestato con autocertificazione.
Nonostante siano trascorsi ormai vent’anni dall’introduzione del D. lgs. 231/2001 nel panorama normativo, l’applicazione della disciplina della responsabilità amministrativa da reato agli enti coinvolti da reati colposi di evento – in particolare, quelli commessi in violazione delle norme sulla prevenzione degli infortuni sul lavoro – rimane oggetto di un vivace dibattito da parte di dottrina e giurisprudenza.
L’inserimento dei reati colposi di evento legati all’infortunistica sul lavoro (i.e. l’omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. e le lesioni colposi gravi e gravissime di cui all’art. 590 c.p. commessi con violazione delle norme sulla tutela della salute e della sicurezza sul lavoro) nel catalogo dei reati presupposto – avvenuto con l’introduzione dell’art. 25-septies nel corpo del D. lgs. 231/2001 da parte dell’art. 9 della Legge 123/2007 – infatti ha condotto, sin dal principio, gli interpreti del diritto ad interrogarsi sulla compatibilità di tali delitti con i principi generali della disciplina e, in particolare, con i criteri di attribuzione dell’illecito all’ente di cui all’art. 5 del menzionato decreto.
Giova la pena ricordare che, in forza di tale norma, l’ente potrà essere ritenuto responsabile per i reati commessi dai vertici societari e dai loro sottoposti solo qualora gli illeciti siano stati commessi nel suo interesse o vantaggio.
Un requisito questo che suscita qualche difficoltà interpretativa laddove, in tema di reati colposi di evento, richiede che si riconduca la responsabilità dell’ente al vantaggio dallo stesso conseguito o all’interesse dallo stesso nutrito in relazione alla morte o alle lesioni di un lavoratore, vale a dire di un soggetto che, per sua stessa natura, è chiamato a contribuire con la sua attività alla creazione di un profitto per la società.
In altri termini, in che modo un gravissimo evento di questo tipo consumatosi ai danni di un lavoratore impiegato nella società potrebbe rappresentare un elemento di profitto per un dirigente o un preposto? Quale compatibilità logica tra la non volontà dell’evento, elemento caratterizzante dei reati colposi, ed il finalismo che, al contrario, contraddistingue la nozione di interesse?
A fronte di tali difficoltà e con il precipuo scopo di evitare un’implicita abrogazione della norma appena introdotta, gli interventi giurisprudenziali degli ultimi due decenni si sono concentrati nell’arduo compito di ritagliare i confini dei requisiti di interesse e vantaggio di cui all’art. 5 in modo da adattarli alla diversa struttura di tali illeciti.
Punto di partenza per ricondurre interesse e vantaggio alla logica sottesa ai delitti colposi è l’affermazione della necessità di riferire i due concetti alla condotta (e cioè alla violazione della normativa antinfortunistica) e non all’evento (ovvero la morte o le lesioni) alla stessa conseguente. In questo senso, dunque, superando un’interpretazione meramente letterale, è la condotta caratterizzata dalla violazione della disciplina cautelare ad essere realizzata nell’interesse dell’ente o a determinarne un vantaggio, non certo l’esito antigiuridico.
Da tale premessa si sono mosse le successive pronunce che, con il primario obiettivo di bilanciare le esigenze di protezione della vita e dell’integrità dei lavoratori con il diritto – anch’esso costituzionalmente garantito – alla libertà di iniziativa economica, hanno ricondotto le nozioni di interesse e vantaggio ad un accertamento in concreto che verifichi, a prescindere dalla sistematicità delle violazioni, l’effettivo profitto o risparmio conseguito in ragione della violazione delle norme cautelari.
In questo senso, le sentenze più recenti hanno affermato che il requisito dell’interesse ricorre qualora l’autore del reato, pur non volendo il verificarsi dell’evento morte o lesioni del lavoratore, abbia consapevolmente violato la normativa cautelare allo scopo di conseguire un’utilità per l’ente, cosicché la mancata adozione delle cautele antiinfortunistiche non rappresenti l’esito di una mera sottovalutazione dei rischi o di una considerazione non puntuale delle misure di prevenzione necessarie, ma una scelta finalisticamente orientata a risparmiare sui costi di impresa.
La sussistenza dell’interesse, identificato quale criterio soggettivo da verificare ex ante, dovrà pertanto essere ricondotta all’intento del reo di conseguire un beneficio per l’impresa mediante la commissione del reato, indipendentemente dall’effettiva realizzazione del profitto sperato ma con la consapevolezza della violazione delle regole cautelari.
Nessun rilievo, ai fini dell’integrazione, alla sistematicità della violazione delle norme cautelari, bastando per l’attribuzione del fatto illecito all’ente anche l’evidenza di una trasgressione isolata, sempre che sia possibile individuare altre circostanze fattuali che dimostrino il nesso finalistico tra la violazione e l’interesse dell’impresa.
Ciò che permette di ritenere integrato il requisito dell’interesse è l’accertamento di una specifica politica aziendale volta alla massimizzazione del profitto accompagnata da una riduzione dei costi in materia di sicurezza, chiaramente a discapito della tutela della vita e della salute dei lavoratori.
Quanto al vantaggio dell’ente, criterio invece oggettivo e verificabile ex post, lo stesso può essere riconosciuto laddove si possa testimoniare che la violazione da parte dell’impresa delle norme prevenzionistiche abbia portato la stessa a conseguire un effettivo profitto, sia in termini di massimizzazione della produzione, anche mediante la riduzione dei tempi di lavorazione, sia in termini di contenimento dei costi.
Il vantaggio, dunque, può consistere in un apprezzabile risparmio di spesa o in un significativo aumento della produttività, circostanze queste che in ogni caso devono risultare da elementi di prova concreti.
L’elemento dirimente in questo caso (a differenza dell’interesse ove, come si è visto, in presenza di una violazione consapevole e finalizzata non è richiesta la concretizzazione di un guadagno) è l’effettiva realizzazione di un profitto che non sia irrisorio e che rappresenti la conseguenza della violazione delle regole cautelari.
Ciò significa che, al contrario, ove sia provata l’esiguità del risparmio di spesa derivante dall’omissione delle cautele e un contesto di generale osservanza delle disposizioni antinfortunistiche non potrà ritenersi configurata l’oggettiva prevalenza delle esigenze produttive e di profitto su quelle della tutela della salute dei lavoratori.
Tenendo a mente tali definizioni, così delineate dalle più recenti pronunce della Suprema Corte di Cassazione, si può apprezzare la tendenza della giurisprudenza a ricondurre la valutazione della responsabilità amministrativa degli enti da reato ad una prospettiva più concreta che tenga necessariamente conto della realtà dell’organizzazione aziendale.
L’evidente allontanamento dagli automatismi che avevano caratterizzato gli interventi passati permette ora di evitare il rischio che l’ente risponda di un evento drammatico quale può essere la morte o la lesione dell’integrità del lavoratore a fronte di una gestione aziendale in generale improntata al rispetto della normativa antinfortunistica.
La necessità, ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’ente, di verificare – concentrandosi sulle circostanze del caso di specie e fornendo evidenze concrete – l’esistenza di una consapevole violazione delle regole cautelari con la finalità esclusiva di dare prevalenza al profitto di impresa rispetto alla tutela dei lavoratori (il c.d. interesse) o di un effettivo e rilevante profitto derivante da tale violazione (il c.d. vantaggio) permette all’impresa di ricercare il profitto senza il rischio che una occasionale sottovalutazione del rischio o un’errata quanto isolata valutazione delle misure di sicurezza necessarie (chiaramente in presenza di un contesto generale di osservanza delle disposizioni in materia di sicurezza) possano determinare una condanna.
Se – come pare riconoscere la giurisprudenza – il risparmio di spesa, il contenimento dei costi, l’aumento della produttività e la ricerca del profitto non devono essere più considerati automaticamente evidenze della responsabilità dell’ente, ma, eventualmente, elementi da valutare unitamente ad altri nel contesto di un accertamento in concreto della sussistenza di un interesse preventivo o di un vantaggio successivo, allora forse si può considerare più vicino quell’equilibrio, seppur delicato, tra ricerca del maggior vantaggio economico e piena salvaguardia della salute dei lavoratori.
Rimborso delle spese legali agli imputati assolti
Si comunica la pubblicazione del Decreto 20 dicembre 2021 con il quale è stato attuato il Fondo per il rimborso delle spese legali agli imputati assolti.
L’accesso al Fondo è previsto per chi è stato assolto in data successiva al 1° gennaio 2021.
L’istanza deve essere presentata personalmente dall’imputato tramite piattaforma telematica.
Hanno diritto al rimborso i soggetti destinatari di una sentenza di assoluzione irrevocabile pronunciata con le formule “perché il fatto non sussiste”, “perché l’imputato non ha commesso il reato” e “perché il fatto costituisce reato”. Il rimborso è riconosciuto anche nel caso in cui l’imputato sia stato assolto “perché il fatto non è previsto dalla legge come reato” a condizione che la pronuncia non sia intervenuta a seguito della depenalizzazione dei fatti oggetto dell’imputazione.
L’imputato può chiedere di accedere al Fondo purché non abbia beneficiato del patrocinio a spese dello Stato, non abbia ottenuto la condanna del querelante alla refusione delle spese di lite, non abbia diritto al rimborso delle spese legali dall’ente da cui il soggetto dipende.
L’accesso al Fondo è previsto a condizione che per nessuna delle imputazioni attribuite al richiedente nell’atto col quale è stata esercitata l’azione penale, oppure a seguito di modifica dell’imputazione nel corso del processo o in conseguenza della riunione dei procedimenti, sia stata pronunciata sentenza di condanna o di estinzione del reato per prescrizione o amnistia.
Poiché la dotazione ammonta a 8 milioni di euro annui, l’art. 4 stabilisce i criteri di priorità sulla base dei quali saranno erogati i rimborsi.
Nello specifico, sarà data precedenza:
- all’imputato assolto con sentenza della Cassazione, o del giudice del rinvio, o comunque per un processo durato complessivamente oltre gli 8 anni;
- all’imputato assolto con sentenza della Corte di Appello o comunque all’esito di un processo durato da 5 ad 8 anni;
- all’imputato assolto con sentenza del Tribunale o comunque all’esito di un processo durato fino a 5 anni.
All’interno di ciascun gruppo il criterio di precedenza è dettato dalla maggiore durata del processo, e a parità di durata sono preferiti gli imputati con reddito minore. Il limite massimo del rimborso è di 10.500 euro, suddiviso in tre quote annuali di pari importo.
I permessi premio del detenuto silente per scelta e silente suo malgrado
Con la sentenza del 25 gennaio 2022, n. 20 la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sull’art. 4 - bis, comma 1 – bis della L. 354/1975, nella parte in cui prevede che “i permessi premio possano essere concessi ai condannati che abbiano ottenuto la collaborazione impossibile o inesegibile, nel caso in cui sia accertata la sola assenza di collegamenti attuali con la criminalità organizzata”.
Nello specifico, la questione ruotava attorno alla necessità o meno di adottare regole più rigorose sul rilascio dei permessi premio per i detenuti, a seconda che abbiano collaborato o meno con la giustizia.
La Corte ha escluso che una tale differenziazione di trattamento possa ledere al principio di uguaglianza.
Infatti, sarebbe corretto distinguere tra la posizione di chi oggettivamente può, ma soggettivamente non vuole (silente per sua scelta) da quella di chi soggettivamente non vuole, ma oggettivamente non può (silente suo malgrado).
Con la censura dell’articolo in oggetto si parifica la posizione di entrambe le categorie di condannati.
A sostegno della sua pronuncia, la Corte ha ricordato come la sentenza n. 253/2019 aveva dichiarato costituzionalmente illegittima (nella parte relativa ai permessi premio dei detenuti), la presunzione assoluta di pericolosità del detenuto che sceglie volontariamente di non collaborare, pur potendolo fare
La Corte ha altresì evidenziato che il carattere volontario della scelta di non collaborare del detenuto sia da considerarsi come un campanello di allarme, tale da esigere un regime rafforzato di verifica.
REMS: normativa in contrasto con i principi costituzionali
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 22/2022 ha affermato che l’applicazione concreta delle norme in materia di REMS nei confronti degli autori di reato affetti da patologie psichiche presenti diversi profili in contrasto con i principi costituzionali.
Nonostante la principale finalità delle REMS sia quella terapeutica, l’assegnazione di un soggetto alle stesse rimane pur sempre una misura di sicurezza e come tale deve rispettare i principi costituzionali riguardo le misure di sicurezza e i trattamenti sanitari obbligatori, tra cui la riserva di legge.
Pertanto, deve essere una legge dello Stato a disciplinare la misura in esame sia in relazione ai casi di applicazione, sia in relazione alle modalità. Al contrario, invece, oggi la regolamentazione delle REMS è lasciata solo in minima parte alla legge, “in gran parte è rimessa ad atti normativi secondari e ad accordi tra Stato e autonomie territoriali, che rendono fortemente disomogenee queste realtà da Regione a Regione”.
La Corte, infine, ha esortato il legislatore affinché si proceda ad una riforma complessiva del sistema che sia in grado di garantire un’adeguata base legislativa.
Decreto-Legge 7 gennaio 2022
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Decreto-Legge mediante il quale sono adottate ulteriori nuove misure di prevenzione e di contenimento del Covid-19, al fine di limitare l’andamento crescente della curva dei contagi.
Le misure contenute nel Decreto saranno in vigore a far data dal 1° febbraio 2022.
Sino al 15 giugno 2022 è disposto l’obbligo vaccinale per tutti i soggetti che abbiano compiuto, o che compiranno in tale arco temporale i 50 anni di età.
A far data dal 15 febbraio 2022 le persone di età superiore ai 50 anni, siano essi lavoratori pubblici o privati, dovranno possedere per l’accesso ai luoghi di lavoro il Green Pass rafforzato e saranno tenuti ad esibirlo. I soggetti che saranno sprovvisti della certificazione verde non potranno accedere ai luoghi di lavoro e saranno considerati assenti ingiustificati, senza conseguenze disciplinari e con diritto alla conservazione del rapporto di lavoro, fino alla presentazione della certificazione e comunque, non oltre il 15 giugno 2022. Per i giorni di assenza non saranno dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento, comunque denominati.
Il possesso del Green Pass ordinario diventa requisito essenziale per l’accesso ai pubblici uffici, ai servizi postali, bancari e finanziari, alle attività commerciali, fatti salvi quelli necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona.
ATTIVITA’ DIFENSIVA E DELITTO DI FAVOREGGIAMENTO
La Corte di Cassazione, sez. VI, con la sentenza n. 37512 si è pronunciata in merito al reato di favoreggiamento connesso all’attività difensiva, ai sensi dell’art. 378 c.p..
In particolare, ha affermato come non integri il delitto di favoreggiamento personale la condotta del difensore che, avendo ritualmente preso visione degli atti processuali, dai quali emergano gravi indizi di colpevolezza a carico del proprio assistito, lo informi circa la possibilità che nei suoi confronti venga applicata una misura cautelare.
Infatti, la legittima acquisizione di notizie che possono interessare la posizione dell’assistito ne rende legittima la rivelazione a quest’ultimo, proprio in virtù del rapporto che intercorre tra professionista e cliente.
Al contrario, quando l’acquisizione di notizie avviene in maniera illegale, si verifica una sorta di solidarietà anomala con l’imputato in virtù della quale l’aiuto del difensore è strumentale alla elusione o deviazione delle investigazioni e, quindi, al turbamento della funzione giudiziaria rilevante ai sensi dell’art. 378 c.p..
APPLICABILITA’ DEL D.LGS. N. 231/20021 ALLE SOCIETA’ UNIPERSONALI
La sez. VI della Corte di Cassazione con la sentenza n. 45100 ha affrontato il tema dell’applicabilità del D. Lgs. 231/2001 alle società unipersonali.
I giudici di legittimità hanno ricordato come la società unipersonale sia, “un soggetto metaindividuale a cui la legge riconosce, in presenza di determinati presupposti, una personalità diversa rispetto a quella della persona fisica”.
Pertanto, la responsabilità ex D.lgs. n. 231/01 della società unipersonale deve essere accertata sulla base di una verifica in concreto, legata a criteri funzionali, fondati sull’impossibilità di distinguere un interesse dell’ente da quello della persona fisica che lo “governa” e, dunque, sull’impossibilità di configurare una colpevolezza normativa dell’ente che di fatto è disgiunta da quella dell’unico socio.
Tale verifica si snoda attraverso l’accertamento dell’organizzazione della società, dell’attività in concreto posta in essere, della dimensione dell’impresa, dei rapporti tra socio unico e società, dell’esistenza di un interesse sociale e del suo effettivo perseguimento.
RIVELAZIONE DI SEGRETI INERENTI AD UN PROCEDIMENTO PENALE
La Corte di Cassazione, sez. VI, con la sentenza n. 47210 si è pronunciata in merito alla rivelazione di segreti inerenti il procedimento penale ex art. 379 bis c.p..
In particolare, la Corte ha affermato che l’articolo in esame trova applicazione esclusivamente nei confronti delle persone che, in assenza delle relative qualifiche funzionali di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio, non sono già tenute all’obbligo del segreto di cui all’art. 329 c.p.p..
La partecipazione e assistenza ad un atto del procedimento, infatti, attengono alle fasi di formazione o di messa in esecuzione dell’atto processuale, ma non a quella della ricezione dell’atto stesso o di soggezione ai relativi effetti.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 221/2021 che introduce nuove misure urgenti per il contenimento dell’epidemia da Covid-19 e per lo svolgimento in sicurezza delle attività economiche e sociali.
Il presente decreto è entrato in vigore il 25 dicembre 2021.
STATO DI EMERGENZA: è disposta la proroga dello stato di emergenza sino al 31 marzo 2022.
MASCHERINE: sino al 31 gennaio 2022 vige l’obbligo di indossare le mascherine anche all’aperto in zona bianca.
Sino alla cessazione dello stato di emergenza, invece, vi è l’obbligo di indossare le mascherine di tipo FFP2 in occasione di spettacoli aperti al pubblico sia che si svolgano all’aperto che al chiuso, in teatri, sale da concerto, cinema e locali di intrattenimento.
Tale obbligo è esteso, altresì, agli eventi, alle competizioni sportive e su tutti i mezzi di trasporto.
RISTORAZIONE: fino alla cessazione dello stato di emergenza si prevede l’estensione dell’obbligo di Green Pass rafforzato per il consumo di alimenti e bevande al chiuso, anche se al banco.
EVENTI E FESTE: fino al 31 gennaio 2022 sono vietati gli eventi, le feste e i concerti, comunque denominati, che implichino assembramenti in spazi all’aperto.
DISCOTECHE E SALE DA BALLO: fino al 31 gennaio 2022 sono sospese le attività che si svolgono in discoteche, sale da ballo e locali assimilati.
MISURE IN VIGORE DAL 10 GENNAIO 2022
Fino alla cessazione dello stato di emergenza viene esteso l’obbligo di Green Pass rafforzato a:
- piscine, centri natatori, palestre, sport di squadra, centri benessere, anche all’interno di strutture ricettive limitatamente alle attività al chiuso;
- alberghi e strutture ricettive;
- sagre e fiere;
- centri congressi;
- servizi di ristorazione all’aperto;
- feste conseguenti alle cerimonie civili o religiose;
- musei, altri istituti e luoghi della cultura e mostre;
- centri termali;
- parchi tematici e di divertimento;
- al chiuso per centri culturali, centri sociali e ricreativi (esclusi i centri educativi per l’infanzia);
- impianti di risalita con finalità turistico - commerciale anche se ubicati in comprensori sciistici;
- sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;
- accesso e utilizzo dei mezzi di trasporto compreso il trasporto pubblico locale o regionale.
Per la partecipazione ai corsi di formazione privati in presenza sarà invece sufficiente il Green Pass base.
CONTATTI DI UN POSITIVO: il decreto dispone che i contatti stretti vaccinati con terza dose o due dosi da almeno quattro mesi non avranno più l’obbligo di quarantena. Quest’ultima è stata sostituita da un regime di auto sorveglianza. Fino al decimo giorno successivo all’ultima esposizione dal caso, a tali soggetti è fatto obbligo di indossare la mascherina di tipo FFP2 e di effettuare - solo qualora sintomatici - un test antigenico rapido o molecolare al quinto giorno successivo all’ultima esposizione al caso.
I contatti stretti vaccinati da più di quattro mesi con due dosi e senza terza dose dovranno, invece, rispettare una quarantena di cinque giorni, al termine della quale è previsto un test, anche rapido, di controllo.
I contatti stretti non vaccinati, invece, dovranno osservare una quarantena di dieci giorni dall’ultimo contatto con la persona infetta, per poi eseguire un test molecolare o antigenico. In caso di esito positivo dovranno restare in quarantena almeno altri quattro giorni.
POSITIVI ASINTOMATICI: i casi positivi sintomatici potranno rientrare in comunità dopo un isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività e un test molecolare con risultato negativo (10 giorni + test). Qualora il test dovesse risultare ancora positivo si dovrà proseguire l’isolamento per altri dieci giorni finché il test non dia esito negativo, oppure attendere il ventunesimo giorno, data in cui si potrà interrompere l’isolamento.
POSITIVI SINTOMATICI: i casi positivi sintomatici potranno rientrare in comunità dopo un periodo di isolamento di almeno dieci giorni dalla comparsa dei sintomi e un test molecolare con risultato negativo eseguito dopo almeno 3 giorni senza sintomi (10 giorni, di cui almeno 3 senza sintomi + test). Ove il test dovesse dare ancora esito positivo si dovrà proseguire l’isolamento per altri dieci giorni finché il test non dia esito negativo, oppure attendere il ventunesimo giorno, data in cui si potrà interrompere l’isolamento, in assenza di sintomi da almeno 7 giorni.
Dal 10 gennaio 2022 verrà, altresì, ridotta la capienza di impianti sportivi all’aperto, che passerà al 50% e al 35% per i centri al chiuso.
Resterà obbligatorio, anche qui, l’obbligo di Super Green Pass, dovrà essere indossata la mascherina di tipo FFP2 e sarà vietato consumare cibi o bevande.
MISURE IN VIGORE DAL 1 FEBBRAIO 2022
Dal 1 febbraio 2022 la durata del Green Pass vaccinale sarà ridotto da 9 a 6 mesi.
Inoltre, con ordinanza del Ministero della salute, il periodo minimo per la somministrazione della terza dose sarà ridotta da 5 a 4 mesi dal completamento del ciclo vaccinale primario.
Il momento consumativo del reato di indebita compensazione
Con la sentenza n. 43089 del 2021 la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi in materia di indebita compensazione di cui all’art 10 – quater D.lgs 74/2000.
In particolare, secondo la Corte, il delitto si consuma al momento di presentazione dell’ultimo Modello F24 relativo all’anno interessato e non in quello della successiva dichiarazione dei redditi.
Ciò che ha rilevanza, infatti, è proprio l’indicazione del credito inesistente in compensazione nel modello F24, non l’omessa presentazione della dichiarazione.
La Corte afferma, infatti, che “in tema di reati tributari, il delitto di indebita compensazione di cui all'art. 10-quater, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, non presuppone la presentazione da parte del contribuente di una dichiarazione annuale a differenza di quello di dichiarazione infedele di cui all'art. 4 del medesimo d. lgs. n. 74/2000, in cui il mendacio del contribuente si esprime proprio nella dichiarazione annuale relativa alle imposte sui redditi o all'Iva”.
Omessa dichiarazione e domicilio del contribuente
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 43331 del novembre 2021, si è pronunciata in materia di competenza territoriale per il reato di omessa dichiarazione, ex art. 5 D.lgs. 74/2000.
La Corte ha, infatti, precisato che il criterio primario di individuazione della competenza territoriale è quello del domicilio fiscale del contribuente, da intendersi quale domicilio fiscale della società o ente e non quello del legale rappresentante. Questo perché la dichiarazione la cui omissione risulta penalmente rilevante non è quella della persona fisica, bensì quella della persona giuridica.
Qualora il domicilio fiscale dell’azienda risulti meramente fittizio, lo stesso dovrà essere identificato nel diverso luogo in cui si trova la sede effettiva della società.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta del nuovo Decreto Legge n. 172 che entrerà in vigore il 6 dicembre e sarà valido fino al 15 gennaio 2022.
Di seguito le novità introdotte.
OBBLIGO VACCINALE: si dispone l’obbligo della terza dose per il personale sanitario e per i lavoratori che accedono alle Rsa.
A far data dal 15 dicembre 2021, l’obbligo vaccinale sarà esteso, altresì, al personale della scuola, del comparto difesa, sicurezza e soccorso pubblico, e delle strutture socio-sanitarie.
GREEN PASS: è introdotta la presenza di due Green Pass.
Il primo è definito “rafforzato” e viene rilasciato alle persone vaccinate con ciclo completo o guarite e ha una durata di nove mesi a partire dall’ultima somministrazione di vaccino o dal certificato di avvenuta guarigione.
Il secondo, invece, è definito “base” e viene rilasciato a chi si sottopone a tampone molecolare o antigenico e ha una validità di 72 ore se rilasciato con tampone molecolare negativo, 48 se rilasciato con tampone antigenico negativo.
Il Green Pass rafforzato permette al soggetto che lo possiede di non subire le restrizioni in vigore nelle zone gialle e arancioni.
I semplici tamponi resteranno efficaci solo per recarsi al lavoro e alle attività giudicate essenziali.
LAVORO: per recarsi al lavoro sarà sufficiente esibire il Green Pass base, ma per accedere alle mense servirà il Green Pass rafforzato.
I controlli dovranno essere effettuali all’ingresso e potranno svolgersi a campione. Il lavoratore senza Green Pass all’interno dei locali di lavoro può subire la sospensione dal diritto di svolgere l’attività lavorativa o una sanzione amministrativa da € 600,00 a € 1.500,00. Durante il periodo di sospensione non saranno dovuti la retribuzione né altro compenso o emolumento.
Nel caso di mancato controllo il datore di lavoro andrà incontro ad una sanzione da €400,00 a €1.000,00.
DIVISIONI IN FASCE: rimane in vigore il sistema della divisione per fasce di colore su tutto il territorio nazionale.
Qualora una regione dovesse entrare in zona rossa, le restrizioni saranno valide per tutti, indipendentemente dalla tipologia di Green Pass posseduto.
I criteri per definire la suddivisione in zone sono i seguenti:
- zona bianca: si entrerà in zona bianca quando i casi saranno meno di 50 ogni 100mila abitanti per tre settimane consecutive;
- zona gialla: si entrerà in zona gialla con 50 casi settimanali per 100mila abitanti, il 15% di posti occupati in area medica e il 10% di posti occupati in terapia intensiva;
- zona arancione: si entrerà in zona arancione con 150 casi ogni 100mila abitanti, il 30% di posti occupati in area medica e il 20% in terapia intensiva;
- zona rossa: si entrerà in zona rossa con più di 150 casi a settimana ogni 100mila abitanti, il 40% dei posti letto in area medica occupati e oltre il 30% in terapia intensiva.
VIAGGI: per viaggiare sui treni ad Alta Velocità e sugli aerei è sufficiente essere in possesso del Green Pass base. La stessa regola è applicabile anche al trasporto ferroviario regionale, nonché al trasporto pubblico locale.
Decreto Legge n. 121 del 10 settembre 2021: riforma del codice della strada
In data odierna entra in vigore il Decreto Legge n. 127/2021, convertito in Legge n. 156 del 9 novembre 2021, che introduce nuove disposizioni e modifiche al vigente codice della strada. Di seguito sono indicate le principali novità.
NEOPATENTATI, ESAME PATENTE E FOGLIO ROSA: i soggetti neopatentati che hanno ottenuto la patente di tipo B, dal primo anno del conseguimento potranno guidare autovetture di potenza superiore a 55 kW (74 CV) e potenza massima pari a 70 kW (95 CV), a patto che al loro fianco sia presente una persona di età non superiore a 65 anni con patente conseguita da almeno 10 anni. I candidati all’esame della patente potranno beneficiare del foglio rosa che avrà una validità di 12 mesi e non più di 6 mesi. Questi ultimi beneficeranno anche di tre tentativi per superare l’esame di teoria previsto per il conseguimento della patente (precedentemente i tentativi consentiti erano due). E’ previsto un inasprimento delle sanzioni amministrative nei confronti di coloro che si esercitano alla guida senza istruttore, da un minimo di 430 euro a un massimo di 1.731 euro con anche la sanzione accessoria del fermo amministrativo del veicolo per 3 mesi.
BONUS PATENTE: è stato introdotto un contributo per chi consegue la patente e dimostri di voler lavorare nel settore dell’autotrasporto, con un contratto da conducente da presentare entro tre mesi dalla relativa domanda. Il bonus consiste nel pagamento di una somma pari a 1.000 euro per i giovani con età inferiore ai 35 anni, per chi percepisce il reddito di cittadinanza o altri ammortizzatori sociali e potrà essere riconosciuto dall’1 gennaio 2022 fino al 30 giugno 2022.
AREE DI SOSTA: i titolari del contrassegno disabili potranno parcheggiare gratuitamente nelle aree blu di sosta a pagamento, ma solo nel caso in cui siano occupati i posteggi a loro riservati. Sono state previste sanzioni amministrative più elevate per chi parcheggia illecitamente il proprio mezzo nei posti riservati ai disabili ed è triplicata la decurtazione dei punti della patente per tale infrazione. Le sanzioni andranno da 168 a 672 euro (precedentemente da 84 a 335 euro) e verranno decurtati 6 punti (in luogo dei 2). I parcheggi riservati ai veicoli elettrici o ibridi potranno essere occupati unicamente per il periodo necessario a ricaricare il veicolo. Trascorsa un’ora dal completamento della ricarica scatterà il divieto di sosta. Tale divieto non si applica nella fascia oraria compresa tra le ore 23:00 e le ore 7:00, ad eccezione degli gli spazi riservati ai punti di ricarica veloce e ultraveloce (oltre i 50 kW) dove il divieto persiste anche in quella fascia oraria. E’ introdotto nel codice della strada l’art. 188 bis, il quale prevede i cd. “parcheggi rosa” riservati alle donne in gravidanza e ai genitori con figli fino a 2 anni muniti di uno specifico contrassegno.
ATTRAVERSAMENTI PEDONALI: sono introdotti nuovi e più rigidi obblighi di comportamento in corrispondenza delle strisce pedonali, per cui i conducenti dei veicoli devono dare la precedenza non solo ai pedoni che hanno iniziato l’attraversamento, ma anche a quelli che si stanno accingendo ad effettuare l’attraversamento.
SANZIONI ALLA GUIDA: sono inasprite le sanzioni sia nei confronti di colui che getti rifiuti dal veicolo, sia verso chi utilizzi il telefono alla guida o qualsiasi altro dispositivo elettronico (notebook, tablet ecc.) che comportino anche solo temporaneamente l’allontanamento delle mani dal volante. E’ sanzionato anche il conducente di un motoveicolo qualora il proprio passeggero non porti il casco, a prescindere dall’età (precedentemente la sanzione si applicava al conducente solo se il passeggero era minorenne). Per coloro che circolano su monopattini elettrici non è prevista l’obbligatorietà del casco.
SANZIONI PER LE AUTO A NOLEGGIO: viene modificato l’articolo 196 del codice della strada che disciplina le sanzioni commesse da un utente alla guida di un’autovettura a noleggio. La novità prevede che sia il responsabile dell’infrazione a rispondere delle conseguenze arrecate e non la società di noleggio. Le imprese di noleggio collaboreranno a fornire agli uffici competenti le generalità del sottoscrittore del contratto affinché sia notificato a quest’ultimo il verbale relativo all’infrazione commessa.
MONOPATTINI ELETTRICI: la novità principale riguarda l’obbligo di munire i monopattini elettrici di dispositivi che indichino le direzioni e segnalino la frenata. In particolare, a partire dall’1 luglio 2022, i monopattini commercializzati in Italia dovranno essere dotati di indicatori luminosi di svolta e di freno su entrambe le ruote. Quelli già in circolazione prima dell’1 luglio 2022 dovranno adeguarsi entro l’1 gennaio 2024. Il limite di velocità consentito scende da 25 km/h a 20 km/h al di fuori delle aree pedonali (in queste ultime resta il limite di 6 km/h). La riforma introduce anche il divieto di sosta e di circolazione sui marciapiedi, salvo nelle aree individuate dai Comuni. La violazione di questa norma comporta una multa di 84 euro. I monopattini elettrici, perciò, dovranno essere parcheggiati correttamente negli stalli riservati a velocipedi, ciclomotori e motoveicoli. Infine, è introdotto l’obbligo di fotografare il mezzo al termine del noleggio tramite l’applicazione utilizzata, in modo da chiarire la posizione del monopattino e verificarne il corretto utilizzo.
DIVIETO DI PUBBLICITA’ DISCRIMINATORIE: è vietata qualsiasi forma di pubblicità a lato della carreggiata dal contenuto sessista, violento, con messaggi lesivi del rispetto delle libertà individuali, dei diritti civili e politici, del credo religioso, dell’appartenenza etnica oppure discriminatori nei confronti dell’orientamento sessuale, dell’identità di genere o delle abilità fisiche e psichiche. La violazione del divieto comporta la revoca della relativa autorizzazione e la rimozione del cartello pubblicitario dalla carreggiata.
TRASPORTO PUBBLICO: al fine di ridurre le emissioni di CO2 e l’inquinamento nei centri urbani è prevista una graduale limitazione alla circolazione dei mezzi più inquinanti adibiti al trasporto pubblico locale e alimentati a benzina e gasolio. In particolare, a decorrere dal 30 giugno 2022, è vietata la circolazione dei veicoli di categoria M2 e M3 con caratteristiche Euro 1. Successivamente, a decorrere dall’1 gennaio 2023 sarà vietata la circolazione alle stesse categorie di mezzi con caratteristiche Euro 2, mentre dall’1 gennaio 2024 il divieto riguarderà i mezzi con caratteristiche Euro 3.
Legge n. 134 del 27 settembre 2021 (riforma del processo penale): le linee guida sulle nuove disposizioni
In data 4 ottobre 2021 è entrata in vigore la Legge n. 134 del 27 settembre 2021 recante “Delega al Governo per l’efficienza del processo penale, nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celere definizione dei procedimenti giudiziari”.
Le seguenti disposizioni, di cui all’art. 2, sono entrate in vigore a partire dal 19 ottobre 2021:
- modifiche alla disciplina della prescrizione dei reati. Occorre premettere che l’istituto giuridico della prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena stabilita dalla legge. In particolare, la prescrizione inizia a decorrere automaticamente dal giorno in cui il reato è stato commesso. Con l’introduzione della riforma sopra menzionata, il corso della prescrizione del reato cessa definitivamente con la pronunzia della sentenza di primo grado, sia in caso di assoluzione che in caso di condanna dell’imputato. La nuova disposizione, contenuta nell’articolo 161 bis c.p., conferma la precedente disciplina della prescrizione introdotta dalla legge n. 3 del 2019 (c.d. legge “spazzacorrotti”).
- introduzione dell’istituto dell’improcedibilità per superamento dei termini di durata massima del giudizio di impugnazione. Nello specifico, è previsto che l’azione penale divenga improcedibile, con essa estinguendosi sia il processo che la punibilità, qualora il grado di appello non si concluda entro il termine di due anni e qualora il giudizio di Cassazione non si concluda entro un anno. Tali termini però non rappresentano degli sbarramenti rigidi, poiché il giudice può prorogarli di un periodo non superiore ad un anno per il grado di appello, e di un periodo non superiore a sei mesi per il grado di Cassazione, in ipotesi di un procedimento particolarmente complesso a causa dell’elevato numero delle parti o delle imputazioni o della complessità delle questioni di fatto o di diritto da trattare;
- previsione di una più precisa identificazione di alcune categorie di persone sottoposte al procedimento penale, con particolare riferimento agli apolidi, alle persone cui è ignota la cittadinanza o ai cittadini di uno Stato non appartenente all'Unione europea;
- modifiche dirette a una maggiore tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, per cui viene estesa anche alle vittime dei reati previsti in forma tentata e alle vittime di tentato omicidio la portata applicativa delle norme introdotte con la legge n. 69 del 2019 (c.d. Codice rosso);
- estensione dell’obbligo di comunicazione al difensore nominato dall’indagato o imputato, arrestato o detenuto, delle impugnazioni e delle dichiarazioni presentate al direttore dell’istituto penitenziario;
- previsione dell’arresto obbligatorio in caso di delitto di cui all’art. 387 bis c.p. (violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa);
- disposizioni per la transizione digitale dell’amministrazione della giustizia.
Stalking condominiale
Con la sentenza n. 9221 del 13 ottobre 2021, il Tribunale di Milano si è pronunciato in tema di atti persecutori ai sensi dell’art. 612 bis c.p. sulla configurabilità del cd. “stalking condominiale”.
Il Tribunale ha affermato che il presupposto per la configurabilità di tale fattispecie di reato, ossia il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, deve essere accertato tenendo conto delle conseguenze emotive sulla vita della persona offesa e non sulla base di una valutazione, puramente quantitativa, delle variazioni apportate. Ne consegue che tale evento potrà essere ravvisato, ad esempio, in comportamenti quali il cambio degli orari di entrata e di uscita dalla propria abitazione da parte del condomino vittima degli atti persecutori, l’adozione, da parte di quest’ultimo, di percorsi alternativi all’interno dello stabile, nonché la ricerca di ospitalità da parte di amici e parenti durante il fine settimana al fine di non incontrare il condomino imputato.
Il requisito del perdurante e grave stato di ansia o di paura, prosegue il Tribunale, deve essere ancorato ad elementi di turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della vittima o dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dal soggetto imputato. Ne deriva che tale requisito potrà identificarsi nel timore della vittima di subire ulteriori aggressioni o ritorsioni da parte del condomino imputato.
Applicazione della misura dell’Amministrazione Giudiziaria ex art. 34 D. Lgs. n. 159 del 2011
Si comunica la pubblicazione di un recente provvedimento con cui il Tribunale di Milano, sezione misure di prevenzione, nell’ambito di un procedimento penale avente ad oggetto il reato di cui all’art. 603-bis c.p. (Intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro), ha disposto la misura dell’Amministrazione Giudiziaria nei confronti di una società operante nel commercio all’ingrosso.
La finalità dell’istituto dell’amministrazione giudiziaria, ha ricordato il Tribunale, non è tanto repressiva, quanto preventiva, volta cioè, non a punire l’imprenditore che faccia parte dell’associazione criminale, quanto a contrastare la contaminazione antigiuridica di imprese sane, sottoponendole a controllo giudiziario con la finalità di sottrarle all’infiltrazione criminale e restituirle al libero mercato una volta depurate dagli elementi inquinanti.
Il Tribunale precisa che, qualora la società abbia effettivamente l’obiettivo di perseguire un risanamento, si dovrebbe creare una nuova finalità imprenditoriale comune caratterizzata da una costruzione, condivisa con l’organo tecnico del Tribunale e cioè con l’Amministratore Giudiziario, di modelli virtuosi ed efficaci che impediscano nuove infiltrazioni illegali.
Non può essere sospesa la patente di guida al ciclista che ha commesso omicidio stradale
Un ciclista ricorre in Cassazione avverso la sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 589 bis c.p., lamentandosi del fatto che il giudice avesse applicato la sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per aver cagionato un incidente stradale alla guida di un velocipede, mezzo per il quale non è prevista alcuna abilitazione alla guida.
La Corte di Cassazione ha ritenuto il ricorso fondato in quanto non può essere applicata la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida a chi abbia commesso un reato in materia di circolazione stradale conducendo veicoli per la cui guida non sia richiesta alcuna abilitazione.
Il reato di bancarotta preferenziale
Con la sentenza n. 29874, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’elemento soggettivo del reato di bancarotta preferenziale, disciplinato dall’art. 216, comma 3, L. fallimentare.
La Corte ha ricordato come l’elemento soggettivo nel reato in oggetto sia costituito dal dolo specifico che si concretizza nel momento in cui il soggetto agente preferisca intenzionalmente un creditore, creando, come inevitabile riflesso, un pregiudizio in capo agli altri.
Deve escludersi, continua la Corte, il dolo specifico laddove l’imprenditore soddisfi alcuni debiti al solo fine di evitare il pericolo della presentazione di istanze di fallimento o, comunque, nella fondata convinzione di poter riuscire a far fronte a tutte le posizioni debitorie, risultando in tale ipotesi mancante l’intenzione di favorirne una sola. Allo stesso modo, il dolo deve considerarsi assente nel caso in cui il pagamento sia volto, in via esclusiva o prevalente, alla salvaguardia dell’attività sociale o imprenditoriale e l’obiettivo di evitare il fallimento sia perseguibile.
L’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. al reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d. lgs. 74/2000
La Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema dell’applicabilità della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto al reato di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d. lgs. 74/2000. Con sentenza n. 35403/2021 i Giudici della Suprema Corte hanno affermato il principio secondo il quale, in tema di omessa presentazione della dichiarazione dei redditi al fine dell’evasione delle imposte, la causa di non punibilità in parola possa essere applicata esclusivamente laddove l’omissione abbia ad oggetto un ammontare molto vicino alla soglia di punibilità fissata dalla norma ad € 50.000 e all’esito di una valutazione puntuale e complessiva delle circostanze del caso concreto. Infatti, poiché il grado di offensività della condotta è già stato valutato nella predeterminazione di una soglia oltre la quale l’azione assume rilevanza penale, affinché il fatto possa ritenersi particolarmente tenue è richiesta una valutazione complessa e congiunta delle peculiarità della fattispecie concreta che tenga conto delle modalità della condotta, del grado di colpevolezza desumibile e dell’entità del danno o del pericolo.
Decreto-legge n. 127/2021
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta ufficiale del nuovo Decreto Legge n. 127/2021 che introduce misure urgenti per assicurare lo svolgimento in sicurezza del lavoro pubblico e privato mediante l'estensione della certificazione verde Covid-19 e il rafforzamento del sistema di screening.
Tali disposizioni entreranno in vigore il 15 ottobre e rimarranno valide fino al 31 dicembre, termine di cessazione dello stato di emergenza.
SETTORE PUBBLICO: al personale delle amministrazioni pubbliche ai fini dell’accesso nei luoghi di lavoro è fatto obbligo di possedere ed esibire, su richiesta, il certificato verde. Tale disposizione è prevista anche per tutti i soggetti che svolgono attività lavorativa, di formazione o di volontariato presso le amministrazioni pubbliche. Sono invece esonerati i soggetti esenti dalla campagna vaccinale a seguito di idonea certificazione medica come stabilito dalle direttive del Ministero della Salute.
Il rispetto delle disposizioni relative al possesso e all’esibizione del green pass dovrà essere verificato dai datori di lavoro, i quali hanno il compito di definire, entro il 15 ottobre, le modalità operative per l’organizzazione delle verifiche. I controlli dovranno essere effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, anche a campione, individuando formalmente i soggetti incaricati a svolgere tale compito.
Il personale amministrativo che comunichi di non essere in possesso del green pass o che risulti privo della certificazione al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro sarà considerato assente ingiustificato a decorrere dal quinto giorno. A seguito di tale periodo, il rapporto di lavoro sarà sospeso fino alla presentazione della certificazione e comunque non oltre il 31 dicembre 2021. In ogni caso, il lavoratore non subirà conseguenze disciplinari e conserverà il diritto al mantenimento del rapporto di lavoro.
Nei casi di assenza ingiustificata e di sospensione non saranno dovuti per il relativo periodo né la retribuzione né altro compenso o emolumento.
Infine, è prevista una sanzione amministrativa da € 600 a € 1.500 qualora l’accesso del personale nei luoghi di lavoro avvenga in assenza della certificazione verde.
UFFICI GIUDIZIARI: anche i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e i procuratori dello Stato, nonché i componenti delle commissioni tributarie non potranno accedere agli uffici giudiziari senza il possesso della certificazione verde.
L’assenza della stessa o la sua mancata esibizione sarà considerata assenza ingiustificata.
Dall’obbligo saranno esenti tutti gli altri soggetti che accedono agli uffici giudiziari, inclusi gli avvocati e i difensori, i consulenti, i periti e altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, testimoni e parti del processo.
E’ considerato un illecito disciplinare l’accesso agli uffici giudiziari da parte dei soggetti sopra menzionati senza il possesso della certificazione verde, mentre per i magistrati onorari è prevista la sospensione e, dopo trenta giorni, la revoca dell’incarico onorario.
SETTORE PRIVATO: chiunque svolga un’attività lavorativa di formazione o di volontariato nel settore privato sarà obbligato, ai fini dell’accesso ai luoghi di lavoro, a possedere ed esibire su richiesta il certificato verde.
Tali disposizioni non si applicheranno ai soggetti esenti dalla campagna vaccinale sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti dalla circolare del Ministero della Salute.
Come previsto per il settore pubblico, il rispetto delle disposizioni relative al possesso e all’esibizione del green pass dovrà essere verificato dai datori di lavoro, previa definizione, entro il 15 ottobre, delle modalità operative per l’organizzazione delle verifiche. I controlli dovranno essere effettuati al momento dell’accesso ai luoghi di lavoro, anche a campione, individuando formalmente i soggetti incaricati a svolgere tale compito.
Per i lavoratori che non possiedono il certificato verde, è prevista la sospensione dalla prestazione lavorativa senza però subire alcuna conseguenza disciplinare e restando tutelato il loro rapporto di lavoro. Come per le categorie precedenti, anche per i lavoratori privati non è riconosciuta alcuna retribuzione, né altro compenso o emolumento per il periodo di sospensione. La sospensione dall’attività lavorativa vige fino alla presentazione della certificazione verde e, comunque, non oltre il 31 dicembre 2021.
Disciplina a sé è prevista per le imprese con meno di 15 dipendenti, per cui, dopo il quinto giorno di mancata presentazione della certificazione verde, il datore di lavoro può sospendere il lavoratore per la durata corrispondente a quella del contratto di lavoro stipulato per la sostituzione.
Infine, è prevista una sanzione amministrativa da € 600 a € 1.500 per il personale che acceda ai luoghi di lavoro in assenza della certificazione verde.
Configurabilità del reato di ricettazione in capo al soggetto che assume anabolizzanti
Il Tribunale di Milano con la sentenza n. 7195/2021 si è pronunciato sulla configurabilità del reato di ricettazione nel caso di acquisto di anabolizzanti per uso personale e al di fuori di qualsiasi competizione sportiva.
Secondo il Tribunale è da escludere la configurabilità del reato in capo all’assuntore non sportivo di anabolizzanti poiché è irragionevole ipotizzare che l’acquisto o la ricezione di sostanze dopanti da parte di un soggetto che non svolge alcuna attività sportiva possa essere sanzionato con una pena (da 2 a 8 anni di reclusione ex art. 648 c.p.) di gran lunga superiore rispetto a quella (da 3 mesi a 3 anni di reclusione) prevista a carico dello sportivo professionista che ne faccia assunzione per alterare una gara.
Responsabilità del committente per infortuni sul lavoro
Con la sentenza n. 21553 la IV sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di infortuni sul luogo di lavoro, analizzando la responsabilità del committente che abbia omesso di verificare l’idoneità dell’appaltatore, qualora l’infortunio si sia verificato nell’ambito di una prestazione resa mediante contratto di appalto.
Dopo aver ricordato che “rispetto ad ogni area di rischio esistono distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare; il ‘garante’ è il soggetto che gestisce il rischio e, quindi, colui al quale deve essere imputato, sul piano oggettivo, l’illecito, qualora l’evento si sia prodotto nell’ambito della sua sfera gestoria” la Corte si è soffermata sull’obbligo di verifica in capo al committente.
Nello specifico, ha affermato che nell’ambito dei contratti di appalto sussiste la responsabilità del committente che abbia omesso di verificare l’idoneità tecnico-professionale dell’impresa e dei lavoratori prescelti, in relazione anche alla pericolosità dei lavori affidati. Infatti, l’obbligo di verifica indicato dall’art. 90 lett. a) D.lgs. 9 aprile 2008, n. 81 non può risolversi in una semplice verifica sull’iscrizione dell’appaltatore nel registro delle imprese, poiché una tale operazione integra un adempimento avente carattere solo amministrativo.
Decreto-legge n. 111/2021
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto-legge n. 111/2021 che introduce misure urgenti a partire dal 1° settembre 2021 per l’esercizio in sicurezza di attività scolastiche, università e trasporti.
SCUOLA: è disposto che l’attività didattica e scolastica della scuola dell’infanzia, della scuola primaria e secondaria di primo e secondo grado e delle università siano svolte in presenza.
Tutto il personale scolastico nonché gli studenti universitari dovranno possedere ed esibire il Green Pass.
Il mancato rispetto di tali disposizioni da parte del personale scolastico e universitario sarà considerata assenza ingiustificata a decorrere dal quinto giorno di assenza, con sospensione del rapporto di lavoro, retribuzione o altro compenso.
TRENI E AUTOBUS: fino al 31 dicembre 2021, termine dello stato di emergenza, per accedere a qualsiasi treno dell’alta velocità Intercity o Italo sarà obbligatorio esibire il Green Pass.
Qualora il viaggiatore dovesse esibire un Green Pass falso o si dovesse rifiutare di mostrare la certificazione sarà invitato a spostarsi in una zona indicata e sarà obbligato a scendere alla prima stazione utile.
La capienza dei treni è fissata all’80% eccezion fatta per i mezzi dotati di un sistema di ricambio d’aria ogni 3 minuti per i quali la capienza potrà arrivare al 100%.
Anche per salire a bordo di autobus che collegano due o più regioni e su quelli a noleggio con conducente sarà necessario esibire la certificazione verde. La capienza è sempre fissata all’80%.
NAVI E TRAGHETTI: anche nel caso di navi e traghetti adibiti a trasporto interregionale, ad esclusione di quelli impiegati per i collegamenti marittimi nello Stretto di Messina, tutti i passeggeri dovranno essere muniti di Green Pass.
AEREI: sia per le tratte internazionali sia per quelle nazionali sarà obbligatorio essere muniti di Green Pass.
ESENZIONI: tutti coloro che sono esclusi per età dalla campagna vaccinale o che sono esenti per motivi di salute non saranno tenuti a dotarsi di Green Pass e potranno accedere ai trasporti e alle strutture scolastiche dopo aver esibito idonea certificazione rilasciata dal medico curante secondo i criteri definiti dal Ministero della Salute.
EVENTI SPORTIVI: per gli eventi spostivi all’aperto è disposta l’assegnazione dei posti a sedere alternati con distanziamento interpersonale di almeno un metro. Per gli eventi al chiuso, invece, il limite di capienza già previsto è elevato al 35%.
La sentenza n. 150/2021 della Corte Costituzionale in tema di diffamazione
Con la sentenza n. 150/2021 la Corte Costituzionale ha abrogato l’art. 13 della legge sulla stampa n. 47/1948, rubricato “pene per la diffamazione”, il quale prevedeva l’applicazione della pena della reclusione da 1 a 6 anni e della multa, qualora la diffamazione col mezzo della stampa fosse avvenuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato.
Da tale decisione è derivata anche l’abrogazione dell’art. 30, comma 4 della legge 223/1990, meglio nota come Legge Mammì, che in materia di diffamazione a mezzo trasmissioni televisive, richiamando l’art 13, puniva allo stesso modo il concessionario pubblico o privato o la persona da loro delegata al controllo
Con la stessa sentenza, la Corte ha rigettato analoga questione di costituzionalità sollevata in relazione all’art. 595, comma 3 c.p., affermando che la pena della reclusione debba essere irrogata, anche se in casi eccezionali.
L’interesse dell’ente e la responsabilità amministrativa discendente dal reato di truffa ai danni dello Stato
Con la sentenza n. 23300 la sezione II si è pronunciata in merito alla responsabilità amministrativa delle società dipendente dal reato di truffa ai danni dello Stato.
La Corte di Cassazione ha affermato che in caso di truffa ai danni dello Stato finalizzata ad ottenere un cospicuo finanziamento in conto capitale in assenza di presupposti, il reato risulta commesso nell’interesse della persona giuridica che ottiene questi capitali e li riutilizza per la propria attività.
Allo stesso tempo, però, non risulta decisiva la circostanza del concorrente interesse personale dei soci poiché sussiste la responsabilità del reato qualora la persona giuridica abbia avuto un interesse anche solo concorrente con quello dell’agente alla commissione del reato presupposto.
Il limite temporale delle acquisizioni patrimoniali rilevanti nel procedimento esecutivo di confisca
Con la sentenza n. 27421 la Corte di Cassazione si è soffermata sul tema della confisca in casi particolari disciplinata dall’art. 240 bis c.p., disposta in fase esecutiva. In particolare, ci si chiedeva se il potere di emettere la statuizione ablatoria potesse essere esercitato in riferimento ai beni esistenti, e riferibili al condannato, sino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di condanna o se, invece, dovesse limitarsi a quelli esistenti al momento dell’emissione della indicata sentenza, salva l’esistenza in tale seconda ipotesi, di evidente reimpiego di disponibilità finanziarie esistenti al momento dell’emissione della sentenza.
La Cassazione ha affermato che il giudice dell’esecuzione al quale giunge una richiesta di confisca in casi particolari, disciplinata dall’art 240 bis c.p., può disporla esercitando gli stessi poteri che sono propri del giudice della cognizione fermo restando il criterio della ragionevolezza temporale in relazione ai beni che sono entrati nella disponibilità del condannato fino alla pronuncia della sentenza. Resta salva la possibilità di disporre la confisca anche per i beni acquistati in epoca posteriore alla sentenza, ma con risorse finanziarie possedute prima.
Il reato di furto e l’aggravante della minorata difesa
Con l’informazione provvisoria n. 11/2021 la Corte di Cassazione ha affermato che nel reato di furto, ai fini dell’integrazione dell’aggravante della minorata difesa, ex art. 61 n. 5 c.p., le circostanze di tempo, luogo o persona di cui l’agente ha approfittato in modo da ostacolarla, devono essere accertate alla stregua di elementi di fatto idonei a dimostrare la sussistenza di una situazione di particolare vulnerabilità in cui versava il soggetto passivo. Non è, infatti, sufficiente l’idoneità astratta di queste condizioni per favorire la commissione del reato.
In data 24.07.2021 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il “Decreto Green pass” contenente ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e prevenzione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Di seguito si elencano le principali novità.
STATO DI EMERGENZA: è disposta la proroga dello stato di emergenza fino al 31 dicembre 2021.
PARAMETRI CAMBIAMENTO COLORE: il parametro dell’incidenza dei contagi, pur restando in vigore, non rappresenterà più il criterio guida per la scelta delle classificazioni secondo il colore delle Regioni.
Dal primo agosto, infatti, i due parametri principali saranno il tasso di occupazione dei posti letto in area medica e in terapia intensiva per i pazienti affetti da Covid-19.
zona bianca: rimangono in zona bianca tutte le Regioni in cui l'incidenza settimanale dei contagi è inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti per tre settimane consecutive.
Qualora, invece, si verifichi un’incidenza superiore a 50 casi per 100.000 abitanti, la Regione resta in zona bianca se si verifica una delle due condizioni successive:
- il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da Covid-19 è uguale o inferiore al 15%;
- il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da Covid-19 è uguale o inferiore al 10 %;
zona gialla: passano in zona gialla tutte le Regioni in cui l'incidenza settimanale dei contagi è pari o superiore a 50 ogni 100.000 abitanti a condizione che il tasso di occupazione dei posti letto in area medica sia superiore al 15% e il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da Covid-19 sia superiore al 10%.
Qualora, invece, si verifichi un’incidenza pari o superiore a 150 casi per 100.000 abitanti, la Regione resta in zona gialla se si verificano una delle due condizioni successive:
- il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da Covid-19 è uguale o inferiore al 30%;
- il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da Covid-19 è uguale o inferiore al 20 per cento;
zona arancione: affinché una Regione passi da gialla ad arancione è necessario che si verifichi un’incidenza settimanale dei contagi pari o superiore a 150 ogni 100.000 abitanti e aver contestualmente superato i limiti di occupazione dei posti letto di area medica e terapia intensiva prevista per la zona gialla.
zona rossa: rimangono in zona rossa tutte le Regioni in presenza di un’incidenza pari o superiore a 150 casi per 100.000 abitanti e se si verificano entrambe le condizioni successive
- il tasso di occupazione dei posti letto in area medica per pazienti affetti da COVID-19 è superiore al 40%;
- il tasso di occupazione dei posti letto in terapia intensiva per pazienti affetti da COVID-19 è superiore 30%.
GREEN PASS: è previsto il rilascio di un Green Pass che sarà considerato valido per tutti coloro ai quali è stata somministrata almeno la prima dose di vaccino, che abbiano fatto un tampone negativo nelle 48 ore precedenti o che siano guariti dal Covid-19 nei sei mesi precedenti.
A far data dal 6 agosto 2021 il Green Pass sarà richiesto per accedere:
- ai tavoli al chiuso di bar e ristoranti; invece non sarà necessario per la consumazione al bancone, anche se al chiuso;
- spettacoli aperti al pubblico, eventi e competizioni;
- musei, mostre e luoghi di cultura;
- piscine, centri natatori, palestre centri benessere anche se all’interno di strutture ricettive, limitatamente alle attività al chiuso;
- sagre, fiere, convegni e congressi;
- centri termali, parchi tematici e di divertimento;
- attività di sale gioco, sale scommesse, sale bingo e casinò;
- concorsi pubblici.
Tali disposizioni non si applicano ai soggetti esclusi dalla campagna vaccinale per età e ai soggetti esenti sulla base di idonea certificazione medica rilasciata secondo i criteri definiti con circolare del Ministero della Salute.
MISURE PER LO SVOGLIMENTO DEGLI SPETTACOLI CULTURALI: in zona bianca e in zona gialla, gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche, locali di intrattenimento e musica dal vivo e in altri locali o spazi anche all'aperto, sono svolti esclusivamente con posti a sedere preassegnati e a condizione che sia assicurato il rispetto della distanza interpersonale di almeno un metro sia per gli spettatori che non siano abitualmente conviventi, sia per il personale, e l’accesso è consentito esclusivamente ai soggetti muniti di una delle certificazioni verdi Covid-19.
In zona bianca, la capienza consentita non può essere superiore al 50% di quella massima autorizzata all’aperto e al 25% al chiuso nel caso di eventi con un numero di spettatori superiore rispettivamente a 5.000 all’aperto e 2.500 al chiuso.
In zona gialla la capienza consentita non può essere superiore al 50% di quella massima autorizzata e il numero massimo di spettatori non può comunque essere superiore a 2.500 per gli spettacoli all'aperto e a 1.000 per gli spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala. Le attività devono svolgersi nel rispetto di linee guida adottate.
MISURE PER LO SVOGLIMENTO DEGLI EVENTI SPORTIVI: in zona bianca, la capienza consentita per la partecipazione del pubblico sia agli eventi che alle competizioni di livello agonistico non può essere superiore 50% di quella massima autorizzata all’aperto e al 25% al chiuso.
In zona gialla la capienza consentita non può essere superiore al 25% di quella massima autorizzata e, comunque, il numero massimo di spettatori non può essere superiore a 2.500 per gli impianti all'aperto e a 1.000 per gli impianti al chiuso. Le attività devono svolgersi nel rispetto delle linee guida adottate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri - Dipartimento per lo sport, sentita la Federazione medico sportiva italiana, sulla base di criteri definiti dal Comitato tecnico-scientifico
SANZIONI: i titolari o i gestori dei servizi e delle attività autorizzati previa esibizione del Green Pass saranno tenuti a verificare che l’accesso ai servizi avvenga nel rispetto delle prescrizioni. In ipotesi di violazione è prevista la sanzione pecuniaria da €400 a €1.000 sia a carico dell’esercente sia a carico dell’utente. Qualora si verifichi una violazione per tre volte in tre giorni diversi, potrebbe essere disposta la chiusura dell’esercizio per un periodo che varia da 1 a 10 giorni.
DISCOTECHE: si dispone la chiusura delle discoteche e l’istituzione di un fondo per i ristori alle sale da ballo.
TAMPONI A PREZZO RIDOTTO: il Commissario straordinario per l’attuazione e il coordinamento delle misure di contenimento e contrasto dell’emergenza epidemiologica Covid-19 definisce d’intesa con il Ministro della salute un protocollo d’intesa con le farmacie e con le altre strutture sanitarie al fine di assicurare fino al 30 settembre 2021 la somministrazione di test antigenici rapidi a prezzi contenuti che tengano conto dei costi di acquisto.
Responsabilità degli enti ex D.Lgs 231/2001: nuove Linee Guida di Confindustria
In data 25 giugno 2021 sono state pubblicate le nuove linee guida di Confindustria sulla costruzione dei Modelli di organizzazione, gestione e controllo.
Attraverso tali Linee Guida si vuole offrire alle imprese, che abbiano scelto di adottare un modello di organizzazione e gestione, una serie di indicazioni e misure tratte dalla pratica aziendale ritenute in astratto idonee a rispondere alle esigenze delineate nel decreto 231/2001.
L’obiettivo, infatti, è quello di orientare le imprese nella realizzazione concreta dei modelli organizzativi
Si fa presente, in ogni caso, che fermo restando il ruolo fondamentale delle Linee Guida, la conformità in astratto del modello a tali indicazioni, nonché il giudizio sull’efficace attuazione del modello sono temi sempre rimessi alla libera valutazione del Giudice, il quale effettuerà un giudizio sulla conformità e adeguatezza del modello adottato rispetto all’obiettivo di prevenzione dei reati.
Sequestro probatorio e acquisizione illecita di dati informatici
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 24885/21 ha affermato che, in materia di illeciti tributari, in fase di verifica fiscale volta all’accertamento delle imposte, la Guardia di Finanza può procedere ad ispezioni documentali, verificazioni e ricerche e ad ogni altra rilevazione ritenuta utile e i risultati degli accessi possono sempre essere utilizzati come notitia criminis, a prescindere dalla regolarità formale della loro acquisizione, in quanto a tali attività non è applicabile la disciplina prevista dal codice di rito per l’operato della polizia giudiziaria.
Permane, invece, l’obbligo di rispettare le garanzie del codice di procedura penale qualora sorgano indizi per attribuire rilevanza penale al fatto.
Appropriazione indebita e rifiuto di restituire una somma di denaro
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 23783/21 in tema di appropriazione indebita ha affermato che la condotta dell’agente che si rifiuti di restituire una somma di denaro, per la quale, al momento della consegna, non era stata pattuita con il proprietario una destinazione specifica non integra il delitto di appropriazione indebita, ma solo un inadempimento civilistico. Il bene, infatti, entrando nel patrimonio dell’accipiens, diventa di sua proprietà e non integra una interversione del possesso necessaria per la configurazione del reato.
Rapina impropria
Con la sentenza n. 23779 depositata il 16 giugno 2021, la Corte di Cassazione si è soffermata sulla responsabilità di un soggetto il quale, dopo aver introdotto banconote da €50 false in una macchina cambiamonete, avrebbe usato violenza contro il titolare della tabaccheria per assicurarsi il profitto della propria condotta.
La Corte enuncia il principio secondo il quale il presupposto del reato di rapina impropria di cui all’art. 628 c. 2 c.p. non deve necessariamente essere un reato di furto a cui segue la violenza o la minaccia per assicurarsi il possesso del bene o l’impunità. Il presupposto della rapina impropria può essere costituito da qualsiasi reato nel quale vi sia stata una sottrazione della cosa da parte dell’autore del reato. Tale sottrazione viene intesa come qualsiasi atto in base al quale la cosa sia passata dalla vittima all’autore del reato, rientrandovi dunque anche il reato di truffa posto in essere dagli imputati nel caso sottoposto alla Suprema Corte.
Violenza sessuale aggravata dall’uso di sostanze alcoliche
Con la sentenza n. 24865/2021 la Corte di Cassazione ha affermato che, in tema di violenza sessuale di gruppo aggravata dall’essere avvenuta mediante uso di sostanze alcoliche ex art. 609 tern. 2 c.p., ai fini del riconoscimento dell’aggravante, occorre accertare che tutti i correi siano consapevoli di una precedente somministrazione di bevande alcoliche alla persona offesa da parte anche di uno solo dei soggetti attivi.
La Corte ha chiarito come, dal semplice stato di incoscienza della vittima, anche se riconducibile chiaramente al consumo di alcolici, non può desumersi prova della costrizione o agevolazione di assunzione di tali sostanze da parte dei correi al fine di realizzare atti sessuali e, dunque, del consapevole approfittamento della precedente costrizione o agevolazione alla assunzione di alcolici da parte di coloro che a tale frazione della condotta non parteciparono.
Abuso d’ufficio e insindacabilità tecnica
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 14214 si è pronunciata in merito al reato di abuso d’ufficio, come riformulato dal D. lgs 76/2020 con il quale sono stati depenalizzati gli atti amministrativi connotati da margini di discrezionalità tecnica.
Da ciò è derivata una diminuzione dell’ambito di applicazione della fattispecie in questione poiché la condotta del pubblico funzionario deve essere connotata dalla violazione di norme cogenti per l’azione amministrativa fissate solo da norme di fonte primaria e delineate in termini puntuali.
La Corte ha precisato, pertanto, che gli atti amministrativi connotati da un margine di discrezionalità tecnica sono esclusi dalla sfera penalmente rilevante poiché “nella discrezionalità tecnica la scelta dell’amministrazione si compie attraverso un complesso giudizio valutativo condotto alla stregua di regole tecniche”.
Ne consegue che l’incoerenza del giudizio valutativo rispetto alla regola tecnica che vi è alla base non può più integrare la fattispecie tipica, eccezion fatta per il caso in cui la regola tecnica non sia trasfusa in una regola di comportamento rigida.
Esempio tipico riportato anche all’interno della sentenza è proprio quello dei giudizi delle commissioni sul merito della produzione scientifica di un candidato.
Indebito utilizzo delle carte di credito e di pagamento: il ruolo del consenso
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 18609 si è pronunciata in merito all’indebito utilizzo delle carte di credito e di pagamento.
Nello specifico, si è chiarito che il contenuto dell’art. 493-ter c.p., volto a disciplinare l’indebito utilizzo e la falsificazione di carte di credito e di pagamento, ha l’obiettivo di tutelare non solo il patrimonio personale del soggetto ma anche gli interessi pubblici alla sicurezza delle transazioni commerciali.
La pronuncia in oggetto ha chiarito altresì che la norma presidia “il regolare e sicuro svolgimento dell’attività finanziaria attraverso mezzi sostitutivi del contante, ormai penetrati nel tessuto economico”.
Di conseguenza, la Corte ritiene che le condotte represse dalla norma in questione assumano una dimensione lesiva che trascende il mero patrimonio individuale per estendersi a concetti più ampi quali l’ordine pubblico o economico o, persino, la fede pubblica.
Viene precisato, infine, che anche qualora l’uso dello strumento di pagamento da parte di terzi sia stato delegato dal titolare, non opera l’esimente del consenso dell’avente diritto.
Reati tributari e responsabilità del liquidatore della società
Secondo quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 20188, risponde dei reati di omesso versamento IVA, almeno a titolo di dolo eventuale, il soggetto che subentrando ad altri nella carica di amministratore e di liquidatore di una società di capitali, in un momento successivo rispetto alla presentazione della dichiarazione di imposta, ma prima della scadenza del termine previsto per il versamento, ometta di versare all’Erario le somme dovute.
Attraverso tale condotta, infatti, lo stesso si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare dalle pregresse inadempienze.
Truffa aggravata nel caso di vittima anziana
Con la sentenza n. 20766 la Corte di Cassazione ha confermato la colpevolezza di due donne per il reato di truffa aggravata per avere approfittato dell’età avanzata della vittima.
La Cassazione sottolinea come l’età avanzata della persona offesa non rappresenti una presunzione assoluta di minorata difesa semplicemente per la ridotta capacità di resistenza della vittima.
Tuttavia, in tutti quei reati che implicano un impatto sia sulla sfera psichica che su quella fisica del soggetto passivo e la cui buona riuscita dipenda anche dalla maggiore o minore difficoltà di reazione all’offesa della vittima, deve ritenersi sussistente la dimostrazione quantomeno dell’agevolazione del fatto derivata dall’età avanzata della vittima.
La possibilità, infatti, che la stessa impedisca la commissione del fatto ai suoi danni è indubbiamente ostacolata dall’inibizione delle capacità motorie e dall’offuscamento dei sensi dovuto all’età.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge n. 65 del 18 maggio 2021 che introduce nuove misure urgenti relative all’emergenza epidemiologica da Covid - 19.
Le disposizioni contenute nel presente decreto sono entrate in vigore dal 19 maggio 2021.
Di seguito si indicano le principali novità introdotte per le riaperture all’interno delle Regioni in zona gialla.
COPRIFUOCO: è disposta la modifica dell’orario previsto per il coprifuoco:
- dal 19 maggio 2021 è fissato alle 23;
- dal 7 giugno 2021 è fissato alle 24;
- dal 21 giugno sarà completamente abolito.
RISTORAZIONE AL CHIUSO: dall’1 giugno 2021 sarà possibile consumare cibi e bevande anche all’interno dei locali fino all’orario di chiusura dettato dal coprifuoco.
ATTIVITÀ COMMERCIALI: dal 22 maggio 2021 gli esercizi commerciali presenti in mercati, centri commerciali, gallerie e parchi commerciali potranno restare aperti anche nei giorni festivi e prefestivi.
PALESTRE, PISCINE E CENTRI BENESSERE: dal 24 maggio 2021 le palestre potranno riprendere l’attività.
Dall’1 luglio 2021 è disposta, altresì, la riapertura di piscine al chiuso, centri natatori e centri benessere, sempre nel rispetto di linee guida e protocolli.
EVENTI SPORTIVI: dall’1 giugno 2021 all’aperto e dal 1 luglio al chiuso sarà consentita la presenza del pubblico a competizioni o eventi sportivi, esclusivamente con posti a sedere preassegnati. E’ disposto il rispetto del 25% della capienza massima, con il limite di 1000 persone all’aperto e 500 al chiuso.
IMPIANTI SCIISTICI: dal 22 maggio 2021 sarà possibile riaprire impianti di risalita in montagna, sempre nel rispetto di linee guida e protocolli.
ATTIVITÀ DI SALE GIOCHI E SCOMMESSE: dall’1 luglio 2021 è disposta la riapertura al pubblico di sale giochi, sale scommesse, sale bingo e casinò.
PARCHI TEMATICI: dal 15 giugno 2021 potranno riaprire i parchi tematici e di divertimento.
CENTRI CULTURALI: dal 1 luglio 2021 potranno riprendere tutte le attività di centri culturali, sociali e ricreativi.
RICEVIMENTI: dal 15 giugno 2021 sarà possibile riunirsi, anche al chiuso, per lo svolgimento di feste e ricevimenti successivi a cerimonie civili o religiose, solo ed esclusivamente se in presenza di certificazione verde.
Restano sospese le attività di discoteche e locali simili, sia all’aperto che al chiuso.
CORSI DI FORMAZIONE: dall’1 luglio 2021 potranno riprendere corsi di formazione in presenza.
Vengono modificate, altresì, le soglie per l’ingresso nelle diverse fasce di colore in base all’incidenza di contagi.
ZONA ROSSA: vi rientreranno tutte le Regioni nei cui territori l’incidenza settimanale di contagi è: i) pari o superiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti; ii) pari o superiore a 150 casi ogni 100.000 abitanti con un tasso di occupazione dei posti letto per i pazienti Covid superiore al 40% in area medica e contemporaneamente superiore al 30% in terapia intensiva.
ZONA ARANCIONE: vi rientreranno tutte le Regioni nei cui territori l’incidenza settimanale di contagi è pari o superiore a 150 casi e inferiore a 250 ogni 100.000 abitanti salvo che siano superati i limiti di occupazione dei posti letto ospedalieri di cui alla zona rossa.
ZONA GIALLA: vi rientreranno tutte le Regioni nei cui territori l’incidenza settimanale di contagi è: i) pari o superiore a 50 casi e inferiore a 150 casi ogni 100.000 abitanti; ii) pari o superiore a 150 casi ma inferiore a 250 casi ogni 100.000 abitanti e il tasso di occupazione dei posti letto per i pazienti Covid è pari o inferiore al 30% in area medica o pari o inferiore al 20% in terapia intensiva;
ZONA BIANCA: vi rientreranno tutte le Regioni nei cui territori l’incidenza settimanale di contagi è inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti per tre settimane consecutive.
Imputato infermo di mente nei reati punibili con l’ergastolo e possibilità di accedere al giudizio abbreviato
Il Tribunale di Rimini ha affermato che non è manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 438, comma 1-bis, c.p.p., introdotto dalla legge 12 aprile 2019, n. 33, nella parte in cui non consente all’imputato infermo di mente, accertato come tale da una perizia eseguita in sede di incidente probatorio, di accedere al giudizio abbreviato per un reato punito con la pena dell’ergastolo. Anzi, precludere l’accesso al rito abbreviato ad un imputato riconosciuto incapace di intendere e di volere sembra collidere con i principi costituzionali di ragionevolezza ed efficienza del processo penale, entrambi affermati in plurime occasioni dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale stessa.
Pubblicazione su Youtube di video di pratiche pericolose e responsabilità per la morte di terzi
Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Milano ha emesso decreto di archiviazione nei confronti di due soggetti indagati per il reato di istigazione o aiuto al suicidio di cui all’art. 580 c.p. per aver caricato su Youtube video di pratiche estremamente pericolose (tra cui la sfida del c.d. “black out” che prevede di soffocarsi per un breve intervallo di tempo) a seguito della cui emulazione un ragazzo di 14 anni perdeva la vita.
Il GIP ha escluso la configurabilità del reato affermando come non solo non fosse mai stato manifestato in precedenza dal ragazzo alcun proposito suicidario, ma la stessa azione posta in essere non fosse in alcun modo finalizzata all’effettiva concretizzazione di tale atto.
Con il provvedimento in parola il Giudice ha inoltre negato che, in generale, la condotta delle persone sottoposte ad indagini potesse essere idonea a far sorgere, rafforzare o agevolare un proposito suicidario nella indistinta platea di utenti della rete internet, potenziali destinatari del video.
Secondo la pronuncia, infatti, i soggetti autori della pubblicazione avrebbero spiegato con estrema chiarezza la natura estremamente rischiosa delle condotte descritte proprio al fine di evidenziare, ammonire e rendere accorti gli utenti in merito alle conseguenze pregiudizievoli che, verosimilmente, avrebbero potuto subire qualora avessero emulato i comportamenti riprodotti nel filmato.
Ergastolo ostativo e incompatibilità con gli artt. 3 e 27 della Costituzione
La Corte Costituzionale ha esaminato la questione di legittimità sollevata dalla sez. III della Corte di Cassazione in merito alla vigente disciplina dell’ergastolo ostativo che preclude in maniera assoluta a coloro che abbiano commesso gravi reati di mafia e del contesto mafioso e che non abbiano collaborato con la giustizia la possibilità di accedere alla liberazione condizionale, anche quando risulti sicuro il loro ravvedimento.
Con l’ordinanza del 15 aprile 2021 la Corte ha riconosciuto come tale disciplina sia fortemente in contrasto con gli artt. 3 e 27 della Costituzione – che tutelano l’uguaglianza, la pari dignità sociale e che vietano trattamenti sanzionatori contrari al senso di umanità, favorendo la rieducazione del condannato – e con l’art 3 della CEDU – che proibisce la tortura e il trattamento disumano o degradante.
I Giudici hanno, pertanto, stabilito di concedere al legislatore termine fino al maggio 2022 affinché proceda entro quella data ad una revisione organica e complessiva della disciplina nel rispetto dei principi costituzionali ed europei.
Residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (rems) e salute mentale dell’imputato
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 69/2021 ha ritenuto infondata la questione di legittimità sollevata dal Tribunale Ordinario di Cosenza in relazione all’art. 300 c.p.p. nella parte in cui, in caso di proscioglimento dell’imputato non imputabile perché incapace di intendere e di volere che si trovi in stato di custodia cautelare, subordina l’applicazione provvisoria della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario alla previa richiesta del Pubblico Ministero.
Nello specifico, il ricorrente aveva lamentato il fatto che, poiché la misura di sicurezza del ricovero in una REMS ha contenuto essenzialmente terapeutico, condizionarne l’applicabilità alla richiesta del Pubblico Ministero avrebbe costituito una violazione del diritto alla cura e alla salute dell’imputato affetto da grave infermità mentale.
La Corte, pur confermando che durante il ricovero debba essere assicurata ogni più opportuna terapia al fine di fornire un’adeguata cura al soggetto sottoposto a misura, ha ritenuto legittima la disposizione di cui all’art. 300, comma 2 c.p.p., riconducendone la ratio al contenimento della pericolosità sociale dell’internato.
La legge Severino e la sospensione automatica dalla carica regionale per i condannati in via non definitiva: legittimità dell’ art. 8 d.lgs. 235/2012
Con la sentenza n. 35 dell’11 marzo 2021 la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 8, comma 1, lettera a della legge Severino sollevate dal Tribunale di Genova chiamato a decidere dell’impugnazione del provvedimento di sospensione dalla carica emesso nei confronti di un consigliere regionale condannato in primo grado per peculato.
Nello specifico, secondo il rimettente, la norma censurata sarebbe connotata da un rigido automatismo applicativo che fa seguire la sospensione dalla carica regionale alla condanna non definitiva per reati di particolare gravità o commessi contro la pubblica amministrazione senza considerare l’esigenza di una connessione concreta tra i fatti accertati e la carica esercitata. A parere del Tribunale di Genova, infatti, la sospensione di cui all’art. 8 della legge Severino opererebbe su una presunzione legale assoluta di pericolosità, in contrasto tanto con i principi costituzionali, quanto con l’art. 3 Prot. addiz. Cedu dal quale discende l’esistenza di un diritto fondamentale di elettorato attivo e passivo.
La Corte, nel dichiarare infondate le questioni, ha richiamato la giurisprudenza consolidata della Corte Edu secondo la quale i legislatori nazionali godono di un ampio margine di apprezzamento nella disciplina dell’elettorato passivo, in particolar modo quando le disposizioni in materia di incandidabilità siano necessarie a garantire la stabilità e l’effettività del sistema democratico.
In questo senso, hanno affermato i Giudici, la norma in parola, prevedendo la sospensione in via automatica dalla carica a seguito della condanna per reati contro la Pubblica Amministrazione, vuole non solo mantenere intatti i requisiti di onorabilità degli eletti, ma garantire anche l’integrità del processo democratico, nonché la tutela e la trasparenza dell’immagine dell’amministrazione.
La previsione, pertanto, secondo quanto stabilito dai Giudici, non risulta in contrasto con l’art. 3 del Protocollo CEDU solo perché priva i giudici nazionali del potere di decidere se applicare o meno la sospensione in ragione delle circostanze concrete del caso di specie. In accordo alla giurisprudenza di Strasburgo, gli stati contraenti, infatti, possono scegliere se affidare al giudice la valutazione sulla proporzionalità della misura nel corso del giudizio o se incorporarla nel testo di legge. Di fatto, il legislatore italiano ha adottato tale seconda soluzione, optando a priori per l’applicabilità automatica della sospensione e, in questo modo, effettuando un bilanciamento preventivo degli interessi in gioco, senza alcuna violazione dei principi costituzionali e della Corte Edu.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Decreto Legge n. 96 contenente misure urgenti per la graduale ripresa delle attività economiche e sociali.
Il Decreto rimarrà in vigore dal 26 aprile 2021 fino al 31 luglio 2021.
Di seguito le principali novità.
PROROGA DELLO STATO DI EMERGENZA: si dispone la proroga dello stato di emergenza fino al 31 luglio 2021.
CERTIFICAZIONI: sono introdotte, sull’intero territorio nazionale, le “certificazioni verdi Covid-19” volte a comprovare lo stato di avvenuta vaccinazione da SARS-CoV-2, la guarigione dall’infezione o l’effettuazione di un test molecolare o antigenico rapido con risultato negativo nelle 48 ore precedenti.
Nel caso di certificazione di vaccinazione o di avvenuta guarigione la validità sarà di sei mesi.
Eventuali certificazioni rilasciate da Stati membri dell’UE saranno considerate equivalenti.
ZONE GIALLE: si dispone la reintroduzione delle zone gialle con le relative disposizioni.
SPOSTAMENTI: dal 26 aprile 2021 saranno consentiti gli spostamenti tra Regioni diverse solo se appartenenti alle zone gialle o bianche.
Sarà consentito spostarsi anche tra Regioni o Province autonome in zona arancione o rossa solo a coloro che saranno muniti di certificazione verde.
Dal 26 aprile al 15 giugno 2021, nella zona gialla, sarà consentito lo spostamento verso una sola abitazione privata abitata una volta al giorno, dalle 5 alle 22, a quattro persone oltre a quelle già conviventi nell’abitazione di destinazione. Le persone che si spostano potranno portare con sé i minorenni sui quali esercitino la responsabilità genitoriale e le persone con disabilità o non autosufficienti conviventi.
Lo stesso spostamento, con uguali limiti orari e nel numero di persone, sarà consentito in zona arancione all’interno dello stesso comune. Non saranno invece consentiti spostamenti verso altre abitazioni private abitate nella zona rossa.
SCUOLA E UNIVERSITÀ: nelle zone gialle e arancioni, fino alla conclusione dell’anno scolastico 2020-2021 sarà assicurato lo svolgimento dell’attività didattica in presenza per almeno il 50% degli alunni della scuola primaria e di quella secondaria di primo grado e per quelli della scuola secondaria di secondo grado.
Nella zona rossa, l'attività didattica in presenza sarà garantita fino a un massimo del 75% degli studenti. Nelle zone gialla e arancione, l’attività in presenza sarà garantita ad almeno il 70% degli studenti, fino al 10%.
Nelle zone gialle e arancioni le attività delle Università si svolgeranno prioritariamente in presenza.
RISTORAZIONE: dal 26 aprile 2021 nelle zone gialle saranno consentite le attività di ristorazione con consumo al tavolo esclusivamente all’aperto, sia a pranzo che a cena. Dal 1 giugno 2021, nella zona gialla, le attività? dei servizi di ristorazione, svolte da qualsiasi esercizio, sono consentite anche al chiuso, con consumo al tavolo, dalle ore 5:00 fino alle ore 18:00.
SPETTACOLI: in zona gialla gli spettacoli aperti al pubblico nei teatri, cinema, sale da concerto, live-club e in altri locali o spazi anche all’aperto potranno svolgersi esclusivamente con posti a sedere preassegnati e a condizione che sia assicurato il rispetto della distanza di almeno un metro per tutti gli spettatori.
La capienza consentita non potrà essere superiore al 50% di quella massima autorizzata e il numero massimo di spettatori non potrà comunque essere superiore a 1.000 per gli spettacoli all'aperto e a 500 per gli spettacoli in luoghi chiusi, per ogni singola sala.
COMPETIZIONI ED EVENTI SPORTIVI: dal 1 giugno, in zona gialla, le disposizioni previste per gli spettacoli si applicheranno anche agli eventi e alle competizioni a livello agonistico.
La capienza consentita non potrà essere superiore al 25% di quella massima autorizzata e, comunque, il numero massimo di spettatori non potrà essere superiore a 1.000 per impianti all'aperto e a 500 per impianti al chiuso.
È possibile inoltre, anche prima del 1 giugno, autorizzare lo svolgimento di eventi sportivi di particolare rilevanza.
SPORT DI SQUADRA: dal 26 aprile 2021, in zona gialla, sarà consentito lo svolgimento all’aperto di qualsiasi attività sportiva anche di squadra e di contatto, dal 15 maggio 2021 le attività delle piscine all’aperto, infine, dal 1° giugno le attività delle palestre.
FIERE: dal 15 giugno, in zona gialla, potranno svolgersi in presenza le fiere e dal 1 luglio 2021 convegni e congressi.
CENTRI TERMALI E PARCHI TEMATICI: dal 1 luglio 2021 saranno consentite in zona gialla le attività di centri termali, parchi tematici e di divertimento.
Si comunica la pubblicazione del nuovo Decreto contenente ulteriori disposizioni urgenti per contenere e contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Di seguito si riportano le principali novità che saranno valide dal 7 al 30 aprile 2021.
SPOSTAMENTI: si dispone l’applicazione delle misure stabilite per la zona arancione anche alle zone gialle.
Nelle zone arancioni è prevista la possibilità di uno spostamento giornaliero verso un’altra abitazione privata abitata in ambito comunale.
Si consente, altresì, l’estensione delle misure dettate per la zona rossa in caso di particolare incidenza di contagi (superiore a 250 casi ogni 100mila abitanti nelle aree con circolazione delle varianti) con ordinanza del Ministro della salute e con provvedimento dei Presidenti delle Regioni.
Entro il 30 aprile potranno essere apportate modifiche alle misure adottate, attraverso specifiche deliberazioni del Consiglio dei Ministri.
SCUOLA: è assicurata sull’intero territorio nazionale, indipendentemente dal colore della Regione, lo svolgimento dell’attività didattica in presenza per la scuola dell’infanzia, la scuola primaria e per il primo anno della scuola secondaria di primo grado.
Per i successivi gradi, si conferma lo svolgimento della didattica in presenza dal 50 al 75% nella zona arancione, mentre nella zona rossa rimane la didattica a distanza.
Tali disposizioni non possono essere derogate da provvedimenti dei Presidenti delle Regioni o delle Province autonome.
RESPONSABILITA’ DA SOMMINISTRAZIONE VACCINO: è esclusa la punibilità per i fatti di cui agli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni personali colpose) c.p., laddove la somministrazione sia stata eseguita in conformità con le indicazioni contenute nel provvedimento di immissione in commercio e alle circolari pubblicate dal Ministero della Salute.
OBBLIGHI VACCINALI PER OPERATORI SANITARI: gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono l’attività in strutture sanitarie e socio assistenziali, pubbliche o private, farmacie, parafarmacie e studi professionali sono obbligati a sottoporsi alla vaccinazione gratuita.
L’aver effettuato la vaccinazione costituisce un requisito essenziale per l’esercizio della professione e può essere omessa solo in caso di accertato pericolo per la salute.
Nel caso di inadempimento a tale obbligo, il datore di lavoro assegna il lavoratore ad una mansione anche inferiore, con trattamento equivalente alle mansioni esercitate, e che non implichi rischi di diffusione del contagio.
In assenza di possibilità di demansionamento, è prevista la sospensione del lavoratore durante la quale non è dovuta alcuna retribuzione o altro compenso.
La sospensione o il demansionamento rimarranno efficaci fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021.
MISURE PER SVOLGIMENTO CONCORSI PUBBLICI: si dispone che i concorsi pubblici possano svolgersi con modalità semplificate e mediante l’adozione di una sola prova scritta e una orale.
Dal 3 maggio 2021 i concorsi riprenderanno in presenza nel rispetto delle linee guida del comitato tecnico scientifico.
SETTORE GIUSTIZIA: è prevista fino al 31 luglio 2021 la proroga delle misure emergenziali dettate per lo svolgimento dell’attività giudiziaria.
Nel caso di malfunzionamento del portale del processo penale è prevista la rimessione in termini e la possibilità per l’autorità giudiziaria di autorizzare il deposito dei singoli atti e documenti in formato analogico, fino alla riattivazione dei sistemi.
PROVE SCRITTE CONCORSO MAGISTRATURA: è consentito lo svolgimento del concorso per magistrato ordinario indetto con decreto del Ministero della giustizia da adottarsi entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore del presente decreto. La prova scritta consisterà nello svolgimento di sintetici elaborati su due materie, individuate mediante sorteggio.
L’accesso dei candidati sarà subordinato alla presenza di un’autocertificazione con le condizioni previste dalla normativa per prevenire la diffusione dei contagi.
ALTRE MISURE: è disposta la proroga fino al 31 maggio 2021 del termine concernente le misure di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori socialmente utili (LSU), di quelli impegnati in attività di pubblica utilità (LPU) e i contratti a tempo determinato degli LSU e LPU con oneri a carico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Si riscontra, infine, la proroga dal 30 aprile al 15 giugno della scadenza entro la quale il Presidente del Consiglio dei Ministri deve assegnare alle Regioni interessate il termine per adottare i provvedimenti per il riequilibrio finanziario.
Mancata attivazione della videoconferenza con il detenuto
Con la sentenza n. 2213 la Cassazione Penale ha affermato che durante il periodo emergenziale, deve essere garantita, mediante collegamenti da remoto, la partecipazione a qualsiasi tipo di udienza delle persone detenute o in stato di custodia cautelare.
Il caso di mancata attivazione della videoconferenza o di altri mezzi di collegamento è equiparato all’ipotesi di omessa traduzione dell’udienza al detenuto poiché altrettanto lesiva del diritto di partecipazione.
A ciò consegue la nullità assoluta ed insanabile del giudizio e della relativa sentenza, rilevabile d’ufficio ad ogni stato e grado del procedimento.
Risarcimento del danno e nuove tabelle milanesi
Si comunica l’aggiornamento delle tabelle milanesi per la liquidazione del danno biologico.
Dal 2021 l’aggiornamento non considera soltanto le rivalutazioni Istat, ma, in base alle recenti decisioni della Cassazione, è necessario che le singole tabelle indichino, altresì, gli addendi monetari delle voci che compongono il danno non patrimoniale.
Altra novità del 2021 è la modifica della denominazione del tradizionale danno non patrimoniale. Infatti, il danno biologico è diventato “danno dinamico relazionale” e il danno morale “danno da sofferenza soggettiva interiore”.
Sono state individuate anche quattro ipotesi di danno al diritto all’autodeterminazione:
- danno all’autodeterminazione di lieve entità: liquidazione da € 1000 a € 4000;
- danno all’autodeterminazione di media entità: liquidazione da € 4001 a € 9000;
- danno all’autodeterminazione di grave entità: liquidazione da € 9001 a € 20.000;
- danno all’autodeterminazione di eccezionale entità: liquidazione oltre € 20.000.
Infine, tra gli allegati delle tabelle 2021 si invita il C.T.U. ad offrire al giudice “tutti gli elementi utili per accertare non solo l’entità del danno biologico/dinamico relazionale temporaneo e permanente, ma anche il grado di sofferenza c.d. “menomazione correlata”.
Garante privacy contro il revenge porn
Si comunica che, a partire dall’8 marzo 2021, le persone maggiorenni che temono che le proprie immagini intime, presenti in foto e video, possano essere ulteriormente diffuse, avranno l’opportunità di rivolgersi al Garante Privacy, tramite l’apposito sito, al fine di segnalarne l’esistenza in modo sicuro a Facebook e farle bloccare.
Nella pagina a ciò dedicata vi sarà un modulo da compilare per fornire all’Autorità le informazioni utili a valutare il caso e caricare le immagini delle quali si voglia impedire la condivisione.
Una volta caricate, le immagini saranno cifrate da Facebook, tramite un codice “hash” in modo da diventare irriconoscibili prima della distruzione.
Grazie ad una tecnologia di comparazione saranno, poi, bloccate da possibili tentativi di pubblicazione.
Risarcimento danni da lesione del rapporto parentale
La Corte Suprema si è pronunciata in tema di risarcimento da lesione del rapporto parentale.
La giurisprudenza precedente sosteneva che, affinché potesse ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei al ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero o la nuora) fosse necessaria la sussistenza di una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela.
Con l’ordinanza n. 8218/2021, si è affermato che, al fine di ottenere il risarcimento del danno da lesione di rapporto parentale, è necessario da un lato che venga evitato il pericolo di dilatazione ingiustificata dei soggetti danneggiati secondari, dall’altro, però, il dato della mancata convivenza non può costituire un elemento idoneo ad escludere l’esistenza di rapporti costanti e caratterizzati da reciproco affetto e solidarietà con il familiare defunto.
Nel caso specifico, il rapporto tra zio e nipote, seppur non rientrante nelle tradizionali figure parentali, lascia aperta la possibilità di dimostrare la qualità dei rapporti e dei legami parentali che possono qualificarsi per la loro consistente dimensione affettiva, che sarà, pertanto, oggetto di valutazione in concreto.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del Decreto Legge 13 marzo 2021 n. 30 recante ulteriori disposizioni urgenti al fine di contenere la diffusione da Covid-19.
Le nuove disposizioni saranno valide dal 15 marzo al 6 aprile 2021.
CAMBIAMENTO COLORE: si dispone che dal 15 marzo al 2 aprile e nella giornata del 6 aprile 2021 tutte le Regioni i cui territori si collocano in zona gialla passeranno in zona arancione.
Si dispone, altresì, che le misure previste per la zona rossa verranno automaticamente applicate anche a tutte quelle Regioni che dovessero superare i 250 casi ogni 100.000 abitanti.
Nelle giornate pasquali del 3, 4 e 5 aprile 2021 sull’intero territorio nazionale, eccezion fatta per le Regioni che si trovano in zona bianca, si applicheranno le misure previste per la zona rossa.
PROVINCE AUTONOME: dal 15 marzo al 2 aprile i Presidenti delle Regioni e delle Province autonome di Trento e Bolzano potranno disporre l’applicazione delle misure stabilite per la zona rossa nelle Province in cui l’incidenza di contagi è superiore a 250 casi ogni 100.00 abitanti e nelle aree dove la circolazione di varianti è particolarmente elevata.
SPOSTAMENTI: dal 15 marzo al 2 aprile e nella giornata del 6 aprile 2021 nelle Regioni in zona arancione sarà consentito lo spostamento in ambito comunale solo verso un’altra abitazione privata, fra le ore 5:00 e le ore 22:00, nel limite di due persone ulteriori rispetto a quelle ivi già conviventi.
Tale spostamento sarà consentito anche durante le giornate del 3, 4 e 5 aprile 2021.
Per le zone rosse, invece, rimane vietato qualsiasi tipo di spostamento non giustificato da validi motivi di necessità e urgenza e specificato all’interno dell’apposita autocertificazione.
CONGEDI PER GENITORI E BONUS BABY-SITTING: si prevede per i genitori, lavoratori dipendenti con figli conviventi minori di anni 16, la possibilità di svolgere alternativamente la prestazione di lavoro in modalità agile per tutta la durata della sospensione dell’attività scolastica, della quarantena del figlio o della durata di infezione da Covid-19.
Nelle ipotesi in cui la prestazione non possa essere svolta in modalità agile, i genitori, alternativamente, possono astenersi dal lavoro in tutto o in parte per la durata della sospensione dell’attività scolastica, della quarantena del figlio o della durata di infezione da Covid-19.
Per tali periodi di sospensione è prevista un’indennità pari al 50% della retribuzione.
Per i lavoratori iscritti alla gestione sepatara INPS, i lavoratori autonomi e il personale impiegato per le esigenze connesse all’emergenza epidemiologica, con figli minori di 14 anni, è possibile richiedere la corresponsione di uno o più bonus per l’acquisto di servizi di baby-sitting nel massimo di euro 100 settimanali la cui erogazione avverrà mediante il libretto di famiglia.
Il bonus è riconosciuto anche ai lavoratori non iscritti all’INPS purché venga comunicato dalle casse previdenziali il numero di beneficiari.
SANZIONI: la violazione delle disposizioni contenute nel Decreto Legge verrà sanzionata ai sensi dell’art. 4 D.L. n. 19/2020 (con sanzione amministrativa del pagamento di una somma da euro 400 a euro 3.000. Se il mancato rispetto delle seguenti misure dovesse avvenire mediante l'utilizzo di un veicolo le sanzioni saranno aumentate fino a un terzo).
Si comunica la pubblicazione del nuovo D.p.c.m. contenente le misure per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid – 19.
Le disposizioni entreranno in vigore il 6 marzo e rimarranno valide fino al 6 aprile 2021.
Di seguito si elencano le principali novità e le misure confermate.
SPOSTAMENTI RIFERITI ALL’INTERO TERRITORIO NAZIONALE
Rimane fermo il divieto di spostamento su tutto il territorio nazionale fino al 27 marzo, salvo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute. E’ sempre consentito il rientro al proprio domicilio o residenza.
ZONA BIANCA
Alle Regioni che si collocano in uno scenario di tipo 1 e con un livello di rischio basso non si applicano le misure previste per la zona Gialla.
Rimangono comunque in vigore le misure anti contagio e sono sospesi gli eventi che implichino assembramenti in spazi chiusi o all’aperto.
ZONA GIALLA
SPOSTAMENTI: dalle ore 22:00 alle 5:00 del giorno successivo sono consentiti solo gli spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.
E’ fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, non spostarsi dalla propria abitazione.
E’ consentito, nell’ambito regionale e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle conviventi (oltre ai minori di anni 14), lo spostamento una sola volta al giorno verso un’altra abitazione privata, sempre fra le 5:00 e le 22:00.
MUSEI E LUOGHI DI CULTURA: si conferma la possibilità per i musei di aprire nei giorni infrasettimanali, purché sia garantito un afflusso controllato.
A far data dal 27 marzo è prevista l’apertura anche nei giorni festivi e il sabato, purché l’ingresso sia stato prenotato online o telefonicamente con almeno un giorno di anticipo.
SPETTACOLI APERTI AL PUBBLICO: sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto o cinematografiche. A decorrere dal 27 marzo gli spettacoli aperti al pubblico si svolgeranno con posti a sedere preassegnati e distanziati. La capienza consentita non può essere superiore al 25% di quella massima autorizzata e il numero massimo di spettatori non può comunque essere superiore a 400 per spettacoli all’aperto e 200 per spettacoli al chiuso, per ogni singola sala.
ATTIVITA’ MOTORIA E SPORTIVA: è consentito svolgere attività motoria o sportiva all’aperto anche presso aree attrezzate o parchi pubblici sempre nel rispetto della distanza interpersonale di almeno due metri per l’attività sportiva e di un metro per ogni altra attività.
Rimangono comunque sospese le attività di piscine, palestre, centri natatori, centri benessere e termali.
Si mantiene il provvedimento di chiusura dei comprensori sciistici.
SCUOLE: continua a svolgersi in presenza la didattica per gli alunni della scuola dell’infanzia, delle elementari e delle medie. Per le scuole superiori si dispone la didattica in presenza almeno al 50% fino ad un massimo del 75% della popolazione studentesca, la restante parte si avvale della didattica a distanza.
I Presidenti delle Regioni o Province Autonome possono disporre in alcune zone, anche a livello comunale, la sospensione delle attività scolastiche di ogni ordine e grado qualora sia necessario adottare misure stringenti al fine di prevenire il contagio o nei casi in cui l’incidenza cumulativa settimanale di contagi sia superiore a 250 ogni 100.000 abitanti.
Si dispone, altresì, che le Università possano adottare piani di organizzazione a distanza o in presenza in base alle esigenze formative e all’evoluzione del piano pandemico territoriale.
ATTIVITA’ COMMERCIALI: le attività commerciali al dettaglio sono consentite a condizione che sia assicurato l’ingresso in modo dilazionato.
Nelle giornate festive e prefestive sono chiusi gli esercizi commerciali presenti all’interno dei mercati e centri commerciali.
RISTORAZIONE: le attività di ristorazione in presenza sono consentite dalle 5:00 alle 22:00 e il consumo al tavolo è limitato ad un massimo di quattro persone. Dopo le ore 18:00 è vietato il consumo di cibi e bevande nei luoghi aperti al pubblico. Restano sempre consentite la consegna a domicilio, le attività di mense e di catering.
ZONA ARANCIONE
SPOSTAMENTI: fatti salvi i divieti validi fino al 27 marzo, è consentito all’interno del Comune di appartenenza e nei limiti di due persone ulteriori rispetto a quelle conviventi (oltre ai minori di anni 14), lo spostamento verso un’altra abitazione privata, una sola volta al giorno, sempre fra le 5:00 e le 22:00.
Rimangono consentiti gli spostamenti dai Comuni con popolazione non superiore a 5.000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini, con esclusione degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.
MUSEI, SPETTACOLI E LUOGHI DI CULTURA: sono sospese mostre e l’apertura al pubblico dei luoghi di cultura, ad eccezione delle biblioteche e degli archivi, ove i relativi servizi sono offerti su prenotazione, fermo restando il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemica.
RISTORAZIONE: sono sospese le attività di ristorazione, ma restano consentiti la consegna a domicilio e l’asporto fino alle ore 22:00.
ZONA ROSSA
SPOSTAMENTI: sono consentiti solo gli spostamenti in entrata o in uscita dal territorio che siano comprovati da esigenze lavorative o situazioni di necessità. Il transito sui territori è consentito per raggiungere differenti zone non soggette a restrizioni.
ATTIVITA’ MOTORIA E SPORTIVA: è consentito svolgere attività motoria in prossimità della propria abitazione, purché nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona e con l’obbligo di utilizzo di dispositivi di protezione delle vie respiratorie. E’ consentito, altresì, lo svolgimento dell’attività sportiva all’aperto e in forma individuale.
MUSEI, SPETTACOLI E LUOGHI DI CULTURA: sono sospese mostre e l’apertura al pubblico dei luoghi di cultura, ad eccezione delle biblioteche e degli archivi, ove i relativi servizi sono offerti su prenotazione, fermo restando il rispetto delle misure di contenimento dell’emergenza epidemica.
SCUOLE: si dispone lo svolgimento di tutte le attività scolastiche e didattiche delle scuole di ogni ordine e grado con modalità a distanza.
E’ altresì sospesa la frequenza delle attività formative e curricolari delle Università.
ATTIVITA’ COMMERCIALI: sono sospese le attività commerciali al dettaglio fatta eccezione per le attività di vendita di beni alimentari e di prima necessità. Restano aperte le edicole, i tabaccai, le farmacie e le parafarmacie.
RISTORAZIONE: sono sospese le attività di ristorazione in presenza, ma restano consentiti la consegna a domicilio e l’asporto fino alle ore 22:00.
ATTIVITA’ INERENTI LA PERSONA: si dispone la chiusura di centri estetici, barbieri e parrucchieri.
ORDINANZA REGIONE LOMBARDIA N. 714 – ZONA ARANCIONE RAFFORZATA
Si comunica, altresì, che in data 4 marzo 2021 è stata firmata l’ordinanza della Regione Lombardia che dispone l’ingresso della Regione nella zona arancione c.d. “rafforzata”.
A partire dal 5 marzo 2021, fino al 14 marzo 2021, è sospesa la didattica in presenza per tutte le scuole di ogni ordine e grado, eccezion fatta per gli asili nido, e non è consentito recarsi presso abitazioni private diverse da quella principale (c.d. seconde case), salvo per comprovate e gravi situazioni di necessità.
L’accesso alle attività commerciali al dettaglio è limitato ad un solo componente del nucleo familiare, fatta eccezione per la necessità di recare con sé minori, disabili o anziani.
Infine, è vietato l’utilizzo di aree attrezzate per gioco o sport all’interno di parchi, ville o giardini pubblici.
Truffe romantiche
La Cassazione con la sentenza n. 5432/2021 depositata l’11 febbraio ha sancito la responsabilità penale dell’imputata che, fingendosi single, nonostante fosse sposata e con prole, è riuscita ad allacciare un legame con un uomo, traendone denaro e regali.
L’inganno sentimentale, caratteristica di questa nuova fattispecie di truffa, diventa rilevante nel momento in cui induce in errore il soggetto passivo.
Si è affermato che sia gli artifizi che i raggiri sono giudicati idonei a determinare l’inganno tutte le volte in cui hanno determinato l’evento del reato (disposizione patrimoniale). Si è evidenziato, infatti, come la truffa nasca come una fattispecie posta a tutela del patrimonio e, solo in seconda istanza, come presidio per la libertà di autodeterminazione della persona. Per questo motivo, se viene meno l’elemento della diminuzione fraudolenta del patrimonio, diventa complesso far rientrare le condotte nella categoria di truffa sentimentale pura e semplice.
Si esclude, infine, che, ai fini della rilevanza penale, possa rilevare la mancata diligenza della vittima.
Accertamento dello stato di ebbrezza o di alterazione da sostanze stupefacenti mediante il prelievo ematico
La Cassazione con due sentenze (31058/20 e 32191/20) si è pronunciata in merito all’accertamento dello stato di ebbrezza o di alterazione da sostanze stupefacenti mediante il prelievo ematico.
Ha affermato come incomba sugli organi di polizia giudiziaria e sui sanitari l’obbligo di avviso al conducente della facoltà di farsi assistere dal difensore prima di procedere al prelievo ematico.
Tale obbligo vale anche nel momento in cui il prelievo sia frutto di una scelta autonoma dei sanitari determinata da esigenze di cura e di diagnosi, qualora venga richiesta dalla polizia giudiziaria un ulteriore accertamento al fine di accertare l’effettivo tasso alcolemico o di alterazione da sostanze stupefacenti.
Non sussiste, però, alcun obbligo di avviso nel caso in cui la polizia giudiziaria, senza aver effettuato alcuna richiesta ai sanitari, si limiti solo ad acquisire la documentazione di analisi.
Prescrizione e disciplina emergenziale
Le Sezioni Unite con la sentenza n. 5292, depositata il 10 febbraio, si sono pronunciate sulla questione inerente la sospensione della prescrizione di cui all’art. 83 comma 3-bis d.l. n.18 del 2020.
Hanno affermato come l’articolo operi con riferimento ai soli procedimenti che, tra quelli pendenti innanzi la Cassazione, siano pervenuti alla cancelleria della stessa nel periodo tra il 9 marzo e il 30 giugno 2020 e a tutti quei procedimenti pendenti in quel periodo, anche se non pervenuti alla cancelleria in quelle date.
Deposito telematico atti penali
Si comunica la pubblicazione in data 25.02.2021 del provvedimento del Direttore Generale dei Sistemi Informativi Automatizzati del Ministero della Giustizia in cui si specificano le disposizioni sul deposito telematico degli atti.
L’atto del procedimento da depositare telematicamente deve essere in PDF, formato A4, ottenuto tramite la trasformazione di un documento testuale poiché non è ammessa la scansione di immagini e obbligatoriamente firmato digitalmente (CAdes o PAdes).
Si richiede il rispetto di tali formalità anche per gli eventuali allegati.
Contestualmente al deposito della nomina deve essere allegato un “atto abilitante” qualora il procedimento sia in fase di indagini e non sia ancora stato emesso o non sia previsto uno degli avvisi di cui agli artt. 408, 411 o 415 bis c.p.p.
Il difensore potrà verificare lo stato del deposito accedendo direttamente al PDP.
Emergenza Covid-19
Si segnala che, a partire da lunedì 1 marzo 2021, la Lombardia entrerà in zona arancione.
Si attende, nelle prossime ore, la firma dell’ordinanza da parte del Ministro della Salute.
CEDU e il rapporto tra cliente e avvocato
Con la sentenza pronunciata il 17 dicembre 2020, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha sancito l’inviolabilità delle conversazioni tra avvocato e cliente, a garanzia del diritto di difesa. La stessa ha affermato come le perquisizioni e i sequestri dei dispositivi informatici possano comportare la lesione del diritto in parola. Nell’ambito di tali strumenti di ricerca della prova, il diritto interno deve tutelare il cittadino da interferenze arbitrarie. E ciò, in particolar modo, con riferimento alla possibilità che, disposto il sequestro dello smartphone dell’indagato, gli inquirenti possano accedere alle conversazioni tra lo stesso e il suo difensore.
Secondo la Corte EDU, “Tanto la perquisizione quanto il sequestro rappresentano una seria interferenza con la vita privata, la casa e la corrispondenza e devono, pertanto, basarsi su una legge particolarmente precisa. E’ essenziale disporre di regole chiare e dettagliate sull’argomento”.
La Corte di Strasburgo ha evidenziato, altresì, come “il segreto professionale sia alla base del rapporto di fiducia esistente tra avvocato e cliente e che la tutela del segreto professionale è il corollario del diritto del cliente di un avvocato di non autoincriminarsi”.
Responsabilità del conducente per morte del minore senza cintura
La sentenza n. 32864/2020 della Corte di Cassazione ha sancito che, come dettato dall’art. 172 C.d.S., i minori di statura inferiore a 1,50 m devono essere collocati su un sistema di ritenuta, omologato secondo le normative specifiche stabilite dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.
La violazione di queste cautele, cui consegua la morte del minore, comporta la responsabilità a titolo di omicidio colposo del conducente, non rilevando comportamenti del minore volti a disinserire i dispositivi di sicurezza, poiché “l’obbligo del rispetto delle adozioni delle cautele imposte dalla legge al momento della intrapresa marcia, permane in termini di vigilanza, anche nel corso del tragitto”.
Ingiurie rivolte alla persona offesa e atti persecutori
In materia di atti persecutori si segnala la sentenza n. 1172/2021 pronunciata dalla V sezione della Corte di Cassazione, in cui si afferma che, pur non integrando autonoma ipotesi di reato, sono annoverabili nella categoria degli atti persecutori di cui all’art. 612 bis c.p. le ingiurie pronunciate in luoghi pubblici o alla presenza di terzi, qualora assumano una consistenza, ripetitività ed incidenza tali da avere una connotazione molesta e da integrare uno degli eventi tipici del reato.
Decreto 13 gennaio 2021
Il decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale in data 21 gennaio 2021 e destinato ad entrare in vigore il 5 febbraio 2021 amplia il novero degli atti penali per i quali è obbligatorio procedere al deposito telematico fino alla fine dell’emergenza sanitaria, attualmente fissata al 30 aprile 2021.
Oltre agli atti già previsti dal D.L. 137/2020 (c.d. Decreto Ristori) ovvero memorie e istanze ex art. 415 bis, comma 3, c.p.p. il cui deposito deve avvenire esclusivamente attraverso il Portale deposito atti penali (PDP) sono aggiunti i seguenti atti: l’opposizione alla richiesta di archiviazione; le denunce e querele dei privati (con relative procure speciali); le nomine, le rinunce e le revoche dei difensori di fiducia.
Per tutti gli atti appena indicati, disciplinati anche dall’art. 24 commi 1 e 2 D.L. 137/2020, il deposito telematico è previsto obbligatoriamente, mentre il comma 4 del medesimo art. prevede che “per tutti gli altri atti, documenti e istanze comunque denominati diversi da quelli indicati nei commi 1 e 2, è consentito il loro deposito mediante l’invio dall’indirizzo PEC del difensore inserito nel Registro generale degli indirizzi di posta elettronica certificata”.
Costituzione di parte civile nei confronti dell’ente “imputato” ex D.Lgs. 231/01
Con ordinanza del 29 gennaio 2021, il Tribunale di Lecce, sezione II penale, ha ritenuto ammissibile la costituzione di parte civile nei confronti di una società “imputata” ex D.Lgs. 231/2001.
Sul tema della costituzione di parte civile nei confronti dell’ente si sono da sempre schierati due filoni dottrinali e giurisprudenziali diametralmente opposti.
Il Tribunale di Lecce ha aderito all’impostazione che ammette la possibilità per il danneggiato di avanzare la propria pretesa risarcitoria direttamente nei confronti dell’ente “imputato”.
Nella parte motiva dell’ordinanza, il Giudice valorizza i seguenti argomenti a sostegno della tesi in parola:
- argomento letterale: il Legislatore non ha vietato la costituzione di parte civile nei confronti dell’ente nel D.Lgs. 231/01;
- argomento storico-interpretativo: nella Relazione illustrativa del Decreto 231 non emerge la volontà del Legislatore di escludere la possibilità che il danneggiato si possa costituire parte civile nei confronti dell’ente “imputato”;
- argomento sistematico: vi è una stretta connessione tra il reato commesso dalla persona fisica e l’interesse o vantaggio dell’ente; peraltro, in diversi articoli il Decreto prevede che l’ente risarcisca il danno.
A fronte di simili argomentazioni, il Tribunale di Lecce ha rigettato le eccezioni difensive in merito all’esclusione della parte civile e ha ammesso la costituzione del danneggiato nei confronti dell’ente “imputato”.
Si tratta, beninteso, di una giurisprudenza di merito che non dirime il contrasto tuttora pendente sul tema.
Si comunica l’approvazione del Decreto Legge 14 gennaio 2021 n. 2, con ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento e prevenzione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Tale Decreto entrerà in vigore il 16 gennaio 2021.
Si comunica, inoltre, che in data 16.01.2021 entrerà in vigore il Dpcm che prorogherà fino al 5 marzo 2021 le disposizioni contenute nei precedenti Dpcm.
Di seguito le principali novità contenute nel Decreto Legge.
PROROGA STATO DI EMERGENZA: è stata deliberata la proroga fino al 30.04.2021 dello stato d’emergenza. E’ prorogato, entro tale data, il termine per poter adottare misure finalizzate alla prevenzione del contagio.
SPOSTAMENTI: si conferma, fino al 15 febbraio 2021, il divieto di spostamento tra Regioni o Province autonome diverse, eccezion fatta per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute. Rimane sempre consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione.
SPOSTAMENTI VERSO ALTRE ABITAZIONI: fino al 5 marzo 2021 è consentito, una sola volta al giorno, in un arco temporale compreso tra le 5.00 e le 22.00, recarsi presso un’altra abitazione privata, al massimo in due persone rispetto a quelle già conviventi nell’abitazione di destinazione.
Sarà comunque sempre consentito portare con sé figli minori di anni 14, persone disabili o non autosufficienti conviventi.
Uno spostamento di tal genere dovrà essere limitato al territorio regionale, in area gialla, mentre a quello comunale in area arancione o rossa.
Rimane in vigore l’eccezione che consente a coloro che abitano in Comuni con popolazione inferiore a 5000 abitanti, di spostarsi per una distanza non superiore a 30 kilometri dai relativi confini, con esclusione degli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.
ZONA BIANCA: è istituita una quarta area. In tale scenario, definito di “tipo 1” o a livello di rischio basso, vi rientreranno tutte quelle zone caratterizzate da un’incidenza di contagi, per tre settimane consecutive, inferiore a 50 casi ogni 100.000 abitanti. In tali zone non si applicheranno le misure restrittive previste dai precedenti Dpcm per le zone rosse, arancioni e gialle e le attività potranno svolgersi secondo specifici protocolli.
PIANO VACCINALE: è comunicata l’istituzione di una piattaforma informativa nazionale idonea ad agevolare la distribuzione delle dosi vaccinali, dei dispositivi e degli altri materiali di supporto alla somministrazione, sull’intero territorio nazionale. La piattaforma opererà in maniera sussidiaria al sistema informativo vaccinale di una regione o di una Provincia autonoma eseguendo le operazioni di prenotazione delle vaccinazioni, di registrazione delle somministrazioni e di certificazione delle stesse. Si attendono ulteriori indicazioni in merito alle modalità di accesso e funzionamento della stessa.
ELEZIONI: è stato disposto che le elezioni suppletive per i seggi della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica si svolgeranno entro il 20 maggio 2021.
Le elezioni dei Comuni già indette per le date del 22 e 23 novembre 2020 che sono state rinviate si svolgeranno entro il 20 maggio 2021. Fino al rinnovo degli organi è prevista la proroga della gestione della commissione straordinaria.
PERMESSI E TITOLI DI SOGGIORNO: è disposto che i permessi e i titoli di soggiorno in scadenza entro il 30 aprile 2021 siano prorogati alla medesima data.
Fa seguito ora un breve riassunto di quelle che sono le principali disposizioni previste in base all’area di appartenenza. Si attende nelle prossime ore la firma dell’ordinanza del Ministero della Salute che ufficializzerà la suddivisione del territorio nazionale in zone rosse, arancioni, gialle e bianche, che dovrebbe entrare in vigore a far data da domenica 17 gennaio 2021. Si attendono anche le ordinanze regionali conseguenti. Il Ministro della Salute Roberto Speranza ha anticipato che la regione Lombardia sarà classificata quale zona rossa.
DISPOSIZIONI COMUNI A TUTTE LE ZONE
COPRIFUOCO: è confermato il divieto di spostamento dalle 22.00 alle 5.00 salvo esigenze lavorative, di necessità o salute.
PISCINE E PALESTRE: sono sospese le attività di palestre, piscine, centri notatori, centri benessere e termali fatta eccezione per l’erogazione di prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza e per attività riabilitative e terapeutiche.
CONCORSI: dal 15 febbraio sarà consentito lo svolgimento di concorsi che prevedano la partecipazione massima di 30 candidati per sessione.
SCI: restano chiusi gli impianti nei comprensori sciistici fino al 15 febbraio. A partire da tale data sarà disposta l’apertura agli sciatori amatoriali solo subordinatamente all’adozione di apposite linee guida validate dal Comitato tecnico-scientifico volte ad evitare assembramenti.
ZONE GIALLE
SPOSTAMENTI: è vietato ogni spostamento in entrata o in uscita tra i territori di diverse Regioni o Province autonome, eccezion fatta per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute. Rimane sempre consentito il rientro alla propria residenza, domicilio o abitazione.
SCUOLA: è disposto lo svolgimento di attività didattica ed educativa in presenza per le scuole superiori almeno al 50% e fino al 75% della popolazione studentesca.
Rimane lo svolgimento della didattica in presenza per le scuole dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione.
RISTORAZIONE: è consentita l’apertura di bar e ristoranti dalle 5 fino alle 18 con la possibilità di consumare al tavolo per un massimo di quattro persone, salvo siano tutti conviventi. Dopo tale orario si potrà effettuare solo servizio da asporto o a domicilio.
Per i bar l’asporto sarà consentito solo fino alle 18.
MUSEI: è consentita l’apertura dei musei dal lunedì al venerdì, con esclusione dei giorni festivi, purché venga garantito il contingentamento degli ingressi al fine di evitare assembramenti.
SPORT: è consentito svolgere attività sportiva o motoria all’aperto anche presso aree attrezzate e parchi pubblici, ove accessibili. Purché nel rispetto delle distanze di sicurezza.
ZONE ARANCIONI
SPOSTAMENTI: è vietato ogni spostamento in entrata o in uscita dai territori rientranti in questa area salvo comprovate esigenze lavorative, motivi di necessità o salute. E’ vietato ogni spostamento con mezzi pubblici o privati verso un Comune diverso da quello di residenza, domicilio o abitazione salvo per le esigenze appena menzionate.
Lo spostamento verso un’altra abitazione privata è consentito, nell’ambito del territorio comunale, tra le 5 e le 22 e nei limiti di due persone oltre ai minori di anni 14 o non autosufficienti conviventi. Sono consentiti gli spostamenti dai comuni con popolazione non superiore a 5000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini. Rimangono esclusi gli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.
SCUOLA: è disposto lo svolgimento di attività didattica ed educativa in presenza per le scuole superiori almeno al 50% e fino al 75% della popolazione studentesca.
Rimane lo svolgimento della didattica in presenza per le scuole dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione.
RISTORAZIONE: sono sospese tutte le attività di ristorazione e rimane sempre consentita l’attività di asporto per i ristoranti fino alle 22, e per i bar fino alle 18, oltre la consegna a domicilio.
MUSEI: è disposta la chiusura dei musei eccezion fatta per le biblioteche che prevedono la prenotazione ai fini dell’accesso e gli archivi.
SPORT: è possibile praticare attività sportiva all’aperto all’interno del proprio Comune osservando le distanze di sicurezza. Non sono consentiti sport di squadra o di contatto.
ZONE ROSSE
SPOSTAMENTI: è vietato ogni spostamento anche all’interno dei Comuni, salvo per spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, di necessità o motivi di salute.
E’ sempre consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza.
Lo spostamento verso un’altra abitazione privata è consentito, nell’ambito del territorio comunale, tra le 5 e le 22 e nei limiti di due persone oltre ai minori di anni 14 o non autosufficienti conviventi. Sono consentiti gli spostamenti dai Comuni con popolazione non superiore a 5000 abitanti e per una distanza non superiore a 30 chilometri dai relativi confini. Rimangono esclusi gli spostamenti verso i capoluoghi di provincia.
SCUOLA: è disposto lo svolgimento dell’attività didattica in presenza per le scuole dell’infanzia, le scuole primarie, i servizi educativi per l’infanzia e il primo anno delle medie. Le altre attività scolastiche e didattiche si svolgeranno esclusivamente con modalità a distanza.
RISTORAZIONE: sono sospese tutte le attività di ristorazione e rimane sempre consentita attività di asporto fino alle 22 per i ristoranti e fino alle 18 per i bar e la consegna a domicilio.
NEGOZI: è disposta la chiusura delle attività commerciali al dettaglio tranne che per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità. E’ disposta la chiusura dei mercati, salvo le attività dirette alla vendita di soli generi alimentari, prodotti agricoli o florovivaistici. Restano aperte le edicole, le farmacie e le parafarmacie.
MUSEI: è disposta la chiusura dei musei, eccezion fatta per le biblioteche che prevedono la prenotazione ai fini dell’accesso e gli archivi.
SPORT: è possibile praticare attività sportiva all’aperto all’interno del proprio Comune osservando le distanze di sicurezza. Non sono consentiti sport di squadra o di contatto.
Si comunica che in data 4 gennaio 2021 è stato approvato un nuovo Decreto-legge che introduce ulteriori disposizioni urgenti in materia di contenimento dell’emergenza epidemiologica da Covid-19.
PERIODO COMPRESO TRA 7 E 15 GENNAIO 2021
SPOSTAMENTI: si impone il divieto, su tutto il territorio nazionale, di spostarsi tra Regioni o Province autonome diverse, tranne che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.
COPRIFUOCO: si conferma il coprifuoco dalle ore 22 alle ore 5 e la possibilità di rientrare alla propria residenza, domicilio o dimora.
VISITE A PARENTI E AMICI: sarà consentito al massimo a due persone, oltre ai minori di anni 14, lo spostamento verso una sola abitazione privata una volta al giorno, tra le 5 e le 22, all’interno della Regione.
SECONDE CASE: rimarrà, invece, sempre escluso lo spostamento verso seconde case ubicate in altre Regioni o Province autonome.
NEI GIORNI 7 E 8 GENNAIO
SPOSTAMENTI: tutto il territorio nazionale rientrerà in una nuova zona definita “gialla rafforzata” all’interno della quale gli spostamenti saranno liberi entro i confini regionali.
RISTORAZIONE: potranno rimanere aperti fino alle 18 bar e ristoranti. Dopo tale orario si potranno acquistare solo cibi e bevande da asporto, con il divieto di consumarli nelle adiacenze del locale, oppure chiedere la consegna a domicilio.
NEGOZI: resteranno aperti negozi e centri commerciali.
NEI GIORNI 9 E 10 GENNAIO 2021
SPOSTAMENTI: tutto il territorio nazionale rientrerà nella “zona arancione” e saranno dunque consentiti spostamenti solo all’interno del proprio Comune dalle 5 alle 22, con la relativa autocertificazione. Resteranno, in ogni caso, consentiti gli spostamenti dai Comuni con popolazione fino a 5000 abitanti, entro 30 chilometri dai relativi confini, senza però potersi recare nei capoluoghi di Provincia.
RISTORAZIONE: bar e ristoranti rimarranno chiusi con possibilità di effettuare servizi a domicilio e asporto.
NEGOZI: negozi, parrucchieri e centri estetici saranno aperti.
A PARTIRE DALL’ 11 GENNAIO 2021
Rientreranno in vigore le fasce di colore diverso in base ai dati sulla diffusione del contagio e ai nuovi parametri approvati. Si segnala che la soglia di Rt che indica l’indice di trasmissibilità è stata abbassata.
Di seguito i nuovi criteri:
- RT pari a 1: la Regione entra in zona arancione
- RT pari a 1,25: la Regione entra in zona rossa
SCUOLE: si prevede che, nelle istituzioni scolastiche secondarie di secondo grado, l’attività didattica possa riprendere in presenza, per il 50% degli studenti, in data 11 gennaio 2021.
Si attendono nuove disposizioni in merito alla collocazione delle singole Regioni.
La condotta colposa del lavoratore e lo standard probatorio in materia di infortuni sul lavoro
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 29585 si è pronunciata sull’idoneità causale della condotta colposa del lavoratore e sullo standard probatorio necessario per accertare la colpa del datore di lavoro.
Si è affermato che la condotta colposa del lavoratore infortunato non rappresenta una causa da sola sufficiente a produrre l’evento quando possa essere ricondotta all’area di rischio della lavorazione svolta. Di conseguenza, il datore di lavoro non sarà responsabile nel momento in cui il comportamento del lavoratore e le relative conseguenze saranno caratterizzati da abnormità ed imprevedibilità rispetto al procedimento lavorativo. In merito allo standard probatorio, la Corte ha ricordato che il principio dell’oltre ogni ragionevole dubbio ex art. 533, comma 1, c.p.p. consente di pronunciare una sentenza di condanna se il dato probatorio acquisito conduca ad una conclusione caratterizzata da un alto grado di credibilità razionale e, quindi, alla certezza processuale che la condotta sia attribuibile all’agente come fatto proprio.
Violenza assistita e responsabilità genitoriale
Con la sentenza n. 34504 del 2020 la Cassazione ha affermato che le condotte integranti la fattispecie di violenza assistita sono idonee a veder sospesa la responsabilità genitoriale ex art 24, comma 2, c.p..
La Corte ha ricordato come il delitto di maltrattamenti in famiglia a danni dei figli sia configurabile anche nel caso in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente nei confronti dei figli minori, ma li coinvolgano anche indirettamente come spettatori (cd. violenza assistita) di una violenza destinata ad avere un inevitabile impatto sulla loro crescita ed evoluzione psico-fisica.
Il concetto di abuso di responsabilità genitoriale è individuato attraverso il richiamo all’art. 330 c.c. come uso abnorme dei poteri e violazione o inosservanza dei doveri inerenti la responsabilità.
Sussiste, inoltre, abuso di responsabilità genitoriale non solo nel caso in cui la violenza assistita sia stata idonea a configurare di per sé una condotta di maltrattamenti a danni dei minori, ma anche quando sia configurata come aggravante di un reato commesso nei suoi confronti.
Contraffazione e autenticità del marchio
Secondo quanto affermato dalla sentenza n. 31836 della Quinta Sezione della Corte di Cassazione, ai fini dell’integrazione del reato di commercio con marchio contraffatto, è necessario che il compratore sia a conoscenza della non autenticità del marchio.
Falsità di autocertificazione e divieti di spostamento causa Covid-19
Il Giudice per le Indagini preliminari del Tribunale di Milano si è pronunciato sulla possibilità di far rientrare nell’art. 483 c.p., disciplinante il falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico, anche l’ipotesi della falsità in autocertificazione in merito alle proprie intenzioni di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una determinata attività.
Adeguandosi all’orientamento prevalente ha affermato che non rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 483 c.p. quelle dichiarazioni che non riguardino fatti di cui non possa essere attestata la verità immediatamente, ma che siano semplici manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi.
Di conseguenza, la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un luogo determinato o di svolgere una certa attività non può, in alcun modo, essere ricompresa nell’ambito di applicazione della fattispecie in questione, poiché rappresenta una mera intenzione. Al contrario, un’eventuale dichiarazione nel modulo di autocertificazione, da parte del privato, di una situazione passata, potrebbe integrare gli estremi delitto.
A TUTTI VOI I NOSTRI MIGLIORI AUGURI DI UN ANNO NUOVO DI SPERANZA E SERENITÀ!
Si segnala la pubblicazione del Decreto Legge 18 dicembre 2020, n. 172, per far fronte all’emergenza Coronavirus durante il periodo delle festività.
Il Decreto è entrato in vigore il 19 dicembre 2020.
ZONA ROSSA (24, 25, 26, 27 e 31 dicembre e 1, 2, 3, 5 e 6 gennaio 2021)
SPOSTAMENTI: sarà vietato qualsiasi tipo di spostamento salvo per motivi di lavoro, salute o estrema necessità o urgenza.
Sarà possibile, dalle ore 5 alle 22, fare visita a parenti ed amici al massimo in due persone. Sono esclusi da tale conteggio i figli minori di anni 14 e le persone con disabilità e conventi non autosufficienti.
SPORT: l’attività motoria è consentita nei pressi della propria abitazione. All’aperto solo in forma individuale.
ATTIVITA’ COMMERCIALE: si dispone la chiusura di negozi e centri estetici.
RISTORAZIONE: si dispone la chiusura di bar e ristoranti, rimane consentito l’asporto fino alle ore 22. Per la consegna a domicilio non sono, invece, previste restrizioni.
Rimangono aperti supermercati, attività di vendita di beni alimentari di prima necessità, farmacie, parafarmacie, edicole, tabaccherie, lavanderie, parrucchieri e barbieri.
ZONA ARANCIONE (28, 29, 30 dicembre 2020 e 4 gennaio 2021)
SPOSTAMENTI: sono consentiti gli spostamenti all’interno del proprio Comune dalle 5 fino alle ore 22.
Per i piccoli Comuni (fino a 5 mila abitanti) saranno consentiti gli spostamenti in un raggio di 30 km, senza però potersi recare nei capoluoghi di provincia. Rimangono vietati gli spostamenti tra Regioni dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021.
ATTIVITA’ COMMERCIALE: i negozi possono rimanere aperti fino alle ore 21.
RISTORAZIONE: restano chiusi bar e ristoranti, è consentita l’attività di asporto fino alle ore 22. Per la consegna a domicilio non sono previste restrizioni.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del nuovo Dpcm che entra in vigore oggi, 4 dicembre e che rimarrà valido fino al 15 gennaio 2021.
SUDDIVISIONE PER AREE: rimane in vigore la suddivisione del territorio nazionale in aree gialle, arancioni e rosse con le relative misure previste nel precedente Dpcm datato 6 novembre 2020 e le precisazioni di seguito indicate.
SCUOLE: si dispone che le scuole superiori possano riaprire in presenza per il 75% degli studenti, a partire dal 7 gennaio 2021. Si conferma lo svolgimento dell’attività didattica e educativa in presenza per i servizi per l’infanzia, la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione. Per le Università, invece, la didattica continuerà a svolgersi a distanza, eccezion fatta per gli insegnamenti e le attività formative relative al primo anno di corso.
RISTORAZIONE: si riconfermano le disposizioni del Dpcm del 6 novembre 2020 relativamente alle attività di ristorazione. Nello specifico, nelle aree gialle le attività di ristorazione sono consentite dalle 5 fino alle 18, il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone. Dopo le 18 è vietato il consumo di cibi o bevande nei luoghi pubblici e aperti al pubblico, rimane sempre consentita la ristorazione con consegna a domicilio, nonché fino alle 22, la ristorazione con asporto.
Nelle aree arancioni e rosse, invece, ristoranti e bar sono aperti dalle 5 alle 22 solo per l’asporto, mentre l’attività di consegna a domicilio rimane sempre garantita.
COPRIFUOCO: rimane in vigore il divieto di spostamento dalle 22 fino alle 5 del mattino, eccetto che per motivi di salute, lavoro o necessità.
Il 31 dicembre tale divieto sarà in vigore dalle 22 alle 7 del mattino, eccezion fatta per i motivi sopra indicati.
NEGOZI: fino al 6 gennaio 2021, i negozi al dettaglio nelle aree gialle e arancioni potranno rimanere aperti fino alle 21, sempre nel rispetto dei protocolli e delle linee guida idonei a prevenire il rischio di contagio.
Nei giorni festivi e prefestivi saranno però chiusi i negozi presenti nei centri commerciali, eccetto farmacie, parafarmacie, edicole e tabacchi.
Nelle aree rosse permane il divieto di apertura degli esercizi commerciali al dettaglio diversi da farmacie, parafarmacie, edicole e tabacchi.
IMPIANTI SCIISTICI: gli impianti sciistici saranno chiusi fino al 7 gennaio.
SPOSTAMENTI: dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 sarà in vigore il divieto generale di spostamento fra le Regioni, indipendentemente dall’area di appartenenza. Tale divieto sarà valido anche con riferimento agli spostamenti verso le seconde case.
Resta sempre possibile dal 21 dicembre il rientro presso la propria abitazione, domicilio o dimora.
Nelle giornate del 25, 26 dicembre 2020 e 1 gennaio 2021 sono vietati gli spostamenti fuori dal proprio Comune, salvo che per motivi di lavoro, salute e necessità.
STRUTTURE RICETTIVE: resta consentita, senza limiti di orario, la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive limitatamente ai clienti che siano ivi alloggiati.
Dalle 18 del 31 dicembre 2020 fino alle ore 7 del 1 gennaio 2021, la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive è consentita solo con servizio in camera.
Si comunica la pubblicazione in Gazzetta del nuovo Decreto Legge del 2 dicembre 2020 n.158, che pone in essere nuovi divieti al fine di far fronte all’emergenza da Covid-19.
Le disposizioni del presente decreto entrano in vigore oggi, 3 dicembre 2020.
VALIDITA’ DPCM: si estende a 50 giorni, invece dei precedenti 30 giorni, il limite massimo di vigenza dei Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri (Dpcm) attuativi delle norme emergenziali.
SPOSTAMENTI TRA REGIONI: dal 21 dicembre 2020 al 6 gennaio 2021 sono vietati gli spostamenti tra Regioni diverse o Province autonome, salvo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.
SPOSTAMENTI TRA COMUNI: nelle date del 25 e 26 dicembre 2020, nonché il 1 gennaio 2021, sono vietati anche gli spostamenti tra Comuni diversi, salvo per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o motivi di salute.
Rimane ferma la possibilità di rientrare presso il proprio domicilio, residenza o abitazione.
E’ vietato spostarsi nelle seconde case che si trovino in una Regione o in una Provincia autonoma diversa dalla propria.
Nei giorni 25 e 26 dicembre 2020 e 1 gennaio 2021, questo divieto viene esteso anche alle seconde case ubicate in un Comune diverso dal proprio.
RASSEGNA LEGISLATIVA E GIURISPRUDENZIALE E ORDINANZA CORONAVIRUS CHE DISPONE LE NUOVE ZONE ARANCIONI E GIALLE
Pornografia minorile (art. 600 ter c.p.)
Con la sentenza n. 31192/20 depositata in data 9.11.2020, la Terza Sezione della Corte di Cassazione ha affermato che integra il reato di pornografia minorile anche chi, intrattenendo una conversazione via chat con una persona minorenne su argomenti a sfondo sessuale, riceva autoscatti da questa realizzati che la ritraggono nelle parti intime o in atteggiamenti espliciti.
La fattispecie di cui all’art. 600 ter c.p., infatti, non richiede necessariamente che l’imputato realizzi fisicamente la produzione di materiale pedopornografico, essendo sufficiente che lo stesso abbia comunque indotto il minore a farlo o ne abbia rafforzato l'intenzione già esistente, ma non ancora consolidatasi. Tale situazione si verificava nella vicenda giudicata dalla Suprema Corte che ha posto in evidenza la stretta correlazione tra gli autoscatti della vittima e i messaggi a contenuto sessuale inoltrati dal ricorrente, così sottolineando la strumentalizzazione e utilizzo della minore, che non avrebbe realizzato e inviato tale materiale in assenza della condotta dell’imputato.
Questione di legittimità costituzionale sulla sospensione della prescrizione causa Covid – 19
E’ stata sollevata questione di legittimità costituzionale in merito alla disciplina della sospensione della prescrizione introdotta dall’art. 83, comma. 4 D.L. 18/2020.
In particolare, si è affermato che tale disposizione si ponesse in contrasto con il principio di irretroattività di una norma sfavorevole, laddove rendeva applicabili i termini di prescrizione anche a quei procedimenti che avevano ad oggetto condotte consumate prima dell’entrata in vigore di tali modifiche legislative.
In data 18 novembre la Corte Costituzionale si è pronunciata in merito alle questioni di legittimità costituzionale sollevate dai Tribunali di Siena, Spoleto e Roma ritenendo che la disciplina censurata non fosse in contrasto con l’art. 25, comma 2 della Costituzione, né con quanto dettato dall’art. 117, comma 1 della Costituzione.
Il captatore informatico (trojan horse) non rientra tra i metodi o le tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione
La Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che il captatore informatico è semplicemente uno strumento messo a disposizione della moderna tecnologia utilizzabile ai fini della realizzazione di intercettazioni ambientali.
Di conseguenza, si esclude che il captatore informatico possa inquadrarsi tra i metodi o le tecniche idonei ad influire sulla libertà di autodeterminazione del soggetto e, in quanto tale, vietati dall’art. 188 c.p.p.. Lo stesso, infatti, non esercita alcuna pressione sulla libertà fisica e morale della persona, non mira a manipolare o forzare un apporto dichiarativo, ma nei rigorosi limiti in cui sono consentite le intercettazioni, capta le comunicazioni tra terze persone, nella loro genuinità e spontaneità.
Punibili come stalking le vessazioni sul lavoratore che culminano in licenziamento pretestuoso
I tratti caratterizzanti il mobbing lavorativo sono la pluralità di comportamenti vessatori del datore di lavoro nei confronti del suo sottoposto e il loro obiettivo persecutorio. Viene spesso definito come la mirata reiterazione di plurimi comportamenti convergenti nell’esprimere ostilità verso la vittima e preordinati a modificare e isolare il dipendente.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 31273/2020 ha sancito che le condotte rientranti nella categoria del mobbing lavorativo possano essere ricondotte al reato di atti persecutori (stalking) nel momento in cui le condotte reiterate e poste in essere con l’obiettivo di isolare e tormentare il lavoratore rientrino in uno degli eventi contemplati dall’art. 612 bis c.p..
Secondo la Cassazione non rileva, invece, il contesto in cui si realizzi la condotta persecutoria, essendo sufficiente il configurarsi di una violazione della libertà di autodeterminazione della persona offesa.
Minorata capacità e deficienza psichica (art. 643 c.p.)
La Seconda Sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 28886 del 19 ottobre 2020, ha stabilito che rientra nella nozione di deficienza psichica rilevante ai fini del reato di circonvenzione di incapace ex art. 643 c.p. la minorata capacità psichica con compromissione del potere di critica ed indebolimento di quello volitivo tale da rendere possibile l’altrui opera di suggestione, poiché viene definita deficienza psichica qualsiasi minorazione della sfera volitiva ed intellettiva che agevoli la suggestionabilità della vittima e ne riduca i poteri di difesa contro le altrui insidie.
Ordinanza Ministero della Salute 27 novembre 2020
Il Ministro della Salute ha firmato una nuova ordinanza con cui dispone che Calabria, Lombardia e Piemonte vengano identificate come Regioni in area arancione a partire dal 29 novembre 2020.
Di seguito le misure di contenimento previste per la zona arancione.
SPOSTAMENTI: è possibile spostarsi liberamente, senza autocertificazione, nei confini del comune in cui si vive, nel costante rispetto del coprifuoco che rimane valido dalle 22 alle 5.
Rimane fermo il divieto di spostarsi al di fuori del proprio comune e della propria Regione, salvo che per comprovate ragioni di necessità o motivi legati al lavoro, allo studio o alla salute.
E’ consentito, come per le zone rosse, andare ad assistere un parente o un amico non autosufficienti e senza limiti di orario. Tutti gli spostamenti dovranno, in ogni caso, avvenire seguendo il tragitto più breve e nel rispetto delle prescrizioni di tipo sanitario.
RISTORAZIONE: rimangono chiusi al pubblico bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie che possono effettuare solo servizio da asporto (fino alle 22) e a domicilio.
Permane il divieto di consumare cibo o bevande nelle zone circostanti i locali.
NEGOZI: possono riaprire i negozi, compresi quelli di estetica e i centri commerciali. Questi ultimi, però, rimarranno chiusi nei giorni festivi e prefestivi.
SCUOLE: continua ad applicarsi la didattica a distanza per le scuole secondarie di secondo grado, mentre rimangono aperte le scuole elementari e dell’infanzia. Le lezioni torneranno ad essere in presenza anche per le classi secondo e terza media.
TRASPORTI PUBBLICI: rimane invariata la situazione sui trasporti pubblici, che mantengono una capienza limitata al 50%.
SPORT E CULTURA: rimangono chiusi teatri, cinema, piscine e palestre.
LUOGHI DI CULTO: è garantito l’accesso ai luoghi di culto con l’adozione di misure tali da evitare assembramenti e garantire ai frequentatori la possibilità di rispettare la distanza di almeno un metro tra loro.
Decreto legge 9 novembre 2020, n. 149 Ristori bis
Si comunicano la pubblicazione e la relativa entrata in vigore, in data 9 novembre 2020, del Decreto Legge Ristori bis, contenente nuove misure urgenti in materia di tutela alla salute, sostegno ai lavoratori, alle imprese e alla giustizia, connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Cancellazione ii rata imu (art. 5)
Si dispone la cancellazione della II rata IMU per le imprese che svolgono attività per le quali è stato riconosciuto il nuovo contributo a fondo perduto e che operano nelle zone rosse, se i relativi proprietari sono anche gestori delle attività esercitate.
Rinvio ii acconto ires e irap (art.6)
Per chi esercita attività economiche per le quali sono stati approvati gli Isa (indici sintetici di affidabilità fiscale) e che operano nelle aree di massima gravità e con un livello di rischio alto (rosse), si dispone la proroga al 30 aprile 2021 del pagamento della seconda o unica rata Ires e Irap.
Sospensione versamenti (art.7)
Per i soggetti che svolgono attività economiche sospese a causa dell’emergenza epidemiologica, è prevista la sospensione delle ritenute alla fonte e dei pagamenti IVA per il mese di novembre.
Congedo straordinario e bonus baby – sitting (artt. 13 e 14)
Nelle zone rosse, dove è stata disposta la sospensione delle attività scolastiche per le classi della II e III media, si riconoscono, per tutta la durata della stessa, ai genitori che non possano svolgere la prestazione lavorativa in modalità agile :
- Alternativamente a entrambi i genitori lavoratori dipendenti, il congedo straordinario con il riconoscimento di un’indennità pari al 50% della retribuzione mensile;
- Alternativamente a entrambi i genitori lavoratori iscritti alla gestione separata o speciale INPS, un bonus baby – sitting per un ammontare massimo di 1.000 euro.
Giustizia (artt. 23 e 24)
Giudizi penali di appello: fuori dai casi di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, per la decisione sugli appelli proposti avverso le sentenze di primo grado, la Corte di Appello procede in camera di consiglio senza l’intervento del Pubblico Ministero e dei difensori, salvo che una delle parti private o il Pubblico Ministero faccia richiesta di discussione orale o che l’imputato manifesti la volontà di comparire.
Rinvio dell’udienza, sospensione del corso della prescrizione e dei termini di custodia cautelare: i giudizi penali sono sospesi durante il tempo in cui l’udienza è rinviata per l’assenza del testimone, del consulente tecnico, del perito o l’imputato in un procedimento connesso che siano stati citati a comparire, quando l’assenza è giustificata dalle restrizioni ai movimenti imposte dall’obbligo di quarantena o dalla sottoposizione a isolamento fiduciario.
Per lo stesso periodo sono sospesi il corso della prescrizione e i termini di durata massima della custodia cautelare.
Emergenza Coronavirus: D.p.c.m. 3 novembre 2020 - Nuove disposizioni Coronavirus
Da oggi e sino al 3 dicembre, ferme restando le norme introdotte con i precedenti D.p.c.m., entrano in vigore le seguenti disposizioni che disciplinano nuove misure emergenziali differenziandone l’applicazione sul territorio nazionale in base al rischio del contagio, individuando 3 zone: una zona rossa caratterizzata da massima gravità e livello di rischio alto, una zona arancione caratterizzata da elevata gravità e da un livello di rischio alto, e una zona gialla caratterizzata da gravità e rischio inferiori.
Con apposita ordinanza del Ministero della Salute, sentiti i Governatori regionali sulla base dei dati epidemiologici e sentito il C.T.S., emanata in data 4.11.2020 e in vigore dal 6.11.2020, sono stabilite le regioni appartenenti alla zona rossa – Calabria, Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta – e alla zona arancione – Puglia e Sicilia -.
Con ordinanza del Ministro della Salute, adottata d’intesa con il presidente della Regione, può essere prevista l’esenzione dell’applicazione delle misure previste per la zona arancione e per la zona rossa per determinate aree interne alla Regione stessa.
Le presenti ordinanze hanno una validità minima di 15 giorni e non oltre la scadenza del D.p.c.m..
ZONA GIALLA - Norme valide su tutto il territorio nazionale (ad eccezione delle zone classificate a rischio elevato e massimo)
coprifuoco: dalle ore 22.00 alle 5.00 del giorno successivo sono consentiti solo spostamenti motivati da comprovate esigenze lavorative, da situazioni di necessità ovvero per motivi di salute. E’ in ogni caso fortemente raccomandato, per la restante parte della giornata, di non spostarsi, con mezzi di trasporto pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio o per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.
parchi: l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville e ai giardini pubblici è condizionato al mantenimento della distanza di sicurezza personale di almeno un metro. E’ consentito l’accesso dei minori, anche insieme ai familiari o ad altre persone abitualmente conviventi o deputate alla loro cura, ad aree gioco all’interno dei parchi, ville e giardini pubblici, per svolgere attività ludica o ricreativa all’aperto.
attività sportiva o motoria: è consentito svolgere attività sportiva o motoria all’aperto, anche presso aree attrezzate e parchi pubblici, ove accessibili, nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno due metri per attività sportiva e almeno un metro per ogni altra attività, salvo che non sia necessaria la presenza di un accompagnatore per minori o per le persone non completamente autosufficienti.
spettacoli: sono sospese le attività in teatri, cinema e concerti.
musei e mostre: sono sospese le mostre, chiusi musei e gli altri istituti e luoghi di cultura.
scuola: le scuole secondarie di secondo grado (superiori) adottano forme flessibili nell’organizzazione dell’attività didattica in modo che il 100% dell’attività sia svolta tramite il ricorso alla didattica digitale integrata.
L’attività didattica ed educativa per nidi, micronidi, scuole materne, elementari e medie continua a svolgersi in presenza, con uso obbligatorio di dispositivi di protezione delle vie respiratorie, eccezion fatta per i bambini di età inferiore ai sei anni e per i soggetti con particolari patologie.
I corsi di formazione pubblici e privati possono svolgersi con modalità a distanza e sono altresì consentiti i corsi abilitanti e le prove teoriche e pratiche effettuate dagli uffici della motorizzazione civile delle autoscuole. Le riunioni degli organi collegiali delle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado possono essere svolte solo con modalità a distanza.
Per le Università le attività formative e curricolari si svolgono a distanza tranne che per quelle inerenti il primo anno dei corsi di studio.
concorsi: è sospeso lo svolgimento delle prove preselettive e scritte delle procedure concorsuali pubbliche e private e di quelle di abilitazione all’esercizio delle professioni, ad esclusione dei casi in cui la valutazione dei candidati sia effettuata solo su basi curriculari ovvero in modalità telematica, nonché ad esclusione dei concorsi per il personale di servizio sanitario nazionale.
pronto soccorso: è vietato agli accompagnatori dei pazienti di permanere nelle sale di attesa dei dipartimenti emergenze e accettazione dei pronto soccorso (DEA/PS), salvo disposizioni contrarie dettate dal personale sanitario.
luoghi di culto: le funzioni religiose con la partecipazione di persone si svolgono nel rispetto dei protocolli prescritti dal Governo e dalle rispettive confessioni.
attività commerciali al dettaglio: per quanto riguarda negozi e centri commerciali è assicurata la relativa attività a condizione che gli ingressi vengano scaglionati e vi sia la distanza personale di almeno un metro.
Nelle giornate festive e prefestive sono chiuse le medie e grandi strutture di vendita e i negozi all’interno dei centri commerciali. Rimangono sempre aperte farmacie, parafarmacie, presidi sanitari, punti vendita di generi alimentari, tabacchi ed edicole.
bar e ristoranti: sono consentite attività dei servizi di ristorazione dalle ore 5.00 alle ore 18.00, il consumo al tavolo è permesso per un massimo di quattro persone per tavolo, salvo che siano tutti conviventi. Dopo le 18 è vietato il consumo di cibi o bevande nei luoghi pubblici o aperti al pubblico. Si mantiene la consegna a domicilio e fino alle ore 22.00 la ristorazione con asporto.
Limitatamente ai clienti che alloggiano all’interno è consentita la ristorazione negli alberghi e in altre strutture ricettive.
Restano comunque aperti gli esercizi di somministrazione di alimenti e bevande nelle aree di servizio e rifornimento carburante situate lungo le autostrade, presso ospedali o aeroporti.
servizi: restano garantiti i servizi bancari, finanziari, assicurativi e l’attività del settore agricolo, zootecnico di trasformazione agro-alimentare, compresi i relativi fornitori. I servizi alla persona sono consentiti se le Regioni e le Province autonome ne accertino preventivamente la compatibilità con l’andamento epidemiologico e individuino idonei protocolli applicativi.
mezzi pubblici: a bordo dei mezzi pubblici da trasporto locale e ferroviario regionale, ad esclusione del trasporto scolastico, è consentito un coefficiente di riempimento massimo non superiore al 50%.
attività professionali: è raccomandato lo svolgimento di tali attività tramite lavoro agile, sia presso il proprio domicilio e in modalità a distanza. Si auspica l’incentivo di ferie e congedi retribuiti e vi è l’obbligo di rispettare i protocolli anti contagio con la relativa sanificazione dei luoghi di lavoro.
impianti sciistici: sono chiusi i comprensori sciistici, che possono essere utilizzati solo da atleti professionisti e non riconosciuti dal CONI.
strutture ricettive: le attività in questione sono esercitate purché sia assicurato il mantenimento del distanziamento sociale. Si impone il rispetto delle linee guida emanate da Regioni e Province autonome dettate in merito alle modalità di accesso, utilizzo degli spazi comuni, misure igienico sanitarie e svolgimento delle attività ludiche e sportive.
limitazioni spostamenti per l’estero: sono vietati gli spostamenti da e per l’estero salvo la sussistenza di esigenze lavorative, assoluta urgenza, motivi di salute, studio o per fare rientro presso il proprio domicilio, abitazione o dimora.
ZONA ARANCIONE - Norme valide sui territori caratterizzati da uno scenario di elevata gravità e rischio alto
Secondo quanto disposto dall’ordinanza del Ministro della Salute firmata in data 4 novembre, che entrerà in vigore il 6 novembre, all’interno della zona classificata di tipo 3 o arancione rientrano Puglia e Sicilia. In tali zone sono applicate le seguenti misure di contenimento:
spostamenti: è vietato ogni spostamento in entrata e in uscita a livello regionale salvo che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute. E’ consentito, in ogni caso, il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, nonché il transito in tali zone per raggiungere territori in zona gialla. E’ vietato lo spostamento anche tra Comuni, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di studio, di salute o per usufruire di servizi non sospesi e non disponibili nel proprio.
ristorazione: sono sospese le attività di ristorazione, ma resta consentita la ristorazione con consegna a domicilio, nonché la ristorazione da asporto fino alle 22.00, sempre con il divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Restano aperti gli esercizi di somministrazione bevande e rifornimento carburante presso autostrade, ospedali e aeroporti.
ZONA ROSSA - Norme valide sui territori caratterizzati da uno scenario di massima gravità e rischio alto
Secondo quanto disposto dall’ordinanza del Ministro della Salute firmata in data 4 novembre, che entrerà in vigore il 6 novembre, all’interno della zona classificata di tipo 4 o rossa rientrano Calabria, Lombardia, Piemonte e Valle D’Aosta. In tali zone sono applicate le seguenti misure di contenimento:
spostamenti: sono vietati gli spostamenti tra le Regioni, ma anche all’interno della Regione stessa, salvo che per comprovate esigenze lavorative, situazioni di necessità o per motivi di salute, nonché ove siano strettamente necessari per lo svolgimento della didattica in presenza nei limiti in cui la stessa è consentita. E’, inoltre, consentito il rientro presso il proprio domicilio, abitazione o residenza, nonché il transito per raggiungere le zone rientranti nella fascia gialla.
attività commerciali: sono sospese le attività al dettaglio, eccezion fatta per quelle di vendita di generi alimentari e di prima necessità quali a titolo esemplificativo ipermercati, supermercati, discount, commercio autoveicoli e commercio al dettaglio di fiori e piante. Sono chiusi i mercati ma restano aperte edicole, tabaccai, farmacie e parafarmacie.
ristorazione: sono sospese attività di servizi di ristorazione ad esclusione di mense o catering continuativo su base contrattuale. Resta consentita la consegna a domicilio, nonché fino alle ore 22 la ristorazione con asporto, sempre con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze. Restano comunque aperti gli esercizi siti nelle aree di servizio e rifornimento carburante, negli ospedali e negli areoporti.
attività motorie: sono sospese tutte le attività nei centri sportivi e all’aperto come anche tutti gli eventi e le competizioni. E’ consentito svolgere attività motoria in prossimità della propria abitazione all’aperto e in forma individuale, nel rispetto di almeno un metro da ogni altra persona e con l’utilizzo di mezzi di protezione delle vie respiratorie. E’ consentita l’attività sportiva esclusivamente all’aperto e in forma individuale, nel rispetto della distanza di 2 metri, come previsto per le zone gialle.
scuola: resta fermo lo svolgimento dell’attività in presenza per nidi, micronidi, scuole materne e elementari e il primo anno di scuola media. Invece, a partire dalla seconda media si prevede la didattica a distanza.
Viene, inoltre, sospesa la frequenza universitaria e delle Istituzioni di alta formazione artistica, musicale e coreutica, fermo restando il proseguimento delle attività a distanza.
attività inerenti alla persona: sono sospese le attività inerenti la persona diverse da lavanderia e pulitura di articoli tessili e pelliccia, attività di lavanderia industriali, tintorie, servizi di pompe funebri, saloni di barbiere e parrucchiere.
datori pubblici: i datori di lavoro pubblici devono limitare la presenza fisica al personale ritenuto indispensabile.
Decreto Legge Ristori 28 ottobre 2020, n. 137 – Disposizioni in materia di aiuti economici
In data 28.10.2020 è stato emesso il d.l. n. 137 che prevede misure di sostegno del lavoro indipendente, dell’imprenditoria e dei settori colpiti dalle chiusure imposte dall’emergenza Covid-19.
E’ prevista la cancellazione della seconda rata dell’IMU, in scadenza il 16 dicembre 2020, per tutti i soggetti quali ristoratori, gestori di cinema, teatri, palestre piscine e i titolari di tutte le altre attività per le quali è stata imposta la chiusura totale o anticipata alle ore 18.00.
Sono altresì sospese, per un periodo di sei mesi, le procedure per il pignoramento di immobili destinati a prima casa a partire dall’entrata in vigore del presente decreto.
Per tutti coloro i quali sono costretti a sospendere o ridurre l’attività a causa dell’emergenza epidemiologica è consentita la possibilità di fare domanda per i trattamenti di cassa integrazione ordinaria, assegno ordinario e cassa integrazione in deroga per una durata massima di altre 6 settimane che devono ricadere nel periodo tra il 16 novembre 2020 e il 31 gennaio 20121.
Le relative domande dovranno essere inoltrate all’Inps, a pena di decadenza, entro la fine del mese successivo a quello in cui ha avuto inizio il periodo di sospensione o di riduzione dell’attività lavorativa.
Vengono inoltre confermati il bonus una tantum, pari a 1000 euro per coloro che ne hanno già beneficiato, il reddito di emergenza per un ammontare di 800 euro per i mesi di novembre e dicembre e la sospensione dei termini relativi al versamento dei contributi previdenziali per un ulteriore periodo di quattro settimane.
Decreto Legge Ristori 28 ottobre 2020, n. 137 – Disposizioni in tema di Giustizia
In tema giustizia è stato disposto l’aumento della telematizzazione e del deposito di atti e documenti via PEC, nonché l’audizione di indagati e persone offese in collegamento da remoto con il difensore.
I giudici in isolamento fiduciario o in quarantena potranno partecipare alle udienze anche in collegamento da remoto e, nelle cause relative a separazioni e divorzi, è dato il via libera alle udienze cartolari.
Violenza sessuale con abuso di autorità (art. 609 bis c.p.)
L’art. 609 bis c.p. punisce il reato di violenza sessuale, che può realizzarsi mediante costrizione con violenza, minaccia o abuso di autorità (art. 609 bis c. 1 c.p.).
Le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 27326/2020, emessa in data 1.10.2020, hanno chiarito in cosa consiste l’abuso di autorità richiamato dalla norma citata.
Nello specifico, “l’abuso di autorità, cui si riferisce l’art 609 bis, comma primo c.p., presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali”.
Ciò significa che il soggetto attivo del reato di violenza sessuale mediante abuso di autorità non deve per forza essere un soggetto pubblico, si pensi ad un ufficiale di Polizia, ma può anche essere un soggetto privato che si trovi di fatto in una posizione di supremazia rispetto alla vittima come il datore di lavoro o l’insegnante privato (come nel caso di specie sottoposto all’attenzione della Suprema Corte).
In termini generali, infatti, l’autorità ha natura relazionale e presuppone un rapporto caratterizzato dal fatto che colui che riconosce l'autorità di chi la esercita subisce, senza reagire, gli atti che ne derivano.
Estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni: criteri distintivi
Con la sentenza n. 29451 del 2020, depositata in data 23 ottobre 2020, le Sezioni Unite della Cassazione hanno chiarito la differenza tra il delitto di estorsione (art 629 c.p.) e il delitto di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia alle persone (393 c.p.).
Il reato di estorsione si configura nel momento in cui taluno, con violenza o minaccia, costringe un altro soggetto a fare o non fare qualcosa, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto e danno altrui.
Il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni con violenza o minaccia, invece, prevede che il soggetto attivo sia titolare di un diritto e, invece di rivolgersi alle Autorità competenti, si faccia giustizia da solo utilizzando violenza o minaccia alle persone.
Le differenze evidenziate dalla Suprema Corte attengono alla qualità del soggetto attivo del reato, in quanto il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni presuppone che il colpevole sia titolare di un diritto, mentre il reato di estorsione può essere commesso da chiunque; all’elemento soggettivo solo l’esercizio arbitrario delle proprie ragioni richiede il dolo specifico di esercitare un preteso diritto, mentre per il reato di cui all’art. 629 c.p. è sufficiente il dolo generico di costringere la vittima a tenere un determinato comportamento; al concorso di persone che nel reato di cui all’art. 393 è configurabile solo nei casi in cui il terzo si limiti ad offrire un contributo alla pretesa di chi abusa delle proprie ragioni senza perseguire alcuna diversa e ulteriore finalità.
Omissione di soccorso stradale e particolare tenuità del fatto (art. 189 c. 7 Codice della Strada)
Il reato di omissione di assistenza di cui all’art. 189 c. 7 C.d.S. presuppone quale antefatto un incidente stradale da cui sorge l’obbligo di soccorso, anche nel caso di assenza di ferite in senso tecnico, essendo sufficiente lo stato di difficoltà indicativo di un pericolo per la vita o l’integrità fisica della persona che possa derivare dal ritardato soccorso.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27241/2020 emessa in data 16.09.2020, ha chiarito che il giudice di merito è tenuto a valorizzare tutti gli elementi del caso concreto al fine di stabilire se possa essere riconosciuta la causa di esclusione della punibilità della particolare tenuità del fatto.
In particolare, non sarà punibile l’omissione di assistenza quando il soggetto passivo abbia riportato lesioni minime, risulti autosufficiente, siano presenti altre persone che gli abbiano prestato soccorso, sia stato prontamente risarcito dall’assicurazione.
In tali casi, infatti, si può desumere che il bene giuridico tutelato dalla norma di cui all’art. 189 c. 7 C.d.S., ossia l’integrità fisica, abbia corso un pericolo particolarmente tenue.
Nuove disposizioni Corovavirus – D.p.c.m. 24 ottobre 2020 pubblicato in G.U. in data 25 ottobre 2020
Si comunica che sabato 24 ottobre 2020 il Presidente del Consiglio dei Ministri Giuseppe Conte ha firmato il nuovo D.p.c.m. per far fronte all’emergenza Coronavirus, che si applica a partire dal 26 ottobre e sarà efficace fino al 24 novembre 2020.
Rispetto alle disposizioni presenti nel precedente D.p.c.m. datato 18 ottobre 2020, si precisa quanto segue.
SPOSTAMENTI: è fortemente raccomandato a tutte le persone di non spostarsi con mezzi di trasporto, pubblici o privati, salvo che per esigenze lavorative, di studio, per motivi di salute, per situazioni di necessità o per svolgere attività o usufruire di servizi non sospesi.
STRADE E PIAZZE NEI CENTRI URBANI: è prevista la possibilità da parte delle Autorità competenti di chiudere al pubblico le strade e le piazze nei centri urbani dove possono crearsi situazioni di assembramento.
LOCALI PUBBLICI O APERTI AL PUBBLICO: è fatto obbligo nei locali pubblici e aperti al pubblico, nonché in tutti gli esercizi commerciali di esporre all’ingresso del locale un cartello che riporti il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente nel locale medesimo, sulla base dei protocolli e delle linee guida vigenti.
PARCHI: è fatto salvo l’accesso del pubblico ai parchi, alle ville e ai giardini pubblici purché sia rispettato l’obbligo di distanziamento interpersonale e il divieto di assembramento.
ATTIVITÀ LUDICHE: è consentito l’accesso di bambini e ragazzi a luoghi destinati allo svolgimento di attività ludiche, ricreative ed educative, anche non formali, al chiuso o all’aria aperta, con l’ausilio di operatori cui affidarli in custodia e con l’obbligo di adottare appositi protocolli di sicurezza predisposti in conformità alle linee guida predisposte.
EVENTI SPORTIVI: sono sospesi gli eventi e le competizioni degli sport individuali e di squadra, svolti in ogni luogo, sia pubblico che privato. Restano consentiti soltanto gli eventi e le competizioni sportive, nonché le sedute di allenamento degli sport individuali e di squadra, riconosciuti di interesse nazionale dal CONI e dalle relative federazioni sportive nazionali, nei settori professionistici e dilettantistici, all’interno di impianti sportivi utilizzati a porte chiuse ovvero all’aperto senza la presenza del pubblico.
PALESTRE E PISCINE: sono sospese le attività di palestre, piscine, centri natatori, centri benessere, fatta eccezione per le prestazioni rientranti nei livelli essenziali di assistenza, nonché centri culturali, centri sociali o ricreativi.
IMPIANTI SCIISTICI: gli impianti sciistici sono chiusi al pubblico e possono essere utilizzati solo da parte di atleti professionisti e non professionisti riconosciuti di interesse nazionale dal CONI e dalle relative federazioni sportive nazionali. Possono essere riaperti agli sciatori amatoriali solo a seguito di adozione di apposite linee guida da parte della Conferenza delle Regioni, validate dal Comitato tecnico – scientifico.
ATTIVITÀ SPORTIVA E ATTIVITÀ MOTORIA: l’attività sportiva di base e l’attività motoria in genere svolte all’aperto, presso aree attrezzate e parchi pubblici, presso centri e circoli sportivi, pubblici e privati, sono consentite nel rispetto delle norme di distanziamento sociale e senza alcun assembramento.
ATTIVITÀ RICREATIVE: sono sospese le attività dei parchi tematici e di divertimento, le attività di sale gioco, sale scommesse, bingo e casinò. Sono sospesi gli spettacoli aperti al pubblico in sale teatrali, sale da concerto, sale cinematografiche e in altri spazi, anche all’aperto. Restano inoltre sospese le attività che abbiano luogo in sale da ballo, discoteche e locali assimilati, all’aperto o al chiuso.
FESTE: sono vietate le feste nei luoghi al chiuso o all’aperto, comprese quelle conseguenti alle cerimonie religiose e civili. Sono vietate anche le sagre, le fiere di qualunque genere e analoghi eventi. Per quanto riguarda le abitazioni private, è fortemente raccomandato di non ricevere persone diverse dai conviventi.
FUNZIONI RELIGIOSE E ACCESSO AI LUOGHI DI CULTO: le funzioni religiose e l’accesso ai luoghi di culto si svolgono nel rispetto dei protocolli sottoscritti dal Governo e dalle confessioni religiose, in modo tale da evitare situazioni di assembramento.
CONVEGNI E CONGRESSI: sono sospesi i convegni, i congressi e gli eventi, ad eccezione di quelli che si svolgono a distanza.
SCUOLA: per il primo ciclo di istruzione e per i servizi educativi per l’infanzia si riconferma la didattica in presenza. Nelle istituzioni di secondo grado, invece, si deve introdurre una didattica a distanza pari almeno al 75%, modulando ulteriormente la gestione degli orari di ingresso e di uscita degli alunni, anche attraverso l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani e disponendo che l’ingresso non avvenga comunque prima delle ore 9.00.
RISTORAZIONE: a decorrere dal giorno 26 ottobre 2020 le attività di servizi di ristorazione, tra cui bar, pub, ristoranti, gelaterie e pasticcerie, sono consentite dalle ore 5.00 alle 18.00. Il consumo al tavolo è consentito per un massimo di quattro persone, salvo che siano tutti conviventi. Rimane consentita la ristorazione con consegna a domicilio ed entro la mezzanotte quella da asporto. Si ribadisce il divieto di consumare nelle vicinanze dei locali.
Emergenza Coronavirus – Dpcm 18 ottobre 2020
Si segnala che tra sabato 17 e domenica 18 ottobre il Consiglio dei Ministri si è riunito per elaborare nuove disposizioni al fine di far fronte alla nuova ondata di contagi da Covid – 19 che sta colpendo il nostro paese.
A seguito di un lungo confronto tra parlamentari e rappresentanti delle Regioni è stata disposta l’integrazione del Dpcm del 13 ottobre con le seguenti misure:
MOVIDA: all’articolo 1 del Dpcm del 13 ottobre è aggiunto il comma 2 bis in cui si lascia ai sindaci la facoltà di imporre ulteriori restrizioni o chiusure dopo le ore 21.00 di strade e piazze nei centri urbani dove si possono creare situazioni di assembramento. E’ fatta salva la possibilità di accesso agli esercizi commerciali legittimamente aperti e alle abitazioni private.
ATTIVITÀ SPORTIVA: sono consentiti soltanto eventi e competizioni riguardanti sport individuali e di squadra riconosciuti di interesse nazionale o regionale dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato italiano paraolimpico (CIP) e dalle rispettive federazioni sportive nazionali. Per tali eventi è consentita la presenza del pubblico in una percentuale massima del 15% rispetto alla capienza totale, non oltre il numero massimo di 1000 spettatori per manifestazioni all’aperto e 200 nel caso di manifestazioni in luoghi chiusi.
Viene lasciata comunque la possibilità alle province autonome e alle regioni di stabilire, d’intesa con il Ministro della salute, una variazione nel numero degli spettatori.
Le sessioni di allenamento di atleti degli sport individuali o di squadra sono consentite ma solo a porte chiuse.
I medesimi limiti valgono anche per gli sport di contatto.
Sono consentite solo in forma individuale le attività sportive dilettantistiche di base, le scuole o le attività formative di avviamento. Sono sospese tutte le gare, le competizioni e le attività connesse agli sport di contatto a carattere ludico-amatoriale.
A piscine e palestre viene concessa una settimana al fine allinearsi ai protocolli di sicurezza richiesti.
SALE GIOCHI: si dispone che le attività di sale giochi, sale scommesse e sale bingo sono consentite dalle ore 8.00 alle ore 21.00.
MANIFESTAZIONI: sono sospese tutte le attività convegnistiche o congressuali, ad eccezione di quelle svolte a distanza. Le cerimonie pubbliche possono svolgersi nel pieno rispetto delle linee guida e dei protocolli attualmente vigenti e anche nell’ambito delle pubbliche amministrazioni le riunioni verranno svolte con modalità telematiche, salvo la sussistenza di motivate ragioni. Si raccomandano le medesime modalità anche per le riunioni private.
SCUOLA: si dispone la prosecuzione dell’attività didattica ed educativa in presenza, almeno per il primo ciclo di istruzione e per la scuola dell’infanzia. Le scuole secondarie di secondo grado, invece, previa comunicazione al Ministero dell’istruzione, sono caldamente invitate ad adottare forme flessibili nell’organizzazione didattica incrementando la didattica digitale e modulando l’ingresso e l’uscita degli alunni. Per una più efficiente gestione degli orari si incentiva l’eventuale utilizzo di turni pomeridiani e, sempre per le scuole secondarie di secondo grado, l’ingresso non prima delle ore 9.00.
Sono consentiti i corsi abilitanti e le prove teoriche e pratiche effettuati dagli uffici della motorizzazione civile e delle autoscuole. In caso di aggravamento della situazione epidemiologica al fine di contenere la diffusione da Covid- 19 verrà disposta la temporanea sospensione delle prove pratiche di guida. Si raccomanda, inoltre, lo svolgimento di riunioni delle istituzioni scolastiche secondo modalità a distanza.
Per quanto riguarda le Università sono lasciate libere di organizzare un’alternanza della didattica a distanza e in presenza tenendo sempre in considerazione l’evoluzione del quadro pandemico territoriale.
RISTORAZIONE: Le attività di ristorazione saranno consentite dalle ore 5.00 fino alle ore 24.00 con consumo al tavolo e con un massimo di sei persone per tavolo, fino alle ore 18.00 in assenza di consumo al tavolo. E’ sempre consentita la consegna a domicilio fermo restando l’obbligo di rispetto delle norme igienico sanitarie per il confezionamento dei cibi.
E’ obbligatorio per gli esercenti esporre all’ingresso del locale un cartello in cui viene riportato il numero massimo di persone ammesse contemporaneamente nel locale in base ai controlli e alle linee guida vigenti.
Continuano ad essere consentite le attività di mense e catering continuativo su base contrattuale nel rispetto della distanza di sicurezza interpersonale di almeno un metro.
Le disposizioni del presente decreto entreranno in vigore a partire da lunedì 19 ottobre 2020, eccezion fatta per quelle riguardanti l’attività scolastica che si applicheranno da mercoledì 21 ottobre 2020 e saranno efficaci fino al 13 novembre 2020.
Coronavirus – Le nuove regole in vigore fino al 13 novembre - Dpcm 13 ottobre 2020 e Circolare Ministero della Salute 12 ottobre 2020
In data 13 ottobre 2020 il Consiglio dei Ministri ha firmato il nuovo Decreto contenente le nuove misure restrittive per far fronte alla seconda ondata dell’epidemia di COVID-19.
MASCHERINE: all’articolo 1 del presente decreto vengono disciplinate le misure urgenti di contenimento del contagio sull’intero territorio nazionale. Riprendendo quanto già stabilito al primo articolo del DPCM del 7 ottobre, viene disposto l’obbligo di avere sempre con sé la mascherina nonché di indossarla nei luoghi al chiuso diversi dalla privata dimora e in tutti i luoghi all’aperto. Fanno eccezione i casi in cui, in base alle circostanze di fatto, sia possibile mantenere la condizione di isolamento rispetto alle persone non conviventi.
Da questo obbligo sono esonerati coloro che svolgono attività sportiva, i bambini di età inferiore a 6 anni e i soggetti con patologie o disabilità che risultano incompatibili con l’uso della mascherina.
Nel medesimo articolo si sottolinea ancora una volta che i soggetti con infezione respiratoria caratterizzata da febbre maggiore di 37,5 debbano rimanere presso il proprio domicilio e contattare il proprio medico curante.
È consentito svolgere attività motoria o sportiva all’aperto purché venga rispettata la distanza di sicurezza di almeno due metri per l’attività sportiva e di almeno un metro per ogni altra attività.
VIAGGI ESTERO: l’articolo 4 stabilisce che è sconsigliato il transito da e per l’estero, salvo che non sussistano ragioni di assoluta urgenza, comprovate esigenze lavorative, esigenze legate alla salute o allo studio, oppure per il rientro presso la propria abitazione, il proprio domicilio o la propria residenza. Ogniqualvolta si fa ingresso nel territorio nazionale è obbligatorio consegnare al vettore o a chiunque sia a ciò adibito, una dichiarazione recante l’indicazione dei paesi in cui si è soggiornato nei quattordici giorni antecedenti l’ingresso in Italia e il motivo dello spostamento. Nel caso in cui nei quattordici giorni antecedenti l’ingresso in Italia si è transitato o soggiornato in uno degli stati indicati all’allegato 20 (quali ad esempio Germania, Irlanda, Belgio, Francia) sarà necessario integrare la dichiarazione con l’indicazione del proprio indirizzo completo presso il quale si soggiornerà, il mezzo di trasporto che si intende utilizzare e un recapito telefonico.
SMART WORKING: è raccomandato l’utilizzo di lavoro a distanza o presso il domicilio, l’incentivo di ferie e congedi retribuiti per i dipendenti nonché il rispetto più totale dei protocolli anti-contagio.
GITE SCOLASTICHE: vengono sospesi i viaggi d’istruzione, le iniziative di scambio o gemellaggio, le visite guidate e le uscite didattiche programmate dalle istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado, fatte salve le attività inerenti i percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento, nonché le attività di tirocinio.
MOVIDA E RISTORAZIONE: al fine di evitare ulteriori assembramenti in strada è disposto che le attività dei servizi di ristorazione sono consentite fino alle 24 con servizio al tavolo e sino alle 21 in assenza di servizio al tavolo”. È consentita la “ristorazione con consegna a domicilio” e la “ristorazione con asporto” ma “con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze dopo le 21”.
FESTE: è disposta la chiusura delle sale da ballo e discoteche, all’aperto o al chiuso, mentre sono permesse fiere e congressi. Sono vietate le feste in tutti i luoghi al chiuso e all’aperto. Restano consentite, con le regole fissate dai protocolli già in vigore, le cerimonie civili o religiose. Le feste conseguenti alle cerimonie possono invece svolgersi con la partecipazione massima di 30 persone nel rispetto dei protocolli e delle linee guida vigenti. Nelle abitazioni private è “comunque fortemente raccomandato di evitare feste e di ricevere persone non conviventi” in numero “superiore a 6”.
STADI: per le competizioni sportive è consentita la presenza di pubblico, “con una percentuale massima di riempimento del 15% rispetto alla capienza totale e comunque non oltre il numero massimo di 1000 spettatori” all’aperto e 200 al chiuso. Va garantita la distanza di un metro e la misurazione della temperatura all’ingresso. Le regioni e le province autonome possono stabilire, d’intesa con il ministro della salute, un diverso numero massimo di spettatori in considerazione delle dimensioni e delle caratteristiche dei luoghi e degli impianti.
SPORT: sono vietate tutte le gare, le competizioni e tutte le attività connesse agli sport di contatto aventi carattere amatoriale. Gli sport di contatto sono consentiti “da parte delle società professionistiche e dalle associazioni e società dilettantistiche riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano (CONI), dal Comitato italiano paralimpico (CIP), nel rispetto dei protocolli emanati dalle rispettive Federazioni sportive nazionali, Discipline sportive associate ed enti di promozione sportiva, idonei a prevenire o ridurre il rischio di contagio nel settore di riferimento o in settori analoghi”.
In data 12 ottobre è stata emanata anche una nuova circolare del Ministero della Salute in cui si aggiornano le disposizioni riguardo la durata e il termine di isolamento e quarantena in considerazione delle nuove evidenze scientifiche e delle indicazioni provenienti dall’OMS.
Viene pertanto chiarito come l’isolamento faccia riferimento alla separazione delle persone infette dal resto della comunità per tutta la fase durante la quale si è contagiosi.
Con quarantena, invece, si definisce la restrizione dei movimenti di persone sane, che potrebbero esser entrate in contatto con un infetto, per la durata del periodo di incubazione.
Coloro che risultano positivi al Sars-CoV-2, siano essi sintomatici o asintomatici, possono rientrare in società dopo 10 giorni dalla comparsa dei sintomi o della positività – a differenza dei precedenti 14 – a seguito di un solo test molecolare con riscontro negativo, eseguito almeno dopo tre giorni senza sintomi.
Coloro i quali, invece, siano stati in contatto con un caso positivo confermato dalle autorità sanitarie, devono osservare un periodo di quarantena di 14 giorni dall’ultima esposizione al caso oppure un periodo di quarantena di 10 giorni dall’ultima esposizione ed effettuare un test negativo il decimo giorno.
Il testo entrerà in vigore da domani 14 ottobre e le misure saranno applicate fino al 13 novembre 2020.
Emergenza Coronavirus - Dpcm 7 ottobre 2020
Si segnala che il Consiglio dei Ministri nella seduta del 7 ottobre 2020 ha deliberato la proroga dello stato di emergenza al 31 gennaio 2021 e, allo stesso tempo, ha approvato il Decreto Legge “Misure urgenti connesse con la proroga della dichiarazione dello stato di emergenza epidemiologica COVID-19 e per la continuità operativa del sistema di allerta COVID-19, nonché per l’attuazione della direttiva (UE) 2020/739 del 3 giugno 2020.”
Il decreto, all’articolo 1, dispone l’obbligo di portare sempre con sé i dispositivi di protezione delle vie respiratorie i quali dovranno essere indossati non più solamente nei luoghi chiusi accessibili al pubblico, ma anche in tutti i luoghi all’aperto e in qualsiasi locale chiuso diverso dalla privata dimora.
Derogano a questa disposizione le ipotesi in cui le caratteristiche del luogo consentano il distanziamento con persone non conviventi.
Si esclude comunque l’obbligatorietà dell’uso della mascherina:
- durante lo svolgimento di attività sportiva.
- ai bambini di età inferiore ai 6 anni
- ai soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina, nonché coloro che per interagire con i predetti versino nella stessa incompatibilità.
Il decreto si pronuncia anche riguardo la facoltà delle regioni di derogare le misure previste a livello nazionale nelle fasi precedenti l’adozione di ulteriori decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri. Limitatamente alle proprie competenze e nel rispetto di quanto previsto dal decreto- legge n. 33 del 2020, le stesse possono temporaneamente restringere le misure o, entro i criteri previsti dai Dpcm, ampliarle. In quest’ultimo caso è prevista un’intesa con il ministro della Salute.
Vengono prorogate, altresì, fino al 31 gennaio 2021 le disposizioni già in vigore che consentono al Governo di adottare misure volte al contenimento e al contrasto della diffusione del virus SARS-CoV-2.
In relazione all’andamento epidemiologico e in base ai principi di adeguatezza e proporzionalità queste misure potranno essere disposte in maniera omogenea per tutto il territorio nazionale o riguardare anche solo determinate aree del nostro paese. La durata di ciascuna non potrà superare però i 30 giorni, comunque reiterabili e modificabili.
Ai fini del contenimento del contagio è prevista anche l’estensione del periodo di utilizzo dell’applicazione “Immuni” e la sua interoperabilità con altre piattaforme che, con il medesimo fine, operano a livello europeo.
Le nuove disposizioni sono efficaci a partire dall’8 ottobre 2020.
Emergenza Coronavirus - sospensione della prescrizione – irretroattività della legge penale
Si segnala la prima pronuncia della Corte di Cassazione (sezione III penale, sentenza n. 21367/2020) che, intervenuta sulla compatibilità con il principio di irretroattività sfavorevole della sospensione della prescrizione introdotta dall’art. 83 d.l. 18 marzo 2020, n. 18 per far fronte all’emergenza coronavirus, dichiara manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale. Come noto la disposizione in esame ha infatti previsto, oltre che il rinvio delle udienze dei procedimenti civili e penali a data successiva all’11 maggio 2020, la sospensione di tutti i termini processuali e il corso della prescrizione.
Il dubbio di costituzionalità concerne in particolare la violazione del principio di irretroattività della legge sfavorevole di cui all’art. 25, comma 2 Cost. nella sua accezione di prevedibilità per l’imputato dei termini di prescrizione dei reati commessi nonché del relativo computo.
Pur condividendo il principio già precedentemente enucleato secondo cui l’irretroattività della legge penale di sfavore non tollera deroghe, la Corte in motivazione sottolinea la specificità ed eccezionalità del fatto generatore dell’emergenza che ha impedito, tra le altre, il regolare svolgimento dell’ordinaria attività giudiziaria. È proprio la natura esogena del fatto, dunque, “ad erigere una barriera per la tenuta futura del principio inderogabile di cui all’art. 25 Cost., che ai soli limitati fini dettati dalla legislazione emergenziale e per un periodo predeterminato e circoscritto, sopporta un sacrificio necessario”.
Il Collegio ammette in conclusione un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma e reputa la questione di legittimità costituzionale manifestamente infondata, a condizione che la sospensione del corso della prescrizione sia così modulata: fino all’11 maggio 2020 per le udienze ricadenti tra il 9 marzo e l’11 maggio 2020 e rinviate d’ufficio a data successiva all’11 maggio 2020; fino al 30 giugno 2020 in relazione ai procedimenti le cui udienze risultavano fissate dal 12 maggio 2020 e rinviate dai capi degli uffici a data successiva al 30 giugno 2020, ma con sospensione della prescrizione solo fino al 30 giugno 2020.
Particolare tenuità del fatto – parziale illegittimità costituzionale
Con sentenza n. 156/2020 la Consulta si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Tribunale di Taranto, dell’art. 131 bis cod. pen. nella parte in cui, limitando l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ne esclude dall’ambito applicativo il reato di ricettazione attenuato da particolare tenuità di cui all’art. 648, comma 2 cod. pen.. Poiché la medesima causa di non punibilità è viceversa applicabile, in ragione del massimo edittale contenuto entro cinque anni, a fattispecie delittuose omogenee alla ricettazione (furto, danneggiamento, truffa), nonostante queste ultime abbiano un minimo edittale molto superiore alla ricettazione attenuata, si determinerebbe secondo l’ordinanza di rimessione una disparità di trattamento contraria al principio di ragionevolezza e alla finalità rieducativa della pena.
Richiamando il precedente arresto di cui alla sentenza n. 207/2017, la Corte costituzionale valorizza la mancata previsione nella descrizione normativa del delitto in esame di un minimo edittale di pena detentiva, con conseguente operatività del minimo assoluto di quindici giorni stabilito per la reclusione dall’art. 23, comma 1 cod. pen.. Tale caratteristica strutturale, spiega la Corte, “richiama per necessità logica l’eventualità applicativa dell’esimente di particolare tenuità del fatto”. L’opzione legislativa di consentire l’irrogazione della pena detentiva nella misura minima assoluta rivela infatti la possibilità che possano essere sussunte nell’ambito applicativo della causa di non punibilità in esame anche condotte dalla più tenue offensività. Ne discende l’irragionevolezza di un’aprioristica esclusione della fattispecie di cui all’art. 131 bis cod. pen. in virtù di un massimo edittale superiore ai cinque anni di reclusione.
Deve quindi censurarsi, continua la Corte, la preclusione dell’applicazione dell’esimente in esame per i reati, come la ricettazione di particolare tenuità, che lo stesso legislatore, attraverso l’omessa previsione di un minimo di pena detentiva e la conseguente operatività del minimo assoluto di cui all’art. 23, comma 1, cod. pen., ha mostrato di valutare in termini di potenziale minima offensività.
La Corte dichiara dunque l’illegittimità costituzionale dell’art. 131 bis cod. pen. per violazione dell’art. 3 Cost. “nella parte in cui non consente l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati per i quali non è previsto un minimo edittale di pena detentiva”.
Omesso versamento di ritenute previdenziali e assistenziali – prova del fatto
Con sentenza n. 23185/2020 la terza sezione penale della Corte di Cassazione si pronuncia in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali (reato previsto e punito dall’art. 2, comma 1 bis, legge n. 638/1983), soffermandosi in particolare sulla prova dell’elemento oggettivo della fattispecie. Tra i motivi addotti dal ricorrente relativi alla mancata assoluzione dell’imputato e all’eccessività della pena inflitta si valorizza infatti il difetto della prova dell’effettivo pagamento delle retribuzioni, onere che graverebbe sulla pubblica accusa.
La Corte censura le doglianze difensive. La Corte d’Appello desumeva infatti la prova dell’avvenuta corresponsione della retribuzione sulla base della presentazione delle prove documentali e testimoniali, in linea con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui in tema di omesso versamento di ritenute previdenziali ed assistenziali la prova dell’effettiva corresponsione non è configurabile in assenza del materiale esborso delle somme dovute ai dipendenti, ma tuttavia la stessa può essere desunta dalle prove documentali (nella specie modelli DM10, buste paga, copie aziendali che attestino le retribuzioni corrisposte e gli obblighi previdenziali verso l’INPS, salvo prova contraria).
Nessun rilievo, continua la Corte, nemmeno la doglianza secondo cui la Corte d’Appello non avrebbe provveduto sul motivo della difesa relativo alla verifica a campione su dieci lavoratori a fronte dei duecento presenti in azienda. Come già affermato dalla giurisprudenza di legittimità “a nulla rileva il numero dei lavoratori ai quali si riferisce la condotta omissiva penalmente sanzionata la quale si perfeziona nella entità della somma annualmente non versata indipendentemente dal numero dei lavoratori cui l’omissione è riferita”. In tal caso graverebbe sulla difesa fornire la prova del mancato versamento a taluno di essi o dedurre la specifica circostanza impeditiva del perfezionamento del reato.
Alla luce della mancata produzione di elementi contrari da parte della difesa, nessun ulteriore onere probatorio, conclude la Corte, gravava dunque sulla pubblica accusa.
Truffa contrattuale – momento consumativo del reato
Con sentenza n. 17353/2020 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui tratti costitutivi del reato di truffa contrattuale di cui all’art. 640 cod. pen. ai fini di individuarne il relativo momento consumativo.
La Corte richiama il principio di diritto secondo cui il delitto di truffa contrattuale è reato istantaneo e di danno, con conseguente determinazione del relativo momento consumativo alla luce delle peculiarità del singolo accordo, avuto riguardo alle modalità e ai tempi delle condotte, onde individuare in concreto quando si è prodotto l’effettivo pregiudizio del raggirato in correlazione al conseguimento dell’ingiusto profitto da parte dell’agente.
In particolare “il delitto di truffa contrattuale commessa dall’intermediario finanziario che, senza autorizzazione, percepisca denaro dai privati da investire in operazioni finanziarie ha, invero, natura di reato istantaneo e si consuma al momento della diminuzione patrimoniale e dell’ingiustificato arricchimento quando le parti abbiano concluso contratti di mandato singoli, in forza dei quali l’autore del reato, ottenuto il versamento delle somme, effettua l’investimento, mentre va considerato a consumazione prolungata quando, a fronte di un accordo iniziale, il cliente effettui periodici versamenti di somme scaglionate nel tempo”.
Continuazione e termini di durata massima della custodia cautelare
La sezione feriale penale della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi, con sentenza n. 24025/2020, sui rapporti tra continuazione e termini di durata massima della custodia cautelare. Come noto il legislatore prevede alcuni limiti temporali alla custodia cautelare, onde evitare che la stessa assuma i connotati di una pena anticipata snaturandone la tipica funzione. Tuttavia, ai sensi dell’art. 657, comma 4 cod. proc. pen., sono computate solo la custodia subita o le pene espiate dopo la commissione del reato per il quale deve determinarsi la pena da eseguire.
Chiamata a pronunciarsi sull’ambito applicativo della disposizione in esame nell’ipotesi di continuazione tra reati, la Corte chiarisce in motivazione che, i fini del computo della fungibilità di cui all’art. 657, comma 4 cod. proc. pen. “nel caso di riconoscimento della continuazione tra reati commessi e giudicati in tempi diversi, l’esecuzione di pena o custodia cautelare avvenuta per uno di essi è valutata con esclusivo riferimento al singolo reato cui detta esecuzione si riferisce”. Tutto ciò al fine di evitare la precostituzione di riserve di impunità.
Tale principio, prosegue la Corte, trova applicazione sia nel caso di riconoscimento della continuazione in fase esecutiva che nell’ipotesi in cui tale vincolo sia stato riconosciuto dal giudice della cognizione tra reati già giudicati e da giudicare. Già in precedenza la giurisprudenza ha infatti affermato che “in caso di condanna non ancora definitiva per reato considerato come unito per continuazione ad altro per il quale vi sia già stata condanna irrevocabile non può considerarsi come ‘custodia cautelare’, ai fini del non superamento dei termini di durata massima previsti dal 303 cod. proc. pen., la privazione della libertà sofferta in espiazione della pena a suo tempo inflitta con la condanna irrevocabile”.
Indicazioni in materia di reati tributari e responsabilità amministrativa degli enti – circolare n. 216816/2020 Guardia di finanza
Con la circolare n. 216816/2020 del 1° settembre 2020, la Guardia di finanza ha fornito ai propri reparti indicazioni in materia di reati tributari (di cui al D.Lgs. n. 74/2000) ed in particolare con riferimento alla responsabilità amministrativa degli enti, ai sensi dell'art. 25-quinquiesdecies, D.Lgs. n. 231/2001. Ricordiamo, infatti, la novella del 2019, che ha introdotto nel catalogo dei reati presupposto alcuni dei reati fiscali; catalogo ulteriormente ampliato con l’intervento riformatore in vigore a luglio.
La GdF ha prima proceduto ad un’analisi delle più recenti novità normative in materia, vale a dire: D.Lgs. 14 luglio 2020, n. 75 di attuazione della cd. "Direttiva PIF" (direttiva UE 2017/137); L. 19 dicembre 2019, n. 157, che ha convertito, con modifiche, il Decreto legge 26 ottobre 2019, n. 124 (cd. "Decreto fiscale"). Il comando generale ha inteso fornire, con documento in commento, "direttive volte a focalizzare l'attenzione dei Reparti sugli illeciti tributari maggiormente lesivi degli interessi erariali, privilegiando l'esecuzione di indagini di polizia giudiziaria".
Tra gli aspetti di maggiore interesse si segnalano: - la “confisca allargata”; - i reati tributari maggiormente rilevanti, come recentemente modificati dal legislatore; - la compliance fiscale ex D.Lgs. n. 128/2015 e la disciplina ex D.Lgs. n. 231/2001. Di particolare interesse risulta il richiamo alle conseguenze pratiche della riforma per cui, nel caso di accertamento della colpa organizzativa dell’ente e degli altri presupposti per l'attribuzione della responsabilità ex D.Lgs. n. 231/2001, agli enti collettivi è applicabile la confisca obbligatoria, anche per equivalente, del prezzo o profitto del reato (Cass. pen., SS.UU., sent. 02.07.2008, n. 26654). Viene, dunque, sottolineato che - al ricorrere dei presupposti previsti – “l'ente è considerato direttamente responsabile del reato tributario presupposto”, con la possibilità di applicargli direttamente la confisca per equivalente.
Il documento in esame rinvia, poi, alla circolare della Guardia di finanza n. 83607/2012. Le analisi di rischio operate dagli enti - sia nell'ambito del proprio Tax Control Framework che del “Modello di organizzazione” “gestione e controllo” ex D.Lgs. n. 231/2001 (con riguardo ai reati tributari) - e, ancor più, le misure di prevenzione poste in atto dagli enti, costituiranno oggetto di attenta valutazione da parte della Guardia di finanza in occasione di verifiche fiscali e indagini penali di natura tributaria.
D. lgs. 14 luglio 2020, n. 75 – lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione europea
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 177 del 15 luglio 2020) del decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75 di attuazione, mediante il diritto penale, della direttiva UE n. 1371/2017 relativa alla lotta contro la frode che leda gli interessi finanziari dell’Unione.
1. Si riportano innanzitutto le modifiche di maggior rilievo apportate al codice penale:
- introduzione di aggravanti speciali per i delitti di cui agli artt. 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui), 316 ter (indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato), 319 quater (induzione indebita a dare o promettere utilità) cod. pen. laddove il fatto offenda gli interessi finanziari dell’Unione europea e il danno o il profitto siano superiori a euro centomila;
- estensione dell’area di punibilità della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 322 bis cod. pen. (peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e istigazione alla corruzione di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o di assemblee parlamentari internazionali o di organizzazioni internazionali e di funzionari delle Comunità europee o di Stati esteri) alle persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio nell’ambito di Stati non appartenenti all’Unione europea quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione;
- estensione dell’ambito applicativo dell’aggravante di cui all’art. 640, comma 1, n. 1 cod. pen. (truffa) al fatto commesso in danno dell’Unione europea.
2. Il decreto in esame contiene inoltre un’importante novità in materia di reati tributari, con previsione della punibilità a titolo di tentativo, salvo che il fatto integri il delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 8 d. lgs. n. 74/2000, degli atti diretti a commettere i delitti di cui agli artt. 2 (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti), 3 (dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici) e 4 (dichiarazione infedele) quando sono compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell’Unione europea al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un valore complessivo non inferiore a dieci milioni di euro (art. 6 d. lgs. n. 74/2000).
3. Si segnalano altresì le disposizioni del provvedimento relative alla responsabilità amministrativa degli enti di cui al d. lgs. n. 231/2001 con cui, tre le altre, si provvede al significativo ampliamento del catalogo dei reati presupposto:
- modifica della rubrica dell’art. 24, con previsione di ulteriori reati presupposto: “Indebita percezione di erogazioni, truffa in danno dello Stato, di un ente pubblico o dell’Unione europea o per il conseguimento di erogazioni pubbliche, frode informatica in danno dello Stato o di un ente pubblico e frode nelle pubbliche forniture”;
- modifica della rubrica dell’art. 25, con ampliamento dei reati presupposto: “Peculato, concussione, induzione indebita a dare o promettere utilità, corruzione e abuso d’ufficio”;
- applicazione all’ente della sanzione pecuniaria fino a duecento quote di cui all’art. 25 quando il fatto offende gli interessi finanziari dell’Unione europea in relazione alla commissione dei delitti di cui agli artt. 314, primo comma (peculato), 316 (peculato mediante profitto dell’errore altrui) e 323 (abuso d’ufficio) cod. pen.;
- introduzione del comma 1 bis all’art. 25-quinquiesdecies: in relazione alla commissione dei delitti previsti dal d. lgs. n. 74/2000, se commessi nell’ambito di sistemi fraudolenti transfrontalieri e al fine di evadere l’imposta sul valore aggiunto per un importo complessivo non inferiore a dieci milioni di euro, si applicano all’ente le sanzioni pecuniarie fino a trecento quote per il delitto di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 e fino a quattrocento quote per l’omessa dichiarazione di cui all’art. 5 nonché per il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10 quater;
- introduzione dell’art. 25-sexiesdecies (Contrabbando): in relazione alla commissione dei reati previsti dal D.P.R. n. 43/1973 (testo unico in materia doganale) si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a duecento quote. Quando i diritti di confine dovuti superano centomila euro si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote.
4. Il decreto ripristina infine le sanzioni penali per il reato di contrabbando di cui al D.P.R. n. 43/1973 quando l’ammontare dei diritti di confine dovuti sia superiore a euro diecimila, con introduzione di un’ipotesi aggravata qualora l’ammontare di tali diritti sia superiore a euro centomila.
Legge c.d. Spazzacorrotti e irretroattività della pena accessoria
Con sentenza n. 21868/2020 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione esclude l’applicazione retroattiva della pena accessoria dell’interdizione temporanea dai pubblici uffici di cui all’art. 317 bis cod. pen., come recentemente novellato, per fatti commessi prima dell’entrata in vigore del novum legislativo.
Come noto la legge 9 gennaio 2019, n. 3 (c.d. Spazzacorrotti), entrata in vigore il 31 gennaio 2019, ha infatti modificato, tra gli altri, l’articolo 317 bis cod. pen. estendendone la portata applicativa alla fattispecie incriminatrice di cui all’art. 321 cod. pen., disposizione quest’ultima che prevede per il corruttore le pene previste per il corrotto nelle ipotesi di cui agli artt. 318 (corruzione per l’esercizio della funzione) e 319 (corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio) cod. pen..
Non vi è dubbio, afferma con forza la Corte, che tale modifica ampliativa dell’ambito di applicazione della pena accessoria dell’interdizione dai pubblici uffici, essendo norma che aggrava il trattamento sanzionatorio, non possa che applicarsi ai reati commessi dopo l’entrata in vigore della legge, in forza del principio di irretroattività sfavorevole di cui all’art. 2, comma 4 cod. pen., configurandosi in senso contrario un’ipotesi di pena illegale.
Infortuni sul lavoro – società di capitali – componenti del c.d.a. – responsabilità
Con sentenza n. 7564/2020 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità per infortuni sul lavoro.
La Corte richiama e avalla il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui nelle società di capitali gli obblighi inerenti la prevenzione degli infortuni posti a carico del datore di lavoro gravano indistintamente su tutti i componenti del consiglio di amministrazione, salva l’ipotesi di delega della posizione di garanzia. Nelle società di capitali il datore di lavoro si identifica infatti con i soggetti effettivamente titolari dei poteri decisionali e di spesa all’interno dell’azienda ovvero con il presidente del consiglio di amministrazione, l’amministratore delegato o il componente del consiglio di amministrazione cui siano state attribuite le relative funzioni.
In ogni caso, conclude la Corte, “la delega di gestione conferita a uno o più amministratori, se specifica e comprensiva dei poteri di deliberazione e spesa, può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso di mancato esercizio della delega”.
Delirio di gelosia, vizio parziale di mente e premeditazione
Con sentenza n. 20487/2020 la prima sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di vizio parziale di mente, con particolare riferimento al rapporto con l’aggravante della premeditazione. Nella specie il ricorrente veniva condannato dal Giudice di prime cure per l’omicidio volontario dell’amante della moglie. Dai risultati peritali l’imputato risultava affetto da un disturbo delirante e persecutorio di gelosia, accertandosi inoltre una capacità di intendere e volere grandemente scemata al momento del fatto in quanto “totalmente obnubilato da un delirio di gelosia”.
La Corte, nel dichiarare inammissibile il ricorso relativo al disconoscimento della circostanza aggravante della premeditazione, richiama sul punto quanto ampiamente affermato in precedenza dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui “nell’ipotesi di accertato grave disturbo della personalità, funzionalmente collegato all’agire e tale da incidere, facendola scemare grandemente, sulla capacità di volere, l’accertamento della circostanza aggravante della premeditazione richiede un approfondito esame delle emergenze processuali che porti ad escludere, con assoluta certezza, che la persistenza del proposito criminoso sia stata concretamente influenzata da uno degli aspetti patologici correlati alla formazione o alla persistenza della volontà criminosa”. Deve infatti escludersi la ricorrenza della premeditazione, per incompatibilità con il vizio parziale di mente, qualora l’aggravante, come nella specie, sia essa stessa manifestazione dell’infermità psichica di cui è affetto l’imputato, coincidendo il proposito criminoso con l’idea fissa e ossessiva facente parte del quadro sintomatologico della patologia.
Legge 25 giugno 2020, n. 70
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. del 29 giugno 2020 n. 162) della legge n. 70/2020 di conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 30 aprile 2020, n. 28 recante misure urgenti per la funzionalità dei sistemi di intercettazioni di conversazioni e comunicazioni, ulteriori misure urgenti in materia di ordinamento penitenziario, nonché disposizioni integrative e di coordinamento in materia di giustizia civile, amministrativa e contabile e misure urgenti per l’introduzione del sistema di allerta Covid-19.
Si riportano di seguito le novità di maggior rilievo apportate in sede di conversione:
- fissazione al 30 giugno 2020 del termine finale della cosiddetta “fase emergenziale dell’attività giudiziaria” (fase in cui i capi degli uffici giudiziari possono adottare, sentita l’autorità sanitaria regionale, le misure organizzative anche relative alla trattazione degli affari giudiziari necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico sanitarie fornite dal Ministero della salute al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone);
- in tema di detenzione domiciliare necessità che, in caso di detenuti per uno dei delitti previsti dall’art. 51, commi 3 bis e quater cod. proc. pen. (tra gli altri, delitti di associazione per delinquere diretta a commettere reati sessuali in danno di minori e delitti con finalità di terrorismo), l’autorità competente prima di pronunciarsi chieda il parere del procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la sentenza di condanna o ove ha sede il giudice che procede e, nel caso di detenuti sottoposti al regime del 41 bis, anche quello del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo in ordine all’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata e alla pericolosità del soggetto. Previsione dell’obbligo di cui sopra, con riferimento ai medesimi delitti, anche per il tribunale o il magistrato di sorveglianza che debba provvedere in ordine al rinvio dell’esecuzione della pena ai sensi degli artt. 146 e 147 cod. pen. con applicazione della detenzione domiciliare (art. 2);
- in tema di detenzione domiciliare o di differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria, previsione dell’obbligo per il magistrato di sorveglianza o per il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento di detenzione domiciliare o di differimento per i condannati e internati per i delitti di cui agli artt. 270 (associazioni sovversive), 270 bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico) e 416 bis (associazione di tipo mafioso anche straniere) cod. pen. e 74 del T.U. stupefacenti (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o per un delitto commesso con le finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 sexies cod. pen., nonché per i condannati sottoposti al regine di cui al 41 bis ord. penit., di valutare, acquisito il parere del procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati già sottoposti al 41 bis, la permanenza dei motivi legati all’emergenza sanitaria entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e successivamente con cadenza mensile (nuovo art. 2 bis);
- quando, nei confronti di imputati per i delitti di cui agli artt. 270 (associazioni sovversive), 270 bis (associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico) e 416 bis (associazione di tipo mafioso anche straniere) cod. pen. e 74 del TU stupefacenti (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope) o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o per un delitto commesso con le finalità di terrorismo ai sensi dell’art. 270 sexies cod. pen., nonché per i condannati sottoposti al regine di cui al 41 bis ord. penit., è stata disposta la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria, il pubblico ministero verifica la permanenza dei predetti motivi entro quindici giorni dalla data di adozione della misura degli arresti domiciliari e successivamente con cadenza mensile (nuovo art. 2 ter);
- negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni dal 19 maggio 2020 e fino al 30 giugno 2020 i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e imputati possono essere svolti a distanza. Il direttore dell’istituto stabilisce nei limiti di legge il numero massimo di colloqui da svolgere in presenza, fermo restando il diritto dei condannati, internati e imputati ad almeno un colloquio al mese in presenza di almeno un congiunto o altra persona (nuovo art. 2 quater);
- per le persone detenute l’autorizzazione alla corrispondenza telefonica può essere concessa oltre i limiti in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, nonché in caso di trasferimento del detenuto. L’autorizzazione può essere concessa una volta al giorno se la corrispondenza telefonica si svolga con figli minori o maggiorenni portatori di disabilità grave; è inoltre concessa nei casi in cui si svolga con il coniuge, con l’altra parte dell’unione civile, con persona stabilmente convivente o legata all’internato da relazione affettiva stabile, con il padre, la madre, il fratello o la sorella qualora gli stessi siano ricoverati presso strutture ospedaliere (nuovo art. 2 quinquies).
Divieto anche per il giudice di domande suggestive alla testimone minorenne
Con sentenza n. 15331/2020 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di esame testimoniale, specificando l’ambito operativo del divieto di domande suggestive o nocive di cui all’art. 499 cod. proc. pen.. Tale norma detta infatti le “regole per l’esame del testimone”, indicando i criteri cui il giudice deve attenersi nell’ammettere e vietare le domande delle parti.
Il divieto di formulare domande che possano nuocere alla sincerità delle risposte, nel duplice senso di domande suggestive (che tendono a suggerire la risposta al teste o forniscono informazioni necessarie per rispondere secondo quanto desiderato dall’esaminatore) o nocive (finalizzate a manipolare il teste attraverso informazioni errate fuorviandone la memoria) è espressamente previsto con riferimento alla parte che ha chiesto la citazione del testimone. A maggior ragione però, chiarisce la Corte, “detto divieto deve applicarsi al giudice al quale spetta il compito di assicurare, in ogni caso, la genuinità delle risposte”.
L’inosservanza dei criteri contenuti nel codice di rito rende dunque la prova non genuina e poco attendibile. Nel caso in disamina, conclude la Corte, le domande formulate alla testimone presentano entrambi gli aspetti di suggestività e nocività, quali domande assertive che indirizzano la teste verso una mera conferma di quanto postulato dall’interrogante e che entrano nel dettaglio, con palese manipolazione delle risposte, pregiudicando la stessa attendibilità della persona offesa.
Illeciti tributari – pagamento del debito – doppio regime – questione di legittimità costituzionale
Si segnala la sentenza n. 13901/2020 con cui la terza sezione penale della Corte di Cassazione ha respinto la questione di legittimità costituzionale dell’art. 13 d. lgs. n. 74/2000 che, in tema di reati tributari, prevede soltanto per alcuni di essi la riduzione della pena fino alla metà e la mancata applicazione delle pene accessorie se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, i debiti tributari sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
Sussiste dunque un doppio regime, prevedendo la norma che il pagamento del debito si configuri come causa di non punibilità per alcuni reati del d. lgs. n. 74/2000 (artt. 4, 5, 10 bis, 10 ter, 10 quater) e come circostanza attenuante per i restanti.
Tale differenziazione, spiega la Corte, non presenta alcun profilo di manifesta irragionevolezza, stante la diversa natura dei vari reati tributari contemplati e il maggiore disvalore di alcune fattispecie incriminatrici, come dimostrato dalle più severe cornici edittali previste. Non può dunque ritenersi illogica la scelta del legislatore, non potendosi negare che per i reati esclusi dall’applicazione della causa di non punibilità (artt. 8, 10 e 11) il ricorso al pagamento anticipato del debito risulta di difficile operatività pratica posto che i reati di emissione di fatture per operazioni inesistenti e occultamento o distruzione di documenti contabili non comportano evasione fiscale per il loro autore, mentre il reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte è configurato come reato a consumazione anticipata.
Atti persecutori – reato abituale di danno e competenza territoriale
Con sentenza n. 16977/2020 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione, nella specie chiamata a pronunciarsi sulla competenza territoriale del tribunale di primo grado che ha condannato l’imputato per il delitto di atti persecutori, compie una più generale disamina in tema di locus commissi delicti nei reati abituali di danno.
La natura di reato abituale di danno del delitto in esame, spiega innanzitutto la Corte, “implica che esso debba ritenersi integrato dalla necessaria reiterazione dei comportamenti descritti dalla norma e dal loro effettivo inserimento nella sequenza causale che porta alla determinazione dell’evento, che deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso, anche se può manifestarsi solo a seguito della consumazione dell’ennesimo atto persecutorio, sicché ciò che rileva non è la dotazione dei singoli atti, quanto la loro identificabilità quali segmenti di una condotta unitaria, causalmente orientata alla produzione dell’evento”.
La consumazione del reato in esame, quale reato abituale, prescinde quindi dal momento iniziale di realizzazione delle condotte, sicché la competenza territoriale si determina in relazione al luogo in cui il comportamento stesso diviene riconoscibile e qualificabile come persecutorio e in cui il disagio della persona offesa degenera in uno stato di protrazione psicologica. Nel delitto di cui all’art. 612 bis cod. pen. la consumazione coincide quindi con il compimento dell’ultimo degli atti della sequenza criminosa integrativa della abitualità del reato.
Valorizzando altresì la natura del delitto di stalking quale reato di danno, la Corte precisa che non diversamente dagli altri reati di danno anche quello di atti persecutori si consuma nel momento e nel luogo in cui l’evento dannoso può dirsi compiuto e cioè alla fine della sequenza degli atti complessivamente capaci di determinare uno degli eventi previsti dalla disposizione incriminatrice.
Misura cautelare coercitiva in sede di riesame – interrogatorio di garanzia
Con sentenza n. 17274/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla seguente questione di diritto: “se, in caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice per le indagini preliminari, sia o no necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena d’inefficacia della misura cautelare”.
Si contrappongono sul punto in seno alla giurisprudenza di legittimità due distinti orientamenti. Secondo un primo indirizzo interpretativo qualora il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del Giudice per le indagini preliminari, applichi una misura cautelare coercitiva non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia, in quanto il provvedimento emesso in sede di appello cautelare è preceduto dall’instaurazione di un contraddittorio pieno, finalizzato ad approfondire anticipatamente tutti i temi dell’azione cautelare anche attraverso i contributi forniti dalla difesa.
Di contrario avviso l’ordinanza di rimessione che, richiamando un precedente arresto giurisprudenziale, afferma con forza l’imprescindibilità dell’interrogatorio di garanzia della persona sottoposta a misura cautelare, pena l’inefficacia della misura stessa. Non essendo prevista nessuna eccezione normativa per l’ipotesi in cui l’ordinanza di custodia cautelare sia stata emessa dal tribunale a seguito di appello del pubblico ministero avverso il provvedimento del giudice per le indagini preliminari di rigetto della richiesta ex art. 291 cod. proc. pen. non può che valere, dunque, la regola generale di cui all’art. 294 cod. proc. pen. secondo la quale l’interrogatorio di garanzia è doveroso a pena di inefficacia della misura cautelare, con garanzia piena del diritto di difesa.
Le Sezioni unite intendono dare seguito al primo degli orientamenti sopra richiamati: la tesi opposta, seppur meritevole di valorizzare appieno il diritto di difesa, non è infatti esportabile alla fase processuale in esame dove le finalità difensive vengono comunque soddisfatte dal contraddittorio nel procedimento camerale instauratosi in seguito all’impugnazione della misura, prima della decisione del giudice, con conseguente approfondimento anticipato di tutti i temi dell’azione cautelare.
In conclusione le Sezioni Unite affermano il seguente principio di diritto: “In caso di applicazione di una misura cautelare coercitiva da parte del tribunale del riesame in accoglimento dell’appello del pubblico ministero avverso la decisione di rigetto del giudice delle indagini preliminari non è necessario procedere all’interrogatorio di garanzia a pena di inefficacia della misura suddetta”.
Sospensione condizionale della pena – revoca e presupposti
Con sentenza n. 18843/2020 la prima sezione penale della Corte di Cassazione si pronuncia in tema di sospensione condizionale della pena, in particolare per l’ipotesi di revoca del beneficio ex art. 168 comma 1 cod. pen. qualora il condannato, nei termini durante i quali la condanna rimane sospesa, commetta un delitto con applicazione di pena detentiva o non adempia agli obblighi impostigli (comma 1, n. 1) ovvero riporti un’altra condanna per un delitto anteriormente commesso a pene che, cumulate a quella per cui opera la sospensione, superino i limiti stabiliti dall’art. 163 cod. pen. (comma 1, n. 2). In tali ipotesi la revoca opera di diritto al momento del verificarsi dei richiamati presupposti.
La Corte, nella specie chiamata a pronunciarsi per la fattispecie di cui all’art. 168, comma 1, n. 1 cod. pen., ribadisce sul punto, valorizzando il tenore letterale della norma, la correlazione della causa di revoca di diritto del beneficio alla commissione di un delitto nel quinquennio dal passaggio in giudicato della sentenza concessiva del beneficio “e non anche all’ulteriore condizione risolutiva del passaggio in giudicato della sentenza di condanna per il nuovo delitto entro tale termine”.
La necessità del passaggio in giudicato della successiva sentenza nel quinquennio dal passaggio in giudicato della sentenza concessiva del beneficio è prevista infatti, conclude la Corte, unicamente per la diversa ipotesi di cui all’art, 168 comma 1, n. 2, cod. pen..
Emergenza Coronavirus – L. 5 giugno 2020, n. 40
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 143 del 6 giugno 2020) della legge n. 40 del 5 giugno 2020 (in vigore dal 7 giugno 2020) di conversione, con modificazioni, del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 (cd. decreto liquidità) recante tra le altre misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese.
Queste le modifiche di maggior rilievo apportate in sede di conversione:
Capo I – Misure di accesso al credito per le imprese
Art. 1 - Misure temporanee per il sostegno alla liquidità delle imprese:
- al fine di assicurare liquidità alle imprese colpite dall’epidemia COVID-19 con sede in Italia, la società SACE S.p.a. concede fino al 31 dicembre 2020 garanzie in favore di banche, istituzioni finanziarie e altri soggetti abilitati all’esercizio del credito in Italia per finanziamenti alle suddette imprese. La garanzia copre il 90 per cento dell’importo del finanziamento per imprese con più di 5000 dipendenti e valore del fatturato fino a 1,5 miliardi di euro e l’80 per cento per imprese con valore del fatturato superiore a 1,5 miliardi di euro e fino a 5 miliardi;
- sono escluse dalla garanzia le società che controllano direttamente o indirettamente una società residente in un Paese o in un territorio non cooperativo a fini fiscali ovvero che da questi Paesi o territori risultano essere controllate;
- previsione di una procedura semplificata di accesso al credito per le imprese di minori dimensioni (non più di 5000 dipendenti e valore del fatturato fino a 1,5 miliardi di euro);
- l’impresa che beneficia della garanzia, nonché ogni altra impresa con sede in Italia che faccia parte del medesimo gruppo comprese quelle soggette alla direzione e al coordinamento da parte della stessa, assume l’impegno di non approvare la distribuzione dei dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020. Qualora l’impresa abbia già distribuito i dividendi o riacquistato azioni al momento della richiesta di finanziamento l’impegno è assunto dall’impresa per i dodici mesi successivi alla data della richiesta;
- le richieste di nuovi finanziamenti di cui all’art. 1 devono essere integrate da una dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà con la quale il titolare o il legale rappresentante dell’impresa richiedente dichiara, tra le altre, che l’attività di impresa è stata limitata o interrotta dall’emergenza, che i dati aziendali forniti su richiesta dell’intermediario sono veritieri e completi, che il finanziamento è richiesto per sostenere costi del personale, investimenti o capitale circolante impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali localizzate in Italia (nuovo art. 1 bis).
Capo II – Misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza COVID-19
- proroga di sei mesi dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza successiva al 23 febbraio 2020 (invece che nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021) (art. 9);
- sospensione dal 9 marzo 2020 al 30 agosto 2020 (invece che al 30 aprile 2020) dei termini di scadenza ricadenti o decorrenti nel medesimo periodo relativi a titoli di credito (art. 11);
- potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, con previsione della concessione della garanzia a titolo gratuito per le imprese con numero di dipendenti non superiore a 499, per un importo massimo per singola impresa elevato a 5 milioni di euro (anche qualora almeno il 25 per cento del capitale o dei diritti di voto sia detenuto direttamente o indirettamente da un ente pubblico oppure congiuntamente da più enti pubblici). Innalzamento fino a 30.000 euro (invece che 25.000) dell’importo oggetto di garanzia per i finanziamenti nei confronti di piccole e medie imprese e di persone fisiche esercenti attività di impresa, arti o professioni la cui attività di impresa è stata danneggiata dall’emergenza COVID-19 (art. 13);
- per l’esercizio relativo all’anno 2020 è riassegnato al Fondo per la prevenzione del fenomeno dell’usura il 20 per cento dell’attivo di esercizio del Fondo di Solidarietà per le vittime dell’usura (nuovo art. 13 bis).
Capo IV – Misure fiscali e contabili
- la sospensione dei versamenti d’imposta sul valore aggiunto si applica per i mesi di aprile e maggio 2020, a prescindere dal volume dei ricavi e dei compensi del periodo d’imposta precedente, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale od operativa nelle province di Bergamo, Bresca, Cremona, Lodi, Piacenza, Alessandria e Asti che hanno subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi di almeno il 33 per cento nei mesi di marzo e aprile 2020 rispetto agli stessi mesi del periodo di imposta precedente (art. 18);
- al fine di garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza e i livelli occupazionali, è disposta la sospensione del pagamento dei canoni dovuti per il periodo dal primo marzo 2020 al 31 luglio 2020 per l’uso, in concessione o locazione, di beni immobili appartenenti allo Stato (nuovo art. 18 bis);
- ai fini della tutela contro il rischio di contagio, i datori di lavoro pubblici e privati adempiono all’obbligo di cui all’art. 2087 cod. civ. (tutela delle condizioni di lavoro) mediante applicazione delle prescrizioni di cui al protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del COVID-19 negli ambienti di lavoro, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali. Qualora non trovino applicazione le predette prescrizioni rilevano le misure contenute nei protocolli o accordi di settore stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali comparativamente più rappresentative sul piano sindacale (nuovo art. 29 bis).
Capo V- Disposizioni in materia di termini processuali e procedimentali
- sospensione fino al 30 settembre 2020 delle segnalazioni a sofferenza effettuate dagli intermediari alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia (nuovo art. 37 bis).
Infortunio sul lavoro da COVID-19
In riferimento al dibattito in corso sui profili di responsabilità civile e penale del datore di lavoro per le infezioni da Covid-19 dei lavoratori si riporta di seguito il comunicato del 15 maggio 2020 con cui l’INAIL precisa che dal riconoscimento come infortunio sul lavoro ex art. 42, comma 2 d.l. n. 18/2020 (cd. decreto “Cura Italia”) non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità del datore stesso.
In particolare: “Sono diversi i presupposti per l’erogazione di un indennizzo Inail per la tutela relativa agli infortuni sul lavoro e quelli per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del datore di lavoro che non abbia rispettato le norme a tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Queste responsabilità devono essere rigorosamente accertate, attraverso la prova del dolo o della colpa del datore di lavoro, con criteri totalmente diversi da quelli previsti per il riconoscimento del diritto alle prestazioni assicurative Inail.
Pertanto, il riconoscimento dell’infortunio da parte dell’Istituto non assume alcun rilievo per sostenere l’accusa in sede penale, considerata la vigenza in tale ambito del principio di presunzione di innocenza nonché dell’onere della prova a carico del pubblico ministero. E neanche in sede civile il riconoscimento della tutela infortunistica rileva ai fini del riconoscimento della responsabilità civile del datore di lavoro, tenuto conto che è sempre necessario l’accertamento della colpa di quest’ultimo per aver causato l’evento dannoso.
Al riguardo, si deve ritenere che la molteplicità delle modalità del contagio e la mutevolezza delle prescrizioni da adottare sui luoghi di lavoro, oggetto di continuo aggiornamento da parte delle autorità in relazione all’andamento epidemiologico, rendano peraltro estremamente difficile la configurabilità della responsabilità civile e penale dei datori di lavoro”.
Sospensione della prescrizione ed emergenza Coronavirus – questione di legittimità costituzionale
Con due diverse ordinanze del 21 maggio 2020 il Tribunale di Siena ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 83, comma 4 d.l. n. 18/2020 (cd. decreto “Cura Italia”) per contrasto con il principio di legalità ex art. 25, comma 2 Cost. “là dove è previsto che il corso della prescrizione dei reati commessi prima del 9 marzo 2020 rimanga sospeso per un periodo di tempo pari a quello in cui sono sospesi i termini processuali”, sospensione disposta in conseguenza dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. In particolare il Tribunale dubita della conformità a Costituzione di una norma che, prolungandone la durata, modifica in senso sfavorevole all’imputato il regime della prescrizione di un reato commesso prima dell’entrata in vigore del provvedimento (17 marzo 2020).
Ritiene il Giudice che nell’ordinamento penale nazionale la prescrizione abbia natura di istituto sostanziale, come ampiamente affermato tanto dalla giurisprudenza di legittimità che da quella costituzionale. Sul punto occorre richiamare la nota sentenza “Taricco” con cui la Consulta ha qualificato la prescrizione come “istituto che incide sulla punibilità della persona, riconnettendo al decorso del tempo l’effetto di impedire l’applicazione della pena”. Ne discende quindi l’assoggettamento alle garanzie costituzionali, tra le quali si annovera il principio di legalità, nella particolare accezione di irretroattività della norma penale sfavorevole.
La disposizione censurata, concernendo condotte anteriori alla sua entrata in vigore, determina infatti un aggravamento del regime della punibilità (consistente nel prolungamento del tempo necessario a prescrivere), “così ponendosi in contrasto con il principio di legalità in materia penale, espresso dall’art. 25, secondo comma, della Costituzione, in forza del quale le modifiche normative che comportino un aggravamento del regime della punibilità devono spiegare la propria efficacia con riferimento ai soli fatti commessi quando le stesse erano già in vigore”.
Nessuna interpretazione costituzionalmente conforme, conclude il Tribunale, appare peraltro percorribile. Inadeguato è innanzitutto il tentativo di qualificare la norma in esame come specifica applicazione della disciplina codicistica in tema di sospensione della prescrizione (art. 159 cod. pen.), interpretazione che postulerebbe un’indebita equiparazione della nozione di “rinvio d’udienza” a quella di “sospensione del procedimento”.
La legittimità costituzionale della norma in esame non può nemmeno essere rinvenuta nel carattere emergenziale e dunque eccezionale della complessiva disciplina in cui la stessa si inscrive. I principi costituzionali sopra richiamati appartengono infatti all’essenza dei valori supremi su cui si fonda la Costituzione, come tali inderogabili quali elementi identificativi dell’ordinamento.
Gratuito patrocinio – falsità o incompletezza dell’autocertificazione
Con sentenza n. 14723/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione: se la falsità o incompletezza dell’autocertificazione allegata all’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato ne comporti l’inammissibilità, e dunque la revoca in caso di ammissione, anche nell’ipotesi in cui i redditi effettivi non superino il limite di legge.
Sul punto si contrappongono infatti due opposti orientamenti giurisprudenziali. Secondo un primo indirizzo interpretativo il sol fatto che l’istante abbia presentato una dichiarazione non veritiera rende legittima la revoca. Tale tesi si basa sull’affermazione secondo cui la specifica falsità nella dichiarazione sostitutiva è connessa all’ammissibilità dell’istanza e non a quella del beneficio: solo la domanda ammissibile genera un obbligo del magistrato di decidere nel merito, allo stato. L’inganno potenziale derivante dalla falsa attestazione di dati necessari per determinare, al momento dell’istanza, le condizioni di reddito sussiste quindi quand’anche le alterazioni od omissioni di fatti veri risultino poi ininfluenti per il superamento del limite di reddito previsto dalla legge per l’ammissione al beneficio. Tali ipotesi integrano dunque il delitto di falso di cui all’art. 95 D.P.R. n. 115/2002: quale reato di pura condotta il relativo perfezionamento prescinde infatti dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che ne costituisce semmai un’aggravante.
Le Sezioni Unite al contrario, in contrasto con le conclusioni appena richiamate e avallando l’opposto orientamento giurisprudenziale formatosi sul punto, escludono la revoca del beneficio nell’ipotesi in esame, da ammettersi esclusivamente ex art. 112, D.P.R. n. 115/2002 laddove risulti provata (o comunque deducibile) la mancanza originaria delle condizioni reddituali ovvero in caso di condanna per il reato di falsità della dichiarazione sostituiva di certificazione di cui all’art. 95.
Aggravante dell’ingente quantità di stupefacente
Con sentenza n. 14722/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione intervengono sulla questione relativa all’individuazione del parametro oggettivo cui ancorare l’applicazione della circostanza aggravante dell’ingente quantità di cui all’art. 80, comma 2 T.U. Stupefacenti.
La Corte ripercorre innanzitutto in motivazione l’evoluzione giurisprudenziale sul punto. Per un primo e più risalente indirizzo interpretativo perché si possa parlare di quantità ingente è necessario che il dato ponderale di sostanza tossica superi notevolmente la quantità usualmente trattata in transazioni simili nell’ambito territoriale in cui il giudice opera, superamento rimesso alla discrezionale valutazione di quest’ultimo. Di contrario avviso le Sezioni Unite del 2012 (sentenza Biondi) che sottolineano l’esigenza di ancorare la nozione di ingente quantità ad un parametro improntato per quanto possibile a criteri oggettivi, tra i quali il numero di possibili fruitori finali e il valore ponderale dello stupefacente in relazione alla qualità della sostanza e al grado di purezza, al fine di evitare frizioni con il principio di determinatezza. L’impianto normativo in materia di stupefacenti, si legge nella motivazione dell’epoca, è infatti caratterizzato dall’utilizzo di indicatori precisi contenenti per esempio la specificazione del quantitativo massimo di principio attivo detenibile al fine di discernere le condotte penalmente irrilevanti (uso personale).
Ripercorso il panorama giurisprudenziale in tema, la Suprema Corte intende avallare il precedente arresto sopra richiamato, riconfermando sul punto la validità dei criteri oggettivi utilizzati per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità (fissata per le droghe leggere in 2 Kg di principio attivo).
Tali conclusioni, precisa la Suprema Corte, non paiono potersi mettere in discussione, come invece alcuni sostengono, alla luce della riviviscenza della distinzione tra droghe leggere e pesanti conseguente alla pronuncia della Consulta n. 32/2014.
Di nessuna “modifica di sistema” si può infatti parlare, essendo rimasti immutati i criteri per la configurabilità della circostanza aggravante. Come noto la declaratoria di incostituzionalità che ha travolto la normativa dell’epoca ha provocato la modifica unicamente delle tabelle allegate al T.U. che individuano le sostanze stupefacenti vietate, essendo al contrario perdurante l’efficacia del decreto del Ministero della Salute contenente la quantità massima di principio attivo detenibile per ciascuna sostanza (c.d. dose-soglia). L’unica differenziazione riscontrabile, peraltro irrilevante ai fini in esame, concerne dunque la diversa pena base, a seconda della sostanza, sulla quale applicare l’aumento per la ricorrenza dell’aggravante.
Confisca per equivalente e prescrizione
Con sentenza n. 14218/2020 la terza sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’applicabilità della confisca per equivalente nelle ipotesi di estinzione del reato per avvenuta prescrizione (nella specie il delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all’art. 11 d.lgs. n.74/2000).
Avallando l’orientamento dominante delle Sezioni Unite la Corte ne ribadisce l’incompatibilità: il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto, atteso il carattere afflittivo e sanzionatorio della misura stessa. L’oggetto della confisca per equivalente è infatti rappresentato direttamente da una parte del patrimonio del soggetto agente che di per sé non presenta alcun collegamento con il reato commesso. Risulta quindi evidente la natura sanzionatoria della confisca in esame da cui discende l’illegittimità di un’ablazione definitiva del bene ove il reato sia dichiarato estinto per prescrizione.
Utilizzabilità delle intercettazioni in un procedimento diverso e rito abbreviato
Con sentenza n. 11745/2020 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sulla dibattuta questione relativa all’utilizzabilità di intercettazioni in un procedimento diverso da quello nell’ambito del quale le operazioni sono state originariamente autorizzate, procedimento relativo a reati non connessi né collegati rispetto a quelli oggetto dell’iniziale autorizzazione.
La Corte avalla in motivazione le conclusioni espresse sul punto dalle Sezioni Unite secondo cui il divieto di utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali le intercettazioni sono state autorizzate non opera, oltre i casi nei quali i risultati siano indispensabili per l’accertamento di delitti in ordine ai quali sia obbligatorio l’arresto in flagranza, con riguardo ai reati che presentino connessione ex art. 12 cod. proc. pen. con quelli oggetto dell’originaria autorizzazione (come nelle ipotesi di concorso di persone, concorso formale o continuazione ovvero strumentalità tra i reati addebitati).
Tale causa di inutilizzabilità, precisa la Corte, non sarebbe sanata dalla scelta difensiva del giudizio abbreviato, rito in cui rimangono deducibili le inutilizzabilità “patologiche” derivanti dall’assunzione di atti probatori in violazione di specifici divieti normativi. La stessa giurisprudenza ha riconosciuto infatti tali caratteristiche nell’acquisizione di intercettazioni in violazione del divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen., norma che preclude categoricamente l’utilizzazione dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali le operazioni sono state autorizzate.
Emergenza Coronavirus – d.l. 19 maggio 2020, n. 34
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 128 del 19 maggio 2020) del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, c.d. “decreto rilancio”, recante “Misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, in vigore dal 19 maggio 2020.
Si riportano di seguito le disposizioni di maggior rilievo per lavoratori e imprese:
Titolo II – Sostegno alle imprese e all’economia
- per i soggetti con ricavi o compensi non superiori a 250 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso alla data del 19 maggio 2020 non è dovuto il versamento del saldo dell’IRAP (imposta regionale sulle attività produttive) relativa al periodo di imposta in corso al 31 dicembre 2019, fermo restando il versamento dell’acconto dovuto per il medesimo periodo di imposta (art. 24);
- al fine di sostenere i soggetti colpiti dall’emergenza epidemiologica è riconosciuto un contributo a fondo perduto a favore dei soggetti esercenti attività d’impresa, di lavoro autonomo e di reddito agrario, titolari di partita IVA e con redditi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente a quello in corso al 19 maggio 2020, a condizione che l’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2020 sia inferiore ai due terzi dell’ammontare del fatturato e dei corrispettivi del mese di aprile 2019 (art. 25);
- riconoscimento di un credito di imposta pari al 50 per cento delle perdite d’esercizio riferite all’esercizio 2020 eccedenti il 10 per cento del patrimonio netto per le imprese che presentino un ammontare di ricavi relativo al periodo d’imposta 2019 superiore a cinque milioni di euro, e fino a cinquanta milioni di euro, e che a causa dell’emergenza epidemiologica da COVID-19 nei mesi di marzo e aprile 2020 abbiano subito una riduzione complessiva dell’ammontare dei ricavi rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente in misura non inferiore al 33 per cento e altresì abbiano deliberato ed eseguito dopo l’entrata in vigore del presente decreto (19 maggio 2020) ed entro il 31 dicembre 2020 un aumento di capitale a pagamento e integralmente versato (art. 26);
- ai soggetti esercenti attività di impresa, arte o professione, con ricavi o compensi non superiori a 5 milioni di euro nel periodo di imposta precedente a quello in corso alla data del 19 maggio 2020, spetta un credito d’imposta nella misura del 60 per cento dell’ammontare mensile del canone di locazione, leasing o di concessione di immobili ad uso non abitativo destinati allo svolgimento dell’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, di interesse turistico o all’esercizio abituale e professionale dell’attività di lavoro autonomo. Tale credito è utilizzabile nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta di sostenimento della spesa ovvero in compensazione successivamente all’avvenuto pagamento dei canoni (art. 28);
- sottoscrizione in modalità semplificata dei contratti finanziari e assicurativi conclusi nel periodo compreso tra il 19 maggio 2020 e il termine dello stato di emergenza (consenso del cliente espresso tramite posta elettronica) (art. 33);
- istituzione di un fondo per la salvaguardia dei livelli occupazionali e la prosecuzione delle attività di impresa con 100 milioni di euro per l’anno 2020, finalizzato al salvataggio e alla ristrutturazione di imprese titolari di marchi storici di interesse nazionale aventi un numero di dipendenti non inferiore a 250 che si trovino in uno stato di difficoltà economico finanziaria (art. 43).
Titolo III – Misure in favore dei lavoratori
- i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario con causale “emergenza COVID-19” per una durata massima di nove settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020 incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso fino alla durata massima di cinque settimane. È altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento per periodi decorrenti dall’1 settembre 2020 al 31 ottobre 2020 (art. 68);
- le aziende che alla data del 23 febbraio 2020 hanno in corso un trattamento di integrazione salariale straordinario (Cassa integrazione straordinaria) possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale per una durata massima di nove settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020, incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro che abbiano interamente fruito il periodo precedentemente concesso. È altresì riconosciuto un eventuale ulteriore periodo di durata massima di quattro settimane di trattamento per periodi decorrenti dall’1 settembre 2020 al 31 ottobre 2020 (art. 69);
- le Regioni e Province autonome, con riferimento ai datori di lavoro del settore privato per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro, possono riconoscere trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per una durata massima di nove settimane per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 al 31 agosto 2020 incrementate di ulteriori cinque settimane nel medesimo periodo per i soli datori di lavoro ai quali sia stato interamente già autorizzato un periodo di nove settimane (art. 70);
- a decorrere dal 17 marzo 2020 l’avvio delle procedure di impugnazione dei licenziamenti è precluso per 5 mesi (non più 60 giorni come previsto nel d.l. n. 18/2020) e sono altresì precluse le procedure di licenziamento per giustificato motivo oggettivo. Il datore di lavoro che, indipendentemente dal numero dei dipendenti, nel periodo dal 23 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 abbia proceduto al recesso del contratto di lavoro per giustificato motivo oggettivo può revocare in ogni tempo il recesso purché contestualmente faccia richiesta del trattamento di cassa integrazione salariale a partire dalla data in cui ha efficacia il licenziamento. In tal caso il rapporto di lavoro si intende ripristinato senza soluzione di continuità senza oneri né sanzioni per il datore di lavoro (art. 80);
- previsione di un reddito di emergenza per i nuclei familiari in condizione di necessità economica in conseguenza dell’emergenza epidemiologico da COVID-19 (art. 82);
- ai liberi professionisti titolari di partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie, già beneficiari di un’indennità pari a 600 euro per il mese di marzo, è erogata la medesima indennità di 600 euro per il mese di aprile 2020. Laddove tali lavoratori abbiano subito una comprovata riduzione di almeno il 33 per cento del reddito del secondo bimestre 2020 rispetto al reddito del secondo bimestre 2019 è riconosciuta un’indennità per il mese di maggio 2020 pari a 1000 euro (art. 84);
- fino alla cessazione dello stato di emergenza i genitori lavoratori dipendenti del settore privato che hanno almeno un figlio minore di anni 14, a condizione che nel nucleo familiare non vi sia altro genitore beneficiario di strumenti di sostegno al reddito o non lavoratore, hanno diritto allo svolgimento della prestazione di lavoro in modalità agile anche in assenza di accordi individuali, a condizione che tale modalità sia compatibile con le caratteristiche della prestazione (art. 90);
- possibilità di rinnovare o prorogare fino al 30 agosto 2020 i contratti di lavoro subordinato a tempo determinato in essere alla data del 23 febbraio 2020 anche in assenza delle condizioni previste dalla relativa disciplina di cui al d. lgs. n. 81/2015 (tra cui l’apposizione di un termine di durata non superiore a trentasei mesi) (art. 93);
- al fine di favorire l’attuazione delle disposizioni di cui al Protocollo di regolamentazione delle misure per il contenimento del contagio negli ambienti di lavoro, l’INAIL promuove interventi straordinari destinati alle imprese anche individuali che hanno introdotto nei predetti luoghi misure per la riduzione del rischio di contagio attraverso l’acquisto di apparecchiature e dispositivi di protezione individuale (art. 95).
Titolo VI – Misure fiscali
- ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione in luoghi aperti al pubblico, alle associazioni, alle fondazioni e agli altri enti privati è riconosciuto un credito di imposta in misura pari al 60 per cento delle spese sostenute nel 2020, per un massimo di 80.000 euro, in relazione agli interventi necessari per far rispettare le prescrizioni sanitarie e le misure di contenimento contro la diffusione del virus. Tale credito è cumulabile con altre agevolazioni per le medesime spese, comunque nel limite dei costi sostenuti, ed è utilizzabile nell’anno 2021 esclusivamente in compensazione (art. 120);
- a decorrere dal 19 maggio 2020 e fino al 31 dicembre 2021 i soggetti beneficiari dei crediti d’imposta previsti, tra gli altri, per l’adeguamento degli ambienti di lavoro, possono optare, in luogo dell’utilizzo diretto, per la cessione anche parziale degli stessi ad altri soggetti, ivi inclusi istituti di credito e altri intermediari finanziari (art. 122);
- al fine di favorire l’adozione di misure dirette a contenere e contrastare la diffusione del virus, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arti e professioni spetta un credito d’imposta in misura pari al 60 per cento delle spese sostenute nel 2020 per la sanificazione degli ambienti e degli strumenti utilizzati nonché per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale e di altri dispositivi atti a garantire la salute dei lavoratori e degli utenti. Il credito spetta fino a un massimo di 60.000 euro per ciascun beneficiario (art. 125);
- i versamenti tributari e contributivi sospesi ai sensi dell’art. 18 del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 16 settembre 2020 o mediante rateizzazione, fino a un massimo di quattro rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata entro il 16 settembre 2020, e senza possibilità di rimborso di quanto già versato (art. 126);
- i versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria sospesi ai sensi del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 16 settembre 2020 o mediante rateizzazione, fino a un massimo di quattro rate mensili di pari importo, con il versamento della prima rata entro il 16 settembre 2020 (art. 127);
- per i soggetti obbligati al pagamento dell’accisa sul gas naturale e l’energia elettrica, le rate di acconto mensili relative al periodo dal mese di maggio 2020 al mese di settembre 2020 sono versate nella misura del 90 per cento di quelle calcolate sulla base dei consumi dell’anno precedente (art. 129);
- per i prodotti energetici immessi in consumo nel mese di marzo dell’anno 2020 i pagamenti dell’accisa sono considerati tempestivi se effettuati entro il 25 maggio 2020. Sui medesimi pagamenti, se effettuati entro la predetta data, non si applicano le sanzioni e indennità di mora previste per il ritardato pagamento (art. 131);
- i pagamenti dell’accisa sui prodotti energetici immessi in consumo nei mesi di aprile, maggio, giugno, luglio e agosto 2020 possono essere eseguiti nella misura dell’80 per cento, a titolo di acconto, degli importi dovuti entro il 25 maggio 2020 per i prodotti immessi in consumo nel mese di aprile 2020 (art. 132);
- i versamenti delle somme dovute a seguito del controllo automatizzato e formale delle dichiarazioni, in scadenza nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 18 maggio 2020 sono considerati tempestivi se effettuati entro il 16 settembre 2020. I versamenti in scadenza nel periodo compreso tra il 19 maggio 2020 e il 31 maggio 2020 possono essere effettuati entro il 16 settembre 2020, senza ulteriori sanzioni e interessi (tali versamenti possono essere effettuati anche in quattro rate mensili di pari importo a decorrere da settembre 2020 con scadenza il 16 di ciascun mese) (art. 144);
- sospensione per il 2020, in sede di erogazione dei rimborsi fiscali, della compensazione tra credito d’imposta e debito iscritto a ruolo (art. 145);
- proroga al 16 settembre 2020 dei termini di versamento delle somme dovute a seguito di atti di accertamento con adesione, conciliazione, rettifica e liquidazione e di recupero dei crediti d’imposta (art. 149);
- è prorogato fino al 31 gennaio 2021 il termine finale della sospensione disposta dall’art. 67 d.l. n.18/2020 per la notifica degli atti e per l’esecuzione dei provvedimenti di sospensione della licenza o dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio dell’attività ovvero dell’iscrizione ad albi e ordini professionali (151);
- sospensione degli obblighi derivanti dai pignoramenti presso terzi effettuati nel periodo intercorrente tra il 19 maggio 2020 e il 31 agosto 2020 dall’Agente della riscossione relativi a stipendi e pensioni (art. 152);
- gli atti di accertamento, di contestazione, di irrogazione delle sanzioni, di recupero dei crediti di imposta, di liquidazione e di rettifica e liquidazione per i quali i termini di decadenza scadono tra l’8 marzo 2020 e il 31 dicembre 2020 sono emessi entro il 31 dicembre 2020 e sono notificati nel periodo compreso tra il primo gennaio e il 31 dicembre 2021, salvo casi di indifferibilità e urgenza o al fine del perfezionamento degli adempimenti fiscali che richiedono il contestuale versamento di tributi (157).
Titolo VIII – Misure di settore – Capo XIII – Misure urgenti di semplificazione per il periodo di emergenza Covid-19
- al fine di garantire la massima semplificazione, l’accelerazione dei procedimenti amministrativi e la rimozione di ogni ostacolo burocratico per cittadini e imprese in relazione all’emergenza COVID-19, dal 19 maggio 2020 al 31 dicembre 2020 nei procedimenti avviati su istanza di parte aventi ad oggetto l’erogazione di benefici economici, indennità, prestazioni previdenziali e assistenziali, erogazioni, contributi, sovvenzioni, finanziamenti, prestiti, agevolazioni e sospensioni, da parte di pubbliche amministrazioni, in relazione all’emergenza, le dichiarazioni sostitutive, sottoscritte dall’interessato, di cui al D.P.R. n. 445/2000 sostituiscono ogni tipo di documentazione comprovante tutti i requisiti soggettivi e oggettivi richiesti dalla normativa di riferimento (in caso di dichiarazione mendace la sanzione ordinariamente prevista dal codice penale è aumentata da un terzo alla metà e viene altresì disposta la revoca dei benefici già erogati nonché il divieto di accesso a contributi, finanziamenti e agevolazioni per un periodo di due anni dall’atto di decadenza della pubblica amministrazione) (art. 264).
Emergenza Coronavirus – d.l. 10 maggio, n. 29
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 199 del 10 maggio 2020) del decreto legge n. 29 del 10 maggio 2020, in vigore dall’11 maggio 2020, recante misure urgenti in materia di detenzione domiciliare, differimento dell’esecuzione della pena, sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria nonché in materia di colloqui con i congiunti per condannati, internati e imputati detenuti.
Queste le principali novità:
- quando i condannati e gli internati per i delitti di cui agli artt. 270 (associazioni sovversive), 270 bis (associazioni con finalità di terrorismo), 416 bis cod. pen. (associazioni di tipo mafioso), 74 d.p.r. 309/90 (associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stuoefacenti), o per un delitto commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l’associazione mafiosa o per un delitto commesso con finalità di terrorismo ex 270 sexies cod. pen., nonché i condannati e gli internati sottoposti al regime previsto dall’art. 41 bis l. n. 354/75 sono ammessi alla detenzione domiciliare o usufruiscono del differimento della pena per motivi connessi all’emergenza sanitaria da COVID-19 il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza che ha adottato il provvedimento, acquisito il parere del Procuratore distrettuale antimafia del luogo in cui è stato commesso il reato e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo per i condannati ed internati già sottoposti al regime del 41 bis, valuta la permanenza dei motivi legati all’emergenza entro il termine di quindici giorni dall’adozione del provvedimento e successivamente con cadenza mensile. Prima di provvedere l’autorità giudiziaria sente l’autorità sanitaria regionale e acquisisce dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta in cui il condannato o internato può riprendere la detenzione (disposizione applicabile ai provvedimenti di ammissione alla detenzione domiciliare o di differimento della pena adottati successivamente al 23 febbraio 2020);
- quando nei confronti di imputati per i medesimi delitti di cui sopra è stata disposta la sostituzione della custodia cautelare in carcere con la misura degli arresti domiciliari per motivi connessi all’emergenza sanitaria il pubblico ministero verifica la permanenza dei predetti motivi entro il termine di quindici giorni dalla data di adozione della misura degli arresti domiciliari e, successivamente, con cadenza mensile. Il pubblico ministero, quando acquisisce elementi in ordine al sopravvenuto mutamento delle condizioni che hanno giustificato la sostituzione della misura o alla disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta adeguate alle condizioni di salute dell’imputato, chiede al giudice il ripristino della custodia cautelare in carcere se permangono le originarie esigenza cautelari. Il giudice provvede sentita l’autorità sanitaria regionale e acquisite dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria informazioni in ordine all’eventuale disponibilità di strutture penitenziarie o reparti di medicina protetta in cui l’imputato può essere nuovamente sottoposto alla custodia cautelare in carcere senza pregiudizio per le sue condizioni di salute (disposizione applicabile ai provvedimenti di sostituzione della misura cautelare adottati successivamente al 23 febbraio 2020);
- dal 19 maggio 2019 al 30 giugno 2020 negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati possono essere svolti a distanza. Il direttore dell’istituto stabilisce, nei limiti di legge, il numero di colloqui da svolgere in modalità in presenza, fermo il diritto dei condannati, internati e imputati ad almeno un colloquio al mese in presenza di almeno un congiunto o altra persona.
Stupefacenti - coltivazione “domestica” – irrilevanza penale
Con sentenza n. 12348/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute al fine di dirimere la seguente questione: se, ai fini della configurabilità del reato di coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti, è sufficiente che la pianta sia idonea a produrre sostanza per il consumo, senza che rilevi la quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, ovvero se sia necessario anche verificare che l’attività sia concretamente idonea a ledere la salute pubblica e a favorire la circolazione della droga alimentandone il mercato.
La Suprema Corte conferma innanzitutto l’orientamento interpretativo dominante in punto di tipicità. Il requisito della conformità della pianta al tipo botanico vietato è infatti presupposto imprescindibile ai fini della configurabilità del reato in esame. Di qui l’orientamento del 2008 delle Sezioni Unite che afferma la rilevanza penale di qualsiasi attività non autorizzata di coltivazione di piante da cui sono estraibili sostanze stupefacenti, anche quando la destinazione del prodotto sia ad uso personale.
Tale convincimento, continua la Corte, necessita di una rimeditazione attraverso la valorizzazione del medesimo principio di tipicità. Se non vi è alcun dubbio sulla rilevanza penale della condotta di coltivazione, da tenere nettamente distinta da quella detentiva per la capacità della prima di creare nuove quantità di sostanza con pericolo di lesione del bene giuridico salute pubblica, maggiori perplessità sono rinvenibili là dove alla fattispecie incriminatrice in esame viene ricondotta la cd. coltivazione domestica di minime dimensioni.
Occorre indagare, spiega la Corte, la prevedibilità della potenziale produttività della coltivazione quale parametro che, tra gli altri, consente di distinguere tra coltivazione penalmente rilevante, dotata di una produttività non stimabile a priori con sufficiente grado di precisione, e coltivazione penalmente lecita, con una produttività prevedibile come modestissima. Al fine di rendere operativo tale criterio la Corte richiama numerosi presupposti oggettivi quali: la minima dimensione della coltivazione, il suo svolgimento in forma domestica e non industriale, la rudimentalità della tecniche usate, lo scarso numero di piante, la mancanza di indici di un inserimento dell’attività nell’ambito del mercato degli stupefacenti, l’oggettiva destinazione di quanto prodotto all’uso personale esclusivo del coltivatore. La circostanza che la coltivazione sia intrapresa con l’intenzione soggettiva di soddisfare esigenze di consumo personale deve essere invece ritenuta insufficiente ad escluderne da sé sola la rispondenza al tipo penalmente sanzionato.
In conclusione deve ritenersi lecita la coltivazione domestica a fine di autoconsumo, alle condizioni sopra elencate, per mancanza di tipicità nonché la coltivazione industriale che all’esito del processo di sviluppo delle piante non produca sostanza stupefacente per mancanza di offensività in concreto.
Confisca di prevenzione – correlazione temporale tra pericolosità sociale e beni confiscabili - eccezioni
Con sentenza n. 12329/2020 la prima sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di confisca di prevenzione nella particolare ipotesi in cui difetti la correlazione temporale tra l’epoca della ritenuta pericolosità sociale degli imputati e il periodo di acquisto dei beni confiscati. Nella specie i ricorrenti, nell’impugnare il provvedimento ablatorio, ne evidenziano l’insufficienza motivazionale là dove pone a sostegno dell’applicazione della misura la presentazione di una dichiarazione dei redditi non in linea con l’acquisizione degli immobili confiscati. Non vi è alcuna prova, sostengono, che la provvista utilizzata per l’acquisto derivi con certezza dall’asserito accumulo di ricchezza proveniente dalle pregresse attività delittuose.
La Corte richiama in motivazione il principio di diritto enunciato sul tema dalle Sezioni Unite secondo cui la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione, è anche misura temporale del suo ambito applicativo, con conseguente legittima ablazione dei soli beni acquistati nell’arco di tempo in cui la pericolosità si è manifestata.
Tale convincimento necessita a parere della Corte di una rimeditazione, portando con sé l’inevitabile rischio di non poter incidere su manovre sostanzialmente elusive dei divieti di legge come nell’ipotesi in cui il soggetto occulti la ricchezza illecitamente prodotta nel periodo di manifestazione della pericolosità sociale per poi utilizzare successivamente quanto precedentemente occultato.
La Corte avalla quindi l’orientamento giurisprudenziale che ritiene legittima l’applicazione della confisca anche nelle ipotesi in cui la cd. finestra temporale di pericolosità appaia formalmente chiusa “ove ricorra una pluralità di indici fattuali altamente dimostrativi della diretta derivazione causale delle acquisizioni patrimoniali dalla provvista formatasi nel periodo di compimento dell’attività delittuosa”.
Gratuito patrocinio – esclusione dell’obbligo di allegare la dichiarazione sulle condizioni reddituali
Con sentenza n. 12191/2020 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di patrocinio a spese dello Stato, nella particolare ipotesi ex art. 76, comma 4 ter D.P.R. n. 115/2002 in cui il richiedente, in quanto persona offesa di reati quali maltrattamenti, violenza sessuale, atti persecutori, prostituzione minorile, può essere ammesso al gratuito patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dalla relativa disciplina. Nella specie, la questione riguarda l’obbligatorietà dell’allegazione da parte dell’interessato di una dichiarazione sostitutiva di certificazione attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione al beneficio.
La Corte, richiamando sul punto l’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità, ribadisce la finalità sottesa alla disciplina derogatoria in esame, da rinvenire nella necessità di rimuovere ogni ostacolo che possa in qualche modo disincentivare il soggetto ad agire in giudizio.
Ne consegue, conclude la Corte, che la domanda ex art. 76, comma 4 ter, D.P.R. n. 115/2002 non necessita dell’allegazione da parte dell’interessato della dichiarazione relativa al reddito. Una volta ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato per i non abbienti, in base a valutazione giudiziale che prescinde dall’allegazione della certificazione, il soggetto non è dunque nemmeno tenuto ad adempiere all’ulteriore obbligo di comunicazione delle variazione rilevanti dei limiti di reddito.
Sottrazione definitiva di file da un computer poi formattato - appropriazione indebita
Con sentenza n. 11959/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi sulla possibilità di qualificare i dati informatici, in particolare singoli file, quali “cose mobili” ai sensi dell’ordinamento penale, come tali passibili di essere oggetto di condotte di appropriazione indebita.
Sul punto, parte della giurisprudenza di legittimità ha più volte affermato che oggetto materiale della condotta appropriativa, e più in generale dei reati contro il patrimonio, non può essere un bene immateriale, salvo che la condotta abbia ad oggetto i documenti che rappresentino tali beni. Alla base di tali convincimenti si sono da sempre addotti i principi di legalità e tassatività delle norme incriminatrici.
A parere della Corte occorre rimeditare tale convincimento partendo da una valutazione maggiormente approfondita delle caratteristiche intrinseche del file, quale insieme trasferibile di dati numerici tra loro collegati che assumono nella loro rappresentazione grafica carattere materiale. Il file dunque, pur non potendo essere materialmente percepito dal punto di vista sensoriale, possiede una dimensione fisica costituita dalla grandezza dei dati che lo compongono, come dimostrano l’unità di misurazione della capacità di contenere dati e la differente grandezza dei supporti fisici in cui i file possono essere conservati ed elaborati. Tale materialità consente pertanto di ritenere integrata la nozione di cosa mobile che, in assenza di specifiche indicazioni legislative, la dottrina ha negli anni individuato tramite i caratteri minimi della materialità e fisicità dell’oggetto.
Superato tale ostacolo dogmatico la Corte si interroga quindi sui presupposti che la tradizione giuridica riconosce come necessari per ravvisare le condotte di sottrazione e impossessamento (o appropriazione) di cose mobili, soffermandosi in particolare sul criterio della necessaria detenzione fisica della cosa. Anche in tal caso la Corte ritiene necessario pervenire ad una lettura evolutiva delle norme, facendo discendere dalla capacità del file di essere trasferito da un supporto informatico ad un altro, mantenendo le proprie caratteristiche strutturali, e dalla possibilità che lo stesso viaggi attraverso internet per essere trasferito o custodito in “ambienti virtuali” la conferma della configurabilità anche in tali ipotesi del presupposto logico delle condotte di sottrazione e appropriazione.
In conclusione viene enunciato il seguente principio di diritto: “i dati informatici (files) sono qualificabili cose mobili ai sensi della legge penale e, pertanto, costituisce condotta di appropriazione indebita la sottrazione da un personal computer aziendale, affidato per motivi di lavoro, dei dati informatici ivi collocati, provvedendo successivamente alla cancellazione dei medesimi dati e alla restituzione del computer formattato”.
Reati tributari – sequestro diretto del profitto del reato – esclusione in caso di sequestro preventivo sui medesimi beni
Con sentenza n. 9380/2020 la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’ammissibilità di un sequestro diretto del profitto del reato tributario, nella specie sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte, sui medesimi beni già oggetto di sequestro preventivo impeditivo per il diverso reato di bancarotta fraudolenta.
La Corte, riconosciuta l’ammissibilità del concorso tra i due reati sopra richiamati stante la diversità dei beni giuridici tutelati e del soggetto agente (rispettivamente i contribuenti e gli imprenditori falliti), esclude la possibilità di eseguire il sequestro in via diretta del profitto del reato nell’ipotesi sopra descritta. Il sequestro preventivo disposto a seguito della commissione del primo reato tributario determina infatti un vincolo di indisponibilità dei beni che a esso sono assoggettati, precludendo la possibilità di imporre sui medesimi un’ulteriore misura ablatoria strumentale alla loro confisca. Tale secondo vincolo, spiega la Corte, risulterebbe infatti inutilmente apposto qualora venisse disposta la confisca dei beni in relazione al primo reato o se il precedente sequestro fosse mantenuto a fini conservativi, impedendo al sequestro per il secondo reato di esplicare l’effetto cui è preordinato e cioè la confisca del profitto del reato.
Nelle ipotesi in esame, spiega la Corte, potrà quindi essere disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei beni degli amministratori della società. L’affermazione dei ricorrenti secondo cui il sequestro del profitto del reato di sottrazione fraudolenta dovrebbe prevalere su quello precedentemente disposto in relazione alla bancarotta, e ciò per la presunta superiorità dell’interesse tutelato dal primo dei reati contestati (l’interesse pubblico al pagamento dei tributi) risulta a parere della Corte del tutto infondata, tale preferenza non essendo accordata da alcuna disposizione normativa.
Emergenza Coronavirus – D.P.C.M. 26 aprile 2020
Si segnala il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 26 aprile 2020 (G.U. n. 108 del 27-4-2020) recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”. Le disposizioni producono effetto dal 4 maggio 2020, in sostituzione di quelle del D.P.C.M. del 10 aprile 2020, e sono efficaci fino al 17 maggio 2020. Le disposizioni del decreto contenute nell’art. 2, commi 7, 9, 11, di cui di seguito si darà conto, si applicano dal 27 aprile 2020 cumulativamente alle disposizioni del decreto del 10 aprile.
Per i profili relativi ai rapporti di lavoro si evidenziano, tra le altre, le seguenti disposizioni (art. 1):
- la modalità di lavoro agile disciplinata dagli artt. da 18 a 23 della legge n. 81/2017 può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti, con assolvimento in via telematica degli obblighi informativi relativi ai rischi connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro;
- si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie;
- in ordine alle attività professionali si raccomanda che sia attuato il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile (per le attività che possono essere svolte dal proprio domicilio o in modalità a distanza), incentivando in ogni caso ferie e congedi retribuiti per i dipendenti. Si raccomanda inoltre che siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio (laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro con adozione di strumenti di protezione individuale) e che siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali.
Di seguito le misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali (art. 2):
- sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione delle seguenti: coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali, caccia e servizi connessi; silvicoltura ed utilizzo di aree forestali; pesca e acquacoltura; estrazione di carbone, di petrolio greggio, di gas naturale, di minerali metalliferi e di altri minerali da cave e miniere e dei servizi di supporto all’estrazione; industrie alimentari, delle bevande e del tabacco; industrie tessili; confezione di articoli di abbigliamento, di articoli in pelle e pelliccia; industria del legno e dei prodotti in legno e sughero (esclusi i mobili); fabbricazione di articoli in pelle e simili, articoli in paglia e materiali da intreccio, carta e prodotti di carta, coke e prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, prodotti chimici, prodotti farmaceutici di base e di preparati, articoli in gomma e materie plastiche, altri prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi, prodotti in metallo (esclusi macchinari e attrezzature), computer e prodotti di elettronica e ottica, apparecchi elettromedicali e di misurazione, orologi, apparecchiature elettriche e per uso domestico non elettriche, macchinari e apparecchiature Nca, autoveicoli, rimorchi, semirimorchi, altri mezzi di trasporto, mobili; metallurgia; altre industrie manifatturiere; riparazione, manutenzione e installazione di macchine e apparecchiature; fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata; raccolta, trattamento e fornitura di acqua; gestione delle reti fognarie; attività di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, di recupero dei materiali, di risanamento e altri servizi di gestione dei rifiuti; costruzione di edifici; ingegneria civile; lavori di costruzione specializzati; commercio all’ingrosso e al dettaglio e riparazione di autoveicoli e motocicli; commercio all’ingrosso (escluso quello di autoveicoli e di motocicli); trasporto terrestre e mediante condotte, marittimo e per vie d’acqua, aereo; magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti; servizi postali e attività di corriere; alberghi e strutture simili; attività editoriali; attività di produzione, post-produzione e distribuzione cinematografica, di video e programmi televisivi, registrazioni musicali e sonore; attività di programmazione e trasmissione; telecomunicazioni; produzione di software, consulenza informatica e attività connesse; attività dei servizi d’informazione e altri servizi informatici, di servizi finanziari (escluse le assicurazioni e i fondi pensione); assicurazioni, riassicurazioni e fondi pensione (escluse le assicurazioni sociali obbligatorie); attività ausiliarie dei servizi finanziari e delle attività assicurative; attività immobiliari, legali e contabilità, di direzione aziendale e consulenza gestionale, degli studi di architettura e ingegneria, collaudi e analisi tecniche; ricerca scientifica e sviluppo; pubblicità e ricerche di mercato; altre attività professionali, scientifiche e tecniche; servizi veterinari, di vigilanza e investigazione; attività di ricerca, selezione, fornitura di personale, pulizia e disinfestazione; cura e manutenzione del paesaggio (inclusi parchi, giardini e aiuole); attività di supporto per le funzioni d’ufficio e altri servizi di supporto alle imprese; amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria; istruzione; assistenza sanitaria; servizi di assistenza sociale residenziale e assistenza sociale non residenziale; attività di organizzazioni associative; riparazione di computer e di beni per uso personale e per la casa; stampa e riproduzione di supporti registrati; attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; organizzazioni e organismi extraterritoriali;
- le attività produttive sospese possono comunque proseguire se organizzate in modalità a distanza o lavoro agile;
- sono comunque consentite le attività che erogano servizi di pubblica utilità nonché servizi essenziali;
- è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione relativa alle filiere farmaceutica ed alimentare nonché ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza;
- le imprese le cui attività non sono sospese devono rispettare i contenuti del Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali nonché, per i rispettivi ambiti di competenza, il protocollo del 24 aprile 2020 per il contenimento dell’epidemia nei cantieri e quello del 20 marzo 2020 relativo al settore del trasporto e della logistica. La mancata attuazione dei protocolli di cui sopra che non assicuri adeguati livelli di protezione determina la sospensione dell’attività fino al ripristino delle condizioni di sicurezza;
- le imprese le cui attività vengono sospese per effetto delle modifiche apportabili con decreto del Ministro dello sviluppo economico possono completare le attività necessarie alla sospensione, compresa la spedizione di merce in giacenza, entro il termine di tre giorni dall’adozione del decreto (disposizione efficace dal 27 aprile 2020);
- per le attività produttive sospese è ammesso, previa comunicazione al Prefetto, l’accesso ai locali aziendali di personale dipendente o terzi delegati per lo svolgimento di attività di vigilanza, attività conservative e di manutenzione, gestione dei pagamenti, attività di pulizia e sanificazione. È consentita, previa comunicazione al Prefetto, la spedizione verso terzi di merci giacenti in magazzino nonché la ricezione in magazzino di beni e forniture;
- le imprese che riprenderanno le attività a partire dal 4 maggio 2020 possono svolgere tutte le attività propedeutiche alla riapertura a partire dal 27 aprile 2020 (disposizione efficace dal 27 aprile 2020);
- le imprese le cui attività sono consentite alla data dell’entrata in vigore del presente decreto devono proseguire le attività nel rispetto dei protocolli sopra richiamati.
Protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro – 24 aprile 2020
Si riportano di seguito le indicazioni operative di maggior rilievo contenute nel “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscritto il 24 aprile 2020 tra il Governo e le parti sociali ad integrazione del Protocollo del 14 marzo 2020. Il documento contiene dunque linee guida condivise tra le Parti al fine di agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio.
In particolare:
1. Informazione
- consegna e affissione all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali di appositi depliants informativi circa le disposizioni delle Autorità (in particolare le informazioni riguardano: l’obbligo di rimanere al proprio domicilio in presenza di febbre oltre 37.5 gradi o altri sintomi influenzali; la consapevolezza del fatto di non poter fare ingresso se sussistono condizioni di pericolo quali sintomi influenzali o provenienza da zone a rischio o contatto con persone positive al virus nei 14 giorni precedenti; l’impegno a rispettare tutte le disposizioni delle Autorità e del datore di lavoro nel fare ingresso in azienda; l’impegno a informare tempestivamente il datore di lavoro della presenza di sintomi influenzali durante l’espletamento della prestazione lavorativa);
- l’azienda deve fornire informazioni adeguate sulla base delle mansioni e dei contesti lavorativi in particolare sul corretto utilizzo dei DPI.
2. Modalità di ingresso in azienda
- possibile controllo della temperatura corporea al personale in ingresso (tale rilevazione in tempo reale della temperatura costituisce un trattamento di dati personali e, pertanto, deve avvenire ai sensi della disciplina della privacy vigente);
- sarà impedito l’accesso a coloro la cui temperatura sia superiore ai 37.5 gradi. Le persone in tale condizione saranno momentaneamente isolate e verranno fornite mascherine;
- il datore di lavoro deve informare preventivamente il personale e tutti coloro che intendono fare ingresso in azienda della preclusione all’accesso a chi negli ultimi 14 giorni ha avuto contatti con soggetti positivi al COVID-19 o a chi provenga da zone a rischio (qualora si richieda il rilascio di una dichiarazione attestante la non provenienza dalle zone a rischio epidemiologico e l’assenza di contatti con soggetti positivi occorre osservare la disciplina sul trattamento dei dati personali);
- l’ingresso in azienda dei lavoratori già risultati positivi al COVID-19 dovrà essere preceduto da preventiva comunicazione avente ad oggetto la certificazione medica da cui risulti l’avvenuta negativizzazione del tampone. Il datore di lavoro fornirà massima collaborazione qualora l’autorità sanitaria competente disponga misure aggiuntive specifiche quali l’esecuzione del tampone per i lavoratori.
3. Modalità di accesso dei fornitori esterni
- accesso per i fornitori esterni con modalità, percorsi e tempistiche predefinite al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale interno;
- se possibile gli autisti di mezzi di trasporto devono rimanere a bordo dei propri mezzi. È fatto divieto di accedere agli uffici e nelle operazioni di carico e scarico il trasportatore dovrà osservare la distanza interpersonale di un metro;
- va ridotto per quanto possibile anche l’accesso ai visitatori esterni (qualora ciò non fosse possibile tali soggetti dovranno sottostare a tutte le regole aziendali);
- ove presente un servizio di trasporto organizzato dall’azienda va garantita la sicurezza dei lavoratori;
- estensione delle previsioni del Protocollo alle aziende in appalto che possono organizzare cantieri permanenti e provvisori all’interno dei siti e delle aree produttive;
- in caso di lavoratori dipendenti da aziende esterne che operano nello stesso sito produttivo (quali manutentori, fornitori ecc.) e che risultano positivi al tampone sarà onere dell’appaltatore informare immediatamente il committente e collaborare insieme con l’autorità sanitaria al fine di individuare gli eventuali contatti stretti;
- l’azienda committente è tenuta a dare a quella appaltatrice un’informativa completa del Protocollo aziendale e vigilare affinché i lavoratori della stessa o di aziende terze ne rispettino le disposizioni.
4. Pulizia e sanificazione in azienda:
- pulizia giornaliera e sanificazione periodica dei locali, ambienti, postazioni di lavoro e aree comuni e di svago;
- pulizia, sanificazione e ventilazione secondo le disposizioni del Ministero della Salute nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali;
- occorre garantire la pulizia a fine turno e la sanificazione periodica di tastiere, schermi touch, mouse con adeguati detergenti sia negli uffici che nei reparti produttivi;
- possibilità di organizzare interventi particolari/periodici di pulizia ricorrendo agli ammortizzatori sociali (anche in deroga);
- nelle aree geografiche a maggiore endemia o nelle aziende in cui si sono registrati sospetti casi di COVID-19 è necessario prevedere alla riapertura, in aggiunta alle normali attività di pulizia, una sanificazione straordinaria degli ambienti, delle postazioni di lavoro e delle aree comuni.
5. Precauzioni igieniche personali
- le persone presenti in azienda devono adottare tutte le precauzioni igieniche in particolare per le mani;
- l’azienda deve mettere a disposizione idonei mezzi detergenti;
- è raccomandata la frequente pulizia delle mani con acqua e sapone;
- i detergenti per le mani devono essere accessibili a tutti i lavoratori e collocati in punti facilmente individuabili.
6. Dispositivi di protezione individuale
- le mascherine dovranno essere utilizzate in conformità a quanto previsto dall’OMS;
- in caso di difficoltà nell’approvvigionamento potranno essere usate mascherine di tipologie corrispondenti alle indicazioni dell’autorità sanitaria;
- è favorita la preparazione da parte dell’azienda del liquido detergente;
- qualora il lavoro imponga distanze minori di un metro è necessario l’uso di mascherine e altri strumenti di protezione (guanti, occhiali, tute, cuffie, camici);
- si adotteranno a seconda delle diverse attività aziendali e sulla base del complesso dei rischi valutati i DPI idonei. È previsto l’uso della mascherina chirurgica per tutti i lavoratori che condividono spazi comuni.
7. Gestione spazi comuni
- accesso contingentato agli spazi comuni, tra cui mense, aree fumatori e spogliatoi, con la previsione di ventilazione continua dei locali, di un tempo ridotto di sosta e del mantenimento della distanza di un metro tra le persone;
- organizzazione degli spazi e sanificazione degli spogliatoi in modo da lasciare nella disponibilità dei lavoratori luoghi per il deposito degli indumenti da lavoro;
- sanificazione periodica e pulizia giornaliera delle tastiere dei distributori automatici.
8. Organizzazione aziendale
- possibilità di disporre la chiusura dei reparti diversi dalla produzione e di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working o a distanza;
- facoltà di rimodulare i livelli produttivi e assicurare piani di turnazione dei dipendenti dedicati alla produzione;
- utilizzazione in via prioritaria degli ammortizzatori sociali disponibili (se non sufficienti, si utilizzeranno i periodi di ferie arretrati e non ancora fruiti);
- sospensione e annullamento delle trasferte di lavoro nazionali e internazionali;
- preferenza per il lavoro agile anche nella fase delle progressiva riattivazione del lavoro;
- rispetto del distanziamento sociale anche attraverso una rimodulazione degli spazi di lavoro (possibilità di utilizzo temporaneo anche di uffici inutilizzati o sale riunioni per lavoratori che possono lavorare da soli e che non necessitano di particolari strumenti e attrezzature);
- possibile ricorso a soluzioni innovative per gli ambienti dove operano più lavoratori contemporaneamente (come il riposizionamento delle postazioni di lavoro distanziate);
- possibile ridefinizione del lavoro con orari differenziati che favoriscano il distanziamento sociale ed evitino assembramenti in ingresso e uscita;
- incentivo di forme di trasporto verso il luogo di lavoro che garantiscano adeguato distanziamento tra i viaggiatori o ricorso al mezzo privato/navette.
9. Gestione entrata e uscita dei dipendenti
- si favoriscono orari di ingresso e uscita scaglionati in modo da evitare contatti nelle zone comuni; - ove possibile occorre dedicare porte di ingresso e uscite differenti.
10. Spostamenti interni, riunioni, eventi interni e formazione
- spostamenti interni all’azienda limitati al minimo indispensabile;
- divieto di riunioni in presenza, salvo queste ultime siano connotate da necessità e urgenza, nel rispetto del distanziamento interpersonale e garantendo adeguata pulizia/areazione dei locali;
- sospensione/annullamento degli eventi interni e dell’attività di formazione in modalità in aula. Possibilità di effettuare la formazione a distanza per i lavoratori in smart working;
- il mancato completamento dell’aggiornamento della formazione professionale entro i termini previsti in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro non comporta l’impossibilità a continuare lo svolgimento dello specifico ruolo/funzione.
11. Gestione di una persona sintomatica in azienda
- nel caso in cui una persona presente in azienda sviluppi febbre e sintomi di infezione respiratoria lo deve dichiarare all’ufficio personale. Si dovrà procedere al suo isolamento e avvertire le autorità sanitarie;
- l’azienda deve collaborare con le autorità sanitarie per la definizione degli eventuali contatti stretti, ai quali l’azienda potrà chiedere di lasciare cautelativamente lo stabilimento nel periodo dell’indagine;
- il lavoratore al momento dell’isolamento deve essere dotato di mascherina chirurgica.
12. Sorveglianza sanitaria/medico competente/RLS
- prosecuzione della sorveglianza sanitaria, privilegiando visite preventive, a richiesta e da rientro da malattia;
- la sorveglianza sanitaria non va interrotta;
- nell’applicare e proporre le misure di regolamentazione legate al COVID-19 il medico competente collabora con il datore di lavoro e le RLS;
- il medico competente segnala all’azienda situazioni di particolare fragilità e patologie attuali o pregresse dei dipendenti (l’azienda provvede alla loro tutela nel rispetto della privacy);
- il medico competente potrà suggerire l’adozione di eventuali mezzi diagnostici qualora ritenuti utili al fine del contenimento della diffusione del virus;
- alla ripresa delle attività, è opportuno il coinvolgimento del medico competente per identificare i soggetti con particolari situazioni di fragilità;
- è raccomandabile che la sorveglianza sanitaria ponga particolare attenzione ai soggetti fragili anche in relazione all’età;
- per il reinserimento di lavoratori con pregressa infezione da COVID-19 il medico competente, previa presentazione di certificazione di avvenuta negativizzazione, è tenuto ad effettuare visita medica.
13. Aggiornamento del Protocollo di regolamentazione
- costituzione in azienda di un Comitato per l’applicazione e la verifica delle regole del Protocollo di regolamentazione;
- laddove, per la particolare tipologia di impresa e per il sistema di relazioni sindacali, non si desse luogo alla costituzione di comitati aziendali verrà istituito un Comitato territoriale;
- potranno essere costituiti, a livello territoriale o settoriale, Comitati per le finalità del Protocollo.
Emergenza Coronavirus – D.P.C.M. 10 aprile 2020
Si segnala il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 10 aprile 2020 (G.U. n. 97 dell’11-4-2020) recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”. Le disposizioni producono effetto dal 14 aprile 2020 e sono efficaci fino al 3 maggio 2020. Dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento cessano di avere effetti i D.P.C.M. dell’8, 9, 11, 22 marzo e 1 aprile 2020.
Per i profili relativi ai rapporti di lavoro si evidenziano, tra le altre, le seguenti disposizioni (art. 1):
- la modalità di lavoro agile disciplinata dagli artt. da 18 a 23 della legge n. 81/2017 può essere applicata dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato, anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti, con assolvimento in via telematica degli obblighi informativi relativi ai rischi connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro;
- si raccomanda ai datori di lavoro pubblici e privati di promuovere la fruizione dei periodi di congedo ordinario e di ferie;
- in ordine alle attività professionali si raccomanda che sia attuato il massimo utilizzo di modalità di lavoro agile (per le attività che possono essere svolte dal proprio domicilio o in modalità a distanza), incentivando in ogni caso ferie e congedi retribuiti per i dipendenti. Si raccomanda inoltre che siano assunti protocolli di sicurezza anti-contagio (laddove non fosse possibile rispettare la distanza interpersonale di un metro con adozione di strumenti di protezione individuale) e che siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro, anche utilizzando a tal fine forme di ammortizzatori sociali.
Di seguito le misure di contenimento del contagio per lo svolgimento in sicurezza delle attività produttive industriali e commerciali (art. 2):
- sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad eccezione delle seguenti: coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali; silvicoltura ed utilizzo di aree forestali; pesca e acquacoltura; estrazione di carbone, di petrolio greggio e di gas naturale e dei servizi di supporto all’estrazione; industrie alimentari e delle bevande; confezione di camici, divise e altri indumenti da lavoro; industria del legno e dei prodotti in legno e sughero (esclusi i mobili); fabbricazione di articoli tessili tecnici ed industriali, tessuti non tessuti, articoli in paglia e materiali da intreccio, carta, coke e prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, prodotti chimici, prodotti farmaceutici di base e di preparati, articoli in materie plastiche, vetro cavo, vetrerie per laboratori, per uso igienico, per farmacia, radiatori e contenitori in metallo per caldaie per il riscaldamento centrale, utensileria ad azionamento manuale, parti intercambiabili per macchine utensili, imballaggi leggeri in metallo, componenti elettronici e schede elettroniche, computer e unità periferiche, apparecchi per irradiazione, apparecchiature elettromedicali ed elettroterapeutiche, motori, generatori, trasformatori elettrici, apparecchiature per la distribuzione e il controllo dell’elettricità, batterie di pile e di accumulatori elettrici, macchine automatiche per la dosatura, la confezione e per l’imballaggio, macchine per l’industria della carta e del cartone, delle materie plastiche e della gomma, strumenti e forniture mediche e dentistiche, attrezzature ed articoli di vestiario protettivi di sicurezza, casse funebri; riparazione, manutenzione nonché installazione di macchine e apparecchiature; fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata; raccolta, trattamento e fornitura di acqua, gestione delle reti fognarie; attività di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, di recupero dei materiali, di risanamento e altri servizi di gestione dei rifiuti; ingegneria civile; installazione di impianti elettrici, idraulici e altri lavori di costruzioni e installazioni; manutenzione e riparazione di autoveicoli; commercio di parti e accessori di autoveicoli; commercio all’ingrosso di materie prime agricole e animali vivi, di prodotti alimentari, bevande, prodotti del tabacco, prodotti farmaceutici, carta, cartone e articoli di cartoleria, libri, riviste, giornali, macchinari, attrezzature, macchine, accessori, forniture agricole e utensili agricoli, strumenti e attrezzature ad uso scientifico, articoli antincendio e infortunistici, prodotti petroliferi e lubrificanti per autotrazione, combustibili per riscaldamento, fertilizzanti e altri prodotti chimici per l’agricoltura; trasporto terrestre e mediante condotte, marittimo e per vie d’acqua, aereo; magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti; servizi postali e attività di corriere; alberghi e strutture simili; servizi di comunicazione e informazione; attività finanziarie e assicurative, legali e contabili, di direzione aziendale e consulenza gestionale, degli studi di architettura e ingegneria, collaudi e analisi tecniche, professionali, scientifiche e tecniche, delle agenzie di lavoro temporaneo (interinale), di pulizia e disinfestazione, dei call center (limitatamente alla attività di call center in entrata), di imballaggio e confezionamento conto terzi; cura e manutenzione del paesaggio, con esclusione delle attività di realizzazione; ricerca scientifica e sviluppo; servizi veterinari, di vigilanza privata e connessi a sistemi di vigilanza; agenzie di distribuzione di libri, giornali e riviste; altri servizi di sostegno alle imprese limitatamente all’attività relativa alle consegne a domicilio dei prodotti; amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria; istruzione; assistenza sanitaria; servizi di assistenza sociale residenziale e assistenza sociale non residenziale; attività di organizzazioni economiche, di datori di lavoro e professionali; riparazione e manutenzione di computer e periferiche, di telefoni fissi, cordless, cellulari, di altre apparecchiature per le comunicazioni, di elettrodomestici e articoli per la casa; stampa e riproduzione di supporti registrati; attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico; organizzazioni e organismi extraterritoriali;
- le attività produttive sospese possono comunque proseguire se organizzate a distanza o lavoro agile;
- restano sempre consentite, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, anche le attività funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività escluse dalla sospensione;
- sono comunque consentite le attività che erogano servizi di pubblica utilità nonché servizi essenziali;
- è sempre consentita l’attività di produzione, trasporto, commercializzazione relativa alle filiere farmaceutica ed alimentare nonché ogni attività comunque funzionale a fronteggiare l’emergenza;
- sono altresì consentite le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti;
- sono consentite le attività dell’industria dell’aerospazio e della difesa nonché le altre attività di rilevanza strategica per l’economia nazionale;
- le imprese le cui attività non sono sospese devono rispettare i contenuti del protocollo per il contenimento del virus, di cui si è in precedenza dato conto, sottoscritto il 14 marzo 2020 tra il Governo e le parti sociali;
- le imprese le cui attività vengono sospese per effetto delle modifiche apportabili con decreto del Ministro dello sviluppo economico, possono completare le attività necessarie alla sospensione, compresa la spedizione di merce in giacenza, entro il termine di tre giorni dall’adozione del decreto;
- per le attività produttive sospese è ammesso, previa comunicazione al Prefetto, l’accesso ai locali aziendali di personale dipendente o terzi delegati per lo svolgimento di attività di vigilanza, attività conservative e di manutenzione, gestione dei pagamenti, attività di pulizia e sanificazione. È consentita, previa comunicazione al Prefetto, la spedizione verso terzi di merci giacenti in magazzino nonché la ricezione in magazzino di beni e forniture.
Regione Lombardia - ordinanza n. 528/2020
Il Presidente della Regione Lombardia in data 11 aprile 2020 ha emanato, in seguito al D.P.C.M. del 10 aprile 2020, una nuova ordinanza (n. 528/2020) recante ulteriori misure per la prevenzione e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. Seppur le dimensioni sovranazionali del fenomeno epidemico rendano necessarie misure che garantiscano l’uniformità nell’attuazione dei programmi di profilassi elaborati in sede internazionale ed europea, il dato epidemiologico regionale, si legge nell’ordinanza, “impone l’adozione ed il mantenimento sul territorio lombardo di misure specifiche e più restrittive e comunque adeguate al contesto di riferimento”.
Le disposizioni dell’ordinanza in esame producono effetto dalla data del 14 aprile 2020 e sono efficaci fino al 3 maggio 2020.
Tra gli interventi derogatori al D.P.C.M. 10 aprile 2020 si segnala la seguente disposizione:
- le attività professionali, scientifiche e tecniche legali e contabili nonché le altre attività professionali, le attività di direzione aziendale e consulenza gestionale e degli studi di architettura e ingegneria, la ricerca scientifica e lo sviluppo devono essere svolte in modalità di lavoro agile, fatti salvi gli specifici adempimenti relativi ai servizi indifferibili ed urgenti o sottoposti a termini di scadenza. Qualora vi sia conseguente necessità di contatto diretto con i clienti presso gli Studi, questi devono avvenire esclusivamente previo appuntamento.
Emergenza Coronavirus – D.L. 8 aprile 2020, n. 23
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 94 dell’8 aprile 2020) del decreto legge n. 23 dell’8 aprile 2020 recante “Misure urgenti in materia di accesso al credito e di adempimenti fiscali per le imprese, di poteri speciali nei settori strategici, nonché interventi in materia di salute e lavoro, di proroga di termini amministrativi e processuali”, in vigore dal 9 aprile 2020.
In particolare, per i profili di maggior interesse:
Capo I – Misure di accesso al credito per le imprese
Art. 1 - Misure temporanee per il sostegno alla liquidità delle imprese:
- al fine di assicurare liquidità alle imprese colpite dall’epidemia COVID-19 con sede in Italia, la società SACE S.p.a. concede fino al 31 dicembre 2020 garanzie in favore di banche, istituzioni finanziarie e altri soggetti abilitati all’esercizio del credito in Italia per finanziamenti alle suddette imprese;
- l’importo del prestito assistito da garanzia non è superiore al maggiore tra i seguenti elementi: il 25 per cento del fatturato annuo dell’impresa nel 2019 e il doppio dei costi del personale dell’impresa relativi al 2019;
- la garanzia copre il 90 per cento dell’importo del finanziamento per imprese con meno di 5000 dipendenti in Italia e valore del fatturato fino a 1,5 miliardi di euro; 80 per cento dell’importo del finanziamento per imprese con valore del fatturato tra 1,5 miliardi e 5 miliardi di euro o con più di 5.000 dipendenti in Italia e il 70 per cento per le imprese con valore del fatturato superiore a 5 miliardi di euro;
- qualora l’impresa superi il fatturato di 1,5 miliardi di euro o i 5000 dipendenti, il rilascio delle garanzie è subordinato alla decisione assunta con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze sentito il Ministero dello sviluppo economico;
- previsione di una procedura semplificata di accesso al credito per le imprese di minori dimensioni (meno di 5000 dipendenti e valore del fatturato inferiore a 1,5 miliardi di euro): richiesta da parte dell’impresa ad un soggetto finanziatore di erogazione di un unico finanziamento garantito da SACE S.p.a.; parere positivo dei soggetti finanziatori da trasmettere alla SACE per la relativa verifica; rilascio del finanziamento assistito da garanzia);
- l’impresa che beneficia della garanzia assume l’impegno di non approvare la distribuzione dei dividendi o il riacquisto di azioni nel corso del 2020;
- il finanziamento coperto dalla garanzia deve essere destinato a sostenere costi del personale, investimenti o capitale impiegati in stabilimenti produttivi e attività imprenditoriali localizzati in Italia.
Capo II – Misure urgenti per garantire la continuità delle imprese colpite dall’emergenza COVID-19
- differimento all’1 settembre 2021 dell’entrata in vigore del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza di cui al d. lgs. n. 14/2019 (art. 5);
- sospensione a decorrere dal 9 aprile 2020 e fino al 31 dicembre 2020 degli obblighi di riduzione del capitale sociale per perdite previsti dal codice civile (artt. 2446, commi 2 e 3, 2447, 2482-bis, commi 4, 5, 6 e 2482-ter cod. civ.). Nel medesimo periodo non opera inoltre la causa di scioglimento della società per riduzione o perdita del capitale sociale di cui agli artt. 2484, comma 1 n.4 e 2545-duodecies cod. civ. (art. 6);
- nella redazione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020 la valutazione delle voci nella prospettiva della continuazione dell’attività di cui all’art. 2423-bis, comma 1 n. 1 cod. civ. può comunque essere operata se risulta sussistente nell’ultimo bilancio di esercizio chiuso in data anteriore al 23 febbraio 2020 (art. 7);
- ai finanziamenti effettuati a favore delle società dal 9 aprile 2020 e sino al 31 dicembre 2020 non si applicano gli artt. 2467 e 2497 quinquies cod. civ., con conseguente disattivazione dei meccanismi di postergazione dei rimborsi dei finanziamenti effettuati dai soci o da chi esercita attività di direzione e coordinamento (art. 8);
- proroga di sei mesi dei termini di adempimento dei concordati preventivi e degli accordi di ristrutturazione omologati aventi scadenza nel periodo tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 (art. 9);
- improcedibilità di tutti i ricorsi e richieste per la dichiarazione di fallimento e dello stato di insolvenza depositati tra il 9 marzo 2020 e il 30 giugno 2020 (art. 10);
- sospensione dal 9 marzo 2020 al 30 aprile 2020 dei termini di scadenza ricadenti o decorrenti nel medesimo periodo relativi a titoli di credito (art. 11);
- potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese, con previsione della concessione della garanzia a titolo gratuito per le imprese con numero di dipendenti non superiore a 499, per un importo massimo per singola impresa elevato a 5 milioni di euro (art. 13).
Capo IV – Misure fiscali e contabili
Art. 18 – Sospensione di versamenti tributari e contributivi
- sospensione per i mesi di aprile e maggio 2020 dei termini dei versamenti tributari (ritenute e IVA) e contributivi (previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria) per i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale od operativa in Italia con ricavi o compensi non superiori a 50 milioni di euro nel periodo di imposta precedente a quello in corso alla data di entrata in vigore del presente decreto, che hanno subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi di almeno il 33 per cento nel mese di marzo e aprile 2020 rispetto agli stessi mesi del periodo di imposta precedente;
- qualora i ricavi o compensi siano superiori a 50 milioni di euro la perdita subita deve essere pari almeno al 50 per centoulaorannn;
- la sospensione si applica anche ai soggetti esercenti attività di impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale od operativa in Italia e che hanno intrapreso l’attività in data successiva al 31 marzo 2019;
- la sospensione dei versamenti d’imposta sul valore aggiunto si applica per i mesi di aprile e maggio 2020, a prescindere dal volume dei ricavi e dei compensi del periodo d’imposta precedente, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale od operativa nelle province di Bergamo, Bresca, Cremona, Lodi e Piacenza che hanno subito una diminuzione del fatturato o dei corrispettivi di almeno il 33 per cento nei mesi di marzo e aprile 2020 rispetto agli stessi mesi del periodo di imposta precedente;
- i versamenti sospesi devono essere effettuati, senza l’applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 30 giugno 2020 o mediante rateizzazione fino a un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di giugno 2020. Non si fa luogo al rimborso di quanto già versato.
Inoltre:
- per i soggetti che hanno il domicilio fiscale, la sede legale od operativa nel territorio dello Stato con ricavi e compensi non superiori a euro 400.000 nel periodo di imposta precedente a quello in corso alla data del 17 marzo 2020, i ricavi e compensi percepiti nel periodo compreso tra il 17 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 non sono assoggettati alle ritenute d’acconto da parte del sostituto d’imposta a condizione che nel mese precedente non abbiano sostenuto spese per prestazioni di lavoro dipendente o assimilato (art. 19);
- le disposizioni concernenti le sanzioni e gli interessi per le ipotesi di omesso o insufficiente versamento degli acconti (dovuti per il periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2019) dell’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF), dell’imposta sul reddito delle società (IRES) e dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) non si applicano in caso di insufficiente versamento delle somme dovute se l’importo versato non è inferiore all’80 per cento della somma che risulterebbe dovuta a titolo di acconto sulla base della dichiarazione relativa al periodo di imposta in corso (art. 20);
- i versamenti nei confronti delle pubbliche amministrazioni con scadenza il 16 marzo 2020 (prorogata al 20 marzo 2020 dal d.l. n. 18/2020) sono considerati tempestivi se effettuati entro il 16 aprile 2020 (art. 21);
- previsione di un credito d’imposta per l’acquisto di dispositivi di protezione individuale o altri dispositivi per la sicurezza nei luoghi di lavoro (art. 30);
- l’indennità di cui all’art. 44 d.l. n. 18/2020 (reddito di ultima istanza), prevista al fine di garantire misure di sostegno al reddito per i lavori dipendenti e autonomi che in conseguenza dell’emergenza hanno cessato, ridotto o sospeso il rapporto di lavoro, si applica ai lavoratori non titolari di trattamenti pensionistici ed iscritti in via esclusiva agli enti di diritto privato di previdenza obbligatoria.
Capo V- Disposizioni in materia di termini processuali e procedimentali
Art. 36 – Proroga termini processuali in materia di giustizia
- proroga all’11 maggio 2020 del termine del 15 aprile 2020 previsto dal d.l. n. 18/2020 per il rinvio d’ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari;
- proroga all’11 maggio 2020 del termine del 15 aprile 2020 previsto dal d.l. n. 18/2020 per la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Dal 9 marzo all’11 maggio 2020 si intendono pertanto sospesi i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della relativa motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto;
- per il periodo compreso tra il 12 maggio 2020 e il 30 giugno 2020 i capi degli uffici giudiziari possono adottare, sentita l’autorità sanitaria regionale, le misure organizzative anche relative alla trattazione degli affari giudiziari necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico sanitarie fornite dal Ministero della salute al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone;
- la proroga non si applica ai procedimenti penali in cui i termini di cui all’art. 304 cod. proc. pen. (termini di durata massima della custodia cautelare) scadono nei sei mesi successivi all’11 maggio 2020.
Capo VI – Disposizioni in materia di salute e di lavoro
- applicazione anche ai lavoratori assunti dal 2 febbraio 2020 al 17 marzo 2020 delle disposizioni di cui agli artt. 19 e 22 del decreto “Cura Italia” (d.l. 17 marzo 2020, n. 18) secondo cui: i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 per una durata massima di nove settimane e comunque entro il mese di agosto 2020; le Regioni e Province autonome, con riferimento ai datori di lavoro del settore privato per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro, possono riconoscere trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo non superiore a nove settimane (art. 41).
Emergenza Coronavirus – D.P.C.M. 1 aprile 2020
Si segnala il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’1 aprile 2020 (G.U. n. 88 del 2-4-2020) recante “Disposizioni attuative del decreto-legge 25 marzo 2020, n. 19, recante misure urgenti per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”. Il provvedimento è stato dunque emanato in attuazione del d.l. n. 19/2020 con cui è stata conferita al Presidente del Consiglio dei Ministri la facoltà di adottare tramite decreto, su specifiche parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, le misure di contenimento necessarie per contrastare i rischi del virus COVID-19, ciascuna di durata non superiore a trenta giorni, reiterabili e modificabili fino al 31 luglio 2020 (tra le misure adottabili: limitazione della circolazione delle persone; limitazione o divieto di assembramenti nonché di manifestazioni ed eventi; sospensione o limitazione di attività commerciali, d’impresa o professionali).
Con il decreto del primo aprile 2020 il Governo ha quindi prorogato al 13 aprile l’efficacia delle disposizioni dei D.P.C.M. dell’8, 9, 11 e 22 marzo 2020 con cui progressivamente sono state adottate misure restrittive locali e nazionali necessarie al fine di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19. Tra le misure previste nei provvedimenti richiamati, di cui si è in precedenza dato conto, si ricordano:
- divieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico;
- sospensione di manifestazioni ed eventi;
- sospensione delle attività produttive industriali e commerciali, salvo eccezioni volte a garantire tra le altre le filiere alimentari e farmaceutiche;
- incentivo alle modalità di lavoro agile per tutte le attività produttive e professionali non sospese e alla fruizione di ferie e congedi non retribuiti per i dipendenti;
- adozione, nell’ambito delle attività non sospese, di protocolli di sicurezza anti-contagio ovvero di strumenti di protezione individuale.
Le nuove disposizioni producono effetto dal 4 aprile 2020 e sono efficaci fino al 13 aprile 2020.
Decreto intercettazioni – legge di conversione
Si segnala la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale n. 50 del 28.02.2020 della legge n. 7/2020 di conversione, con modificazioni, del d.l. intercettazioni n. 161/2019, di cui si è già in precedenza dato conto.
Si riportano di seguito le modifiche di maggior rilievo intervenute in sede di conversione:
- proroga all’ 1 maggio 2020 dell’entrata in vigore della riforma delle intercettazioni (d. lgs. n. 216/2017 – cd. riforma Orlando) e delle relative modifiche apportate dal decreto oggetto di conversione;
- applicazione della nuova disciplina ai procedimenti penali iscritti dopo il 30 aprile 2020;
- estensione dell’ambito applicativo della disciplina delle intercettazioni ai procedimenti relativi ai delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’articolo 416 bis cod. pen. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo (art. 266, comma 1, lettera f-quinquies c.p.p.);
- utilizzabilità delle intercettazioni di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile nei procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni, previa indicazione delle ragioni che ne giustificano l’utilizzo anche nei luoghi indicati dall’articolo 614 cod. pen. (abitazione altrui, altro luogo di privata dimora o appartenenze di esso) (art. 266, comma 2 bis c.p.p.);
- ai difensori delle parti (e non solo al difensore dell’imputato come previsto nel decreto legge) è immediatamente dato avviso della facoltà di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni (art. 268 comma 6 c.p.p.);
- facoltà per il giudice, con il consenso delle parti, di disporre l’utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini (art. 268 comma 7 c.p.p.);
- non sono coperti da segreto solo i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo delle indagini e comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari. Al giudice per le indagini preliminari e ai difensori delle parti (e non solo al difensore dell’imputato come previsto dal decreto legge), successivamente al deposito, è consentito l’accesso per l’esercizio dei loro diritti e facoltà (art. 269, comma 1 c.p.p.);
- “I risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino rilevanti e indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1” (art. 270 comma 1 c.p.p.);
- fermo quanto previsto dall’art. 270 comma 1 c.p.p. “i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’articolo 266, comma 2-bis” (art. 270, comma 1 bis c.p.p.);
- diritto del difensore di esaminare ed estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate di cui all’art. 291, comma 1 (art. 293, comma 3 c.p.p.);
- avvertimento per l’indagato e il suo difensore, nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, della facoltà di esaminare in via telematica gli atti depositati relativi ad intercettazioni (art. 415 bis, comma 2 bis c.p.p.).
Applicazione retroattiva della legge “spazzacorrotti” – illegittimità costituzionale
Con sentenza n. 32/2020 la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 6, lett. b), legge n. 3/2019 (cd. spazzacorrotti) in quanto interpretato nel senso che le modificazioni introdotte all’art. 4 bis ord. penit., con estensione ai reati contro la pubblica amministrazione delle preclusioni relative alla concessione di misure alternative, liberazione condizionale e sospensione dell’ordine di esecuzione, si applichino anche ai condannati che abbiano commesso il fatto anteriormente all’entrata in vigore della novella.
La Corte ritiene debba essere in parte rimeditato l’orientamento giurisprudenziale dominante secondo il quale le norme disciplinanti l’esecuzione della pena sono in radice sottratte al divieto di applicazione retroattiva, corollario del principio di legalità della pena di cui all’art. 25, comma 2 Cost.. Se di regola le pene detentive devono essere eseguite in base alla legge in vigore al momento della loro esecuzione, tutto ciò non vale, spiega la Corte, qualora tale legge comporti, rispetto al quadro vigente al momento del fatto, una trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale. In tale ipotesi un’applicazione retroattiva della normativa si scontrerebbe con il principio di legalità di cui all’art. 25 comma 2 Cost., stante la natura sostanzialmente penale della misura restrittiva.
Tale convincimento risulta peraltro in linea con i più recenti arresti della Corte EDU secondo cui le modifiche alle norme sull’esecuzione della pena sono soggette al divieto di applicazione retroattiva di cui all’art. 7 CEDU qualora determinino una ridefinizione o modificazione della portata applicativa della pena imposta dal giudice, sì da garantire il principio di prevedibilità delle conseguenze sanzionatorie al momento del fatto. Opinando in senso contrario gli Stati resterebbero liberi di adottare misure che retroattivamente ridefiniscono la portata della pena imposta in senso sfavorevole per l’interessato.
Nella specie, la disposizione censurata comporta, per una serie di reati contro la p.a., una trasformazione della natura delle pene previste al momento del reato e della loro incidenza sulla libertà personale del condannato quanto agli effetti sulle misure alternative alla detenzione, sulla liberazione condizionale e sul divieto di sospensione dell’ordine di esecuzione della pena. Un’applicazione retroattiva della disposizione in esame ai condannati per fatti commessi anteriormente alla sua entrata in vigore, conclude la Corte, si pone quindi in contrasto con il dettato costituzionale, avendo ad oggetto misure dalla natura squisitamente sostanziale che incidono sulla qualità e quantità della pena e che modificano il grado di privazione della libertà personale imposto al detenuto.
Caso Cappato – assoluzione perché il fatto non sussiste
Con sentenza n. 8/2019 la Corte d’Assise di Milano si è pronunciata nel procedimento a carico di Marco Cappato imputato del reato di cui all’art. 580 cod. pen. per aver rafforzato il proposito suicidiario di Dj Fabo, affetto da tetraplegia e cecità a seguito di incidente stradale, prospettandogli la possibilità di ottenere assistenza al suicidio presso un’associazione svizzera e attivandosi per mettere in contatto i familiari con quest’ultima, nonché per aver agevolato il suicidio del Dj trasportandolo in auto presso la clinica.
La Corte esclude innanzitutto la responsabilità di Cappato per il reato di induzione al suicidio, limitandosi quest’ultimo, spiegano i Giudici, ad accompagnare Dj Fabo in Svizzera “ma non ha né determinato, né rafforzato la sua decisione in proposito” ed è inoltre intervenuto dopo che il Dj “in piena autonomia, con il costante sostegno dei suoi cari, verificata tramite vari medici l’impossibilità di cura della sua malattia, aveva deciso di por termine alle sue sofferenze incoercibili e quindi alla sua vita”.
Quanto alla condotta di agevolazione al suicidio la Corte ritiene essere integrati nel caso di specie tutti i requisiti richiesti dalla pronuncia della Consulta n. 242/2019 perché la condotta di aiuto al suicidio non sia sussumibile nell’area di punibilità della fattispecie incriminatrice in esame, rientrando in quella individuata circoscritta area di non conformità costituzionale. Dalla documentazione medica acquisita si è infatti accertata l’esistenza di una patologia irreversibile, fonte di grave sofferenza fisica e psicologica, nonché la dipendenza da trattamenti di sostegno vitale, essendosi altresì verificata la piena capacità del soggetto di prendere decisioni libere e consapevoli, come dimostrato dal relativo testamento biologico.
Risulta quindi che Cappato abbia aiutato Dj Fabo a morire, come da lui scelto, solo dopo aver accertato che la sua decisione fosse stata autonoma e consapevole, che la sua patologia fosse grave e irreversibile e che gli fossero state prospettate correttamente le possibili alternative con modalità idonee a offrire garanzie equivalenti a quelle cui la Corte Costituzionale ha subordinato l’esclusione dell’illiceità della condotta.
La Corte d’Assise assolve quindi Cappato dall’accusa di agevolazione al suicidio “perché il fatto non sussiste”, aderendo all’orientamento interpretativo secondo cui la pronuncia di incostituzionalità riduce sotto il profilo oggettivo la fattispecie, escludendo che configuri reato la condotta di agevolazione al suicidio che presenti le caratteristiche descritte.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare – necessaria la prova dell’impossibilità ad adempiere
Con sentenza n. 10422/2020 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’ambito applicativo del reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 comma 2, n. 2 cod. pen.. Nella specie all’imputato era addebitata la condotta di sottrazione degli obblighi di assistenza inerenti alla potestà genitoriale facendo mancare i mezzi di sussistenza ai figli minori, omettendo così di concorrere al loro mantenimento.
La Corte, nel pronunciarsi sulle plurime doglianze, ribadisce la necessità, perché possa escludersi la responsabilità penale, che l’obbligato fornisca prova rigorosa della sua impossibilità ad adempiere l’onere contributivo impostogli, con riferimento al periodo in contestazione, versando in situazione incolpevole di assoluta indisponibilità di introiti sufficienti a soddisfare le esigenze minime di vita degli aventi diritto. In particolare la nozione di “mezzi di sussistenza” va identificata “in ciò che è indispensabile alla vita del beneficiario, a prescindere dalle condizioni sociali o di vita pregressa degli aventi diritto”.
La minore età dei discendenti, quali destinatari di tali richiamati mezzi di sussistenza, rappresenta inoltre in re ipsa una condizione soggettiva dello stato di bisogno, con conseguente obbligo per i genitori di far fronte al relativo mantenimento. Il reato in esame, conclude la Corte, sussiste pertanto anche qualora uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori e al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l’altro genitore.
Emergenza Coronavirus – D.P.C.M. 22 marzo 2020 – lavoratori e imprese
Si segnala il nuovo Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 22 marzo 2020 (G.U. n. 76 del 22-3-2020) recante “Ulteriori disposizioni attuative del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, recante misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19, applicabili sull’intero territorio nazionale”. Le disposizioni producono effetto dal 23 marzo 2020 e sono efficaci fino al 3 aprile 2020.
Allo scopo di contrastare e contenere il diffondersi del virus COVID-19, sull’intero territorio nazionale sono adottate, tra le altre, le seguenti misure:
- sospensione di tutte le attività produttive industriali e commerciali, ad accezione di quelle di seguito indicate: coltivazioni agricole e produzione di prodotti animali; pesca e acquacoltura; estrazione di carbone, di petrolio greggio e di gas naturale e dei servizi di supporto all’estrazione; industrie alimentari e delle bevande; fabbricazione di articoli tessili tecnici ed industriali, spago, corde, funi, reti, tessuti non tessuti, imballaggi in legno, carta, coke e prodotti derivati dalla raffinazione del petrolio, prodotti chimici, prodotti farmaceutici di base e di preparati, articoli in gomma e in materie plastiche, vetrerie per laboratori, per uso igienico, per farmacia, apparecchi per irradiazione, apparecchiature elettromedicali ed elettroterapeutiche, motori, generatori, trasformatori elettrici, apparecchiature per la distribuzione e il controllo dell’elettricità, macchine per l’agricoltura, la silvicoltura, l’industria alimentare, delle bevande e del tabacco, inclusi accessori, della carta e del cartone, delle materie plastiche e della gomma, strumenti e forniture mediche e dentistiche, attrezzature ed articoli di vestiario protettivi di sicurezza, casse funebri; riparazione, manutenzione nonché installazione di macchine e apparecchiature; fornitura di energia elettrica, gas, vapore e aria condizionata; raccolta, trattamento e fornitura di acqua, gestione delle reti fognarie; attività di raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti, di recupero dei materiali, di risanamento e altri servizi di gestione dei rifiuti; ingegneria civile; installazione di impianti elettrici, idraulici e altri lavori di costruzioni e installazioni; manutenzione e riparazione di autoveicoli; commercio di parti e accessori di autoveicoli; commercio all’ingrosso di materie prime agricole e animali vivi, di prodotti alimentari, bevande, tabacco, prodotti farmaceutici, libri, riviste, giornali, macchinari, attrezzature, macchine, accessori, forniture agricole e utensili agricoli, altri mezzi ed attrezzature da trasporto e ad uso scientifico, articoli antincendio e infortunistici, prodotti petroliferi e lubrificanti per autotrazione, combustibili per riscaldamento; trasporto terrestre e mediante condotte, marittimo e per vie d’acqua, aereo; magazzinaggio e attività di supporto ai trasporti; servizi postali e attività di corriere; alberghi e strutture simili; servizi di comunicazione e informazione; attività professionali, scientifiche e tecniche, finanziarie, assicurative, legali, contabili, di direzione aziendale e di consulenza gestionale, degli studi di architettura e ingegneria, collaudi e analisi tecniche, di pulizia e disinfestazione, dei call center, di imballaggio e confezionamento conto terzi; ricerca scientifica e sviluppo; confezioni di camici, divise e altri indumenti da lavoro; servizi veterinari, di vigilanza privata e connessi a sistemi di vigilanza; agenzie di distribuzione di libri, giornali e riviste; amministrazione pubblica e difesa; assicurazione sociale obbligatoria; istruzione; assistenza sanitaria; servizi di assistenza sociale residenziale e assistenza sociale non residenziale; attività di organizzazioni economiche, di datori di lavoro e professionali; riparazione e manutenzione di computer e periferiche, di telefoni fissi, cordless, cellulari, di altre apparecchiature per le comunicazioni, di elettrodomestici e articoli per la casa; stampa e riproduzione di supporti registrati; attività di famiglie e convivenze come datori di lavoro per personale domestico;
- le attività produttive sospese possono comunque proseguire se organizzate in modalità a distanza o lavoro agile;
- rimangono consentite le attività che sono funzionali ad assicurare la continuità delle filiere delle attività produttive non sospese, nonché dei servizi pubblici essenziali, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, nella quale sono indicate specificamente le imprese e le amministrazioni beneficiarie dei prodotti e servizi attinenti alle attività consentite. Il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistano le condizioni richieste. Fino all’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della comunicazione resa;
- le attività professionali non sono sospese e restano ferme le previsioni dell’art. 1, punto 7 del D.P.C.M. dell’11 marzo 2020 a norma del quale si raccomanda che sia attuato il massimo utilizzo da parte delle imprese di modalità di lavoro agile o a distanza, che siano incentivate le ferie e i congedi retribuiti per i dipendenti, che si assumano protocolli di sicurezza anti-contagio e che siano incentivate le operazioni di sanificazione dei luoghi di lavoro;
- sono consentite le attività degli impianti a ciclo produttivo continuo, previa comunicazione al Prefetto della provincia ove è ubicata l’attività produttiva, dalla cui interruzione derivi un grave pregiudizio all’impianto stesso o un pericolo di incidenti. Il Prefetto può sospendere le predette attività qualora ritenga che non sussistano le condizioni richieste. Fino all’adozione dei provvedimenti di sospensione dell’attività, essa è legittimamente esercitata sulla base della dichiarazione resa;
- è fatto obbligo per le imprese le cui attività non sono sospese di rispettare i contenuti del protocollo condiviso di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus negli ambienti di lavoro sottoscritto il 14 marzo 2020 tra il Governo e le parti sociali;
- le imprese le cui attività sono sospese completano le attività necessarie alla sospensione entro il 25 marzo 2020, compresa la spedizione della merce in giacenza.
Protocollo di regolamentazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro
Si riportano di seguito le indicazioni operative di maggior rilievo contenute nel “Protocollo condiviso di regolazione delle misure per il contrasto e il contenimento della diffusione del virus Covid-19 negli ambienti di lavoro”, sottoscritto il 14 marzo 2020 tra il Governo e le parti sociali. Il documento contiene dunque linee guida condivise tra le Parti al fine di agevolare le imprese nell’adozione di protocolli di sicurezza anti-contagio.
In particolare:
- consegna e affissione all’ingresso e nei luoghi maggiormente visibili dei locali aziendali di appositi depliants informativi circa le disposizioni delle Autorità;
- possibile controllo della temperatura corporea al personale in ingresso. Sarà impedito l’accesso a coloro la cui temperatura sia superiore ai 37.5 gradi. È inoltre precluso l’accesso a chi, negli ultimi 14 giorni, abbia avuto contatti con soggetti risultati positivi al COVID-19 o provenga da zone a rischio;
- accesso per i fornitori esterni con modalità predefinite al fine di ridurre le occasioni di contatto con il personale interno. Se possibile gli autisti di mezzi di trasporto devono rimanere a bordo dei propri mezzi. Va ridotto quanto possibile anche l’accesso ai visitatori esterni;
- pulizia giornaliera e sanificazione periodica dei locali. Pulizia e sanificazione straordinaria andranno garantite nel caso di presenza di una persona con COVID-19 all’interno dei locali aziendali;
- messa a disposizione di idonei mezzi detergenti per le mani, assicurando altresì l’adozione, per quanto possibile, dei dispositivi di protezione individuale;
- accesso contingentato agli spazi comuni, tra cui mense, aree fumatori e spogliatoi, con la previsione di ventilazione continua dei locali e di un tempo ridotto di sosta;
- chiusura dei reparti diversi dalla produzione e di quelli dei quali è possibile il funzionamento mediante il ricorso allo smart working; rimodulazione dei livelli produttivi e piani di turnazione dei dipendenti;
- orari di ingresso e uscita scaglionati in modo da evitare contatti nelle zone comuni; spostamenti interni all’azienda limitati al minimo indispensabile e divieto di riunioni in presenza, salvo queste ultime siano connotate da necessità e urgenza;
- possibilità di effettuare la formazione a distanza per i lavoratori in smart working;
- prosecuzione della sorveglianza sanitaria, privilegiando visite preventive, a richiesta e da rientro da malattia.
Emergenza Coronavirus – D.L. 17 marzo 2020, n. 18 – lavoratori e imprese
Si riportano qui di seguito, in aggiunta alle già segnalate novità in ambito giudiziario, le disposizioni di maggior rilievo per lavoratori e imprese del decreto legge n. 18/ 2020 (G.U. n. 70 del 17 marzo 2020) recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, in vigore dal 17 marzo 2020.
In particolare:
Titolo II – Misure a sostegno del lavoro - Capo I – Estensione delle misure speciali in tema di ammortizzatori sociali per tutto il territorio nazionale:
- i datori di lavoro che nell’anno 2020 sospendono o riducono l’attività lavorativa per eventi riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale o di accesso all’assegno ordinario per periodi decorrenti dal 23 febbraio 2020 per una durata massima di nove settimane e comunque entro il mese di agosto 2020 (art. 19);
- le aziende che alla data del 23 febbraio 2020 hanno in corso un trattamento di integrazione salariale straordinario (Cassa integrazione straordinaria) possono presentare domanda di concessione del trattamento ordinario di integrazione salariale per un periodo non superiore a nove settimane (tale trattamento sostituisce quello straordinario già in corso) (art. 20);
- i datori di lavoro che al 23 febbraio 2020 hanno in corso un assegno di solidarietà possono presentare domanda per la concessione dell’assegno ordinario ai sensi dell’art. 19 per un periodo non superiore a nove settimane, con conseguente sospensione dell’assegno di solidarietà già in corso (art. 21);
- le Regioni e Province autonome, con riferimento ai datori di lavoro del settore privato per i quali non trovino applicazione le tutele previste dalle vigenti disposizioni in materia di sospensione o riduzione di orario, in costanza di rapporto di lavoro, possono riconoscere trattamenti di cassa integrazione salariale in deroga, per la durata della sospensione del rapporto di lavoro e comunque per un periodo non superiore a nove settimane (art. 22).
Capo II – Norme speciali in materia di riduzione dell’orario di lavoro e di sostegno ai lavoratori:
- a decorrere dal 5 marzo 2020 i genitori lavoratori dipendenti del settore pubblico e privato hanno diritto a fruire per i figli di età non superiore ai 12 anni di uno specifico congedo, e relativa indennità pari al 50 per cento della retribuzione, per un periodo non superiore a 15 giorni (art. 23);
- il periodo trascorso in quarantena con sorveglianza attiva o in permanenza domiciliare fiduciaria con sorveglianza attiva dai lavoratori del settore privato è equiparato a malattia (art. 26);
- ai liberi professionisti titolari di partita iva attiva alla data del 23 febbraio 2020 non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie è riconosciuta un’indennità per il mese di marzo pari a 600 euro (art. 27);
- a decorrere dal 23 febbraio 2020 e sino al primo giugno 2020 il decorso dei termini di decadenza relativi alle prestazioni previdenziali, assistenziali e assicurative erogate dall’INPS e dall’INAIL è sospeso di diritto (art. 34);
- allo scopo di sostenere la continuità, in sicurezza, dei processi produttivi delle imprese, l’INAIL provvede entro il 30 aprile 2020 a trasferire ad Invitalia l’importo di 50 milioni di euro da erogare alle imprese per l’acquisto di dispositivi e altri strumenti di protezione individuale (art. 43);
- a decorrere dal 17 marzo 2020 l’avvio delle procedure di impugnazione dei licenziamenti è precluso per 60 giorni e nel medesimo periodo sono sospese le procedure pendenti avviate successivamente al 23 febbraio 2020. Sino alla scadenza del suddetto termine il datore di lavoro non può recedere dal contratto per giustificato motivo oggettivo (art. 46).
Titolo III – Misure a sostegno della liquidità attraverso il sistema bancario:
- potenziamento del Fondo centrale di garanzia per le piccole e medie imprese (art. 49);
- misure di sostegno finanziario alle micro, piccole e medie imprese colpite dall’epidemia tra cui: per le aperture di credito a revoca e per i prestiti accordati a fronte di anticipi su crediti esistenti alla data del 29 febbraio 2020 gli importi accordati non possono essere revocati fino al 30 settembre 2020; per i prestiti rateali con scadenza contrattuale prima del 30 settembre 2020 i contratti sono prorogati fino al 30 settembre 2020; per i mutui e gli altri finanziamenti a rimborso rateale il pagamento delle rate o dei canoni di leasing in scadenza prima del 30 settembre 2020 è sospeso fino al 30 settembre 2020 e il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato (art. 56).
Titolo IV – Misure fiscali a sostegno della liquidità delle famiglie e delle imprese:
- i versamenti nei confronti delle pubbliche amministrazioni, inclusi quelli relativi ai contributi previdenziali ed assistenziali ed ai premi assicurativi, in scadenza al 16 marzo 2020 sono prorogati al 20 marzo 2020 (art. 60);
- sospensione dei versamenti delle ritenute, dei contributi previdenziali e assistenziali e dei premi per l’assicurazione obbligatoria (art. 61);
- sospensione dei termini degli adempimenti e dei versamenti fiscali e contributivi. In particolare, per i soggetti che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operative nel territorio dello Stato sono sospesi gli adempimenti tributari diversi dai versamenti e diversi dall’effettuazione delle ritenute alla fonte e delle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale che scadano nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020 (gli adempimenti sospesi sono effettuati entro il 30 giugno 2020 senza applicazioni di sanzioni).
Per i soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nel territorio dello Stato con ricavi o compensi non superiori a 2 milioni di euro nel periodo di imposta precedente a quello in corso alla data del 17 marzo 2020 sono sospesi i versamenti da autoliquidazione che scadono nel periodo compreso tra l’8 marzo e il 31 marzo 2020 relativi: alla ritenuta alla fonte e alle trattenute relative all’addizionale regionale e comunale che i predetti soggetti operano in qualità di sostituti d’imposta nonché relativi all’imposta sul valore aggiunto e ai contributi previdenziali e assistenziali e ai premi per l’assicurazione obbligatoria (i versamenti sospesi sono effettuati, senza applicazione di sanzioni e interessi, in un’unica soluzione entro il 31 maggio 2020 o mediante rateizzazione fino a un massimo di 5 rate mensili di pari importo a decorrere dal mese di maggio 2020).
La sospensione dei versamenti dell’imposta sul valore aggiunto di cui sopra si applica, a prescindere dal volume dei ricavi o compensi percepiti, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione che hanno il domicilio fiscale, la sede legale o la sede operativa nelle province di Bergamo, Cremona, Lodi e Piacenza (art. 62);
- ai titolari di redditi di lavoro dipendente che possiedono un reddito complessivo da lavoro dipendente dell’anno precedente di importo non superiore a 40.000 euro spetta un premio per il mese di marzo 2020 pari a 100 euro da rapportare al numero di giorni di lavoro svolti nella propria sede di lavoro nel predetto mese (art. 63);
- allo scopo di incentivare la sanificazione degli ambienti di lavoro, ai soggetti esercenti attività d’impresa, arte o professione è riconosciuto, per il periodo di imposta 2020, un credito d’imposta nella misura pari al 50 per cento delle spese di sanificazione degli ambienti e degli strumenti di lavoro sostenute e documentate fino a un massimo di 20.000 euro per ciascun beneficiario, nel limite massimo di 50 milioni di euro per l’anno 2020 (art. 64);
- sospensione dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020 dei termini relativi alle attività di liquidazione, di controllo, di accertamento, di riscossione e di contenzioso da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate (art. 67);
- sospensione dei termini dei versamenti, scadenti nel periodo dall’8 marzo al 31 maggio 2020, derivanti da cartelle di pagamento emesse dagli agenti della riscossione (art. 68).
Titolo V – Ulteriori disposizioni - Capo I – Ulteriori disposizioni per fronteggiare l’emergenza derivante dalla diffusione del COVID-19:
- in materia di svolgimento delle assemblee di società, in deroga a quanto previsto dalla normativa codicistica, per le assemblee convocate entro il 31 luglio 2020, ovvero entro la data fino alla quale è in vigore lo stato di emergenza sul territorio nazionale, l’assemblea ordinaria è convocata entro centottanta giorni dalla chiusura dell’esercizio. Con l’avviso di convocazione delle assemblee ordinarie e straordinarie le società per azioni, in accomandita per azioni, le società a responsabilità limitata, le società cooperative e le mutue assicuratrici possono prevedere l’espressione del voto in via elettronica o per corrispondenza e l’intervento all’assemblea mediante mezzi di telecomunicazione. Le società a responsabilità limitata possono inoltre consentire che l’espressione del voto avvenga mediante consultazione scritta o per consenso espresso per iscritto (art. 106).
Emergenza Coronavirus – D.L. 17 marzo 2020, n. 18
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta ufficiale (G.U. n. 70 del 17 marzo 2020) del decreto legge n. 18/ 2020 recante “Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19”, in vigore dal 17 marzo 2020.
Si riportano di seguito, in particolare per i profili penalistici di nostro interesse, le novità di maggior rilievo concernenti l’attività giudiziaria (art. 83):
- proroga al 15 aprile 2020 del termine del 22 marzo previsto dal d.l. n. 11/2020 per il rinvio d’ufficio delle udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari;
- proroga al 15 aprile 2020 del termine del 22 marzo previsto dal d.l. n. 11/2020 per la sospensione del decorso dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali. Dal 9 marzo al 15 aprile 2020 si intendono pertanto sospesi i termini stabiliti per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della relativa motivazione, per la proposizione degli atti introduttivi del giudizio e dei procedimenti esecutivi, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali. Ove il decorso del termine abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo. Quando il termine è computato a ritroso e ricade in tutto o in parte nel periodo di sospensione, è differita l’udienza o l’attività da cui decorre il termine in modo da consentirne il rispetto;
- facoltà per i capi degli uffici giudiziari di adottare, per il periodo di sospensione dei termini di cui sopra, le seguenti misure: limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari e dei relativi orari di apertura; la regolamentazione dell’accesso ai servizi previa prenotazione anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica (scaglionando la convocazione degli utenti per orari fissi); l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze; la celebrazione a parte chiuse di tutte le udienze penali pubbliche o singole udienze;
- le disposizioni di cui sopra non operano, tra gli altri, nei seguenti casi: procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo; procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’art. 304 cod. proc. pen. (termini di durata massima della custodia cautelare); procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive; procedimenti che presentano carattere di urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili nei casi di cui all’art. 392 cod. proc. pen. (la dichiarazione di urgenza è fatta dal giudice o dal presidente del collegio, su richiesta di parte, con provvedimento motivato e non impugnabile). Sono altresì esclusi dall’ambito di applicazione delle previsioni in esame, qualora i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente ne facciano richiesta, i seguenti procedimenti: procedimenti a carico di persone detenute, salvo i casi di sospensione cautelativa delle misure alternative; procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza; procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione;
- sospensione del corso della prescrizione e dei termini di durata massima delle misure cautelari, custodiali e non, nei procedimenti penali in cui opera la sospensione dei termini di cui sopra;
- per il periodo compreso tra il 16 aprile 2020 e il 30 giugno 2020 (nel d.l. 8 marzo 2020 n. 11 il termine era il 31 maggio 2020) i capi degli uffici giudiziari possono adottare, sentita l’autorità sanitaria regionale, le misure organizzative anche relative alla trattazione degli affari giudiziari necessarie per consentire il rispetto delle indicazioni igienico sanitarie fornite dal Ministero della salute al fine di evitare assembramenti all’interno dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone. Tra le misure applicabili si annoverano: la limitazione dell’accesso del pubblico agli uffici giudiziari e dei relativi orari di apertura; la regolamentazione dell’accesso ai servizi previa prenotazione anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica (scaglionando la convocazione degli utenti per orari fissi); l’adozione di linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze; la celebrazione a parte chiuse di tutte le udienze penali pubbliche o singole udienze; il rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 (eccetto: udienze di convalida dell’arresto o del fermo; udienze dei procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di durata massima della custodia cautelare; udienze nei procedimenti in cui sono state richieste o applicate misure di sicurezza detentive; qualora i detenuti, internati, imputati, i preposti o i loro difensori ne facciano espressamente richiesta, udienze nei procedimenti a carico dei detenuti, udienze in cui sono state applicate misure cautelari o di sicurezza, quelle nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono state disposte misure di prevenzione; udienze nei procedimenti che presentano carattere di urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili);
- sospensione del corso della prescrizione, nonché dei termini di cui agli artt. 303, 308, 309 comma 9, 311 commi 5 e 5 bis e 324 comma 7 c.p.p. in tema di misure cautelari, per il tempo in cui il procedimento è rinviato e, in ogni caso, non oltre il 30 giugno 2020 (e non più il 31 maggio 2020);
- ai fini del computo per l’equa riparazione per irragionevole durata del processo, nei procedimenti in cui le udienze sono rinviate a norma delle disposizioni sopra richiamate non si tiene conto del periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 30 giugno 2020;
- dal 9 marzo 2020 al 30 giugno 2020 (e non più al 31 maggio 2020) la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto;
- le comunicazioni e notificazioni relative agli avvisi e ai provvedimenti adottati nei procedimenti penali ai sensi delle disposizioni in esame sono effettuate attraverso il Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali ex art. 16 d.l. n. 179/2012 o attraverso sistemi telematici individuati e regolati con provvedimento del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Le comunicazioni e notificazioni degli avvisi e dei provvedimenti agli imputati e alle altre parti sono eseguite mediante l’invio all’indirizzo di posta elettronica certificata di sistema del difensore di fiducia, ferme restando le notifiche che per legge si effettuano presso il difensore d’ufficio. Tutti gli uffici giudiziari sono dunque autorizzati all’utilizzo del Sistema di notificazioni e comunicazioni telematiche penali senza necessità di ulteriore verifica o accertamento;
- negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni dal 9 marzo 2020 al 22 marzo 2020 i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati sono svolti a distanza mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica;
- facoltà per la magistratura di sorveglianza di sospendere, nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e il 31 maggio 2020, la concessione dei permessi premio nonché del regime di semilibertà;
- abrogazione degli artt. 1 e 2 del d.l. 8 marzo 2011, n. 11 recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”.
Si segnalano inoltre le diposizioni contenute nell’art. 123 in materia di detenzione domiciliare:
- comma 1 - Dalla data di entrata in vigore del presente decreto e fino al 30 giugno 2020 la pena detentiva è eseguita, su istanza, presso l’abitazione del condannato o in altro luogo pubblico o privato di cura, assistenza e accoglienza, ove non sia superiore a 18 mesi, anche se costituente parte residua di maggior pena, salvo che riguardi: soggetti condannati per taluno dei delitti di cui all’art. 4 bis legge n. 354/1975 (tra cui i delitti commessi per finalità di terrorismo, di eversione dell’ordine democratico e i delitti dei pubblici ufficiali contro la pubblica amministrazione) e per i reati di maltrattamenti contro familiari e conviventi e atti persecutori; delinquenti abituali, professionali o per tendenza; detenuti che sono sottoposti al regime di sorveglianza particolare, salvo che sia stato accolto il relativo reclamo; detenuti che nell’ultimo anno sono stati sanzionati per infrazioni disciplinari; detenuti nei cui confronti sia stato redatto rapporto disciplinare in quanto coinvolti nei disordini e nelle sommosse verificatesi negli istituti penitenziari a far data dal 7 marzo 2020; detenuti privi di un domicilio effettivo e idoneo anche in funzione delle esigenze di tutela delle persone offese dal reato;
- comma 2 – Il magistrato di sorveglianza adotta il provvedimento che dispone l’esecuzione della pena presso il domicilio, salvo che ravvisi gravi motivi ostativi alla concessione della misura;
- comma 3 - Salvo si tratti di condannati minorenni e di condannati la cui pena da eseguire non sia superiore a sei mesi è applicata la procedura di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici resi disponibili per i singoli istituti penitenziari;
- comma 4 – La procedura di controllo, alla cui applicazione il condannato deve prestare il consenso, viene disattivata quando la pena da espiare scende sotto la soglia dei sei mesi;
- comma 5 – Con provvedimento del capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia è individuato il numero dei mezzi elettronici e degli altri strumenti tecnici da rendere disponibili che possono essere utilizzati con le modalità stabilite dal presente articolo. L’esecuzione del provvedimento nei confronti dei condannati con pena residua da eseguire superiore a sei mesi avviene progressivamente a partire dai detenuti che devono scontare la pena residua inferiore;
- comma 6 – Ai fini dell’applicazione delle pene detentive di cui al comma 1, la direzione dell’istituto penitenziario può omettere la relazione richiesta sulla condotta del condannato durante la detenzione, ma è in ogni caso tenuta ad attestare che la pena da eseguire non sia superiore a diciotto mesi, che non sussistano le preclusioni di cui al comma 1 e che il condannato abbia fornito l’espresso consenso all’attivazione delle procedure di controllo nonché a trasmettere il verbale di accertamento dell’idoneità del domicilio;
- comma 7 – Per il condannato minorenne nei cui confronti è disposta l’esecuzione della pena detentiva con le modalità di cui al comma 1 l’ufficio servizio sociale minorenni territorialmente competente in relazione al luogo di domicilio, in raccordo con l’equipe educativa dell’istituto, provvederà, entro trenta giorni dalla ricevuta comunicazione dell’avvenuta esecuzione della misura in esame, alla redazione di un programma esecutivo da sottoporre al magistrato di sorveglianza per l’approvazione;
- comma 8 – Restano ferme, ove compatibili, le ulteriori disposizioni della legge n. 199/2010 (“Disposizioni relative all’esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a un anno”);
- comma 9 – Dall’attuazione del presente articolo non derivano nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono alle attività previste mediante utilizzo delle risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente.
A sensi dell’art. 124, infine, possono essere prorogati al 30 giugno 2020, anche in deroga al complessivo limite temporale dei quarantacinque giorni all’anno, i termini delle licenze concesse al condannato ammesso al regime di semilibertà.
Relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 11/2020
In data 11 marzo 2020 è stata depositata la relazione illustrativa al disegno di legge di conversione del d.l. n. 11/2020 recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”.
La relazione contiene una rilevante precisazione relativa all’art. 1 comma 2 del decreto, disposizione che, come segnalato in precedenza, prescrive per il periodo compreso tra il 9 marzo e il 22 marzo 2020, quale conseguenza del rinvio d’ufficio delle udienze, la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali pendenti nel periodo indicato presso tutti gli uffici giudiziari.
Tale previsione viene espressamente qualificata dalla relazione in esame quale “disposizione di portata generale, riferita a tutti i procedimenti e processi civili e penali pendenti, anche quando non sia fissata udienza nel periodo interessato”.
Raccomandazione Ordine degli Avvocati di Milano – regole per gli studi legali durante l’emergenza Coronavirus
Si segnala la raccomandazione trasmessa il 9 marzo 2020 dall’Ordine degli Avvocati di Milano agli iscritti, in attuazione del provvedimento dell’8 marzo 2020 sullo svolgimento dell’attività giudiziaria, al fine di ottemperare alla prescrizione generale di restare a casa, privilegiando dunque il lavoro dal casa, anche prendendo permessi o ferie, e le videoconferenze in sostituzione di riunioni fisiche.
L’Ordine richiama quindi i titolari degli Studi alla necessità di attenersi alle prescrizioni “specie nei rapporti con i dipendenti e collaboratori, favorendo dunque lo smartworking”.
Provvedimento Tribunale di Milano
In attuazione del D.L n. 11 dell’8 marzo 2020 recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria” in data 9 marzo 2020 il Presidente del Tribunale di Milano ha adottato le seguenti misure:
- rinvio d’ufficio delle udienze fissate sino al 22 marzo nei procedimenti civili e penali pendenti presso il Tribunale di Milano, il Giudice di Pace di Milano e quello di Rho (salvo le eccezioni di cui all’art. 2 d.l. n. 11/2020);
- si riserva di adottare provvedimenti di regolamentazione dell’attività giudiziaria per il periodo successivo al 31 maggio 2020;
- per quanto riguarda l’attività del Giudice di Pace l’unica attività di udienza non sottoposta a sospensione d’ufficio concerne i procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi.
Provvedimento Tribunale per i Minorenni di Milano
In attuazione del D.L n. 11 dell’8 marzo 2020 in data 9 marzo 2020 il Presidente del Tribunale per i Minorenni di Milano ha adottate le seguenti misure:
- dal 9 marzo 2020 al 22 marzo 2020 le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo 2020 salvo, per ciò che concerne i procedimenti penali: le udienze di convalida dell’arresto e del fermo, le udienze a carico di imputati minorenni o maggiorenni per reati commessi nella minore età sottoposti a misure cautelari o di sicurezza, le udienze a carico di imputati minorenni (che nelle more non siano divenuti maggiorenni) qualora gli imputati stessi o i loro difensori facciano espressamente richiesta che si proceda nonché i procedimenti che presentino carattere di urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili;
- sospensione per il medesimo periodo dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti civili e penali salvo le eccezioni sopra richiamate;
- accesso al pubblico limitato esclusivamente agli affari urgenti e indifferibili previa prenotazione telefonica o telematica (informazioni da richiedere esclusivamente con le medesime modalità).
Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano
In data 10 marzo 2020 sono state diffuse dalla Presidenza della Procura Generale della Repubblica presso la Corte d’Appello di Milano le seguente disposizioni:
- nessun accesso consentito all’ufficio esecuzione penale: invio tramite PEC delle istanze di ammissione alle misure alternative, delle richieste di informazioni e delle nomine dei difensori;
- nessun accesso consentito alla segreteria penale (eventuali richieste di cui sia motivata l’indifferibilità e l’urgenza potranno essere inviate a mezzo PEC).
Tribunale di Sorveglianza di Milano
In data 10 marzo 2020 il Presidente del Tribunale di Sorveglianza di Milano ha adottate le seguenti prescrizioni per la regolamentazione dell’attività giudiziaria per il periodo sino al 22 marzo 2020:
- udienze collegiali: le udienze collegiali continueranno a tenersi tramite videocollegamento mediante sistema Lync per i soli detenuti; saranno trattati tutti i procedimenti nei quali detenuti e difensori abbiano fatto espressa richiesta che si proceda (per le udienze del 10 e 11 marzo la richiesta verrà acquisita direttamente in udienza; per le udienze successive e sino al 22 marzo la Cancelleria chiederà alle Direzioni degli Istituti di interpellare i detenuti per sapere se intendono trattare i rispettivi procedimenti); i procedimenti restanti saranno rinviati a nuovo ruolo; per le persone in arresti domiciliari che avanzino istanza di affidamento il Presidente del Collegio disporrà la trasmissione di copia dell’istanza al Magistrato di Sorveglianza per l’adozione del provvedimento provvisorio; i procedimenti a carico di persone detenute aventi ad oggetto le sospensione cautelativa delle misure alternative ex art. 51 ter O.P. saranno comunque trattati.
- udienze monocratiche: le udienze monocratiche si terranno via lync per i soli detenuti; sino al 22 marzo saranno trattati i soli affari riguardanti il riesame della misura di sicurezza, i procedimenti fissati per l’aggravamento ex art. 231 c.p. (trasgressione degli obblighi imposti), i procedimenti di esame di pericolosità sociale in prossimità del fine pena, i procedimenti ex art. 35 ter O.P. (rimedi risarcitori conseguenti alla violazione dell’art. 3 CEDU nei confronti di soggetti detenuti o internati).
Provvedimento Corte Suprema di Cassazione
Di seguito le misure adottate in data 9 marzo 2020 dal Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione in ottemperanza alle disposizioni governative dell’8 marzo 2020:
- rinvio dal 9 marzo al 22 marzo 2020 di tutte le udienze quale che sia la forma processuale (udienza pubblica, camerale partecipata, camerale non partecipata, de plano), salvo che per le udienze dei procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’art. 304 cod. proc. pen. e quelle nei procedimenti in cui sono state richieste o applicate misure di sicurezza detentive;
- qualora i detenuti, gli imputati o i loro difensori richiedano che si proceda comunque, la relativa istanza deve pervenire alla Cancelleria competente anche tramite PEC entro tre giorni dalla data di entrata in vigore del D.L. n. 11/2020. Il presidente titolare, se ricorrono le condizioni di legge, rimette l’esame dell’istanza al Collegio designato per l’udienza già calendarizzata salvo che, per esigenze organizzative, disponga il rinvio a diversa udienza da celebrarsi entro il 22 marzo 2020;
- qualora sia disposto il rinvio delle udienze a data successiva al 31 maggio 2020, i Presidenti titolari assicurano in ogni caso la trattazione delle cause rinviate entro il 31 dicembre 2020.
Emergenza Coronavirus – D.L. 8 marzo 2020 - misure straordinarie per lo svolgimento dell’attività giudiziaria
Nella Gazzetta ufficiale n. 60 dell’8 marzo 2020 è stato pubblicato il nuovo decreto legge n. 11/2020, entrato in vigore l’8 marzo 2020, recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”. Le disposizioni del provvedimento in esame hanno validità per l’intero territorio nazionale.
Si riportano di seguito, in particolare per i profili penalistici di nostro interesse, le novità di maggior rilievo:
- sospensione feriale degli uffici giudiziari dal 9 marzo 2020 al 22 marzo 2020. Durante tale lasso temporale le udienze dei procedimenti civili e penali pendenti presso tutti gli uffici giudiziari d’Italia sono rinviate d’ufficio a data successiva al 22 marzo. Nel medesimo periodo sono altresì sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti rinviati (ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione l’inizio stesso è differito alla fine di detto periodo);
- nel settore penale, durante il periodo di sospensione, saranno ugualmente tenute le seguenti udienze: udienze di convalida dell’arresto o del fermo; udienze dei procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di durata massima della custodia cautelare; udienze nei procedimenti in cui sono state richieste o applicate misure di sicurezza detentive; qualora i detenuti, internati, imputati, i preposti o i loro difensori ne facciano espressamente richiesta le udienze nei procedimenti a carico dei detenuti, le udienze in cui sono state applicate misure cautelari o di sicurezza, quelle nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono state disposte misure di prevenzione e infine le udienze nei procedimenti a carico di imputati minorenni; udienze nei procedimenti che presentano carattere di urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili (dichiarazione di urgenza del giudice o del presidente del collegio, su richiesta di parte, con provvedimento motivato e non impugnabile);
- dal 23 marzo 2020 e fino al 31 maggio 2020 i capi degli uffici giudiziari possono adottare le seguenti misure: limitare l’accesso del pubblico agli uffici, eccetto per coloro che debbano svolgervi attività urgenti; limitare l’orario di apertura al pubblico; regolamentare l’accesso ai servizi, previa prenotazione, anche tramite mezzi di comunicazione telefonica o telematica, scaglionando la convocazione degli utenti per orari fissi; adottare linee guida vincolanti per la fissazione e la trattazione delle udienze; celebrare a parte chiuse tutte le udienze penali pubbliche o singole udienze; prevedere il rinvio a data successiva al 31 maggio 2020 delle udienze (eccetto: udienze nei procedimenti cautelari aventi ad oggetto la tutela dei diritti fondamentali della persona e nei procedimenti di convalida dell’espulsione, allontanamento e trattenimento di cittadini di paesi terzi e dell’Unione europea; udienze di convalida dell’arresto o del fermo; udienze dei procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di durata massima della custodia cautelare; udienze nei procedimenti in cui sono state richieste o applicate misure di sicurezza detentive; qualora i detenuti, internati, imputati, i preposti o i loro difensori ne facciano espressamente richiesta, udienze nei procedimenti a carico dei detenuti, udienze in cui sono state applicate misure cautelari o di sicurezza, quelle nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono state disposte misure di prevenzione e infine le udienze nei procedimenti a carico di imputati minorenni; udienze nei procedimenti che presentano carattere di urgenza per la necessità di assumere prove indifferibili);
- sospensione del corso della prescrizione (nonché dei termini di cui agli artt. 303, 309 comma 9, 311 commi 5 e 5 bis e 324 comma 7 c.p.p. in tema di misure cautelari) per il tempo in cui il procedimento è rinviato e, in ogni caso, non oltre il 31 maggio 2020;
- ai fini del computo per l’equa riparazione per irragionevole durata del processo, nei procedimenti in cui le udienze sono rinviate a norma delle disposizioni sopra richiamate non si tiene conto del periodo decorrente dalla data del provvedimento di rinvio dell’udienza alla data della nuova udienza, sino al limite massimo di tre mesi successivi al 31 maggio 2020;
- dall’8 marzo 2020 al 31 maggio 2020 la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare è assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto;
- negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni dall’8 marzo 2020 al 22 marzo 2020 i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati sono svolti a distanza mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e minorile o mediante corrispondenza telefonica;
- facoltà per la magistratura di sorveglianza di sospendere, nel periodo compreso tra l’8 marzo 2020 e il 31 maggio 2020, la concessione dei permessi premio nonché del regime di semilibertà.
Consiglio Nazionale Forense – formazione continua degli avvocati e sospensione dell’obbligo di acquisizione dei crediti
Si segnala il provvedimento del 5 marzo 2020 del Consiglio Nazionale Forense con cui, a fronte dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, è stata disposta fino al 5 aprile 2020, in tema di formazione continua degli avvocati, la sospensione dell’obbligo di acquisizione dei relativi crediti.
Questo il testo della comunicazione: “il Consiglio Nazionale Forense, ritenuta l’opportunità di assumere provvedimenti in materia formativa uniformi per il territorio nazionale, considerate le misure di precauzione suggerite dalle autorità sanitarie aventi ad oggetto la diffusione del COVID-19, dispone la sospensione dell’obbligo di acquisizione dei crediti relativi alla formazione continua di cui all’art. 11 l. 247/2012 e Reg. CNF 6/2014 fino al 5/4/2020. Verranno successivamente adottati i consequenziali provvedimenti relativi al numero minimo di crediti annui da acquisire ed al numero massimo di crediti conseguibili con modalità FAD”.
Cassa Forense – sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti previdenziali forensi
In data 6 marzo 2020 la Cassa Forense, tenuto conto del D.L. n. 9/2020, ha deliberato la sospensione dei termini dei versamenti e degli adempimenti fiscali scadenti nel periodo compreso tra il 23 febbraio e il 30 aprile 2020 per gli iscritti residenti e/o esercenti nei seguenti comuni: Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini, Vò.
Il Consiglio di amministrazione si riserva, come si legge nel comunicato, di adottare eventuali ulteriori provvedimenti con riferimento all’intero territorio nazionale.
Emergenza Coronavirus – rinvio udienze e sospensione termini
A fronte dell’emergenza sanitaria nazionale che sta interessando il nostro Paese nelle ultime settimane diamo conto dei principali interventi varati dal Governo e dalle istituzioni giudiziarie milanesi relativi alla regolamentazione delle attività giudiziarie.
Segnaliamo, in particolare per i profili penalistici di nostro maggior interesse, il decreto legge del 2 marzo 2020 n.9 recante “Misure urgenti in materia di sospensione dei termini e rinvio delle udienze processuali”, intervento “localizzato” alla cd. zona rossa, ma con alcune implicazioni di carattere nazionale. Queste le disposizioni rilevanti:
- dal 3.03.2020 al 31.03.2020 nei procedimenti penali pendenti presso gli uffici giudiziari che hanno sede nei distretti di Corte d’Appello cui appartengono i comuni di cui all’allegato 1 al decreto del Consiglio dei ministri dell’1 marzo 2020 (in Lombardia si tratta dei comuni di: Bertonico, Casalpusterlengo, Castelgerundo, Castiglione D’Adda, Codogno, Fombio, Maleo, San Fiorano, Somaglia, Terranova dei Passerini; in Veneto si tratta del comune di Vo’) sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto, comunicazione e notificazione che chiunque debba svolgere nei medesimi distretti (uffici giudiziari dei distretti delle Corti d’Appello di Milano e Venezia) (art. 10, comma 8, lett. a);
- dal 3.3.2020 al 31.03.2020 in tutti i procedimenti penali sono sospesi i termini per il compimento di qualsiasi atto, comunicazione e notificazione che chiunque debba svolgere nei medesimi comuni (art. 10, comma 8, lett. b);
- dal 3.03.2020 nei procedimenti penali in cui alla data del 22 febbraio 2020 una delle parti o uno dei loro difensori è residente nei comuni medesimi i termini previsti dal codice di procedura penale a pena di inammissibilità o decadenza sono sospesi in favore dei medesimi soggetti sino al 31.03.2020 (art. 10, comma 9);
- le disposizioni sopra richiamate non si applicano all’udienza di convalida dell’arresto o del fermo nei procedimenti nei confronti di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, nei procedimenti che presentano carattere di urgenza o nei processi a carico di imputati minorenni. La partecipazione alle udienze in tali casi è assicurata ove possibile mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto (art. 10, commi 11 e 12);
- dal 3.03.2020 nei procedimenti penali pendenti, quando una delle parti o dei loro difensori non presente all’udienza risulta residente o lo studio legale ha sede in uno dei comuni della cd. zona rossa, il giudice dispone d’ufficio il rinvio dell’udienza in data successiva al 31.03.2020 (art. 10, comma 10);
- il corso della prescrizione rimane sospeso per il tempo in cui il processo è rinviato o i termini procedurali sono sospesi ai sensi delle disposizioni sopra richiamate (art. 10, comma 13);
- dal 3.03.2020 al 31.03.2020 negli istituti penitenziari e negli istituti penali per minorenni ubicati nelle regioni in cui si trovano i comuni interessati dall’emergenza i colloqui con i congiunti o con altre persone cui hanno diritto i condannati, gli internati e gli imputati sono svolti a distanza mediante, ove possibile, apparecchiature e collegamenti di cui dispone l’amministrazione penitenziaria e mediante corrispondenza telefonica (art. 10, comma 14);
- nei processi penali, così come per quelli civili, pendenti presso gli uffici giudiziari che hanno sede nei distretti di Corte d’Appello cui appartengono i comuni di cui sopra il mancato rispetto dei termini processuali perentori scaduti in epoca successiva al 22 febbraio 2020 e fino al 3.03.2020 si presume dovuto, salvo prova contraria, a causa non imputabile alla parte incorsa in decadenze (art. 10 comma 6);
- ai fini del computo dell’equa riparazione per l’irragionevole durata del processo nei procedimenti rinviati d’ufficio a norma delle predette disposizioni non si tiene conto del periodo compreso dal 3.03.2020 al 31.03.2020 (art. 10, comma 16).
A fronte dei contagi che nei giorni scorsi hanno interessato il Tribunale di Milano si dà atto dei provvedimenti emanati dai Presidenti del Tribunale e della Corte d’Appello nonché dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano ritenuti necessari per far fronte all’emergenza:
- provvedimento del 3.03.2020, n. 35 del Presidente del Tribunale di Milano: dispone che i Giudici del settore penale procedano al rinvio a data congrua, comunque successiva al 31.03.2020, delle udienze calendarizzate sino al 16 marzo 2020 relative ai procedimenti penali (esclusi quelli attinenti le convalide d’arresto e di fermo, i procedimenti nei confronti di persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare, le procedure di competenza del Tribunale del riesame nonché tutti i procedimenti che presentano carattere di urgenza che sarà valutata in concreto dal giudice);
- provvedimento del 4.03.2020 del Presidente della Corte d’Appello di Milano: dispone che i giudici del settore penale procedano al rinvio delle cause e dei processi fissati in udienza a decorrere dal 6 marzo e fino al 15 marzo 2020 a data successiva al 31 marzo 2020 (ad eccezione: dei processi a carico di persone sottoposte a misura cautelare anche non coercitiva; dei procedimenti prossimi alla prescrizione entro sei mesi; per la sezione minori - famiglia dei procedimenti per gravi reati contro la persona che riguardino imputati minori; le convalide di arresti a fini estradizionali o in esecuzione di M.A.E.; le misure di prevenzione personali e patrimoniali; i trasferimenti di detenuti dall’Italia all’estero) Saranno comunque trattati i procedimenti con carattere di urgenza valutata dal giudice;
- circolare n. 5/2020 della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano con cui si dispone, tra gli altri, l’accesso limitato agli uffici, l’inoltro via pec delle richieste ai sensi dell’art. 415 bis cod. proc. pen. (cui segue la fissazione del giorno e dell’ora per la consultazione del fascicolo digitale), la compilazione di un form on line per i permessi di colloquio nonché l’inoltro via mail delle richieste per la consultazione dei fascicoli. Al fine di adeguare la procedura ex art. 415 bis cod. proc. pen. alle nuove disposizioni i termini vengono prorogati di ulteriori 20 giorni per i fascicoli già notificati o che saranno notificati entro il 15 marzo 2020.
Infine si segnala la delibera dell’Organismo Congressuale Forense del 4.03.2020 che ha indetto l’astensione dalle udienze e da tutte le attività giudiziarie in ogni settore della giurisdizione per il periodo di 15 giorni dal 6.03.2020 al 20.03.2020 in conformità al codice di autoregolamentazione, con esclusione delle sole attività indispensabili ex artt. 4, 5 e 6 del codice. E’ dato altresì avviso che l’adesione all’astensione, che sarà considerata legittimo impedimento del difensore in ogni tipo di procedimento, oltre ad essere dichiarata personalmente o tramite sostituto processuale, potrà essere comunicata con atto scritto trasmesso o depositato nella cancelleria del Giudice o nella segreteria del Pubblico Ministero.
Applicazione retroattiva della legge cd. spazzacorrotti – illegittimità costituzionale
Si segnala il comunicato stampa della Corte Costituzionale del 12 febbraio 2020 con cui la Consulta anticipa quanto deciso in merito alle questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’applicazione retroattiva della legge n. 3/2019 (c.d. spazzacorrotti) che, come noto, ha esteso ai reati contro la pubblica amministrazione le preclusioni relative alla concessione dei benefici e delle misure alternative alla detenzione di cui all’art. 4 bis dell’ordinamento penitenziario. In particolare è stata denunciata la mancanza di una disciplina transitoria che impedisca l’applicazione delle nuove norme ai condannati per un reato commesso prima dell’entrata in vigore della legge n. 3/2019.
La Corte si è così espressa: “La Corte costituzionale ha preso atto che, secondo la costante interpretazione giurisprudenziale, le modifiche peggiorative della disciplina sulle misure alternative alla detenzione vengono applicate retroattivamente, e che questo principio è stato sinora seguito dalla giurisprudenza anche con riferimento alla legge n. 3 del 2019. La Corte ha dichiarato che questa interpretazione è costituzionalmente illegittima con riferimento alle misure alternative alla detenzione, alla liberazione condizionale e al divieto di sospensione dell’ordine di carcerazione successivo alla sentenza di condanna. Secondo la Corte, infatti, l’applicazione retroattiva di una disciplina che comporta una radicale trasformazione della natura della pena e della sua incidenza sulla libertà personale, rispetto a quella prevista al momento del reato, è incompatibile con il principio di legalità delle pene, sancito dall’articolo 25, secondo comma, della Costituzione”.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare – accordi transattivi non omologati modificativi delle statuizioni patrimoniali contenute nella sentenza di divorzio
Con sentenza n. 5236/2019 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o scioglimento del matrimonio, delitto previsto dall’art. 570 bis cod. pen., nella particolare ipotesi in cui gli ex coniugi si siano attenuti ad accordi transattivi conclusi in sede stragiudiziale e non trasfusi nella sentenza di divorzio.
La Corte richiama innanzitutto alcune pronunce della giurisprudenza civile di legittimità che, pur ribadendo l’incapacità delle intese patrimoniali raggiunte dalle parti in sede di separazione di incidere sulla determinazione dell’assegno di divorzio data la diversità di struttura e finalità dei relativi trattamenti, ha riconosciuto la liceità delle intese economiche intervenute dopo la presentazione della domanda di divorzio, poiché gli accordi si riferiscono in tale ipotesi a un divorzio che le parti hanno già inteso conseguire. Tale conclusione, spiega la Corte, deve valere a maggior ragione quando la sentenza di divorzio sia già intervenuta e gli accordi tra i due ex coniugi abbiano ad oggetto una modifica delle statuizioni patrimoniali contenute in quella decisione.
Tali intese, ricordano i Giudici, non potranno produrre effetti vincolanti tra le parti solo laddove dovessero contenere clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento o condizioni contrarie all’ordine pubblico. In mancanza di tali circostanze l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali concluso dalle parti a margine di un giudizio di separazione o divorzio può produrre effetti obbligatori, indipendentemente dal fatto che il contenuto sia stato recepito in un provvedimento dell’autorità giudiziaria e che quindi sia sottoposto al giudice per l’omologazione.
La Corte enuncia in conclusione il seguente principio di diritto: “non è configurabile il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio di cui all’art. 570-bis cod. pen. qualora l’agente si sia attenuto agli impegni assunti con l’ex coniuge per mezzo di un accordo transattivo, non omologato dall’autorità giudiziaria, modificativo delle statuizioni sui rapporti patrimoniali contenute in un precedente provvedimento giudiziario”.
Atti persecutori – irrevocabilità della querela se minacce gravi e reiterate
Con sentenza n. 5092/2020 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sui presupposti applicativi della remissione della querela presentata per il delitto di atti persecutori di cui all’art. 612 bis cod. pen. in presenza di minacce reiterate.
Nella specie, il ricorrente lamentava il vizio di motivazione e la violazione di legge della pronuncia della Corte di merito nella parte in cui escludeva la remittibilità della querela sulla sola base della ripetitività delle minacce senza valutarne la gravità, come invece richiede l’art. 612 bis, comma 4, cod. pen..
La Corte, allineandosi agli orientamenti espressi in precedenti pronunce, ritiene il ricorso fondato. L’affermazione della Corte di merito secondo cui “la remissione della querela non ha potuto produrre l’effetto estintivo del reato poiché ricorrono minacce reiterate, a nulla rilevando secondo la legge il carattere della gravità, ma la ripetizione della condotta volta a spaventare la vittima” confligge infatti con la lettera della norma che prevede l’irrevocabilità della querela nelle ipotesi in cui le minacce reiterate concretino anche l’ipotesi prevista dall’art. 612, comma 2, cod. pen. e quindi “se la minaccia è grave o è fatta in uno dei modi indicati dall’art. 339” del medesimo codice.
Applicabilità della scriminante ex art. 384 c.p. al convivente more uxorio – rimessione alle Sezioni Unite
La sesta sezione della Corte di Cassazione, con ordinanza n. 1825/2020, rimette al vaglio delle Sezioni Unite la questione relativa all’applicabilità della causa scriminante o scusante di cui all’art. 384 cod. pen. al convivente more uxorio (non punibilità per colui che ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé medesimo o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore).
Sul punto si contrappongono infatti in seno alla giurisprudenza di legittimità due opposti orientamenti: secondo un primo e prevalente indirizzo interpretativo, che valorizza il dato letterale degli artt. 384 e 307 cod. pen., la causa di non punibilità in esame, operante per il coniuge, non può applicarsi al convivente more uxorio resosi responsabile di favoreggiamento personale nei confronti dell’altro convivente. Tale esclusione non presenterebbe alcun profilo di contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. in quanto esistono, come affermato dalla Consulta sul punto, ragioni costituzionali che giustificano un diverso trattamento normativo tra le due ipotesi in esame che ricevono rispettivamente tutela negli artt. 29 e 2 della Costituzione. Per la sola famiglia legittima esiste infatti un’esigenza di protezione non solo delle relazioni affettive, ma anche dell’istituzione familiare come tale, di cui elemento caratterizzante è la stabilità. Ciò legittima nell’ordinamento penale soluzioni legislative differenziate.
Due più recenti pronunce della giurisprudenza di legittimità addivengono ad opposte conclusioni. Al fine di estendere la causa di non punibilità al convivente more uxorio i Giudici, avallando un’interpretazione in bonam partem che consenta la parificazione di tale rapporto di fatto alla famiglia fondata sul matrimonio, richiamano la giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo la quale, intesa la famiglia in senso dinamico come formazione sociale in divenire, ritiene del tutto irrilevante che il rapporto familiare sia sanzionato dall’accordo matrimoniale.
Di contrario avviso la dottrina che, in conformità con l’orientamento prevalente della giurisprudenza, valorizza la recente scelta normativa del legislatore di estendere la cerchia dei “prossimi congiunti” ai soli soggetti uniti civilmente, e non anche ai conviventi di fatto.
Intercettazioni telefoniche – utilizzabilità in procedimenti diversi
Con sentenza n. 51/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sull’estensione operativa del divieto di cui all’art. 270 cod. pen. di utilizzo dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali queste ultime sono state disposte.
La Suprema Corte richiama in motivazione i diversi orientamenti giurisprudenziali esistenti sul punto. Se un primo indirizzo interpretativo ritiene decisiva per la configurabilità dell’identità di procedimento l’esistenza di una connessione tra il contenuto dell’originaria notizia di reato per la quale sono state disposte le intercettazioni e i reati per i quali si procede, un secondo orientamento giurisprudenziale valorizza al contrario una nozione “formale” di procedimento in quanto connotato da un determinato numero di iscrizione nei registri delle notizie di reato.
La Corte avalla il primo degli orientamenti sopra richiamati. Va infatti bandito, spiega, l’indirizzo giurisprudenziale cd. formale che, escludendo la rilevanza ai fini dell’utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti del legame sostanziale tra gli stessi, finisce per imprimere all’autorizzazione del giudice una connotazione in termini di “autorizzazione in bianco” più volte stigmatizzata dalla giurisprudenza costituzionale.
Si tratta dunque di verificare, spiega la Corte, quale legame sostanziale renda il reato emerso grazie all’intercettazione riconducibile al provvedimento autorizzatorio e dunque in linea con l’art. 15 Cost.. Tale legame è individuato dalla giurisprudenza di legittimità richiamando l’esistenza di una connessione sotto il profilo oggettivo, probatorio o finalistico tra il contenuto dell’originaria notizia di reato, per la quale sono state disposte le intercettazioni, e il reato per il quale si procede, ovvero la sussistenza tra i due fatti di reato di ipotesi di connessione ex art. 12 cod. proc. pen. o comunque di collegamento ex art. 371, comma 2, lett. b) e c) cod. proc. pen. sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico.
La Corte enuncia in conclusione il seguente principio di diritto: “Il divieto di cui all’art. 270 cod. proc. pen. di utilizzazione dei risultati di intercettazioni di conversazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali siano state autorizzate le intercettazioni – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai risultati relativi a reati che risultino connessi ex art. 12 cod. proc. pen. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dalla legge”.
Modifica dell’imputazione in dibattimento e sospensione con messa alla prova
Con sentenza n. 14/2020 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 516 cod. proc. pen. nella parte in cui, in seguito alla modifica in dibattimento dell’originaria imputazione, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
La Corte richiama i propri precedenti arresti sul punto con cui, muovendo dalla premessa per cui la scelta dei riti alternativi da parte dell’imputato costituisce una delle più qualificanti espressioni del suo diritto di difesa, ha dichiarato illegittimi gli artt. 516 e 517 cod. pen. nella parte in cui non prevedevano la facoltà dell’imputato di essere ammesso a un rito speciale a contenuto premiale allorché nel corso dell’istruttoria dibattimentale fosse emerso un fatto diverso da quello originariamente contestato. Tale preclusione, oltre che lesiva del diritto di difesa, non appariva inoltre in linea con il principio costituzionalmente garantito di uguaglianza “venendo l’imputato irragionevolmente discriminato, ai fini dell’accesso ai procedimenti speciali, in dipendenza della maggiore o minore esattezza o completezza della discrezionale valutazione delle risultanze delle indagini preliminari operata dal pubblico ministero”.
In particolare, è stata riconosciuta dalla Consulta con sentenza n. 141/2018 la facoltà di chiedere al giudice la sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi, disciplinata dall’art. 517 cod. proc. pen., di contestazione di nuove circostanze aggravanti nel corso dell’istruttoria dibattimentale valorizzando la natura dell’istituto “che ha effetti sostanziali, perché dà luogo all’estinzione del reato, ma è connotato da un’intrinseca dimensione processuale, in quanto consiste in un nuovo procedimento speciale alternativo al giudizio”.
Il principio non può quindi che essere esteso, conclude la Corte, anche all’ipotesi di modificazione dell’imputazione prevista dall’art. 516 cod. proc. pen..
Decreto fiscale – legge di conversione 19 dicembre 2019 n. 157
Si segnala la conversione con legge 19 dicembre 2019, n. 157 del decreto legge n. 124/2019 recante “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili”.
Qui di seguito le modifiche di maggior rilievo apportate in sede di conversione:
1. Con riferimento alla responsabilità amministrativa degli enti l’art. 39 del decreto, così come modificato, amplia il catalogo dei reati tributari quali reati presupposto (art. 25-quinquiesdecies, comma 1, d. lgs. n. 231/2001):
- delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, comma 1, d. lgs. n. 74/2000 (sanzione pecuniaria per l’ente fino a cinquecento quote);
- delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all’art. 2, comma 2-bis (sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote);
- delitto di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici, art. 3 (sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote);
- delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, di cui all’art. 8, comma 1 (sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote);
- delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, art. 8, comma 2-bis (sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote);
- delitto di occultamento o distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 (sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote);
- delitto di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte di cui all’art. 11 (sanzione pecuniaria fino a quattrocento quote).
Ai sensi del comma 2 del nuovo art. 25-quinquiesdecies la sanzione per l’ente è inoltre aumentata di un terzo qualora, in seguito alla commissione dei delitti sopra richiamati, l’ente abbia conseguito un profitto di rilevante entità.
Si applicano infine, nei casi di cui ai commi 1 e 2 del nuovo art. 25-quinquiesdecies, le sanzioni interdittive di cui all’art. 9, comma 2, lett. c), d), ed e) d. lgs. n. 231/2001 (divieto di contrattare con la p.a., salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio; esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi ed eventuale revoca di quelli già concessi; divieto di pubblicizzare beni o servizi).
2. Quanto alla disciplina dei reati tributari (d. lgs. n. 74/2000) applicabili alle persone fisiche si segnalano, in aggiunta ai profili già in precedenza esaminati, le seguenti novità:
- art. 4, comma 1: dichiarazione infedele – reclusione da due anni a quattro anni e sei mesi; comma 1 ter - sostituzione dell’espressione “singolarmente” con “complessivamente” (non punibilità per le valutazioni che complessivamente considerate differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette);
- art. 5: omessa dichiarazione – reclusione da due a cinque anni; comma 1 bis – reclusione da due a cinque anni;
- modifiche alla disciplina della nuova confisca allargata di cui all’art. 12 ter applicabile ai reati tributari più gravi: “Casi particolari di confisca - 1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell'articolo 444 del codice di procedura penale per i delitti di seguito indicati, si applica l'articolo 240-bis del codice penale quando: a) l'ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 2; b) l'imposta evasa è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 3; c) l'importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 8; d) l'ammontare delle imposte, delle sanzioni e degli interessi è superiore ad euro centomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 11, comma 1; e) l'ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro duecentomila nel caso del delitto previsto dall'articolo 11, comma 2”.
Decreto legge n. 161/2019 – intercettazioni di conversazioni o comunicazioni
Il 31 dicembre 2019 è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 305 il decreto legge n. 161/2019 recante “Modifiche urgenti alla disciplina delle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni”. Il decreto verrà presentato alle Camere per la conversione in legge e le modifiche in esso contenute entreranno in vigore dal primo marzo 2020.
Di seguito le principali novità:
- introduzione del comma 2-bis all’art. 114 c.p.p.: “E’ sempre vietata la pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli articoli 268 e 415-bis”;
- estensione dell’utilizzo di intercettazioni di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile nei procedimenti per i delitti degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione (art. 266 c.p.p.);
- sostituzione del comma 2 bis dell’art. 269 c.p.p. con il seguente: “Il pubblico ministero dà indicazioni e vigila affinché nei verbali non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge, salvo che si tratti di intercettazioni rilevanti ai fini delle indagini”;
- modifiche al comma 4 dell’art. 269 c.p.p. in tema di conservazione della documentazione: immediata trasmissione dei verbali e registrazioni al pubblico ministero per la conservazione in apposito archivio, gestito e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni – deposito in archivio dei verbali e delle registrazioni entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni – autorizzazione del giudice a un ritardo nel deposito da parte del pubblico ministero (non oltre la chiusura delle indagini preliminari) se dal deposito può derivare un grave pregiudizio per le indagini – immediato avviso ai difensori dell’imputato che, entro termini prestabiliti, hanno facoltà per via telematica di esaminare gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazione – acquisizione del giudice, scaduto il termine, delle conversazioni o dei flussi di comunicazione indicati dalle parti che non appaiano irrilevanti, con stralcio di quelli di cui è vietata l’utilizzazione o che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza (diritto del p.m. e dei difensori di partecipare allo stralcio, con avviso almeno ventiquattro ore prima) – trascrizione integrale delle registrazioni o stampa delle informazioni contenute nei flussi e inserimento nel fascicolo per il dibattimento – facoltà per i difensori di estrarne copia;
- sostituzione del comma 1-bis dell’art. 270 con il seguente: “Fermo restando quanto previsto dal comma 1, i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile possono essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione, se compresi tra quelli indicati dall’art. 266, comma 2-bis”;
- inserimento del comma 2-bis all’art. 415 bis c.p.p. (avviso all’indagato della conclusione delle indagini preliminari): avvertimento per l’indagato e il suo difensore, nell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, della facoltà di esaminare in via telematica gli atti relativi ad intercettazioni, di ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche nonché della facoltà di estrarre copia delle registrazioni e dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero; facoltà del difensore, entro il termine di venti giorni, di depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia; decisione sull’istanza del pubblico ministero con decreto motivato; facoltà del difensore, in caso di rigetto dell’istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, di proporre istanza al giudice affinché si proceda nelle forme di cui all’art. 268, comma 6;
- introduzione del comma 2-bis all’art. 454 c.p.p. in tema di giudizio immediato: con la richiesta di giudizio immediato il pubblico ministero deposita l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni rilevanti ai fini di prova.
Coltivazione di stupefacenti –– modiche quantità e uso personale
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, chiamate a pronunciarsi sulla rilevanza penale delle attività di coltivazione di cannabis di minime dimensioni e svolte in forma domestica, con informazione provvisoria n. 27 (ud. 19.12.2019) hanno espresso il seguente principio di diritto: “Il reato di coltivazione di stupefacenti è configurabile indipendentemente dalla quantità di principio attivo ricavabile nell’immediatezza, essendo sufficienti la conformità della pianta al tipo botanico previsto e la sua attitudine, anche per le modalità di coltivazione, a giungere a maturazione e a produrre sostanza stupefacente; devono però ritenersi escluse, in quanto non riconducibili all’ambito di applicazione della norma penale, le attività di coltivazione di minime dimensioni svolte in forma domestica, che per le rudimentali tecniche utilizzate, lo scarso numero di piante, il modestissimo quantitativo di prodotto ricavabile, la mancanza di ulteriori indici di un loro inserimento nell’ambito del mercato degli stupefacenti, appaiono destinate in via esclusiva all’uso personale da coltivare”.
Rimaniamo quindi in attesa di conoscere le relative motivazioni.
Obbligo del gestore una pista da sci di provvedere alla valutazione iniziale dei rischi connessi all’uso della pista – obbligo non delegabile a terzi
Con sentenza n. 50427/2019 la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di colpa omissiva, nella specie del gestore di una pista di sci per la morte di un minore durante una discesa in slittino.
Come noto, spiega la Corte in motivazione, sui gestori di piste da sci incombe ex art. 3 l. n. 363/2003 l’obbligo di proteggere gli utenti da ostacoli presenti sulle medesime attraverso l’utilizzo di idonee protezioni e segnalazioni della situazione di pericolo. Il contenuto di tale obbligo deve essere specificamente individuato sulla base di una disamina delle condizioni in cui l’agente si trova ad operare in relazione al caso concreto.
L’iniziale valutazione dei rischi rappresenta pertanto un adempimento doveroso e non delegabile ai sensi dell’art. 17, comma 1, lett. a), d. lgs. n. 81/2008, disciplina quest’ultima in tema di sicurezza sul lavoro ed estensibile per identità di ratio anche nel caso in esame alla luce dell’intrinseca pericolosità della messa in esercizio di una pista di sci.
Il gestore, conclude la Corte, prima ancora della possibilità di conferire a un soggetto terzo la responsabilità in tema di sicurezza, ha quindi l’obbligo di analizzare e individuare “con il massimo grado di specificità, secondo la propria esperienza e la migliore evoluzione della scienza tecnica” i fattori di pericolo concretamente presenti sulla pista (tra cui pendenza, ripidezza ed eventuale presenza di ghiaccio) sicché egli risponde, a titolo di colpa, della morte di un utente deceduto a causa di un incidente provocato da una situazione di pericolo da lui non valutata prima della messa in esercizio della pista.
Estorsione ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni – rimessione alle Sezioni Unite
Con ordinanza n. 50696 del 2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione rimette al vaglio delle Sezioni Unite le seguenti questioni: se i reati di esercizio arbitrario delle proprie ragioni di cui all’art. 393 cod. pen. e quello di estorsione ex art. 629 cod. pen. siano differenziabili tra loro sotto il profilo dell’elemento materiale ovvero di quello soggettivo; se il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni debba essere qualificato come reato comune o “di mano propria”.
Con riferimento alla prima delle due questioni giuridiche sopra richiamate si contrappongono due distinti orientamenti giurisprudenziali. Secondo il primo indirizzo interpretativo, che valorizza l’elemento materiale, il discrimine tra le due fattispecie incriminatrici sarebbe da rinvenire nel livello di gravità della violenza o della minaccia, con configurabilità del delitto di estorsione laddove tale livello sia particolarmente elevato. La violenza e minaccia così estrinsecate tramuterebbero infatti in ingiusta la pretesa, anche se correlata ad un diritto tutelabile per via giudiziaria.
Di diverso avviso altro orientamento giurisprudenziale che individua quale profilo specializzante l’elemento soggettivo. Mentre nell’estorsione il soggetto agente mira a conseguire un profitto ingiusto con la coscienza che quanto pretende non gli è dovuto, nell’esercizio arbitrario delle proprie ragioni l’autore del reato è al contrario animato dal fine di esercitare un suo preteso diritto, a nulla rilevando l’efficacia costrittiva della condotta. All’interno di tale indirizzo interpretativo talune pronunce della giurisprudenza di legittimità, seppur concordi nel valorizzare l’elemento soggettivo, ritengono in ogni caso necessaria un’indagine sulle modalità dell’azione quali indicatori del dolo, con configurabilità del delitto di estorsione laddove l’aggressione sia grave.
Necessario, infine, un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite sulla seconda delle questioni sopra richiamate. A parere del Collegio l’orientamento seppur dominante della giurisprudenza di legittimità che qualifica il reato di esercizio arbitrario delle proprie ragioni come “di mano propria”, richiedendo che la condotta tipica sia posta in essere dal titolare del diritto di credito giudizialmente azionabile, finisce infatti per limitare in via automatica l’operatività del concorso di persone, circoscritto alle sole condotte concorsuali agevolatrici della condotta tipica posta in essere dal titolare del diritto, escludendone l’applicazione nelle ipotesi di esecuzione da parte del terzo su mandato del titolare. Per stabilire se un reato è ascrivibile alla categoria giuridica dei reati di mano propria, spiega la Corte, è sufficiente verificare, tramite un giudizio controfattuale, se il delitto possa essere commesso in rerum natura anche da un terzo. Ebbene, in conclusione, non vi sarebbero ragioni ontologiche correlate alla natura della condotta che impediscano che l’esecuzione dell’azione materiale di cui all’art. 393 cod. pen. sia posta in essere dai terzi per la soddisfazione della pretesa del mandante.
Adescamento di minorenni – non integra il reato la condotta commessa al fine di avere rapporti sessuali con minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni
Con sentenza n. 50339/2019 la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sul perimetro applicativo del reato di adescamento di minorenni di cui all’art. 609 undecies cod. pen..
La vicenda prende le mosse dalla contestata condotta di adescamento di una minorenne infrasedicenne posta in essere affiancando la stessa bordo di un’autovettura e rivolgendole apprezzamenti.
Perché il reato sia configurabile, spiega la Corte, la condotta deve essere sorretta dal dolo specifico di commettere uno dei reati tassativamente indicati nella disposizione normativa tra cui anche il reato di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater cod. pen., reato quest’ultimo che deve ritenersi integrato solo nel caso in cui la persona offesa sia minore di quattordici anni.
Ne consegue, prosegue la Corte ribadendo precedenti arresti sul tema, “che una condotta pur eventualmente riconducibile al concetto di adescamento di cui all’art. 609 undecies cod. pen. commessa al fine, che non è illecito al di fuori delle ipotesi considerate dall’art. 609 quater primo comma n. 2 cod. pen., di avere rapporti sessuali con minore di età compresa tra i 14 e i 16 anni (quale è la ritenuta persona offesa nel caso di esame) non integra gli estremi del delitto in esame”.
Nel caso di specie la Corte ha rilevato un’indistinta finalizzazione verso reati sessuali con la persona offesa rispetto alla quale, tenuto conto che al momento del fatto la stessa aveva già compiuto quattrodici anni, lo scopo della realizzazione del reato ex art. 609 quater cod. pen. non è concretamente evincibile.
Occultamento o distruzione di documenti contabili – l’acquisizione presso terzi della documentazione mancante non esclude l’integrazione del reato
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 50350/2019, si è pronunciata sull’ambito operativo del delitto di occultamento e distruzione di documenti contabili di cui all’art. 10 d. lgs. n. 70/2000, con particolare riferimento all’elemento costitutivo, quale evento del reato, dell’impossibilità di procedere alla ricostruzione dei redditi o del volume degli affari.
Si riscontrano sul punto due distinti indirizzi interpretativi. Se per un primo orientamento, per vero minoritario, il reato è integrato qualora l’impossibilità di ricostruzione sia assoluta, il secondo e prevalente indirizzo ritiene sufficiente, data la natura di reato di pericolo, una seria difficoltà di ricostruzione e dunque una lesione dell’interesse alla trasparenza fiscale del contribuente.
La Corte nella pronuncia in esame intende dare seguito al secondo degli orientamenti sopra richiamati, ribadendo che in tema di reati tributari l’impossibilità di ricostruire il reddito o il volume d’affari derivante dalla distruzione o dall’occultamento di documenti contabili non deve essere intesa in senso assoluto, sussistendo anche quando è necessario procedere all’acquisizione presso terzi della documentazione mancante. Ricostruzione che nella specie è stata resa possibile solo attraverso un’indagine della Guardia di finanza effettuata tramite accertamento presso i clienti dell’imputato.
Sequestro finalizzato alla confisca allargata ex art. 240 bis cod. pen. – posizione dei terzi interessati dal provvedimento di sequestro – obbligo di citazione nel procedimento di cognizione
Con sentenza n. 45105/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla tutela in giudizio dei terzi interessati da provvedimenti di sequestro finalizzato alla confisca ex art. 240 bis cod. pen., perché titolari di diritti reali o personali di godimento sui beni in sequestro, in favore dei quali gli artt. 104 bis disp. att. cod. proc. pen. e 578 bis cod. proc. pen. prevedono un obbligo di citazione nel processo di cognizione.
L’assenza di qualsiasi disposizione transitoria che preveda l’applicazione dell’obbligo di citazione dei terzi anche ai procedimenti pendenti, spiega la Corte, impedisce l’estensibilità di tale obbligo anche nei giudizi di appello e di cassazione in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni sopra richiamate nei confronti di soggetti che non abbiano partecipato al giudizio di primo grado. Consentire al terzo interessato dal provvedimento ablatorio di intervenire anche nelle fasi di impugnazione significherebbe infatti estendere tali giudizi a soggetti non coinvolti dall’accertamento del giudice di primo grado. Estensione estranea all’ordinamento processuale che conosce, quale limite del giudicato, l’accertamento compiuto nel giudizio di primo grado.
Tale convincimento, conclude la Corte, non priva di tutela il terzo che, come già esplicato da precedenti arresti giurisprudenziali, può nella fase del procedimento chiedere al giudice della cognizione la restituzione del bene, ricorrendo dinanzi al Tribunale del riesame in caso di diniego, e dopo l’adozione della confisca proporre incidente di esecuzione.
Turbata libertà degli incanti – il collegamento tra società partecipanti alla gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico non è di per sé sufficiente a configurare il delitto
La sesta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata, con sentenza n. 42371/2019, in tema di turbata libertà degli incanti, fattispecie delittuosa disciplinata dall’art. 353 cod. pen..
Con particolare riferimento all’elemento oggettivo del reato in esame la Corte richiama l’orientamento giurisprudenziale dominante secondo cui il collegamento, formale o sostanziale, tra società partecipanti alla gara per l’aggiudicazione di un appalto pubblico non è di per sé sufficiente a configurare il delitto in esame, occorrendo la prova che, dietro la costituzione di imprese formalmente distinte, si celi un unico centro decisionale di offerte coordinate.
Ciò che rileva, dunque, non è il mero dato del collegamento, ma il fatto che in concreto quest’ultimo abbia determinato le imprese a presentare offerte coordinate in modo da assicurare la vittoria della gara o da aumentarne le probabilità.
Il collegamento tra imprese costituisce quindi di per sé mero indice di irregolarità suscettibile di rilevanza penale laddove sia raggiunta la prova dell’unicità del centro decisionale o dell’accordo delle diverse imprese sugli specifici contenuti delle singole e formalmente autonome offerte.
Revoca del sequestro preventivo – divieto di restituzione – operatività anche per il sequestro probatorio
Con sentenza n. 40847/2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi sull’applicabilità del divieto di restituzione di cui all’art. 327, comma 7 cod. proc. pen. oltre che in caso di revoca del sequestro preventivo anche in caso di annullamento del decreto di sequestro probatorio.
Secondo l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di legittimità tale disposizione deve ritenersi applicabile anche al sequestro probatorio, con conseguente prevalenza sulle esigenze istruttorie della finalità sottesa alla disposizione in esame, volta ad evitare che la disponibilità del bene sia strumento per la protrazione dell’illecito. I due istituti in esame presentano infatti, oltre a una comune matrice storica, elementi di analogia di carattere sistematico: entrambi si caratterizzano per il vincolo di indisponibilità materiale e giuridica imposto sul bene ed entrambi sono suscettibili di conversione in confisca.
Di contrario avviso altra parte della dottrina e giurisprudenza di legittimità che ne afferma l’incompatibilità: in primo luogo perché il sequestro probatorio, quale mezzo di ricerca della prova disposto con provvedimento del pubblico ministero, non è soggetto a revoca e in secondo luogo perché l’intrinseca pericolosità dei beni sottoposti a sequestro istruttorio non può essere rilevata in sede di riesame, giudizio riservato unicamente alle questioni di merito e legittimità del provvedimento e dell’attività di esecuzione compiuta.
Le Sezioni Unite avallano con la pronuncia in esame l’orientamento giurisprudenziale dominante dando rilievo innanzitutto al richiamo contenuto nelle disposizioni in tema di sequestro probatorio al procedimento di riesame delle misure cautelari reali e in secondo luogo alla natura di principio generale del divieto di restituzione di cui all’art. 324 comma 7 cod. proc. pen..
A TUTTI VOI I NOSTRI MIGLIORI AUGURI DI UN SERENO NATALE E FELICE ANNO NUOVO!
Atti persecutori mediante messaggi e post diffamatori diffusi su social network – stato d’ansia e tensione della vittima – prova dell’evento del reato
Con sentenza n. 45141/2019 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione si è nuovamente pronunciata in tema di stalking.
Nella vicenda in esame all’imputato veniva contestato il reato di cui all’art. 612 bis cod. pen. stante le continue molestie, minacce e insulti operati nei confronti della vittima anche mediante messaggi e post diffamatori diffusi su social network. La Corte territoriale evidenziava nella specie, sulla base dello stesso narrato della persona offesa, il determinarsi di quello stato d’ansia e tensione idoneo ad integrare l’evento del delitto contestato. L’imputato proponeva quindi ricorso per cassazione contestando le motivazioni della Corte d’Appello di Roma che riteneva sussistente il grave e perdurante stato d’ansia della p.o. senza considerare, a parere del ricorrente, la sussistenza di numerose conversazioni intrattenute dalla p.o. con l’imputato e l’utilizzo in una sola circostanza della procedura di banning per impedire interferenze con i propri profili facebook.
La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso e richiama sul punto l’orientamento giurisprudenziale dominante secondo cui perché l’evento del reato di cui all’art. 612 bis cod. pen. risulti integrato non è necessario né l’accertamento di un vero e proprio stato patologico né la presenza di una perizia medica “potendo il giudice argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza”.
Ai fini della configurabilità del reato non è inoltre necessario che la vittima descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del reato, potendo la prova degli stessi desumersi dal complesso degli elementi fattuali acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente “essendo sufficiente che abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”.
Nessun rilievo deve infine attribuirsi, conclude la Corte, alla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere, ripristinando il dialogo con il persecutore “atteso che l’ambivalenza dei sentimenti provati dalla persona offesa nei confronti dell’imputato non rende di per sé inattendibile la narrazione delle afflizioni subite, imponendo solo una maggiore prudenza nell’analisi delle dichiarazioni in seno al contesto degli elementi conoscitivi a disposizione del giudice”.
Illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. – non punibilità, a determinate condizioni, per colui che agevola il suicidio altrui
Con sentenza n. 242/2019 la Corte Costituzionale “dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 del codice penale, nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017, n. 219 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento) – ovvero, quanto ai fatti anteriori alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, con modalità equivalenti nei sensi di cui in motivazione –, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del servizio sanitario nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
In assenza del sollecitato intervento legislativo sul punto, la Corte, come anticipato dal comunicato stampa del 25 settembre 2019, si pronuncia in tema di aiuto al suicidio ritenendo non punibile chi agevoli l’esecuzione del proposito suicidario altrui nelle particolari ipotesi in cui il paziente versi in peculiari condizioni fisiche e che dunque già potrebbe alternativamente lasciarsi morire mediante la rinuncia a trattamenti sanitari necessari per la sopravvivenza ai sensi dell’art. 1 l. n. 219/2017.
Al fine di scongiurare eventuali abusi, l’effettiva esistenza delle condizioni che rendono lecita la condotta in esame dovrà sottostare, spiega la Corte, a un controllo preventivo da parte delle strutture pubbliche del SSN.
Tale declaratoria, conclude la Corte, si limita a escludere la punibilità dell’aiuto al suicidio nelle ipotesi sin qui descritte, “senza creare alcun obbligo di procedere a tale aiuto in capo ai medici. Resta affidato, pertanto, alla coscienza del singolo medico, scegliere se prestarsi, o no, a esaudire la richiesta del malato”.
Responsabilità amministrativa degli enti – la confisca del profitto dei reati non legittima la diminuzione della sanzione pecuniaria irrogata all’ente
Con sentenza n. 38115/2019 la quinta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata, in tema di responsabilità amministrativa degli enti, sui rapporti tra l’applicazione della confisca del profitto del reato presupposto e la sanzione pecuniaria irrogata all’ente ex art. 10 d. lgs. n. 231/2001, diminuita nell’ipotesi di condotte riparatorie dell’ente. In particolare ai sensi dell’art. 12, comma 2 lett. a) la sanzione pecuniaria è ridotta da un terzo alla metà se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, l’ente ha risarcito integralmente il danno e ha eliminato le conseguenze dannose o pericolose del reato ovvero si è comunque efficacemente adoperato in tal senso.
Per condotta riparatoria, spiega la Corte, non può certo intendersi dunque l’esecuzione della misura ablatoria della confisca disposta dall’autorità giudiziaria. Nessuna diminuzione della sanzione pecuniaria può quindi applicarsi in tali ipotesi all’ente.
Esclusa una qualche connessione tra i due elementi sopra richiamati la Corte, con riferimento alla sanzione pecuniaria, annulla la decisione di primo grado con rinvio al giudice di merito per un nuovo esame sul punto. Dalla sentenza di primo grado, spiega la Corte, non risulta infatti esplicitato il percorso argomentativo alla base della quantificazione della sanzione pecuniaria irrogata all’ente, dovendo anch’essa sottostare all’applicazione dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., esplicitamente richiamati in tema di trattamento sanzionatorio dalla disciplina sulla responsabilità amministrativa degli enti.
Concorso di persone nel reato di ricettazione – non è necessario il dolo specifico in capo al soggetto che dà il proprio contributo al reato
Con sentenza n. 38277/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla punibilità del concorrente nel delitto di ricettazione ex art. 648 cod. pen. qualora tale soggetto abbia agito in assenza del dolo specifico di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto.
La Corte, richiamando precedente autorevole pronuncia della Suprema Corte in tema di concorso esterno in associazione mafiosa, ritiene incriminabile a titolo di concorso nella ricettazione anche il soggetto che non abbia agito animato dal dolo specifico richiesto dalla norma alla duplice condizione che: almeno uno dei concorrenti (non necessariamente l’esecutore materiale) abbia agito spinto dal fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto e il concorrente privo del medesimo dolo sia consapevole dell’altrui finalità.
Non assume nessun rilievo, conclude la Corte, il diverso orientamento interpretativo espresso da alcune pronunce della giurisprudenza di legittimità per il reato di illecita concorrenza con minaccia o violenza, per la cui configurabilità sarebbe necessario che tutti i concorrenti abbiano agito con il dolo specifico di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale. Tale convincimento, spiega la Corte, si pone in contrasto con l’orientamento dominante delle Sezioni Unite in tema di concorso di persone nei reati a dolo specifico.
Attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti – è sufficiente ai fini dell’integrazione del reato che anche una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata
Con sentenza n. 43710/2019 la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla configurabilità del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452 quaterdecies cod. pen. anche laddove una sola delle fasi di gestione dei rifiuti avvenga in forma organizzata.
La norma punisce chiunque, al fine di perseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l’allestimento di mezzi e attività continuative organizzate cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti.
Trattasi dunque di reato abituale proprio che si deve estrinsecare nella gestione continuativa e illegale (perché priva di autorizzazioni necessarie o violando le prescrizioni o i limiti delle stesse) di ingenti quantitativi di rifiuti. Perché il reato sia configurabile, afferma la Corte, è necessaria dunque “una, seppur rudimentale, organizzazione professionale (mezzi e capitali)” che sia in grado di realizzare la gestione di ingenti quantità di rifiuti “con pluralità di operazioni condotte in continuità temporale, operazioni che vanno valutate in modo globale”.
Tale attività organizzata, prosegue la Corte, può venire in rilievo anche con riferimento a una sola fase della complessiva attività di raccolta, conferimento o smaltimento rifiuti posto che la norma descrive in forma alternativa le varie condotte che nell’ambito del ciclo di gestione possono assumere rilievo per la configurabilità del delitto.
D.L. n.124/2019 – Disposizioni urgenti in materia fiscale – reati tributari e responsabilità amministrativa degli enti
Si segnala l’emanazione del d.l. n. 124/2019 con cui il Governo è intervenuto “per la straordinaria necessità e urgenza di prevedere misure per esigenze fiscali e finanziarie indifferibili”, in particolare attraverso il contrasto all’evasione fiscale, contributiva e alle frodi fiscali.
Il decreto entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale (26 ottobre 2019), per poi essere presentato alle Camere per la conversione in legge. Le disposizioni relative alla disciplina penale e alla responsabilità amministrativa degli enti in materia tributaria (art. 39) entreranno invece in vigore dalla data della pubblicazione in Gazzetta Ufficiale della legge di conversione.
Qui di seguito le novità di maggior rilievo in materia penale.
1. Con riferimento alla responsabilità amministrativa degli enti l’art. 39 prevede l’inserimento nel d. lgs. n. 231/2001 dell’art. 25-quinquiesdecies che ha introdotto quale reato presupposto il delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti che così dispone: “In relazione alla commissione del delitto di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti previsto dall’articolo 2 del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74, si applica all’ente la sanzione pecuniaria fino a cinquecento quote”.
2. Numerose sono inoltre le modifiche apportate dall’art. 39 alla disciplina dei reati tributari (d. lgs. n. 74/2000) applicabili alle persone fisiche tra le quali l’inasprimento del trattamento sanzionatorio e l’abbassamento delle soglie di punibilità.
Ecco nel dettaglio le novità:
- art. 2: dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – reclusione da quattro a otto anni (e non più da un anno e sei mesi a sei anni); introduzione del comma 2 bis a norma del quale “se l’ammontare degli elementi passivi fittizi è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno sei mesi a sei anni”;
- art. 3: dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici – reclusione da tre a otto anni (e non più da un anno e sei mesi a sei anni);
- art. 4: dichiarazione infedele – reclusione da due a cinque anni (non più da uno a tre anni) qualora l’imposta evasa sia superiore a euro centomila (invece che centocinquantamila) e l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione sia superiore a euro due milioni (invece che tre milioni); abrogazione del comma 1 ter che prevedeva la non punibilità, fuori dai casi di cui al comma 1 bis, per le valutazioni che singolarmente considerate differiscono in misura inferiore al 10 per cento da quelle corrette;
- art. 5: omessa dichiarazione – reclusione da due a sei anni (invece che da un anno a sei mesi a quattro anni); modifica del comma 1 bis – reclusione da due a sei anni (invece che da un anno e sei mesi a quattro anni) per l’omessa dichiarazione quando l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a euro cinquantamila;
- art. 8: emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti – reclusione da quattro a otto anni (invece che da un anno e sei mesi a sei anni); introduzione del comma 2 bis a norma del quale: “se l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti, per periodo d’imposta, è inferiore a euro centomila, si applica la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni”;
- art. 10: occultamento o distruzione di documenti contabili – reclusione da tre a sette anni (invece che da un anno e sei mesi a sei anni);
- art. 10 bis: omesso versamento di ritenute dovute o certificate – ritenute omesse per un ammontare superiore a centomila (invece che centocinquantamila);
- art. 10 ter: omesso versamento di IVA – mancato versamento dell’IVA per un ammontare superiore a euro centocinquantamila (invece che duecentocinquantamila);
- introduzione dell’art. 12 ter con cui si prevede la confisca “allargata” per i reati tributari più gravi: “(Casi particolari di confisca) — 1. Nei casi di condanna o di applicazione della pena su richiesta a norma dell’articolo 444 del codice di procedura penale per taluno dei delitti previsti dal presente decreto, diversi da quelli previsti dagli articoli 10-bis e 10-ter, si applica l’articolo 240-bis del codice penale quando: a) l’ammontare degli elementi passivi fittizi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 2; b) l’imposta evasa è superiore a euro centomila nel caso dei delitti previsti dagli articoli 3 e 5, comma 1; c) l’ammontare delle ritenute non versate è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 5, comma 1-bis; d) l’importo non rispondente al vero indicato nelle fatture o nei documenti è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 8; e) l’indebita compensazione ha ad oggetto crediti non spettanti o inesistenti superiori a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 10-quater; f) l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 1; g) l’ammontare degli elementi attivi inferiori a quelli effettivi o degli elementi passivi fittizi è superiore a euro centomila nel caso del delitto previsto dall’articolo 11, comma 2; h) è pronunciata condanna o applicazione di pena per i delitti previsti dagli articoli 4 e 10”.
Il decreto contiene ulteriori disposizioni volte al contrasto dell’evasione fiscale e contributiva, delle frodi fiscali e delle frodi in materia di accisa nonché disposizioni in materia di gioco pubblico.
Di seguito alcune novità sul punto:
- chiunque si accolli il debito di imposta altrui e proceda al relativo pagamento non può utilizzare in compensazione alcun credito proprio (art. 1);
- per i contribuenti a cui sia stato notificato il provvedimento di cessazione della partita IVA è esclusa la facoltà di avvalersi, a partire dalla data di notifica del provvedimento, della compensazione dei crediti (art. 2);
- al fine di evitare l’omesso versamento di ritenute da parte dell’impresa appaltatrice/affidataria a decorrere dall’1 gennaio 2020 il committente, residente ai fini delle imposte dirette nello Stato, che affidi il compimento di un’opera o di un servizio a un’impresa è tenuto al versamento delle ritenute fiscali trattenute dall’impresa appaltatrice o affidataria e dalle imprese subappaltatrici ai lavoratori direttamente impiegati nell’esecuzione dell’opera o del servizio; si prevede altresì l’estensione dell’inversione contabile IVA, che consente di traslare l’onere impositivo dall’acquirente al venditore, alle prestazioni di servizi effettuate tramite contratti di appalto, subappalto, affidamento a soggetti consorziati o rapporti negoziali comunque denominati caratterizzati da prevalente utilizzo di manodopera presso le sedi di attività del committente con l’utilizzo di beni strumentali di proprietà di quest’ultimo o ad esso riconducibili in qualunque forma (art. 4);
- per il contrasto alle frodi in materia di accisa, in particolare per i prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo, si introduce un termine di 24 ore, decorrente dal momento in cui i prodotti sono presi in consegna dal destinatario, entro cui deve essere trasmessa la nota di ricevimento prevista per la chiusura del regime sospensivo; nel caso di condanna per uno dei delitti previsti dal T.U. sulle imposte sulla produzione e sui consumi è disposta la confisca dei beni che ne costituiscano il profitto o il prezzo ovvero, quando ciò non sia possibile, di beni di cui il reo ha la disponibilità per un valore corrispondente (art. 5);
- sono redditi di capitale i redditi imputati al beneficiario di trust, anche se non residenti, nonché i redditi corrisposti a residenti italiani da trust e istituti aventi analogo contenuto, stabiliti in Stati e territori che con riferimento al trattamento dei redditi prodotti dal trust si considerano a fiscalità privilegiata ai sensi dell'articolo 47-bis, anche qualora i percipienti residenti non possono essere considerati soggetti passivi dell’imposta sul reddito delle società (art. 13);
- ai fini della c.d. semplificazione fiscale a partire dalle operazioni IVA effettuate dal primo luglio 2020, in via sperimentale, l’Agenzia delle entrate mette a disposizione dei soggetti passivi IVA, residenti e stabiliti in Italia, in apposita area riservata sul sito internet dell’Agenzia le bozze dei registri IVA e le comunicazioni delle liquidazioni periodiche dell’IVA. A partire dalle operazioni IVA 2021, l’Agenzia delle entrate mette a disposizione anche la bozza della dichiarazione annuale dell’IVA (art. 16);
- abbassamento alla soglia di euro 2.000 e dal 1.01.2022 di euro 1.000 per il trasferimento di denaro contante (art. 18);
- previsione, a partire dal primo luglio 2020, di una sanzione amministrativa pecuniaria di 30 euro nei casi di mancata accettazione, da parte dei soggetti a ciò obbligati, di un pagamento, di qualsiasi importo, effettuato con una carta di pagamento (sanzione aumentata del 4 per cento del valore della transazione per la quale sia stata rifiutata l’accettazione del pagamento) (art. 23);
- istituzione dal 2020 del registro unico degli operatori del gioco pubblico (al fine di contrastare le infiltrazioni della criminalità organizzata nel settore dei giochi) (art. 27); divieto per operatori bancari, finanziari e postali ed emittenti carte di credito di trasferire denaro a favore di soggetti che, tramite reti telematiche, offrono giochi, scommesse senza alcun titolo autorizzativo (art. 28); divieto per operatori economici che abbaino commesso violazioni definitivamente accertate agli obblighi di pagamento delle imposte e tasse o contributi previdenziali di essere titolari o condurre esercizi commerciali all’interno dei quali sia offerto gioco pubblico (art. 30); chiusura dei punti vendita nei quali si offrono al pubblico scommesse qualora il gestore risulti debitore d’imposta unica in base a una sentenza, anche non definitiva, la cui esecutività non sia sospesa (chiusura che diventa definitiva con il passaggio in giudicato della sentenza) (art. 31).
Reati ostativi – mancata collaborazione con la giustizia e permessi premio – illegittimità costituzionale dell’art. 4 bis ord. penit.
Si segnala la decisione del 23 ottobre 2019 con cui la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 4 bis, comma 1 dell’ordinamento penitenziario laddove, anche se vi sono elementi tali da escludere un collegamento attuale con la criminalità organizzata, non prevede per alcuni reati gravi la concessione dei permessi premio in caso di mancata collaborazione del condannato con la giustizia.
In attesa di leggere le motivazioni a sostegno della decisione, si dà atto dunque che la Corte, così come da comunicato stampa, riconosce in tali ipotesi una presunzione di pericolosità “relativa”, demandando al magistrato di sorveglianza del caso concreto una valutazione discrezionale sulla base delle relazioni del carcere nonché di informazioni e pareri di varie autorità.
Sottrazione e trattenimento di minore all’estero – sospensione automatica della responsabilità genitoriale in caso di condanna – non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale
La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 27705/2019, ha dichiarato non manifestamente infondata la questione relativa alla compatibilità con il sistema costituzionale e sovranazionale degli artt. 34 e 574 bis cod. pen. dove prevedono, per il reato di sottrazione e trattenimento di minore all’estero, l’applicazione automatica della pena accessoria della sospensione della potestà genitoriale a seguito di condanna, con previsione rigida della relativa entità (periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta per i delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale).
Non può negarsi, si legge in sentenza, come la normativa in esame impedisca al giudice di valutare la corrispondenza tra la sospensione della responsabilità genitoriale e i diritti e interessi del minore. È evidente infatti che l’esclusione di qualsiasi valutazione discrezionale da parte del giudice in ordine all’interesse del minore possa compromettere la tutela dei diritti inviolabili dei fanciulli “quale sarebbe quello di crescere con i genitori e di essere educati da questi, salvo che ciò comporti un grave pregiudizio”.
La Consulta si è peraltro già pronunciata in materia affine attraverso declaratoria di illegittimità costituzionale, in particolare con riferimento al delitto di alterazione di stato ex art. 569 cod. pen. nella parte in cui collega alla condanna l’automatica perdita della responsabilità genitoriale.
Parimenti irragionevole, prosegue la Corte, la previsione di un’entità fissa di sospensione per contrasto con i principi di proporzionalità della pena e di individualizzazione della stessa.
Reati di maltrattamenti, atti persecutori, lesioni personali ai danni del coniuge – ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio non si tiene conto del reddito del familiare persona offesa
Con sentenza n. 43238/2019 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione si è nuovamente espressa sulle modalità di determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato qualora all’imputato venga contestato il reato di maltrattamenti.
Ribadendo precedenti arresti sul punto la Corte afferma che “nella determinazione del reddito complessivo rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, qualora si proceda per il reato di maltrattamenti, lesioni personali e atti persecutori ai danni del coniuge dell’istante, non si tiene conto dei redditi del coniuge che abbia abbandonato la casa familiare per sottrarsi a tali reati, sia per la mancanza del requisito della convivenza previsto dal comma del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 76, sia perché gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli del coniuge ai sensi del medesimo art. 76, comma 4”.
Si determinerebbe, in caso contrario, violazione di quanto disposto dall’art. 76, comma 4, D.P.R. n. 115/2002 che prevede la valutazione del solo reddito personale “quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi”.
Provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto – iscrizione nel casellario giudiziale
Con sentenza n. 38954/2019 le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione sono state nuovamente chiamate a pronunciarsi sulla seguente questione di diritto: “Se il provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen. debba essere iscritto nel casellario giudiziale, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. f), D.P.R. 14 novembre 2002, n. 213, come modificato dall’art. 4 d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28”.
Ricostruita l’evoluzione normativa che ha caratterizzato negli anni la disciplina del casellario giudiziale di cui al D.P.R. n. 213/2002, le Sezioni Unite danno atto del contrasto interpretativo sul punto. Le sezioni semplici della Corte di Cassazione hanno infatti escluso per lungo tempo l’iscrizione del provvedimento di archiviazione per particolare tenuità del fatto in virtù della non definitività dello stesso. Una soluzione contraria determinerebbe infatti indebita violazione di diritti costituzionalmente e convenzionalmente tutelati dell’indagato.
Di contrario avviso un precedente arresto delle Sezioni Unite che ha ritenuto l’iscrizione ineludibile in ragione del fatto che “la procedura di memorizzazione delle pronunzie adottate per tenuità dell’offesa costituisce strumento essenziale per la stessa razionalità ed utilità dell’istituto” mentre “l’assenza di annotazione determinerebbe, incongruamente, la possibilità di concessione della non punibilità molte volte nei confronti della stessa persona”. Nessuna lesione sarebbe inoltre configurabile ai danni dell’interessato dato che “la trascrizione della decisione serve e rileva solo all’interno del sottosistema di cui ci si occupa”.
Chiamate a pronunciarsi nuovamente sul tema le Sezioni Unite confermano, nella pronuncia in esame, il proprio positivo precedente arresto, valorizzando l’esclusiva funzione di memorizzazione dell’iscrizione, destinata ad esplicare effetto all’interno del solo circuito giudiziario.
Richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente – interruzione della prescrizione
Con sentenza n. 30634/2019 la quarta sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’individuazione del momento di produzione degli effetti interruttivi della richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente.
Due gli orientamenti giurisprudenziali sul punto: secondo il primo indirizzo interpretativo la richiesta di rinvio a giudizio nei confronti dell’ente è in grado di interrompere la prescrizione per il solo fatto della sua emissione e di sospenderne il decorso dei termini fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Tale conclusione trova la propria ratio nel rinvio da parte del d. lgs. n. 231/2001 all’art. 405 cod. proc. pen. che individua tra gli atti di contestazione dell’illecito la richiesta di rinvio a giudizio, atto quest’ultimo che prescinde dalla notifica alle parti per la sua efficacia.
L’opposto e peraltro minoritario orientamento giurisprudenziale richiede al contrario, al fine di riconoscere capacità interruttiva alla richiesta di rinvio a giudizio, che la stessa, oltre che emessa, sia stata anche notificata entro cinque anni dalla consumazione del reato presupposto, dovendo trovare applicazione le norme del codice civile che regolano l’operatività dell’interruzione della prescrizione. Ciò in virtù di quanto espressamente previsto dalla legge delega per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche.
La Corte di Cassazione dà seguito al primo degli orientamenti sopra richiamati, affermando che anche per gli enti “l’interruzione della prescrizione è posta a presidio della tutela della pretesa punitiva dello Stato sicché il regime non può che essere quello previsto per l’interruzione della prescrizione nei confronti dell’imputato e coincidere con l’emissione della richiesta di rinvio a giudizio, in modo indipendente dalla sua notificazione”.
Aiuto al suicidio – la Consulta ritiene non punibile, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio
Dopo un anno dal monito al legislatore perché intervenisse in tema di aiuto al suicidio la Corte costituzionale, all’esito della camera di consiglio del 25 settembre 2019, si pronuncia sul punto ritenendo “non punibile ai sensi dell’articolo 580 del codice penale, a determinate condizioni, chi agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.
La non punibilità è altresì subordinata, precisa la Corte nel comunicato stampa, al rispetto delle modalità previste dagli articoli 1 e 2 della legge n. 219/2017 (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), previa verifica delle condizioni richieste e delle modalità di esecuzione da parte di una struttura pubblica del Servizio sanitario nazionale. Tutto ciò al fine di “evitare rischi di abuso nei confronti di persone specialmente vulnerabili”.
Per un approfondimento della questione rimaniamo in attesa del deposito delle motivazioni.
Commercializzazione di gameti – illiceità penale
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 36221/2019, si è pronunciata sul perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice di cui all’art. 12, comma 6 legge n. 40/2004 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita) che punisce chiunque in qualsiasi forma realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità.
Nel caso di specie agli imputati veniva contestato l’associarsi tra loro, sfruttando le strutture della clinica, e con soggetti operanti presso strutture sanitarie estere, allo scopo di commercializzare gameti umani (attività consistita nell’acquisto degli stessi dalle cliniche estere ovvero da donatrici appositamente selezionate e pagate, con successiva rivendita alle coppie che dovevano sottoporsi alle tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo).
La Corte accoglie il ricorso avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Milano che aveva prosciolto gli imputati per insussistenza del fatto sul rilievo che non vi è commercio “allorché il trasferimento della cellula riproduttiva umana avviene all’interno di un trattamento di fecondazione c.d. eterologa”. Alla luce del necessario “trasferimento di gameti” da un soggetto donatore nelle ipotesi di fecondazione assistita eterologa, ammessa qualora sia diagnosticata una patologia che sia causa di sterilità o infertilità assolute e irreversibili, deve essere esclusa, secondo il Giudice milanese, l’applicazione della norma incriminatrice in esame nei casi in cui la commercializzazione sia diretta a tale pratica, con conseguente implicita abrogazione della fattispecie incriminatrice.
Di contrario avviso la Corte di Cassazione secondo cui al fine di delineare correttamente l’ambito operativo della fattispecie penale di commercializzazione di gameti non si può prescindere dai principi di volontarietà e gratuità espressi sul tema dalla Direttiva del Consiglio d’Europa del 31 marzo 2004. Integrano quindi il delitto in esame le condotte dirette a immettere nel mercato i gameti in violazione dei suddetti principi nonché quelle di reclutamento di donatrici/donatori dietro prospettazione/corresponsione di una remunerazione. Al di fuori, quindi, dei meri costi per l’esecuzione della prestazione medica, “costituiscono reato tutte le condotte dirette alla produzione e circolazione dei gameti, remunerate con corrispettivo in rapporto sinallagmatico con la condotta di produzione, circolazione e immissione nel mercato”.
Reclutamento e favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata – infondatezza della questione di legittimità costituzionale
Con sentenza n. 141/2019 la Corte Costituzionale è stata chiamata a pronunciarsi sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 3, primo comma, numeri 4), prima parte, e 8), legge n. 75/1958 (legge Merlin) “nella parte in cui configura come illecito penale il reclutamento ed il favoreggiamento della prostituzione volontariamente e consapevolmente esercitata”. Nell’ordinanza di rimessione la Corte d’Appello di Bari sottolinea in particolare l’eterogeneità del fenomeno della prostituzione, comprensiva non solo di quella per bisogno o coattiva, ma anche della prostituzione esercitata per scelta libera e volontaria, espressione della libertà di autodeterminazione sessuale e di iniziativa economica, come tale incompatibile con l’incriminazione delle connesse condotte di reclutamento e favoreggiamento. Tale fattispecie criminosa si porrebbe inoltre in contrasto, a parere del remittente, con il principio di necessaria offensività del reato, trattandosi di condotte esclusivamente finalizzate alla mera agevolazione della scelta del soggetto interessato.
La Corte Costituzionale, ripercorsa l’evoluzione normativa del fenomeno in esame anche in ottica comparatistica, analizza innanzitutto la censura relativa al rilevato contrasto con l’art. 2 Cost., affermando, in netto contrasto con la tesi sostenuta dalla Corte d’Appello di Bari, che “se è il collegamento con lo sviluppo della persona a qualificare la garanzia apprestata dall’art. 2 Cost., non è possibile ritenere che la prostituzione volontaria partecipi della natura di diritto inviolabile […] sulla base del mero rilievo che essa coinvolge la sfera sessuale di chi la esercita”. La prostituzione volontaria, spiega la Corte, non rappresenta uno strumento di tutela e sviluppo della persona umana, quali i diritti inviolabili dell’uomo, ma costituisce una particolare forma di attività economica, una “prestazione di servizi retribuita”.
Sono altresì infondate, prosegue la Corte, le censure mosse per contrasto con l’art. 41 Cost. che enuncia la libertà di iniziativa economica privata, la cui tutela non può determinare la compressione di diritti e libertà di pari rango. Sul punto la Consulta sottolinea la necessaria strumentalità della repressione delle condotte parallele al fenomeno della prostituzione, tra cui appunto le condotte di reclutamento e favoreggiamento, alla tutela dei diritti fondamentali delle persone vulnerabili e della dignità umana. È innegabile, spiega la Corte, come la “scelta di ‘vendere sesso’ trova alla sua radice, nella larghissima maggioranza dei casi, fattori che condizionano e limitano la libertà di autodeterminazione dell’individuo, riducendo, talora drasticamente, il ventaglio delle sue opzioni esistenziali”. La linea di confine tra decisioni assunte liberamente e scelte frutto di costrizione è inoltre di difficile comprensione teorica e di complessa verificabilità sul piano processuale da parte della giurisdizione penale.
Non vi è alcuna violazione, infine, del principio di necessaria offensività del reato. Non vi sono dubbi infatti, conclude la Corte, sulla c.d. offensività in astratto delle condotte in esame nell’ottica della protezione dei soggetti vulnerabili e dei relativi diritti. Sarà in ogni caso potere del giudice, in virtù del principio di offensività in concreto, escludere l’integrazione del reato in presenza di condotte prive di potenzialità lesive.
Mano sul fondoschiena – configurabilità del reato di violenza sessuale
Con sentenza n. 38606/2019 la terza sezione penale della Corte di Cassazione è tornata nuovamente a pronunciarsi sul confine operativo della fattispecie di violenza sessuale di cui all’art. 609 bis cod. pen., nella particolare ipotesi in cui il soggetto agente metta le mani sul fondoschiena della persona offesa. La sentenza impugnata della Corte d’Appello di Trieste affermava, sulla base delle dichiarazioni della teste (quest’ultima riferiva che l’imputato le aveva messo una mano sul fondoschiena, toccando e sfiorando quella parte del corpo), la penale responsabilità dell’imputato dato che “il toccamento di quella specifica zona ‘erogena’ era stato improvviso ed inaspettato, invasivo dell’intimità della persona ed animato da chiari impulsi sessuali, percepiti in maniera inequivoca dalla vittima”, la quale protestava energicamente per poi andarsene.
La Corte di Cassazione, uniformandosi all’indirizzo giurisprudenziale prevalente sul punto, ribadisce che per la consumazione del reato di violenza sessuale è sufficiente che il colpevole raggiunga le parti intime della persona offesa (zone genitali o comunque erogene), indipendentemente dalla durata del contatto corporeo, dalla circostanza che la vittima riesca a sottrarsi all’azione o che l’aggressore consegua la soddisfazione erotica perseguita. L’elemento della violenza, prosegue la Corte richiamando un precedente arresto, “può estrinsecarsi, nel reato di violenza sessuale, oltre che in una sopraffazione fisica, anche nel compimento insidiosamente rapido dell’azione criminosa tale da sorprendere la vittima e da superare la sua contraria volontà, così ponendola nell’impossibilità di difenderla”.
La circostanza accertata del contatto con la zona erogena del fondoschiena della vittima legittima dunque l’integrazione del delitto nella forma consumata: la fattispecie tentata è infatti configurabile nella diversa ipotesi in cui la condotta non abbia determinato un’immediata e concreta intrusione nella sfera sessuale della vittima (perché non vi è stato contatto con le zone intime della persona offesa o quest’ultima non è entrata in contatto con le parti intime dell’imputato).
Grave patologia psichica del detenuto - detenzione domiciliare in deroga (art. 47ter, comma 1ter ord. penit.) – ammissibilità
Con sentenza n. 29488/2019 la prima sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla idoneità della seria patologia psichica sopravvenuta a legittimare l’applicazione della detenzione domiciliare ex art. 47 ter, comma 1ter ord. penit. anche in deroga a quote di pena e tipologia di reato in esecuzione.
Sul tema occorre richiamare la recente sentenza n. 99/2019 della Consulta che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma in esame rendendo possibile l’applicazione della detenzione domiciliare nei casi di grave patologia psichica tale da determinare condizioni di “ineseguibilità” del trattamento carcerario, onde evitare inutili e indebiti “supplementi di pena” contrari al senso di umanità. Come sottolinea la Corte costituzionale la malattia psichica è infatti fonte di sofferenze al pari di quella fisica e, ancor più di quest’ultima, può aggravarsi e acutizzarsi proprio a causa di una protratta reclusione.
Richiamati i principi enucleati dalla sentenza della Consulta sul punto, la Corte di Cassazione ribadisce la necessità di verifiche in concreto della gravità della patologia e dell’idoneità di un’eventuale collocazione esterna. Alla valutazione di applicabilità della detenzione domiciliare in deroga, conclude la Corte, “non può ritenersi d’ostacolo né l’entità del residuo di pena, né il titolo del reato in esecuzione né la attuale sottoposizione del ricorrente al regime differenziato di cui all’art. 41 bis ord. pen.”.
Azione risarcitoria nel processo civile e penale – rapporti e preclusioni
Con sentenza n. 37296/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui rapporti intercorrenti tra l’azione risarcitoria proposta in sede civile e quella intrapresa in sede penale. Sul punto opera l’effetto preclusivo di cui all’art. 75, comma 1 cod. proc. pen. che consente il trasferimento dell’azione civile nel processo penale fino a quando in sede civile non sia stata pronunciata sentenza di merito, laddove tra le azioni promosse sussista identità di soggetti e di causa petendi. La Corte ribadisce dunque che “deve escludersi che il danneggiato dal reato che abbia esercitato l’azione risarcitoria nel processo civile sia legittimato a costituirsi parte civile nel processo penale per far valere ulteriori (e diversi) profili di danno derivanti dalla stessa causa, qualora sia intervenuta - come nella fattispecie - la pronuncia di una sentenza di merito, anche non passata in giudicato, nella sede civile”.
Nel caso di specie, conclude la Corte, la domanda avanzata dalla parte civile dinnanzi al giudice penale non si limita alla mera rivendicazione della liquidazione dei danni non richiesti avanti al giudice civile, ma contiene una richiesta di accertamento della responsabilità dell’imputato per il medesimo fatto, con evidente ingiustificata duplicazione delle richieste risarcitorie. Tale azione, alla luce degli elementi costitutivi del petitum e della causa petendi, non presenta dunque alcun elemento idoneo a distinguere la nuova domanda da quella originariamente proposta.
L’offerta di un assegno bancario non legittima il riconoscimento dell’attenuante della riparazione del danno
Con sentenza n. 37550/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha escluso che la mera offerta di un assegno bancario alla persona offesa prima dell’emissione dell’ordinanza di ammissione al rito speciale integri la circostanza attenuante della riparazione del danno di cui all’art. 62, comma 1, n. 6 cod. pen.
Come noto, premette la Corte, nel caso in cui il procedimento venga definito nelle forme del giudizio abbreviato il risarcimento del danno, necessario perché si configuri l’attenuante in esame, deve avere luogo prima della discussione. Uniformandosi all’orientamento giurisprudenziale dominante sul punto la Corte ritiene però non idoneo allo scopo lo strumento utilizzato dalla difesa dell’imputato, “giacché l’avvenuta riparazione del danno non può essere ravvisata nella mera offerta di un assegno bancario che, in quanto ‘datio pro solvendo’, manca del carattere della effettività ed è equiparabile piuttosto ad una mera promessa di ristoro”. Nella specie non risulta nemmeno che tale assegno sia stato incassato nei giorni precedenti l’ordinanza di ammissione al rito speciale.
Manca altresì, conclude la Corte, l’interesse del ricorrente a dolersi della sopra esposta esclusione: i giudici di merito, pur negando l’attenuante specifica, hanno infatti riconosciuto le circostanze attenuanti generiche in considerazione della volontà dell’imputato, espressa dalla consegna dell’assegno, di risarcire il danno, riducendo di fatto la pena nella misura massima che sarebbe stata consentita dall’eventuale riconoscimento dell’invocata attenuante.
Dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 2 d. lgs. n. 74/2000) – operazioni soggettivamente inesistenti
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 16768/2019, è tornata a pronunciarsi sull’esatto ambito applicativo della fattispecie criminosa di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti di cui all’art. 2 d. lgs. n. 74/2000. Nella specie veniva contestata all’imputato l’indicazione nelle dichiarazioni fiscali, attraverso fatture per operazioni inesistenti e con finalità di evasione delle imposte sui redditi, di elementi passivi fittizi quali i costi, mai sostenuti, per prestazioni di lavoro occasionale apparentemente svolte in suo favore da diversi soggetti. Di opposto avviso la difesa secondo cui le ricevute emesse erano relative a prestazioni realmente esistenti, sebbene riferite a terze persone, senza che venisse realizzata alcuna modifica del saldo delle poste passive finalizzata al conseguimento di un indebito vantaggio fiscale.
La Corte conferma in motivazione l’orientamento giurisprudenziale dominante sul punto secondo cui il reato in esame deve ritenersi integrato, con riferimento alle imposte dirette, per effetto della sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate in fattura (diversità totale o parziale tra costi indicati e costi sostenuti). Solamente con riguardo all’evasione dell’IVA rileva, al contrario, anche la cosiddetta inesistenza soggettiva che ricorre laddove vi sia diversità tra il soggetto che effettua la prestazione e quello indicato in fattura. Tale convincimento trova la propria ratio, spiega la Corte, nella rilevanza da attribuire ai fini IVA all’indicazione di un soggetto diverso “dal momento che la qualità del venditore può incidere sulla misura dell’aliquota e, conseguentemente, sull’entità dell’imposta che l’acquirente può legittimamente detrarre”.
Laddove, dunque, sia accertata l’inesistenza solo soggettiva dell’operazione va esclusa, con riguardo alle imposte dirette, la rilevanza penale della condotta ex art 2 d. lgs. n. 74/2000 per assenza di risparmi fiscali illeciti.
L’installazione da parte dell’investigatore privato di un GPS nell’autovettura altrui non integra il delitto di installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche ex art. 617 bis c.p.
Con sentenza n. 33499/2019 la quinta sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’esatto perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice di installazione di apparecchiature atte ad accertare o impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche di cui all’art. 617 bis cod. pen. Nella specie il titolare di un’agenzia investigativa, ingaggiato da una donna per accertare le frequentazioni del marito, veniva condannato ex art. 617 bis cod. pen. per aver incaricato un proprio collaboratore all’installazione di un GPS nell’autovettura del coniuge della stessa.
La Corte, chiamata a pronunciarsi sul punto, esclude che le condotte contestate integrino il delitto in esame, avallando una lettura restrittiva della norma volta alla tutela delle sole comunicazioni “a distanza”. L’installazione all’interno di un’automobile di una microspia atta ad intercettare esclusivamente le conversazioni intrattenute tra i soggetti all’interno della stessa non è infatti idonea “a comportare l’illecito inserimento in un canale di comunicazione riservato tra persone diverse, da cui l’agente sarebbe stato altrimenti escluso”.
Risulta al contrario integrata, conclude la Corte, la fattispecie criminosa di interferenza illecita nella vita privata altrui ex art. 615 bis cod. pen. procedibile esclusivamente a querela di parte.
Commercializzazione dei derivati della cannabis “light” – rilevanza penale ex art. 73 D.P.R. n. 309/1990
Le sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 30475/2019, si sono pronunciate sulla rilevanza penale o meno della commercializzazione della cannabis sativa L, detta cannabis light, con conseguente operatività rispettivamente del Testo Unico in materia di sostanze stupefacenti di cui al D.P.R. n. 309/1990 ovvero della legge n. 242/2016 che regola e promuove la coltivazione agroindustriale di determinate varietà di canapa.
All’orientamento decisamente maggioritario della giurisprudenza di legittimità, che afferma la penale rilevanza delle condotte sopra descritte, si contrappone diverso e minoritario indirizzo interpretativo che fa discendere dalla liceità della coltivazione della cannabis sativa L., ai sensi della legge n. 242/2016, la liceità anche della commercializzazione dei relativi derivati.
Le Sezioni Unite intendono dare seguito all’orientamento dominante sul punto valorizzando, a tal fine, la nozione legale di sostanza stupefacente. Secondo la tassativa elencazione contenuta nella tabella II di cui all’art. 14 T.U. stup. la coltivazione della cannabis e la commercializzazione dei prodotti da essa ottenuti rientrano, indipendentemente dalla percentuale di THC presente, nell’ambito operativo di cui all’art. 73 D.P.R. n. 309/1990, costituendo quindi attività illecite. Dalla coltivazione consentita di cui alla legge n. 242/2016 possono ricavarsi infatti solo i prodotti espressamente indicati dall’art. 2 della medesima normativa, tra cui non rientrano i derivati della cannabis in esame.
In ossequio al principio di offensività, prosegue la Corte, sarà poi il giudice di merito a valutare l’idoneità della sostanza a produrre, in concreto, un effetto drogante.
La collocazione della persona offesa in una struttura protetta non esclude l’applicabilità della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi dalla stessa frequentati
La terza sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 23472/2019, è stata chiamata a pronunciarsi sull’applicabilità della misura cautelare del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa di cui all’art. 282 ter cod. proc. pen. laddove quest’ultima risulti momentaneamente collocata insieme al figlio minore in una struttura protetta.
La Corte, al fine di dirimere la questione, analizza innanzitutto la ratio della misura in esame. Il divieto di avvicinamento di cui all’art. 282 ter cod. proc. pen. si riferisce infatti alla persona offesa in quanto tale, e non solo ai luoghi da essa frequentati, secondo la chiara voluntas legis di “privilegio della libertà di circolazione del soggetto passivo ovvero di priorità dell’esigenza di consentire alla persona offesa il completo svolgimento della propria vita sociale in condizioni di sicurezza anche laddove la condotta di persistenza persecutoria non sia legata a particolari ambiti locali”.
La circostanza dell’attuale e transitoria collocazione della persona offesa insieme al figlio minore in una struttura protetta non costituisce dunque di per sé limite ostativo all’applicazione della misura perché immanente anche in tale ipotesi l’esigenza cautelare volta a prevenire un’eventuale recidiva e, al contempo, la necessità di garantire alla p.o. l’esplicazione della propria vita sociale in condizioni di assoluta sicurezza a prescindere dal luogo in cui la stessa si trova.
Interesse della parte civile ad impugnare la decisione assolutoria emessa nei confronti dell’imputato con la formula “perché il fatto non costituisce reato” – rimessione alle Sezioni Unite
Con ordinanza n. 14080/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione: “se sussista l’interesse della parte civile ad impugnare la sentenza di assoluzione dell’imputato con la formula ‘perché il fatto non costituisce reato’”.
Nonostante il precedente arresto delle Sezioni Unite sul punto, con riconoscimento alla parte civile dell’interesse all’impugnazione, la Corte evidenzia la sussistenza nel panorama giurisprudenziale di un vivo dibattito non ancora sopito. Secondo un primo indirizzo interpretativo l’interesse ad impugnare della parte civile è necessariamente connesso al prodursi dell’effetto preclusivo del giudicato penale sui giudizi civili o amministrativi per le restituzioni o il risarcimento del danno, effetto limitato ex art. 652, comma 1 cod. proc. pen. all’accertamento che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato commesso nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima. Laddove la formula assolutoria sia “perché il fatto non costituisce reato” non è configurabile alcun interesse ad impugnare in capo alla parte civile, libera di perseguire la sua pretesa risarcitoria nelle sedi opportune, senza che tale sentenza abbia efficacia di giudicato nel giudizio civile di danno.
Di opposto avviso ulteriori pronunce della giurisprudenza di legittimità secondo cui sussiste l’interesse processuale della parte civile ad impugnare la decisione con cui l’imputato è stato prosciolto con la formula in esame anche quando questa manca di efficacia preclusiva al fine di ottenere l’affermazione della responsabilità per il fatto illecito e ciò perché “chi intraprende il giudizio civile dopo avere già ottenuto in sede penale il riconoscimento della responsabilità per fatto illecito della sua controparte si giova di tale posizione”.
Alle medesime conclusioni, ma con percorsi argomentativi differenti, perviene un ulteriore filone giurisprudenziale che, attraverso un’interpretazione analogica dell’art. 652 cod. proc. pen. e valorizzando il principio di unitarietà della giurisdizione, riconosce efficacia preclusiva anche alla sentenza di assoluzione emessa con la formula in esame “attesa l’identità di natura e intensità dell’elemento psicologico rilevante ai fini penali e a quelli civili”.
Dato atto del dibattito sul punto, il Collegio rimette quindi la questione alle Sezioni Unite.
“Codice rosso” – d.d.l. 17 luglio 2019
Si segnala l’approvazione da parte del Senato della Repubblica del d.d.l. n. 1200 recante “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”.
Si riportano di seguito le principali novità:
- introduzione di nuove fattispecie criminose: artt. 387 bis cod. pen. (Violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa); 558 bis cod. pen. (Costrizione o induzione al matrimonio); 612 ter cod. pen. (Diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti – c.d. revenge porn); 583 quinquies cod. pen. (Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso);
- inasprimento del trattamento sanzionatorio di molteplici reati tra cui: maltrattamenti contro familiari e conviventi (pena base da tre a sette anni e previsione di un’aggravante se il fatto è commesso in presenza o in danno di persona minore, di donna in stato di gravidanza o di persona con disabilità), atti persecutori (pena base da un anno a sei anni e sei mesi), reati sessuali (violenza sessuale: pena base da sei a dodici anni e aumento delle aggravanti di cui all’art. 609 ter cod. pen. se il fatto è commesso in danno minore di anni diciotto, quattordici, dieci – atti sessuali con minorenne: aumento della pena se il fatto è commesso con minore infraquattordicenne in cambio di denaro o altra utilità, anche solo promessi – violenza sessuale di gruppo: pena base da otto a quattordici anni);
- estensione della comunicabilità della notizia del reato in forma orale al pubblico ministero da parte della polizia giudiziaria ex art. 347 comma 3 cod. proc. pen., laddove sussistano ragioni di urgenza, ai delitti di maltrattamenti in famiglia, reati sessuali, atti persecutori, diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, nonché lesioni e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso nelle ipotesi aggravate ai sensi degli artt. 576, comma primo, n. 2, 5, 5.1 e 577, comma primo, n. 1 e comma secondo cod. pen.;
- introduzione del comma 1 ter, art. 362 cod. proc. pen. in tema di assunzione di informazioni dalla persona offesa da parte del pubblico ministero: “Quando si procede per i delitti previsti dagli articoli 572, 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609-quinquies, 609-octies e 612-bis del codice penale, ovvero dagli articoli 582 e 583-quinquies del codice penale nelle ipotesi aggravate ai sensi degli articoli 576, primo comma, numeri 2, 5 e 5.1, e 577, primo comma, numero 1, e secondo comma, del medesimo codice, il pubblico ministero assume informazioni dalla persona offesa e da chi ha presentato denuncia, querela o istanza, entro il termine di tre giorni dall’iscrizione della notizia di reato, salvo che sussistano imprescindibili esigenze di tutela di minori di anni diciotto o della riservatezza delle indagini, anche nell’interesse della persona offesa”.
Voto di scambio politico-mafioso – riforma dell’art. 416 ter c.p.
Si segnala l’intervenuta modifica dell’art. 416 ter cod. pen. (scambio elettorale politico-mafioso) apportata con legge n. 43/2019, entrata in vigore in data 11 giugno 2019.
Questa la nuova disposizione: “Chiunque accetta, direttamente o a mezzo di intermediari, la promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416-bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416-bis in cambio dell’erogazione o della promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità o in cambio della disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa è punito con la pena stabilita nel primo comma dell’articolo 416-bis.
La stessa pena si applica a chi promette, direttamente o a mezzo di intermediari, di procurare voti nei casi di cui al primo comma.
Se colui che ha accettato la promessa di voti, a seguito dell’accordo di cui al primo comma, è risultato eletto nella relativa consultazione elettorale, si applica la pena prevista dal primo comma dell’art. 416-bis aumentata della metà.
In caso di condanna per i reati di cui al presente articolo, consegue sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici”.
Di seguito le principali novità:
- estensione dell’ambito soggettivo con punizione quali soggetti attivi anche degli intermediari tanto del promissario che del promittente i voti;
- identificazione del promittente i voti quale soggetto appartenente alle associazioni di cui all’art. 416 bis cod. pen. o che realizzi la condotta tramite le modalità di cui al terzo comma dell’art. 416 bis cod. pen. (in particolare avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva);
- ampliamento delle modalità realizzative della fattispecie da parte del politico-promissario non solo tramite l’erogazione o la promessa di erogazione di denaro o di qualunque altra utilità, ma anche attraverso la disponibilità a soddisfare gli interessi o le esigenze dell’associazione mafiosa;
- aumento della pena base (reclusione da dieci a quindici anni);
- nuova aggravante ad effetto speciale: aumento della metà della pena di cui all’art. 416 bis cod. pen. laddove colui che abbia accettato la promessa di voti a seguito dell’accordo sia risultato eletto nella relativa consultazione elettorale;
- applicazione in caso di condanna della pena accessoria dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Autoriciclaggio e reati di falso nell’ambito della voluntary disclosure – necessità che dal falso derivi un provento
Con sentenza n. 14101/2019 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione relativa ai rapporti tra il reato di autoriciclaggio e il delitto di falso quale reato presupposto. Nella specie all’imputato veniva contestato il reato di falso di cui all’art. 5 septies d.l. n. 167/1990 perché, nell’ambito della procedura di collaborazione volontaria di cui al predetto decreto, forniva dati e notizie false all’interno della relazione di accompagnamento alla domanda di adesione alla procedura.
La Corte, al fine di dirimere la questione, si sofferma innanzitutto sull’analisi degli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 648 ter.1 cod. pen. sottolineando la necessità, perché il delitto di autoriciclaggio si configuri, che dalla commissione del reato presupposto l’agente consegua un provento di natura economica (denaro, beni, altra utilità), tanto nella forma dell’incremento che del risparmio, poi oggetto di attività di reimpiego volta alla non identificazione della provenienza illecita dello stesso.
I reati di falso possono dunque costituire reati presupposto del delitto in esame solo nelle ipotesi in cui dal falso derivi al soggetto agente, quale effetto diretto, un provento di natura patrimoniale idoneo ad essere riciclato. Nella vicenda in esame, spiega la Corte, tale provento non è riscontrabile: i beni oggetto della falsa dichiarazione (nella specie opere d’arte) facevano già parte del patrimonio dell’imputato ed erano già stati dichiarati nell’ambito della voluntary disclosure, consistendo quindi il falso unicamente nella comunicazione della presenza delle opere all’estero, quando invece erano nella disponibilità in Italia. Tale falso, spiega la Corte, non può dunque avere generato come provento quegli stessi beni già presenti nel patrimonio del ricorrente e già dichiarati. Neppure si può affermare che il provento possa essere costituito dalla regolarizzazione delle opere d’arte dichiarate “perché, paradossalmente, la ‘denuncia’ di quei beni occultati ha consentito all’Amministrazione Finanziaria di venirne comunque a conoscenza e, quindi, in caso di non ammissibilità della richiesta di ammissione alla procedura di Collaborazione volontaria, di tenerne conto ai fini del ricalcolo delle imposte, interessi e sanzioni”.
Bancarotta fraudolenta – pene accessorie di durata non fissa – criterio di commisurazione di cui all’art. 133 c.p.
Con sentenza n. 28910/2019 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla seguente questione: se le pene accessorie previste per il reato di bancarotta fraudolenta di cui all’art. 216, ultimo comma, l. fall., come riformulato a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale n. 222/2018 Corte cost., debbano considerarsi pene con durata non predeterminata da commisurare in base al criterio di cui all’art. 37 c.p., che ancora la durata della pena accessoria all’entità della pena principale, ovvero se la loro durata debba considerarsi predeterminata entro la forbice data, con rideterminazione da parte del giudice di merito secondo i parametri di cui all’art. 133 c.p.
Le Sezioni Unite, in linea con quanto affermato dalla Consulta nella pronuncia sopra richiamata, intendono avallare l’indirizzo interpretativo che demanda al giudice di merito la determinazione in concreto dell’entità della pena secondo i parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
Tale lettura risulta innanzitutto coerente con la qualificazione in termini di residualità della previsione di cui all’art. 37 c.p., “cui fare ricorso ne casi in cui la legge in astratto sia priva di qualsiasi indicazione sul profilo temporale”. Tutto ciò in aderenza peraltro con i più recenti arresti della stessa Consulta in tema di trattamento sanzionatorio, attenta a bandire forme di automatismo sanzionatorio contrarie ai principi di individualizzazione della pena e di finalismo rieducativo. L’applicazione di un sistema rigido di determinazione del trattamento punitivo non trova inoltre giustificazione, prosegue la Corte, laddove si valorizzi la funzione delle pene accessorie, più marcatamente orientate, come sostenuto dalla dottrina maggioritaria, ai fini di prevenzione speciale, oltre che di rieducazione personale. La piena realizzazione in particolare del finalismo preventivo, cui sono preordinate le pene complementari, richiede quindi una loro modulazione individualizzata in virtù del reale disvalore del fatto e della personalità del reo, da realizzarsi, nell’ambito della cornice edittale prevista, attraverso la determinazione delle stesse caso per caso ad opera del giudice di merito sulla base di valutazioni discrezionali e attraverso i criteri di cui all’art. 133 cod. pen.
Ammissibilità della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria anche all’imputato in condizioni economiche disagiate
Con sentenza n. 29893/2019 la sesta sezione penale della Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sull’ammissibilità della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria anche in caso di condanna inflitta a persona in condizioni economiche disagiate.
La Corte, nel solco di precedenti pronunce sul punto, torna ad affermare che la prognosi di inadempimento, ostativa alla predetta sostituzione ai sensi dell’art. 58, comma 2, l. n. 689/1981, si riferisce soltanto alle pene sostitutive di pene detentive accompagnate da prescrizioni, quali la semidetenzione e la libertà controllata, e non anche alle pene pecuniarie sostitutive in quanto prive di particolari prescrizioni, per le quali, dunque, tale limite non opera.
Il giudice, nell’esercizio valutativo discrezionale di sostituzione, dovrà tener conto dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen., tra i quali si annoverano le condizioni di vita individuale, familiare e sociale dell’imputato, senza che la norma faccia riferimento alcuno alle condizioni economiche del soggetto.
Responsabilità degli enti – documento di mappatura dei rischi
Con sentenza n. 18842/2019 la terza sezione penale della Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sui presupposti applicativi della cosiddetta colpa di organizzazione dell’ente.
Nella specie, il Giudice di primo grado condannava la società al pagamento della sanzione pecuniaria di cui all’art. 25 undecies, comma 2, lett. f) d. lgs. n. 231/2001 per il reato ambientale di cui all’art. 260, comma 1 d. lgs. n. 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti) ascritto agli amministratori e ai dipendenti dell’ente i quali, nell’interesse o a vantaggio di quest’ultimo, gestivano abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti, provvedendo al relativo smaltimento in discariche abusive o in altri luoghi non autorizzati.
La Suprema Corte conferma la responsabilità della società in ordine agli illeciti amministrativi contestati. Richiamando quanto affermato dalle Sezioni Unite nella nota sentenza Thyssenkrupp n. 38343/2014, la Corte ribadisce, nelle ipotesi di reato commesso da soggetti in posizione apicale, l’onere gravante sull’ente di dimostrare l’adozione e l’efficace attuazione, prima della commissione del reato, di modelli di organizzazione e gestione adeguati alla prevenzione dei reati previsti tra quelli idonei a fondare la responsabilità della persona giuridica. Tali misure preventive devono inoltre trovare compiuta previsione in un apposito documento “che individua i rischi e delinea misure atte a contrastarli”.
Nella vicenda in esame, conclude la Corte, non è stata fornita da parte della società alcuna prova liberatoria sul punto.
Installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telefoniche (art. 617 bis c.p.) – configurabilità della fattispecie in caso di installazione del programma c.d. spy-software
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 15071/2019, si è pronunciata sulla sussumibilità nella fattispecie di cui all’art. 617 bis cod. pen. (installazione di apparecchiature atte ad intercettare od impedire comunicazioni o conversazioni telegrafiche o telefoniche) della condotta di installare all’interno dell’altrui telefono cellulare un programma c.d. spy-software idoneo a intercettare le comunicazioni telefoniche (condotta nella specie commessa in pregiudizio del coniuge).
Confermando il precedente orientamento espresso sul punto dalle Sezioni Unite, la Corte ribadisce la necessità di pervenire ad un’interpretazione estensiva della previsione normativa, in linea con l’evoluzione tecnologica attuale, con conseguente inclusione tra gli “apparati, strumenti, parti di apparati o di strumenti” dei programmi informatici che consentono di captare il traffico dati in arrivo e in uscita dal dispositivo, comprese le conversazioni telefoniche (spy-software).
Delineato il perimetro applicativo della fattispecie incriminatrice in esame, la Corte di Cassazione ne chiarisce la natura di reato di pericolo, con punizione di fatti prodromici all’effettiva lesione dei beni giuridici riservatezza e libertà delle comunicazioni. Il momento consumativo del reato coincide pertanto con la mera installazione del software, costituendo un post factum la successiva intercettazione e l’impedimento delle altrui comunicazioni, da identificare come fine della condotta. Il reato, sottolinea la Corte, si consuma dunque anche se gli apparecchi installati non abbiano in concreto funzionato o non siano stati attivati. Anche l’eventuale consenso all’intrusione da parte del detentore del telefono cellulare risulta privo di rilievo perché si riferisce ad una circostanza, la captazione delle comunicazioni telefoniche, successiva al momento consumativo del reato, coincidente con l’installazione del software.
Il reato di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici (art. 615 quater c.p.) deve ritenersi assorbito dal più grave delitto di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter c.p.)
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21987/2019, si è pronunciata sui rapporti tra il reato di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico (art. 615 ter cod. pen.) e quello di detenzione e diffusione abusiva dei codici di accesso ai medesimi sistemi (art. 615 quater cod. pen.).
La Corte analizza innanzitutto il bene giuridico protetto dalle fattispecie in esame: entrambe, seppur con varianti di intensità differenti, sono poste a tutela del cosiddetto domicilio informatico. Se l’art. 615 quater cod. pen. fornisce protezione limitatamente alla riservatezza informatica del soggetto, al fine di rafforzare la tutela e la segretezza dei dati e dei programmi contenuti in un elaboratore, il delitto di accesso si riferisce al bene giuridico domicilio informatico nell’accezione ampia fornita dalla giurisprudenza, in ossequio alla Raccomandazione sul tema del Consiglio d’Europa, quale “spazio ideale di esclusiva pertinenza di una persona fisica o giuridica”.
Le condotte previste e punite dal reato di detenzione e diffusione abusiva di codici di accesso a sistemi informatici o telematici, prosegue la Corte, costituiscono dunque antefatto non punibile nonché strumento ordinario di realizzazione della fattispecie più grave di accesso abusivo a sistema informatico di cui all’art. 615 ter cod. pen. Si delinea pertanto una tipica ipotesi di concorso apparente di norme, con assorbimento del delitto di detenzione e diffusione di codici di accesso di cui all’art. 615 quater cod. pen. nel più grave reato di accesso abusivo a sistema informatico o telematico ex art. 615 ter cod. pen. (sempre che quest’ultimo sia contestato, procedibile ed integrato nel medesimo spazio temporale in cui si è consumato l’antefatto e in danno della medesima vittima).
Truffa – attività ingannatoria sui sentimenti
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 25165/2019, è stata chiamata a pronunciarsi sulla configurabilità del reato di truffa nelle ipotesi di menzogna sui propri sentimenti amorosi, quale artificio o raggiro rilevante ai fini dell’integrazione del delitto di cui all’art. 640 cod. pen.
Nella specie si contestava all’imputato di avere indotto in errore la persona offesa, con artifizi e raggiri consistiti nell’avviare una relazione sentimentale con la stessa, nel proporle l’acquisto in comproprietà di un appartamento, nel richiederle prestiti nonché la cointestazione di quote societarie, facendosi consegnare ingenti somme di denaro al fine di procurarsi un ingiusto profitto. La Corte d’Appello, in linea con le conclusioni del Tribunale, affermava la penale responsabilità dell’imputato: la condotta era infatti consistita non solo nel simulare sentimenti d’amore, ma nel coordinare tale menzogna con ulteriori elementi, quali il progetto di vita insieme e un investimento societario, idonei a trarre in errore la persona offesa.
La Corte di Cassazione sposa l’assunto dei giudici di merito. Ciò che rileva ai fini dell’individuazione della condotta truffaldina non è l’inganno in sé sui sentimenti dell’agente per la vittima, ma l’illiceità di comportamenti che, sfruttando la situazione di debolezza della persona offesa coinvolta nella relazione sentimentale, ne hanno determinato l’erroneo convincimento e la conseguente disposizione patrimoniale. L’idoneità dell’artificio o raggiro deve essere inoltre valutata in concreto, con riferimento diretto alla particolare situazione in cui è avvenuto il fatto e alle modalità esecutive dello stesso, al fine di accertare il nesso causale tra tali artifizi e l’altrui induzione in errore.
Nel caso di specie, conclude la Corte, la menzogna dell’imputato sui sentimenti provati e sul proposito di vita in comune determinano nella vittima l’erroneo convincimento sulla realizzazione di tale progetto, circostanza su cui si innesta quindi l’atto di disposizione patrimoniale frutto di quell’errore.
Reato concorrente: nuove contestazioni dibattimentali e patteggiamento - illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p.
La Corte costituzionale, con sentenza n. 82/2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 cod. proc. pen. “nella parte in cui non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento l’applicazione della pena, a norma dell’art. 444 cod. proc. pen., relativamente al reato concorrente emerso nel corso del dibattimento e che forma oggetto di nuova contestazione”.
La questione relativa ai rapporti tra nuove contestazioni dibattimentali e accesso ai riti alternativi, spiega la Corte, è stato oggetto nel tempo di molteplici arresti della Consulta sin dal varo del codice di rito, per l’evidente frizione della disciplina codicistica con il diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost. La preclusione all’accesso dei riti alternativi nelle ipotesi di mutatio libelli determina infatti un’indebita compromissione del diritto di difesa là dove la facoltà di scelta di procedimenti alternativi al dibattimento costituisce una delle modalità operative più significative dell’esercizio del diritto di cui all’art. 24 Cost. Si riscontrerebbe inoltre una violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. qualora nella medesima situazione processuale vi fosse disparità di trattamento tra colui al quale sono immediatamente contestati tutti gli addebiti e la differente ipotesi di nuove contestazioni dibattimentali.
La Corte, nel dichiarare pertanto l’illegittimità costituzionale della norma per le medesime esigenze di tutela del diritto di difesa, ne estende l’ambito operativo, oltre alle c.d. contestazioni patologiche aventi ad oggetto cognizioni già disponibili nella fase investigativa, ma sollevate tardivamente, alle contestazioni fisiologiche conseguenti alle nuove risultanze dell’istruzione dibattimentale. Tutto ciò in linea, conclude la Corte, con la pronuncia della Consulta n. 237/2012 con cui si era già consentito all’imputato, in caso di contestazione fisiologica di un reato connesso, l’accesso al rito abbreviato.
Millantato credito – continuità normativa tra la fattispecie abrogata e il “nuovo” reato di traffico di influenze illecite
La sesta sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 17980/2019, si è pronunciata sui rapporti tra la fattispecie di millantato credito di cui all’art. 346 cod. pen., norma abrogata dalla legge n. 3/2019, e la fattispecie di traffico di influenze illecite di cui all’art. 346 bis cod. pen. Tale ultima disposizione è stata infatti oggetto di modifica da parte della medesima riforma legislativa che ne ha ampliato l’ambito operativo alle condotte già sanzionate sotto forma di millantato credito dal previgente art. 346 cod. pen.
La Corte conclude per la continuità normativa tra la fattispecie di cui al previgente art. 346 cod. pen. e quella di cui all’art. 346 bis cod. pen. in relazione alla condotta di chi, vantando un’influenza asserita presso un pubblico ufficiale o incaricato di pubblico servizio, si faccia dare denaro o altre utilità come prezzo della propria mediazione. La fattispecie di traffico di influenze illecite, come novellata dalla modifica legislativa, punisce infatti la condotta del soggetto che si sia fatto dare o promettere da un privato vantaggi personali vantando un’influenza effettiva o anche solo meramente asserita presso un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio. Vi è piena equipollenza semantica, spiega la Corte, tra le espressioni “sfruttando o vantando relazioni asserite” di cui alla novella e quella di “millantato credito” della previgente disposizione. È parimenti sovrapponibile la condotta principale di ricezione o di promessa di denaro o altra utilità.
Ai sensi del disposto di cui all’art. 2 comma 4 cod. pen., conclude la Corte, l’imputato andrà quindi giudicato in base al trattamento più favorevole succedutosi nel tempo, da individuare nella disposizione riformata di cui all’art. 346 bis cod. pen., anche nell’ipotesi in cui la pena inflitta con la legge previgente rientri nella nuova cornice edittale, in omaggio a esigenze di proporzionalità e finalismo rieducativo della pena.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare – l’incapacità economica deve essere assoluta
Con riferimento al delitto di violazione degli obblighi di assistenza familiare di cui all’art. 570 cod. pen. la sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9430/2019, ha ribadito la necessità che l’incapacità economica dell’obbligato, che si traduca dunque in impossibilità di far fronte agli adempimenti, sia assoluta, concretizzandosi in una “situazione di persistente, oggettiva ed incolpevole indisponibilità di introiti”. Anche l’inadempimento parziale degli obblighi integra inoltre la fattispecie delittuosa in esame laddove ne consegua un’incapacità dei destinatari di far fronte alle esigenze fondamentali di vita.
Nella specie l’obbligato, nel periodo in contestazione, continuava a svolgere la sua attività lavorativa e risultava nella disponibilità di beni immobili e mobili registrati. Nonostante ciò ometteva talora di versare quanto dovuto o riduceva discrezionalmente l’entità del versamento senza chiedere all’autorità giudiziaria alcuna riduzione della somma stabilita nella sentenza di separazione.
Riabilitazione speciale del minore – potere del Tribunale di differire la decisione ad un tempo successivo
Con sentenza n. 9425/2019 la prima sezione penale della Corte di Cassazione si pronuncia in tema di riabilitazione speciale del minore (art. 24 r.d.l. n. 1040/1934), istituto che determina la cessazione delle pene accessorie e degli altri effetti previsti da leggi e regolamenti penali, civili e amministrativi per i fatti commessi dai minori degli anni diciotto, nelle ipotesi in cui gli stessi non siano sottoposti a esecuzione di pena o misura di sicurezza. Qualora il Tribunale ritenga che il minore sia completamente emendato e dunque degno di essere ammesso alle diverse attività della vita sociale ne deve infatti dichiarare la riabilitazione.
Ciò che il Collegio valorizza nella sentenza in esame è il potere che la legge conferisce al Tribunale, laddove in un primo momento appaia insufficiente la prova dell’emenda, di rinviare l’indagine a un tempo successivo, ma non oltre il venticinquesimo anno del minore, termine entro cui deve parimenti pervenire l’istanza da parte dell’interessato. Tale previsione evidenzia il particolare favor legislativo nei confronti dell’istituto in esame, volto alla riammissione dei minori autori del fatto alle attività di vita ordinarie, “tenuto conto dei concreti bisogni dei medesimi con particolare riguardo allo specifico percorso rieducativo e di recupero sociale di cui gli stessi necessitano in ragione della giovane età”.
È dunque conferito al Tribunale un potere-dovere di differimento, che consenta allo stesso di addivenire ad una decisione che si basi su un esaustivo patrimonio conoscitivo. Trattasi quindi di potere discrezionale, con conseguente necessario onere motivazionale. Proprio tale onere risulta del tutto omesso, spiega la Corte, nel caso di specie, là dove la decisione impugnata si traduce in un drastico diniego senza dare spazio a nuove e più approfondite valutazioni all’esito di un ulteriore periodo di osservazione.
Omesso versamento di IVA e di ritenute dovute o certificate – insussistenza del reato per mancanza dell’elemento soggettivo in caso di accertato stato di crisi dell’impresa
Con sentenza n. 1342/2019 il Tribunale di Milano, sez. III penale, ha fatto propri i principi espressi dalla Suprema Corte in tema di insussistenza dell’elemento psicologico del reato di omesso versamento di Iva e di ritenute nel caso di crisi di impresa.
In particolare, il Giudice ha segnalato come ai fini dell’accertamento del dolo generico occorra rilevare l’effettiva e concreta possibilità dell’imprenditore di far fronte agli obblighi di pagamento nei termini di legge in quanto proprio tale possibilità, nel caso degli omessi pagamenti, rappresenterebbe il presupposto della volontà del soggetto obbligato di non effettuare il versamento dovuto.
Pertanto, nel caso di omesso versamento dovuto a crisi di liquidità cagionata esclusivamente da fattori non imputabili all’imprenditore – quali il mancato adempimento da parte di un debitore terzo – deve ritenersi insussistente l’elemento soggettivo del reato.
Nella fattispecie esaminata, il Tribunale ha pronunciato sentenza di assoluzione nei confronti del legale rappresentante dell’impresa fondando la propria decisione sul riconoscimento di un grave stato di crisi derivato dal mancato pagamento di fatture per un importo complessivo di ingente entità. Proprio tale stato di crisi, infatti, avrebbe indotto la società a presentare domanda di concordato preventivo, con il conseguente blocco del pagamento delle fatture arretrate, e avrebbe determinato l’oggettiva impossibilità di effettuare i versamenti dovuti per legge.
Legittima difesa domiciliare – disegno di legge 28 marzo 2019
Si segnala l’approvazione da parte del Senato del disegno di legge recante “Modifiche al codice penale e altre disposizioni in materia di legittima difesa”. La ratio sottesa all’intervento legislativo è duplice: inasprire il trattamento sanzionatorio per i reati di violazione di domicilio, furto in abitazione e rapina e al contempo estendere l’ambito operativo della legittima difesa domiciliare nell’ottica di una tutela rafforzata della vittima. Non possono sottacersi in tale sede le perplessità verso una riforma che sembra conferire rilievo assoluto e primario all’autotutela privata, con elisione di quello spazio di discrezionalità interpretativa necessario per garantire l’equità e la giustizia del procedimento.
In attesa di conoscere le prime interpretazioni giurisprudenziali della novella, si riportano di seguito le principali novità:
- inasprimento sanzionatorio delle fattispecie di cui agli artt. 614 (violazione di domicilio), 624 bis (furto in abitazione) e 628 (rapina) cod. pen.;
- modifica dell’art. 52, comma 2 cod. pen.: dopo la parola “sussiste” è stato aggiunto l’avverbio “sempre”, con conseguente rafforzamento operativo della presunzione di proporzione tra difesa e offesa nella legittima difesa domiciliare;
- nuovo comma 4, art. 52 cod. pen.: “Nei casi di cui al secondo e terzo comma agisce sempre in stato di legittima difesa colui che compie un atto per respingere l’intrusione posta in essere, con violenza o minaccia di uso di armi o di altri mezzi di coazione fisica, da parte di una o più persone”. Si introduce per i casi di legittima difesa domiciliare di cui ai commi 2 e 3, art. 52 cod. pen. una presunzione generale di legittima difesa, che abbraccia tutti i requisiti normativi richiesti per l’operare della scriminante (proporzionalità tra difesa e offesa, attualità del pericolo, necessità di difesa). La norma richiede esplicitamente il carattere violento della violazione domiciliare;
- nuovo comma 2, art. 55 cod. pen. (in tema di eccesso colposo nella scriminante): “Nei casi di cui ai commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 52, la punibilità è esclusa se chi ha commesso il fatto per la salvaguardia della propria o altrui incolumità ha agito nelle condizioni di cui all’articolo 61, primo comma, numero 5), ovvero in stato di grave turbamento, derivante dalla situazione di pericolo in atto”;
- adeguamento dell’art. 2044 cod. civ. con inserimento dei commi 2 e 3: la novella esclude la responsabilità civile nelle ipotesi di legittima difesa domiciliare di cui all’art. 52 commi 2 e 4 cod. pen. e prevede un’indennità a favore del danneggiato nella diversa ipotesi di eccesso colposo ex art. 55 comma 2 cod. pen.
Giudizio abbreviato: inapplicabilità per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo – disegno di legge 2 aprile 2019
Si segnala che in data 2 aprile 2019 il Senato della Repubblica ha approvato il disegno di legge in tema di giudizio abbreviato e delitti puniti con la pena dell’ergastolo, escludendo l’applicabilità per questi ultimi del rito in esame. Le nuove disposizioni si applicano ai fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della legge.
Di seguito le disposizioni normative interessate dalla riforma:
- all’art. 438 cod. proc. pen. è stato aggiunto il comma 1 bis a norma del quale “non è ammesso il giudizio abbreviato per i delitti puniti con la pena dell’ergastolo” nonché il comma 6 ter che consente al giudice, qualora la richiesta di giudizio abbreviato proposta nell’udienza preliminare sia stata dichiarata inammissibile ai sensi del comma 1 bis, di applicare la riduzione della pena di cui all’art. 442, comma 2 laddove all’esito del dibattimento ritenga che per il fatto sia ammissibile tale rito. È stato infine modificato il sesto comma, ammettendosi, in caso di dichiarazione di inammissibilità ai sensi del comma 1 bis, la riproposizione della richiesta fino a che non siano formulate le conclusioni in sede di udienza preliminare;
- all’art. 441 bis cod. proc. pen. è inserito il comma 1 bis “Se, a seguito delle contestazioni, si procede per delitti puniti con la pena dell’ergastolo, il giudice revoca, anche d’ufficio, l’ordinanza con cui era stato disposto il giudizio abbreviato e fissa l’udienza preliminare o la sua eventuale prosecuzione. Si applica il comma 4”;
- all’art. 429 cod. proc. pen. è stato aggiunto il comma 2 bis: “Se si procede per delitto punito con la pena dell’ergastolo e il giudice dà al fatto una definizione giuridica diversa da quella enunciata nell’imputazione, tale da rendere ammissibile il giudizio abbreviato, il decreto che dispone il giudizio contiene anche l’avviso che l’imputato può chiedere il giudizio abbreviato entro quindici giorni dalla lettura del provvedimento o dalla sua notificazione. Si applicano le disposizioni dell’art. 458”.
Autoriciclaggio – gioco d’azzardo e scommesse quali “attività speculative”
La seconda sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 13795/2019, si è pronunciata sull’esatta perimetrazione dell’espressione “attività speculativa” contenuta nell’art. 648 ter.1 cod. pen., al fine di chiarire se vi possa rientrare l’attività di gioco e scommessa.
Se il giudice di prime cure opina in senso negativo, in quanto attività di per sé aleatoria e ingovernabile volta al mero godimento personale del denaro, come tale non punibile ai sensi dell’art. 648 ter.1, comma 4, cod. pen., il Collegio perviene ad opposte conclusioni. Al fine di dirimere la questione occorre comprendere, spiega la Corte, l’effettivo significato letterale dell’espressione “attività speculativa” che, in quanto vocabolo polisenso, risulta declinabile in diverse accezioni, senza che lo stesso possa ritenersi confinato all’ambito della speculazione finanziaria e borsistica. L’utilizzo del termine in settori eterogenei tra loro (speculazione immobiliare, edilizia, finanziaria) conferma infatti l’intenzione legislativa di fare riferimento più che a una specifica attività ad una categoria generica comprensiva di differenti e molteplici modalità attuative. Non sono pochi inoltre i casi in cui tale espressione risulta utilizzata proprio quale sinonimo del termine “gioco d’azzardo”. Il concetto di alea che caratterizza il gioco d’azzardo e la scommessa non risulta infatti del tutto incompatibile con quello di rischio calcolabile, tipico secondo il Giudice di primo grado della speculazione in senso stretto, come dimostrano le moderne teorie sul calcolo delle probabilità. Così come esistono forme di gioco o scommessa in grado di controllare l’esito della vincita, con conseguente azzeramento del rischio di perdita del capitale.
A conferma dell’assunto si pone anche l’interpretazione teleologica, volta a indagare le ragioni legislative sottese all’incriminazione dell’autoriciclaggio, da rinvenire nella necessità di punizione di “qualsiasi forma di re-immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa all’interno del circuito economico legale”. Non può negarsi, spiega la Corte, che tale pericolo sia insito anche nell’attività di gioco e scommesse, tanto in caso di vincita che di perdita.
Responsabilità degli enti e non punibilità per particolare tenuità del fatto
Con sentenza n. 11518/2019 la terza sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sull’applicabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis cod. pen. alle ipotesi di responsabilità degli enti di cui al d. lgs. n. 231/2001. Il Collegio, ribadendo l’orientamento giurisprudenziale dominante sul punto, bandisce innanzitutto qualsiasi forma di automatismo tra la responsabilità dell’autore del reato presupposto e quella della persona giuridica nel cui interesse o vantaggio il reato è stato commesso. Qualora il soggetto agente risulti non punibile per particolare tenuità del fatto si dovrà dunque procedere all’accertamento in concreto della responsabilità della persona giuridica. A conferma di tale convincimento occorre richiamare, spiega la Corte, l’art. 8 d. lgs. n. 231/2001 che afferma la sussistenza della responsabilità dell’ente anche quando l’autore del reato non sia stato identificato, o non sia imputabile, nonché quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.
Anche volendo avallare l’interpretazione opposta dell’art. 8 d. lgs. n. 231/2001, che esclude la responsabilità dell’ente in ragione della mancata inclusione nella norma delle cause di non punibilità tra le cause che ne lasciano sussistere la responsabilità, la Corte si interroga sull’applicabilità in concreto dell’art. 131 bis cod. pen. alle ipotesi di responsabilità degli enti. Un primo profilo di criticità è posto innanzitutto dalla natura giuridica stessa della responsabilità dell’ente, quale tertium genus, connubio di elementi tipici del sistema penale e amministrativo. Ai fini dell’operatività della causa di non punibilità la norma richiama inoltre alcuni indici criteri e requisiti che valorizzano l’accertamento di aspetti intrinsecamente soggettivi, quali il comportamento abituale e le modalità della condotta, volti ad accertare la concreta manifestazione del reato. Interpretazioni contrarie, favorevoli all’applicabilità dell’istituto, sembrano quindi prescindere dall’effettivo ambito di operatività della disposizione normativa.
La Corte conclude nel senso che “l’eventuale declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto nei confronti dell’autore del reato presupposto non incide sulla contestazione formulata nei confronti dell’ente, né ad esso può applicarsi la predetta causa di non punibilità”.
Reati contro la p.a. – la sentenza di patteggiamento preclude la riparazione pecuniaria ex art. 322 quater c.p.
La sesta sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 12541/2019, si è pronunciata sull’applicabilità con sentenza di patteggiamento della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322 quater cod. pen., prevista dal legislatore a favore della pubblica amministrazione lesa dalla condotta del pubblico ufficiale.
Il Collegio, premessa la natura giuridica punitiva della riparazione in esame quale sanzione civile accessoria, ne esclude in tale ipotesi l’operatività valorizzando il dato testuale della norma, contenente esplicito riferimento esclusivamente alla sentenza di condanna. Non può negarsi, spiega la Corte, la voluntas legis di considerare eterogenea la pronuncia di condanna alla sentenza di patteggiamento ai fini delle ulteriori conseguenze penali derivanti dal reato. Ciò trova conferma in quelle disposizioni normative che prevedono espressamente pene accessorie ed effetti penali quali conseguenze non solo di pronunce di condanna, ma anche di sentenze di applicazione della pena su richiesta delle parti. A titolo esemplificativo si ricordano l’art. 322 ter cod. pen. in tema di confisca obbligatoria a seguito di reati del pubblico ufficiale contro la p.a. e l’art. 609 nonies cod. pen. sulle pene accessorie per i delitti di violenza sessuale.
La Corte conclude quindi enunciando il seguente principio di diritto: “in tema di reati contro la pubblica amministrazione il patteggiamento di una pena detentiva anche nella forma c.d. allargata preclude l’applicazione della riparazione pecuniaria di cui all’art. 322 quater cod. pen. presupponendo essa la pronuncia di una sentenza di condanna propriamente detta cioè resa a seguito di rito ordinario o abbreviato”.
Cogliamo l’occasione per augurarVi una Buona Pasqua!
D. lgs. n. 14/2019 – Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 38 del 14 febbraio 2019) del d. lgs. n. 14/2019 recante il nuovo Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza, in attuazione della legge n. 155/2017, la cui entrata in vigore è differita al 15 agosto 2020 (salve le disposizioni di cui agli artt. 27, comma 1, 350, 356, 357, 359, 363, 364, 366, 375, 377, 378, 379, 385, 386, 387, 388, in vigore dal 16 marzo 2019). Due le principali ragioni poste a fondamento della riforma delle procedure concorsuali: consentire una tempestiva emersione dello stato di crisi delle imprese e favorirne la continuità aziendale. A tal fine vengono introdotte procedure di allerta e di composizione assistita della crisi, si privilegiano forme di gestione alternative all’esecuzione giudiziale e si riducono durata e costi delle procedure concorsuali.
Con riferimento ai profili penalistici si evidenziano le seguenti novità:
- la disciplina della bancarotta e degli altri reati fallimentari trova nuova collocazione negli artt. 322 e ss. del Codice (Titolo IX, Capo I – V). Con riferimento ai reati commessi dal fallito, rectius dall’imprenditore assoggettato a liquidazione giudiziale, si segnala la mancata riproduzione nel Codice della disposizione di cui all’art. 221 r.d. n. 267/1942 relativa al fallimento con procedimento sommario. Parimenti non viene riprodotto l’art. 235 l. fall. avente ad oggetto l’omessa trasmissione dell’elenco dei protesti cambiari;
- il r.d. n. 267/1942 (legge fallimentare) continua a trovare applicazione per le procedure pendenti alla data di entrata in vigore del Codice (Art. 390 commi 1 e 2: “I ricorsi per dichiarazione di fallimento e le proposte di concordato fallimentare, i ricorsi per l’omologazione degli accordi di ristrutturazione, per l’apertura del concordato preventivo, per l’accertamento dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa e le domande di accesso alle procedure di composizione della crisi da sovraindebitamento depositati prima dell’entrata in vigore del presente decreto sono definiti secondo le disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 nonché della legge 27 gennaio 2012, n. 3”. “Le procedure di fallimento e le altre procedure di cui al comma 1, pendenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, nonché le procedure aperte a seguito della definizione dei ricorsi e delle domande di cui al medesimo comma sono definite secondo le disposizioni del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, nonché della legge 27 gennaio 2012, n.3”);
- al termine “fallimento”, nonché alle relative espressioni derivate, si sostituisce il concetto di “liquidazione giudiziale” (Art. 349: “Nelle disposizioni normative vigenti i termini “fallimento”, “procedura fallimentare”, “fallito” nonché le espressioni dagli stessi termini derivate devono intendersi sostituite, rispettivamente, con le espressioni “liquidazione giudiziale”, “procedura di liquidazione giudiziale” e “debitore assoggettato a liquidazione giudiziale” e loro derivati, con salvezza della continuità delle fattispecie”);
- viene introdotta una causa di non punibilità qualora il danno sia di speciale tenuità, nonché una circostanza attenuante ad effetto speciale (Art. 25 comma 2: “Quando, nei reati di cui agli articoli 322, 323, 325, 328, 329, 330, 331, 333 e 341, comma 2, lettere a) e b), limitatamente alle condotte poste in essere prima dell’apertura della procedura, il danno cagionato è di speciale tenuità, non è punibile chi ha tempestivamente presentato l’istanza all’organismo di composizione assistita della crisi d’impresa ovvero la domanda di accesso a una delle procedure di regolazione della crisi o dell’insolvenza di cui al presente codice se, a seguito delle stesse, viene aperta una procedura di liquidazione giudiziale o di concordato preventivo ovvero viene omologato un accordo di ristrutturazione dei debiti. Fuori dai casi in cui risulta un danno di speciale tenuità, per chi ha presentato l’istanza o la domanda la pena è ridotta fino alla metà quando, alla data di apertura della procedura di regolazione della crisi o dell’insolvenza, il valore dell’attivo inventariato o offerto ai creditori assicura il soddisfacimento di almeno un quinto dell’ammontare dei debiti chirografari e, comunque, il danno complessivo cagionato non supera l’importo di 2.000.000 euro”);
- vengono introdotte le seguenti fattispecie incriminatrici: art. 341 (che punisce l’imprenditore che, al solo scopo di ottenere l’apertura della procedura di concordato preventivo o di ottenere l’omologazione di un accordo di ristrutturazione o il consenso alla sottoscrizione della convenzione di moratoria, si sia attribuito attività inesistenti, ovvero abbia simulato crediti in tutto o in parte inesistenti), art. 342 (falso in attestazioni e relazioni nell’ambito del concordato preventivo e degli accordi di risanamento, che riproduce l’art. 236 bis l. fall.), art. 344 (sanzioni per il debitore e per i componenti dell’organismo di composizione della crisi nell’ambito del procedimento di composizione della crisi da sovraindebitamento), art. 345 (falso nelle attestazioni dei componenti dell’organismo di composizione della crisi di impresa).
Fattispecie continuata e reato aberrante – ammissibilità della continuazione
Con sentenza n. 4119/2019 la prima sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla configurabilità della fattispecie continuata nell’ipotesi di reato aberrante, quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione, l’offesa è cagionata a persona diversa da quella alla quale era diretta. Ipotesi in cui, come sostenuto dall’indirizzo maggioritario della giurisprudenza di legittimità, l’accertamento dell’elemento psicologico deve essere effettuato con riferimento alla persona che si sarebbe voluta colpire, con conseguente traslazione del dolo, per effetto di una fictio iuris, nei confronti della persona effettivamente colpita.
Dall’esito aberrante di uno dei reati facenti parte dell’ideazione e programmazione unitaria, spiega la Corte, non deriva alcuna preclusione al riconoscimento della fattispecie continuata in quanto il dato fattuale del mero errore esecutivo non muta le modalità di accertamento dell’elemento psicologico richiesto per l’integrazione della continuazione. Ai fini della configurabilità della fattispecie continuata rileva infatti la comune e unitaria risoluzione criminosa del fatto reato per come originariamente programmato, senza che abbia incidenza alcuna l’errore sull’oggetto materiale della condotta.
Confisca urbanistica e prescrizione
La terza sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 5936/2019, è tornata a pronunciarsi sull’ammissibilità della confisca urbanistica nell’ipotesi di estinzione per prescrizione del reato di lottizzazione abusiva di cui all’art. 44, lett. c), D.P.R. n. 380/2001. Richiamando precedente giurisprudenza di legittimità intervenuta sul punto, nonché avallando una lettura costituzionalmente e convenzionalmente orientata, la Corte ammette l’applicabilità della confisca in esame anche nel caso di estinzione del reato per intervenuta prescrizione laddove il reato in contestazione venga accertato nei suoi elementi oggettivo e soggettivo, sulla base del medesimo approfondimento probatorio richiesto per l’emissione di pronunce di condanna. A conferma di tale convincimento la Corte richiama l’art. 578 bis cod. proc. pen., inserito dal d. lgs. n. 21/2018, che, codificando il suddetto principio giurisprudenziale, recita “Quando è stata ordinata la confisca in casi particolari prevista dal primo comma dell’art. 240 bis del codice penale e da altre disposizioni di legge, il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato”.
Tali conclusioni risultano del resto in linea con i più recenti arresti della Corte europea dei diritti dell’uomo che, qualificando in termini sanzionatori l’istituto della confisca urbanistica, ne ammettono l’applicabilità in subordine a una dichiarazione di responsabilità dell’imputato, pur in assenza di una formale pronuncia di condanna, con accertamento dell’esistenza del reato e della colpevolezza dell’autore.
Accesso abusivo a sistema informatico – reato di pericolo
Con sentenza n. 8541/2019 la quinta sezione della Corte di Cassazione si pronuncia nuovamente in tema di accesso abusivo a sistema informatico, confermando l’orientamento giurisprudenziale dominante sul punto. Come chiarito da un recente arresto delle Sezioni Unite, intervenute sul tema con sentenza n. 41210/2017, “integra il delitto di cui all’art. 615 ter cod. pen. la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, seppur abilitato all’accesso ad un sistema informatico, acceda o si mantenga nel sistema per finalità del tutto estranee rispetto a quelle per le quali l’accesso gli è consentito”.
La Corte ne ribadisce quindi la natura di reato di pericolo, con cui il legislatore intende incriminare condotte di ingresso abusivo ad un sistema informatico per ragioni estranee al servizio svolto, indipendentemente dal tipo di notizia in concreto appresa. Lo scopo della norma, spiega la Corte, è infatti da rinvenire nell’esigenza di punizione dell’ingresso abusivo ex se, senza che assuma alcun rilievo l’informazione ottenuta, sia essa notizia riservata o altrimenti recuperabile.
Omissione di soccorso stradale – reato di pericolo – incompatibilità con l’attenuante della riparazione integrale del danno
Con sentenza n. 5050/2019 la quarta sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata sulla questione relativa alla compatibilità dell’attenuante della riparazione integrale del danno con la fattispecie di omissione di soccorso stradale di cui all’art. 189, comma 7 Codice della strada.
Sul punto si registrano in seno alla giurisprudenza di legittimità due distinti orientamenti. Mentre un primo indirizzo interpretativo ritiene in astratto configurabile l’attenuante del risarcimento del danno nell’ipotesi in cui vi siano feriti ai quali sia derivato un danno dall’intempestivo soccorso, laddove quindi il pericolo appaia essersi concretizzato in lesioni all’integrità fisica, altro indirizzo interpretativo, avallato dalla pronuncia in esame, ne esclude l’applicabilità. Le condotte riparatorie, spiega la Corte, si pongono in rapporto di incompatibilità con la categoria dei reati di pericolo, tra cui deve annoverarsi il delitto in esame, in quanto non costituiscono un actus contrarius rispetto alla condotta incriminata, né sono in grado di fornire una compensazione alla persona offesa. Il bene tutelato dalla fattispecie in esame, così come in quella codicistica dell’omissione di soccorso di cui all’art. 593, comma 2, cod. pen., è da rinvenire infatti nella solidarietà sociale, quale bene superindividuale, come tale del tutto incompatibile con un’impostazione incentrata sul danno quale quella della circostanza di cui all’art. 62 n. 6 cod. pen.
Legge 9 gennaio 2019, n. 3 – misure per il contrasto dei reati contro la p.a. e in materia di prescrizione del reato
Si segnala la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale (G.U. n. 13 del 16 gennaio 2019) della legge 9 gennaio 2019 n. 3 recante “Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e dei movimenti politici”. Con riferimento all’istituto della prescrizione la riforma ne modifica la disciplina in punto di decorso del termine, con differimento dell’entrata in vigore delle disposizioni modificative al primo gennaio 2020. Quanto al dies a quo la novella interviene unicamente sulla fattispecie del reato continuato, reintroducendo la regola soppressa dalla legge ex Cirielli del 2005, con conseguente decorrenza della prescrizione dal giorno in cui cessa la continuazione anziché dal momento in cui ciascuno dei reati avvinti dalla continuazione viene commesso.
Ancor più rilevante la riforma dell’art. 159 cod. pen., il cui nuovo comma 2 recita “Il corso della prescrizione rimane altresì sospeso dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna”. È quindi previsto il blocco del corso della prescrizione del reato dopo la sentenza di primo grado indipendentemente dall’esito del giudizio, di condanna o di assoluzione, senza che la prescrizione possa dunque maturare in appello o in cassazione.
Se certo non può porsi in dubbio la necessità di una riforma del processo penale, nell’ottica di una maggiore rapidità ed efficienza del giudizio, quella intrapresa dal legislatore non sembra la via più ragionevole. La sopra esposta modifica lascia spazio infatti a più di una critica, perché in evidente contrasto con preminenti principi di rango costituzionale. Il blocco della prescrizione nei giudizi di impugnazione porta con sé infatti il rischio di un irragionevole allungamento del processo, in aperto contrasto con i principi costituzionali della ragionevole durata di cui all’art. 111 comma 2 Cost. e del diritto di difesa ex art. 24 Cost. Come altresì evidenziato dal parere del CSM sul punto, tali modifiche normative non appaiono risolutive del problema considerando che la maggior incidenza del decorso dei termini di prescrizione si registra nella fase delle indagini preliminari. La novella incide quindi su uno dei fattori principali di accelerazione dei giudizi di impugnazione, con allungamento di questi ultimi ai danni in primo luogo di imputati e vittime del reato, nonché dell’efficiente funzionamento della giustizia.
Si riportano qui di seguito le principali novità in tema di delitti contro la pubblica amministrazione:
- previsione della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la p.a. in caso di condanna per i reati di peculato e traffico di influenze illecite (art. 32 quater cod. pen);
- facoltà del giudice, nel caso di condanna per taluni delitti contro la p.a. tassativamente indicati (artt. 314, primo comma, 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis cod. pen.), di disporre che la sospensione condizionale della pena non estenda i suoi effetti alle pene accessorie dell’interdizione dei pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la p.a. (art. 166 cod. pen.);
- aggiunta all’art. 179 cod. pen. del seguente comma: “La riabilitazione concessa a norma dei commi precedenti non produce effetti sulle pene accessorie perpetue. Decorso un termine non inferiore a sette anni dalla riabilitazione, la pena accessoria perpetua è dichiarata estinta, quando il condannato abbia dato prove effettive e costanti di buona condotta”;
- modifiche all’art. 317 bis cod. pen.: previsione della pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la p.a. quale pena per taluni delitti contro la p.a. (artt. 318, 319 bis, 319 quater primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis); ampliamento dei casi in cui alla condanna conseguono le pene accessorie dell’interdizione dai pubblici uffici e dell’incapacità di contrattare con la p.a. (artt. 318, 319 bis, 319 quater primo comma, 320, 321, 322, 322 bis e 346 bis); aumento, nell’ambito dei medesimi delitti, della durata delle pene accessorie temporanee;
- estensione al corruttore della previsione in tema di riparazione pecuniaria (art. 322 quater cod. pen.);
- nuova causa di non punibilità ex art. 323 ter cod. pen. secondo cui non è punibile chi ha commesso taluno dei delitti contro la p.a. tassativamente indicati (artt. 318, 319, 319 ter, 319 quater, 320, 321, 322 bis, limitatamente ai delitti di corruzione e di induzione indebita ivi indicati, 353, 353 bis, 354) se, prima di avere notizia che nei suoi confronti sono svolte indagini in relazione a tali fatti e comunque entro quattro mesi dalla commissione del fatto, lo denuncia volontariamente e fornisce indicazioni utili e concrete per assicurare la prova del reato e per individuare gli altri responsabili;
- abrogazione del reato di millantato credito di cui all’art. 346 cod. pen.;
- modifiche alla disposizione in tema di reato di traffico di influenze illecite, prevedendo in particolare la punibilità per colui che sfrutti o vanti relazioni esistenti o asserite con il pubblico ufficiale (art. 346 bis cod. pen.);
- inasprimento delle pene per il reato di appropriazione indebita (art. 646 cod. pen.);
- estensione della facoltà di effettuare intercettazioni di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico anche per i delitti dei pubblici ufficiali contro la p.a. puniti con la reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni (art. 266 comma 2 bis cod. proc. pen.);
- previsione del divieto temporaneo di contrattare con la p.a. quale nuova ipotesi di misura cautelare personale interdittiva (art. 289 bis cod proc. pen.);
- facoltà dell’imputato, nel formulare richiesta di patteggiamento allargato, di subordinarne l’efficacia all’esenzione delle pene accessorie previste dall’art. 317 bis cod. pen. (incapacità di contrattare con la p.a. e interdizione dai pubblici uffici); facoltà del giudice, nell’ipotesi di patteggiamento ordinario, di applicare le pene accessorie di cui al medesimo articolo;
- applicabilità anche ai delitti contro la p.a. della previsione di cui all’art. 4 bis ord. penit. (Divieto di concessione dei benefici e accertamento della pericolosità sociale dei condannati per taluni delitti);
- incapacità dell’esito positivo del periodo di prova (affidamento in prova ai servizi sociali) di estinguere le pene accessorie perpetue;
- previsione del reato di traffico di influenze illecite tra i reati presupposto in tema di responsabilità degli enti dipendente da reato; inasprimento delle sanzioni interdittive in caso di condanna per alcuni delitti contro la p.a. (ad eccezione dell’ipotesi in cui l’ente collabori prima della sentenza di primo grado);
- estensione ai delitti tassativamente indicati (artt. 317, 318, 319, 319 bis, 319 ter, 319 quater, primo comma, 320, 321, 322 bis, 346 bis, 353, 353 bis, 452 quaterdecies, 453, 454, 455, 460, 461, 473, 474, 629, 630, 644) della previsione in tema di operazioni sotto copertura (art. 9, comma 1, l. n. 146/2006) e applicazione della relativa disciplina all’ipotesi in cui gli agenti sotto copertura “corrispondono denaro o altra utilità in esecuzione di un accordo illecito già concluso da altri, promettono o danno denaro o altra utilità richiesti da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio o sollecitati come prezzo della mediazione illecita verso un pubblico ufficiale o un incaricato di un pubblico servizio o per remunerarlo o compiono attività prodromiche o strumentali”.
Affidamento in prova ai servizi sociali – brevità della pena residua da espiare
La prima sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 1032/2019, si è pronunciata in tema di affidamento in prova ai servizi sociali, affermando che la brevità della residua pena da espiare non costituisce presupposto ostativo all’applicazione della misura. La Corte contraddice quindi il percorso motivazionale del Tribunale di sorveglianza di Genova che disponeva la reiezione dell’istanza di affidamento in prova basando la decisione unicamente sull’elemento di fatto costituito dalla brevità della residua pena espianda. Tale decisione, spiegano i Giudici di piazza Cavour, contraddice la ratio ispiratrice del sistema delle misure alternative, introdotte proprio al fine di favorire la risocializzazione di coloro i quali debbano espiare pene detentive brevi, con conseguente necessaria applicazione della misura alternativa meno afflittiva. Il Tribunale valorizza infatti un elemento fattuale, la brevità della misura, non soltanto non codificato da alcuna disposizione, ma che vanifica la funzione stessa della misura alternativa in esame, quella cioè di consentire una soluzione alternativa al carcere che favorisca il reinserimento sociale del condannato.
Appropriazione indebita aggravata ex art. 61 comma 11 c.p. – procedibilità a querela di parte
La seconda sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 225/2018, si è pronunciata in merito alle questioni intertemporali sorte a seguito delle modifiche apportate all’art. 646 cod. pen. dal d. lgs. n. 36/2018, da cui discende la procedibilità a querela per il delitto di appropriazione indebita aggravata ex art. 61 n. 11 cod. pen. (fatto commesso con abuso di autorità o di relazioni domestiche, ovvero con abuso di relazioni di ufficio, di prestazione d’opera, di coabitazione o di ospitalità). Il legislatore ha infatti abrogato il terzo comma dell’art. 646 cod. pen. che prevedeva alcune ipotesi di procedibilità d’ufficio in deroga al regime generale della procedibilità a querela, tra cui quella in cui ricorresse l’aggravante comune di cui all’art. 61 n. 11 cod. pen. Residuano alcune ipotesi di procedibilità d’ufficio, per espressa previsione normativa, qualora l’aggravante sia ad effetto speciale.
Di tale modifica normativa favorevole per l’imputato, spiega la Corte, deve tenersi conto nei procedimenti ancora in corso. L’applicabilità dell’art. 2 cod. pen. non pare infatti potersi porre in discussione, alla luce della natura mista, sostanziale e processuale, dell’istituto in esame che costituisce nel contempo condizione di procedibilità e di punibilità. Come sostenuto da gran parte della giurisprudenza di legittimità il principio della retroattività della norma più favorevole al reo opera infatti non soltanto con riferimento alla norma di diritto sostanziale applicabile al caso concreto, ma anche in ordine al regime della procedibilità che inerisce alla fattispecie.
Nei procedimenti in corso per il delitto in esame la remissione della querela determina pertanto l’obbligo di declaratoria di non procedibilità ex art. 129 cod. proc. pen., ove non ricorrano altre circostanze aggravanti ad effetto speciale.
Stupefacenti – detenzione di sostanze di diversa tipologia e lieve entità
Con sentenza n. 51063/2018 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione si sono pronunciate sulla configurabilità della fattispecie di detenzione di stupefacente di lieve entità anche nell’ipotesi in cui il soggetto detenga tipologie diverse di sostanze. Mentre un primo orientamento giurisprudenziale ritiene tale ipotesi ostativa alla qualificazione del fatto come di lieve entità, trattandosi di condotta indicativa della capacità del soggetto agente di rifornire assuntori di stupefacenti di diversa natura, con danno non tenue al bene salute pubblica, un secondo indirizzo interpretativo, avallato dalle Sezioni Unite, evidenzia la necessità di una valutazione complessiva degli elementi della fattispecie concreta, selezionati in relazione a tutti gli indici sintomatici previsti dall’art. 73 comma 5 T.U. stupefacenti. Qualora le circostanze del caso concreto risultino indicative di una complessiva minore portata dell’attività svolta, spiega la Corte, l’elemento della diversità tipologica non è da sé solo idoneo ad escludere l’ipotesi del fatto di lieve entità.
Tale convincimento è desumibile innanzitutto dalla lettera stessa della norma in esame che condiziona la determinazione della lieve entità del fatto a una pluralità di elementi sintomatici, senza dunque che un singolo parametro sia sufficiente ad esprimere il maggiore o minore disvalore del fatto. Il tutto in linea con la ratio ispiratrice dell’introduzione della fattispecie di lieve entità e cioè “rendere la risposta repressiva in materia di stupefacenti compatibile con i principi di offensività e proporzionalità, nella consapevolezza del carattere variegato e mutante del fenomeno criminale cui si rivolge”. Vi sono casi infatti in cui il possesso contestuale di differenti tipologie di stupefacente è aspetto sostanzialmente neutro perché i quantitativi detenuti risultano essere modesti ovvero la condotta dell’agente meramente occasionale.
Responsabilità degli enti dipendente da reato – sequestro impeditivo – ammissibilità
Con sentenza n. 34293/2018 la seconda sezione della Corte di Cassazione si pronuncia nel senso dell’ammissibilità nei confronti degli enti del sequestro impeditivo di cui al primo comma dell’art. 321 cod. proc. pen. I Giudici ripudiano infatti quell’indirizzo interpretativo che ne esclude l’applicabilità alla luce dell’asserita incompatibilità con le misure interdittive di cui all’art. 9 d. lgs. n. 231/2001 in virtù della piena coincidenza dei rispettivi raggi d’azione.
Occorre innanzitutto valorizzare, spiega la Corte, l’intrinseca temporaneità delle misure interdittive di cui alla normativa in materia di responsabilità degli enti dipendente da reato, qualità che le distingue dal sequestro, tendenzialmente definitivo nell’ipotesi in cui sia successivamente disposta la confisca. In secondo luogo se la misura interdittiva paralizza l’uso del bene pericoloso in modo indiretto, quale effetto della stessa, il sequestro colpisce il bene direttamente, eliminando in via definitiva il pericolo che lo stesso possa essere destinato alla commissione di ulteriori reati. A conferma dell’applicabilità del sequestro impeditivo di cui all’art. 321 co. 1 cod. proc. pen. occorre inoltre richiamare l’art. 34 d. lgs. n. 231/2001 a norma del quale per il procedimento relativo agli illeciti amministrativi dipendenti da reato si osservano le disposizioni del codice di procedura penale in quanto compatibili.
Solo un’interpretazione costituzionalmente orientata, come quella prospettata, può infine fugare dubbi di illegittimità costituzionale che sorgerebbero laddove si delineasse per gli enti un sistema normativo privilegiato rispetto a quello generale del codice di rito, con conseguente privazione per la collettività di uno strumento volto all’eliminazione dalla circolazione di beni criminogeni.
Bancarotta fraudolenta – pene accessorie – rimessione alle Sezioni Unite
La quinta sezione della Corte di Cassazione, con pronuncia n. 56458/2018, rimette alle Sezioni Unite la seguente questione: se le pene accessorie previste dall’art. 216, ult. co., l. fall. per il reato di bancarotta fraudolenta debbano considerarsi pene con durata non predeterminata, con conseguente commisurazione della pena accessoria alla pena principale ai sensi dell’art. 37 cod. pen., ovvero se la durata di tali pene debba intendersi predeterminata entro la forbice data (fino a dieci anni), con riconoscimento al giudice di merito del potere di determinazione secondo i parametri di cui all’art. 133 cod. pen. Sono due infatti i percorsi alternativi perseguibili a seguito della sentenza n. 222/2018 della Corte costituzionale che, dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma in esame nella parte in cui prevedeva una durata fissa di pena accessoria, ha introdotto la previsione della durata massima “fino a dieci anni”. Mentre un primo orientamento giurisprudenziale invoca la disciplina di cui all’art. 37 cod. pen., qualificando lo jus superveniens come una nuova ipotesi normativa di pena accessoria, soggetta quindi al meccanismo di commisurazione della stessa sulla pena detentiva principale, l’opposto indirizzo interpretativo, avallato dall’ordinanza in esame, ritiene di accogliere il percorso argomentativo della Consulta che demanda al giudice di merito il potere di determinare la pena accessoria secondo i criteri di cui all’art. 133 cod. pen. La diversa afflittività e finalità della pena accessoria suggerisce infatti una determinazione autonoma, caso per caso, della stessa, nell’ottica di una piena attuazione dei principi costituzionali che presiedono la commisurazione della pena.
Sequestro preventivo delle somme giacenti su conti correnti intestati alla curatela di una società dichiarata fallita antecedentemente alla misura cautelare reale - illegittimità
Con sentenza n. 45574/2018 la terza sezione della Corte di Cassazione si pronuncia sulla questione relativa all’ammissibilità del sequestro preventivo di somme giacenti su conti correnti intestati alla curatela di una società qualora la misura cautelare venga disposta successivamente alla dichiarazione di fallimento.
A parere della Corte la preesistenza della procedura concorsuale, con conseguente privazione per il fallito di disporre e amministrare il proprio patrimonio, si traduce in un ostacolo all’applicabilità del sequestro preventivo. Nel settore delle misure cautelari reali la disponibilità del bene esige infatti l’effettività, ovvero un potere reale di fatto sul bene che ne è oggetto, circostanza esclusa nell’ipotesi in esame, determinando l’apertura della procedura concorsuale lo spossessamento dei beni del fallito con conseguente conferimento al curatore del potere di gestione del patrimonio al fine di evitarne il depauperamento o la dispersione.
La peculiare natura della massa fallimentare su cui cade la misura reale, consistente nelle somme in giacenza sui conti correnti intestati alla curatela fallimentare, costituisce ulteriore profilo di criticità: in essa sono infatti compresi non solo i beni facenti parte del patrimonio del fallito, ma anche i proventi derivanti dall’esercizio del potere della curatela di gestione e amministrazione, con conseguente aumento della massa attiva. In quanto somme che costituiscono il frutto delle attività recuperatorie poste in essere dal curatore, esse non sono evidentemente riconducibili alla compagine fallita. La Corte, a conferma di tale convincimento, richiama la disposizione di cui all’art. 12 bis del d. lgs. n. 74/2000 che individua quale limite all’operatività della confisca, alla quale il sequestro è funzionale, l’appartenenza dei beni che costituiscono il profitto o il prezzo del reato a terzi estranei allo stesso ovvero l’indisponibilità dei medesimi in capo al reo.
Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o di scioglimento del matrimonio – assegno di mantenimento - applicabilità anche ai figli nati fuori dal matrimonio
La VI sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 55744/2018, si pronuncia sull’estensione applicativa della disposizione di cui all’art. 570 bis cod. pen. che sanziona la condotta del coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi o di affidamento condiviso dei figli. La Corte, in virtù dell’espresso riferimento della norma al “coniuge”, si interroga sui rapporti tra la disposizione in esame, introdotta con d. lgs. n. 21/2018, e le previgenti disposizioni penali sostituite, contenute negli artt. 12 sexies l. n. 898/1970 e 3 l. n. 54/2006, interpretate dalla giurisprudenza dominante nel senso della loro applicabilità anche ai figli nati fuori dal matrimonio. Al fine di addivenire ad un’interpretazione sistematicamente coerente e costituzionalmente orientata la Corte valorizza innanzitutto la disposizione di cui all’art. 4 comma 2 della legge n. 54/2006, ancora in vigore, che, per come interpretata dalla giurisprudenza di legittimità, estende l’intera disciplina, comprese le disposizioni attinenti al diritto penale sostanziale, ai procedimenti relativi ai figli dei genitori non coniugati. Altrimenti opinando si determinerebbe infatti un profilo di incostituzionalità della norma per illegittima disparità di trattamento, accordando una più ampia e severa tutela penale solo in favore dei figli di genitori coniugati.
Tale interpretazione si pone inoltre in linea con la disciplina di cui agli artt. 337 bis e ss. cod. civ. in tema di esercizio della potestà genitoriale a seguito di scioglimento o invalidità del matrimonio, applicabile per espressa previsione normativa anche ai figli nati fuori dal matrimonio, in conformità del resto con la previsione di cui all’art. 30, comma 3, Cost. La Corte conclude quindi nel senso della piena sovrapponibilità dell’art. 570 bis cod. pen. con le previgenti disposizioni, senza che si verifichi dunque alcuna ipotesi di abolitio criminis, con conseguente applicabilità della norma anche nelle ipotesi di inadempimento degli obblighi patrimoniali verso i figli minori nati fuori dal matrimonio.
Bancarotta fraudolenta – pene accessorie fisse nel quantum – illegittimità costituzionale
Con sentenza n. 222 del 2018 la Corte costituzionale si è pronunciata sulla legittimità costituzionale degli artt. 216 ult. co. e 223 ult. co. l. fall. “nella parte in cui prevedono che alla condanna per uno dei fatti previsti in detti articoli conseguono obbligatoriamente, per la durata di dieci anni, le pene accessorie della inabilitazione all’esercizio di una impresa commerciale e della incapacità di esercitare uffici direttivi presso qualsiasi impresa”. La questione riguarda pertanto la compatibilità del carattere fisso di tali pene accessorie con i principi costituzionali di individualizzazione del trattamento sanzionatorio e di proporzionalità della pena, funzionali alla determinazione della stessa in misura adeguata alle peculiarità del caso concreto e alla realizzazione della funzione rieducativa della pena. A parere della Corte, in accordo con quanto sostenuto dal giudice remittente, la durata fissa di dieci anni delle pene accessorie non appare proporzionata alla pluralità di fattispecie disciplinate nelle previsioni in esame nonché alla diversa gravità dei fatti concreti ad esse riconducibili in relazione al grado di pericolo di frustrazione delle ragioni creditorie. Tale rigidità normativa, continua la Corte, determina la previsione di risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso rispetto ai fatti di bancarotta fraudolenta meno gravi.
La Consulta individua, quindi, negli artt. 217 e 218 l. fall. i referenti normativi da cui ricavare la disciplina applicabile a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 216 ult. co. l. fall. in attesa che il legislatore, nell’esercizio della propria discrezionalità, provveda a individuare soluzioni alternative preferibili. La durata delle pene accessorie potrà quindi essere determinata discrezionalmente dal giudice “fino a” un massimo di dieci anni.
Bancarotta fraudolenta patrimoniale – collegio sindacale di società a responsabilità limitata - facoltà di segnalazione al Tribunale di irregolarità gestionali
Con sentenza n. 44107/2018 la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi in tema di responsabilità penale dei componenti il collegio sindacale per omesso controllo sull’operato degli amministratori. In particolare la Corte si sofferma sulla consistenza dei poteri impeditivi che caratterizzano l’agire dei componenti il collegio sindacale. L’art. 2403 cod. civ. pone infatti a carico del sindaco obblighi di vigilanza sull’osservanza, da parte degli amministratori, della legge e dello statuto, con conseguente attribuzione del potere, tra gli altri, di procedere in ogni momento con atti di ispezione e controllo, nonché di chiedere informazioni agli amministratori sui vari aspetti dell’attività sociale. Il collegio deve inoltre convocare l’assemblea societaria qualora vengano ravvisati fatti censurabili di rilevante entità. Con particolare riferimento al potere di segnalazione di cui all’art. 2409 cod. civ., a norma del quale il collegio sindacale può denunciare al Tribunale eventuali irregolarità, la Corte ne ammette la configurabilità anche in capo ai componenti del collegio sindacale di società a responsabilità limitata. La norma, afferma la Corte, seppur inserita nel capo dedicato al funzionamento delle società per azioni, contiene una disciplina generale in tema di poteri del collegio laddove esistente, da ritenersi estensivamente applicabile anche alle società a responsabilità limitata in considerazione dell’assenza di specifica disciplina e del rinvio contenuto nelle disposizioni in materia alle norme in tema di società per azioni.
La Corte di Cassazione richiama quindi gli arresti dominanti in tema di responsabilità penale dei sindaci ribadendo la necessità che gli stessi abbiano dato un contributo giuridicamente rilevante alla verificazione dell’evento con la coscienza e volontà di aver determinato o favorito la commissione dei fatti di bancarotta da parte dell’amministratore.
Confisca di prevenzione – necessaria correlazione temporale tra il momento di manifestazione della pericolosità e l’acquisizione patrimoniale
La Corte di Cassazione, con pronuncia n. 30974/2018, torna a occuparsi della questione relativa alla perimetrazione temporale entro la quale può procedersi a confisca di prevenzione ex art. 24 d.lgs. 159/2011 (c.d. Codice antimafia).
Ricostruiti i caratteri dominanti della pericolosità generica, presupposto della misura ablatoria in esame, la Corte ribadisce innanzitutto la necessità di ancorarne il relativo giudizio a rigidi e tassativi elementi quali: la realizzazione non episodica di attività delittuose produttive di reddito illecito nonché la destinazione di tali proventi al sostentamento del soggetto o del suo nucleo familiare. È necessario inoltre che tali condotte illecite siano poste in essere secondo un iter non episodico, che connoti lo stile di vita del soggetto.
Così premesso, la Corte si sofferma sulla questione relativa alla correlazione temporale tra il momento di manifestazione della pericolosità e l’acquisizione patrimoniale. In linea con l’orientamento dominante della giurisprudenza di legittimità la Corte ribadisce la necessità di tale correlazione affermando che la pericolosità sociale, oltre ad essere presupposto ineludibile della confisca di prevenzione è anche misura temporale del suo ambito applicativo, al fine di evitare che quest’ultima assuma una connotazione sanzionatoria. Sono pertanto passibili di confisca di prevenzione soltanto i beni acquistati nell’arco di tempo in cui si è manifestata la pericolosità sociale. Proprio la pericolosità sociale costituisce infatti “la ragione giustificatrice dell’apprensione coattiva di beni acquistati in costanza della stessa o con il favore delle sue peculiari manifestazioni”.
Istigazione e aiuto al suicidio – la Corte costituzionale rinvia il giudizio sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p.
La Consulta, a seguito dell’ordinanza di rimessione della Corte di Assise di Milano del 14 febbraio 2018, è stata chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell’art. 580 cod. pen. “nella parte in cui incrimina le condotte di aiuto al suicidio in alternativa alle condotte di istigazione e, quindi, a prescindere dal loro contributo alla determinazione o al rafforzamento del proposito del suicidio”.
Con ordinanza n. 207/2018 la Corte costituzionale, premessa in via generale la compatibilità dell’incriminazione dell’aiuto al suicidio con l’assetto costituzionale, alla luce dell’esigenza di protezione del soggetto debole da decisioni in suo danno, addiviene a diversa conclusione con riferimento a tutte quelle situazioni in cui il soggetto sia persona affetta da patologia irreversibile, ma capace di prendere decisioni libere e consapevoli, le cui sofferenze psichiche e fisiche siano assolutamente intollerabili. In tali ipotesi l’assistenza dei terzi nel porre fine alla vita può presentarsi infatti come l’unica via d’uscita per sottrarsi ad un mantenimento in vita non più voluto.
Se il legislatore con l. 219/2017 ha riconosciuto ad ogni soggetto “capace di agire” il diritto di rifiutare o interrompere qualsiasi trattamento sanitario, ancorché necessario alla propria sopravvivenza, nulla è previsto in tema di trattamenti diretti non già a eliminare le sofferenze ma a determinare la morte. In tali specifiche ipotesi, afferma la Corte, il divieto assoluto di aiuto al suicidio finirebbe per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta della terapia, costringendolo ad un lento processo di degradazione della persona.
Riscontrato quindi un vulnus ai principi costituzionali di ragionevolezza, uguaglianza e dignità umana la Corte rinvia il giudizio al 24 Settembre 2019 in attesa dell’emanazione da parte del Parlamento di una legge che regoli la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela.
A TUTTI VOI I NOSTRI MIGLIORI AUGURI DI UN SERENO NATALE E FELICE ANNO NUOVO!
Reati fallimentari – bancarotta e concordato preventivo - concordato con continuità aziendale
La quinta sezione della Corte di Cassazione con pronuncia n. 39517/2018 si occupa della questione relativa all’applicabilità del reato di cui all’art. 236, comma 2, n. 1) l. fall., che punisce i fatti di bancarotta commessi prima dell’ammissione della società al concordato preventivo, al concordato con continuità aziendale, in assenza di un esplicito richiamo sul punto nella norma incriminatrice. Come noto il d.l. n. 83/2012, così come modificato dalla legge di conversione n. 123/2012, ha introdotto nel corpo della normativa fallimentare l’art. 186 bis che ha riconosciuto all’imprenditore la facoltà di presentare un piano che preveda “la prosecuzione dell’attività di impresa da parte del debitore, la cessione dell’azienda in esercizio ovvero il conferimento dell’azienda in esercizio in una o più società, anche di nuova costituzione”.
Secondo unanime dottrina civilistica tale disposizione non ha in alcun modo introdotto nella legge fallimentare un nuovo istituto concordatario, bensì ha provveduto alla tipizzazione di una figura di concordato già giuridicamente delineata e applicata nella prassi, rientrante nel novero delle molteplici forme in cui la procedura concordataria poteva già estrinsecarsi. Tale ricostruzione esclude quindi qualsiasi incidenza della modifica normativa sulla norma penale in esame, pertanto pienamente applicabile anche con riferimento a condotte distrattive poste in essere prima dell’ammissione o nel corso del concordato preventivo con continuità dell’attività di impresa. Lo scopo di continuità aziendale, infatti, non costituisce ostacolo all’applicazione del delitto di cui all’art. 236 l. fall. che si fonda sulla causazione, mediante operazioni distrattive, dello stato di crisi dell’impresa, con assoluta irrilevanza della natura conservativa e non liquidatoria del concordato.
Pornografia minorile – produzione di materiale pedopornografico – pericolo concreto di diffusione del materiale – accertamento non necessario
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 51815/2018, si sono pronunciate sulla questione relativa alla necessità che il Giudice accerti il pericolo concreto di diffusione del materiale al fine di ritenere integrato il reato di produzione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter, comma 1, n. 1, cod. pen. L’orientamento pressoché unanime in seno alla giurisprudenza di legittimità ritiene configurabile il delitto in esame quando sussiste un pericolo concreto di diffusione del materiale prodotto, tale da introdurlo nel circuito della pedofilia. La ratiosottesa a tale convincimento è da rinvenire nell’esigenza di garantire al minore una tutela penale anticipata volta alla repressione delle condotte prodromiche che mettano a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e immettendolo nel circuito della pedofilia. Le Sezioni Unite di Cassazione di cui alla pronuncia in commento intendono superare l’orientamento giurisprudenziale sin qui descritto valorizzando da un lato l’evoluzione normativa che ha investito la norma a partire dalla legge n. 38/2006, dall’altro l’attuale contesto sociale. L’esigenza sottesa alla formulazione originaria, volta a sanzionare qualcosa di più della semplice captazione dell’immagine pornografica del minore, non implicando la captazione necessariamente anche la diffusione, appare oggi, afferma la Corte, del tutto svanita. L’accessibilità generalizzata alle tecnologie di comunicazione, che consentono velocità e frequenza nella condivisione di immagini e video, rende superfluo infatti l’accertamento del pericolo concreto di diffusione, essendo ormai potenzialmente diffusiva qualsiasi produzione di immagini e video. Occorre quindi ricostruire la fattispecie in termini di illecito di danno, perché l’utilizzo del minore nella realizzazione del materiale compromette già da sé la lesione del bene giuridico protetto, senza che il giudice debba accertare in concreto il pericolo di diffusione del materiale realizzato.
Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – accertamento dell’abitualità – denunce e precedenti di polizia
Con pronuncia n. 51526/2018 la quarta sezione della Corte di Cassazione chiarisce l’esatta perimetrazione del requisito dell’abitualità, quale presupposto ostativo al riconoscimento della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131 biscod. pen., con particolare riferimento al rilievo da attribuire alle denunce e ai precedenti di polizia.
Come già affermato a più riprese dalla giurisprudenza di legittimità, chiamata a delineare in via interpretativa la portata applicativa della causa di non punibilità in esame, il concetto di abitualità sottende l’esistenza di più reati in corso di accertamento giudiziale, senza che sia necessaria l’irrevocabilità della decisione sugli stessi. A maggior ragione quindi la circostanza che identiche condotte siano oggetto di denuncia, senza che il giudice accerti gli esiti processuali delle stesse, non ha valenza preclusiva. Tale valenza va quindi esclusa con riferimento a denunce e precedenti di polizia, quali prospettazioni unilaterali, tutte da verificare, non idonee nemmeno a fornire la prova dell’iscrizione di una compiuta notizia criminisnel registro delle notizie di reato. In presenza di tali segnalazioni il giudice, ove sollecitato dalla difesa o d’ufficio, deve quindi verificare l’esito delle stesse, per trarne eventualmente l’esistenza di concreti elementi fattuali che dimostrino l’abitualità del comportamento dell’imputato.
Esecuzione delle pene per i condannati minorenni – novità legislativa (d. lgs. n. 121/2018)
Il legislatore è intervenuto con d. lgs. 121/2018, in attuazione della legge delega n. 103/2017, per colmare il vuoto normativo esistente in tema di esecuzione della pena per il condannato minorenne, al quale si estendeva l’applicazione della disciplina prevista per i condannati adulti in forza della disposizione transitoria di cui all’art. 79 ord. penit. Oggi dunque la disciplina relativa all’esecuzione delle pene detentive e delle misure alternative a carico del condannato minorenne trova specifica e distinta fonte normativa, nell’ottica di una maggiore rispondenza alle esigenze del minore in ossequio al principio di individualizzazione della pena. Come chiarito dall’art. 1 del decreto solo per quanto non previsto continueranno ad applicarsi le disposizioni del codice di procedura penale, dell’ordinamento penitenziario e del relativo regolamento di attuazione.
In sintesi, la novella legislativa puntualizza la disciplina di quelle che il decreto definisce “misure di comunità” (affidamento in prova al servizio sociale, affidamento in prova con detenzione domiciliare, affidamento in prova in casi particolari, detenzione domiciliare, semilibertà), per poi provvedere alla normazione degli aspetti sostanziali e procedurali dell’esecuzione della pena detentiva. Infine, il capo IV agli artt. 14 e ss. delinea le modalità di permanenza in istituto, sulla base del necessario progetto educativo, soffermandosi in particolare sui seguenti istituti: permanenza all’aperto, colloqui, istruzione e formazione, tutela dell’affettività.
Reato urbanistico e paesaggistico – Rimessione in pristino dello stato dei luoghi e demolizione delle opere abusive – Necessità della sentenza di condanna
Con pronuncia n. 48248 del 2018 la terza sezione della Corte di Cassazione afferma la necessità di una sentenza di condanna per la rimessione in pristino dello stato dei luoghi e la demolizione delle opere abusive a seguito della commissione del reato urbanistico di cui all’art. 44 D.P.R. 380/2001 e del reato paesaggistico di cui all’art. 181 d. lgs. 42/2004. Così come precedentemente chiarito dalla giurisprudenza di legittimità gli ordini di ripristino e di demolizione trovano infatti nella sentenza di condanna un presupposto applicativo imprescindibile, non potendo gli stessi essere impartiti da parte del giudice penale nelle ipotesi di estinzione del reato per prescrizione o per esito positivo della messa alla prova.
La Corte di Cassazione esclude pertanto in capo al giudice penale tale potere di disposizione anche nell’ipotesi di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., ancorché nella sentenza impugnata vi sia stato un accertamento della responsabilità. Tale potere residua in capo all’autorità amministrativa.
Reati tributari - Retroattività delle disposizioni più favorevoli (artt. 13 e 13 bis d. lgs. 74/2000) in caso di integrale adempimento del debito tributario
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 37083/2018, torna a pronunciarsi sulla retroattività della legge favorevole sopravvenuta al fatto con particolare riferimento alla causa di non punibilità e alla circostanza attenuante di cui agli artt. 13 e 13 bis d. lgs. 74/2000, così come riformati dalla novella di cui al d. lgs. 158/2015. L’art. 11 del predetto decreto ha infatti attribuito efficacia estintiva, e non più solo attenuante, all’integrale pagamento dei debiti tributari nelle ipotesi di reato di cui all’art. 10 bis, 10 ter e 10 quater, laddove tale adempimento avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Proprio valorizzando l’efficacia estintiva e non più attenuante attribuita dalla riforma al pagamento integrale del debito tributario, riconosciuta in ossequio ad una logica incentivante e premiale, la Corte di Cassazione afferma l’applicabilità della causa estintiva ai procedimenti in corso al momento dell’entrata in vigore del novum legislativo anche laddove il limite dell’apertura del dibattimento sia già superato. Il pagamento del debito tributario, come spiega la Corte, assume infatti la medesima efficacia sia che avvenga prima della dichiarazione di apertura del dibattimento sia, nei procedimenti in corso all’entrata in vigore del d. lgs. 158/2015, che tale limite sia oltrepassato, con conseguente divieto, in virtù del principio di uguaglianza, di applicare trattamenti diversi a situazioni uguali.
Anche con riferimento all’attenuante di cui all’art. 13 bis, applicabile laddove non si riscontrino i presupposti necessari per la causa di non punibilità, deve pervenirsi a medesima conclusione. Come afferma la Corte di Cassazione, la nuova disposizione è norma più favorevole della precedente, con conseguente applicazione, ai sensi dell’art. 2, comma 4, cod. pen. e 7 CEDU, anche nei confronti di coloro che hanno effettuato il pagamento del debito dopo l’apertura del dibattimento di primo grado.
Falso in assegno bancario non trasferibile – Depenalizzazione
A seguito della depenalizzazione della fattispecie di falso in scrittura privata di cui all’art. 485 cod. pen., oggi illecito civile, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono state chiamate a pronunciarsi al fine di dirimere la questione relativa alla sussumibilità del falso in assegno bancario non trasferibile nell’art. 485 di cui sopra o nel diverso reato di falsità in titolo di credito di cui all’art. 491 cod. pen.
Prima dell’intervento della Suprema Corte si registravano sul punto due contrapposti orientamenti giurisprudenziali. Se per un primo indirizzo interpretativo il falso in assegno bancario non trasferibile doveva essere sussunto nella fattispecie oggi abrogata di cui all’art. 485 cod. pen., non trovando applicazione il diverso reato di cui all’art. 491 cod. pen. avente ad oggetto esclusivamente le falsità commesse su titoli di credito trasmissibili per girata, un secondo orientamento giurisprudenziale riteneva al contrario ancora penalmente perseguibile l’ipotesi in esame. Sarebbe infatti applicabile l’art. 491 cod. pen. dal momento che i titoli non trasferibili vanno comunque girati per l’incasso. Altrimenti opinando si rischierebbe di ricondurre la falsità in atti nella fattispecie penale solo qualora il titolo di credito sia privo della clausola di trasferibilità (quindi per importi inferiori a 1000 euro), ossia per condotte espressive di un minor disvalore.
Le Sezioni Unite, dato atto del dibattito giurisprudenziale sul punto, si pronunciano con sentenza n. 40256/2018 nel senso della depenalizzazione del falso in assegno bancario non trasferibile, in adesione al primo degli orientamenti sopra richiamati. Come evidenziato dal Collegio la ratio della previsione dell’art. 491 cod. pen. non risiede infatti nel maggiore o minore importo dell’assegno, ma nella tutela del più frequente pericolo di falsificazione insito nella circolazione del titolo, da escludersi nell’ipotesi di mera girata al banchiere per l’incasso, che ha natura di semplice mandato a riscuotere ed è priva di effetti traslativi del diritto inerente al titolo.
Autoriciclaggio – mera utilizzazione o godimento personale dei beni provento del delitto – causa di non punibilità
La seconda sezione della Corte di Cassazione, con sentenza n. 30399/2018, chiarisce la portata applicativa della causa di non punibilità di cui all’art. 648 ter.1, comma 4, cod. pen. che, fuori dai casi di autoriciclaggio disciplinati nei commi precedenti, esclude la punibilità per le condotte per cui il denaro, i beni o altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
Il Collegio, chiamato a pronunciarsi sull’interpretazione della clausola “fuori dai casi dei commi precedenti”, ritiene di aderire a quell’orientamento giurisprudenziale che valorizza il dato letterale della norma, in ossequio altresì alla ratio legis della disposizione normativa. L’introduzione del delitto di autoriciclaggio trova infatti la propria ragion d’essere nell’esigenza di sterilizzare il profitto conseguito con il reato presupposto, impedendo all’agente di reinvestirlo nell’economia legale, con conseguente inquinamento del libero mercato. Da ciò il divieto di porre in essere condotte decettive finalizzate a rendere non tracciabili i proventi del delitto presupposto.
Alla luce di tale ricostruzione sarebbe pertanto paradossale, attraverso un’interpretazione estensiva della norma, consentire all’agente del reato presupposto di effettuare una tipica condotta di autoriciclaggio e al contempo riconoscere la causa di non punibilità. La non punibilità, conclude il la Corte di Cassazione, va quindi limitata ai casi in cui il provento del delitto resti cristallizzato nella disponibilità dell’agente del reato presupposto senza reimmissione nel legale circuito economico.
Reati ad evento differito – tempus commissi delicti – successione di leggi penali - omicidio stradale
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con sentenza n. 40986/2018, sono state chiamate a pronunciarsi sulla questione di diritto “se, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge penale più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, debba trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta ovvero quella vigente al momento dell’evento”. Ci si riferisce, in particolare, alle ipotesi di sviluppo dell’iter criminis in cui in concreto intercorra uno iato temporale significativo tra la condotta e l’evento lesivo (cosiddetti reati ad evento differito), intervallo durante il quale intervenga una legge penale più sfavorevole. Nel caso di specie veniva in rilievo il reato di omicidio commesso con violazione delle norme sulla circolazione stradale, con evento avvenuto dopo l’introduzione, con legge n. 41/2016, della fattispecie di omicidio stradale, punita più gravemente ex art. 589 bis cod. pen.
Sul punto si registrano due contrapposti orientamenti giurisprudenziali. Se per un primo indirizzo interpretativo deve aversi riguardo al trattamento sanzionatorio vigente al momento della consumazione del reato, cioè al momento dell’evento lesivo, con conseguente applicazione della sopravvenienza normativa più sfavorevole, un secondo indirizzo interpretativo ritiene invece decisivo ai fini dell’individuazione del tempus commissi delicti il momento della condotta.
Le Sezioni Unite intendono aderire all’ultimo degli orientamenti richiamati valorizzando la ratio del principio di irretroattività sfavorevole che si fonda sull’esigenza di preventiva calcolabilità da parte dell’agente delle conseguenze penali della propria condotta, al fine ultimo di garantire la libera autodeterminazione del singolo.
Fondare il tempus commissi delicti al momento dell’evento significherebbe infatti determinare l’applicazione retroattiva sfavorevole della novità legislativa intervenuta tra la condotta e la consumazione del reato, in aperto contrasto con i principi di cui agli artt. 25, comma 2, Cost. e 7 CEDU.
Alla luce delle considerazioni sopra richiamate le Sezioni Unite si pronunciano enunciando il seguente principio di diritto: “in tema di successione di leggi penali, a fronte di una condotta interamente posta in essere sotto il vigore di una legge più favorevole e di un evento intervenuto nella vigenza di una legge penale più sfavorevole, deve trovare applicazione la legge vigente al momento della condotta”.
Delitto di divulgazione di materiale pedopornografico – elemento soggettivo - sistemi di file sharing
Con la sentenza n. 41231, depositata il 25.09.2018, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione chiarisce la portata del dolo del delitto di divulgazione di materiale pedopornografico di cui all’art. 600 ter c. 3 c.p..
La sentenza richiama il principio di diritto secondo cui: “In tema di pornografia minorile, la sussistenza del reato di cui all’art. 600 ter, comma terzo, cod. pen. deve essere esclusa nel caso di semplice utilizzazione di programmi di file sharing che comportino nella rete internet l’acquisizione e la condivisione con altri utenti dei files contenenti materiale pedopornografico, solo quando difettino ulteriori elementi indicativi della volontà dell’agente di divulgare tale materiale” (Cass. pen. sez. III, 13.01.2015, n. 19174 del 13.01. 2015).
Facendo applicazione di tale principio, la Cassazione giudica adeguatamente motivata, logica e senza contraddizioni la sentenza emessa dalla Corte di Appello che nel caso in esame riteneva sussistente il dolo di divulgazione sulla base dei seguenti elementi:
- l’imputato deteneva il materiale nella cartella incoming del programma di file sharing Emule, ovvero una cartella, teoricamente contenente il materiale inviato da altri utenti, aperta e visibile da tutti;
- il materiale era cospicuo e dal titolo esplicito e rimaneva allocato in tale cartella per un lasso di tempo apprezzabile;
- l’imputato era dotato di competenze tecniche ed informatiche incompatibili con la mancata conoscenza del funzionamento di Emule.
Reati contro l’ordine pubblico – associazioni segrete – L. 17/1982
La Legge 25 gennaio 1982 n. 17 stabilisce che sono da considerarsi associazioni segrete e pertanto vietate “quelle che, anche all'interno di associazioni palesi, occultando la loro esistenza ovvero tenendo segrete congiuntamente finalità e attività sociali ovvero rendendo sconosciuti, in tutto od in parte ed anche reciprocamente, i soci, svolgono attività diretta ad interferire sull'esercizio delle funzioni di organi costituzionali, di amministrazioni pubbliche, anche ad ordinamento autonomo, di enti pubblici anche economici, nonché di servizi pubblici essenziali di interesse nazionale".
La Quinta Sezione della Corte di Cassazione nella sentenza n. 33146 statuisce che per potersi affermare l’esistenza di un’associazione segreta è necessario accertare una vera e propria interferenza nell’esercizio delle funzioni pubbliche, tale per cui le pubbliche amministrazioni si limitano ad eseguire le decisioni provenienti dall’associazione segreta.
Al contrario, la capacità dell’associazione di sollecitare, influenzare e fare pressione su rappresentanti, pubblici amministratori e dipendenti non integra di per sé il requisito dell’interferenza a meno che non si provi il venir meno della libertà decisionale da parte dell’amministrazione.
In definitiva l’associazione segreta e vietata deve costituire una sorta di contropotere a quello legittimamente costituito, con finalità opposte a quelle democratiche e con la forza del gruppo organizzato, in grado di imporre in modo sistematico il proprio indirizzo alle pubbliche amministrazioni, le quali diventano mere esecutrici di decisioni prese in seno all’associazione.
Guida sotto l’influenza dell’alcol – etilometro – seconda misurazione senza cambio del boccaglio
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 41907, in materia di reato di guida sotto l’influenza dell’alcol previsto dall’art. 186 c.d.s., chiarisce che è legittima la seconda misurazione senza cambio del boccaglio dell’etilometro qualora si proceda nei confronti del medesimo individuo.
Infatti la norma che impone la sostituzione del boccaglio, il punto 3.6 dell’allegato al D.M. n. 196/1990, come confermato dalla rubrica intitolata “Igiene”, attiene a motivi sanitari, mirando ad evitare la trasmissione di virus, batteri e malattie, sicché non riguarda l’esecuzione del controllo nei confronti della medesima persona.
Quanto invece alla norma del punto 10.1 dell'allegato al D.M. n. 196/1990 che recita “il boccaglio non deve permettere all'utilizzatore d'inspirare aria contaminata delle precedenti utilizzazioni. Il boccaglio deve impedire il deposito nello strumento delle goccioline presenti nell'aria espirata” è volta a garantire che la misurazione non sia influenzata dal materiale organico di persone diverse.
A ciò si aggiunga che, qualora si interpretasse la disposizione del punto 3.6 nel senso di imporre la sostituzione del boccaglio ad ogni singola misurazione anche nei confronti della medesima persona, la norma del punto 10.1 risulterebbe del tutto superflua.
Reati culturalmente orientati – violenza sessuale – elementi costitutivi del reato
La Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 29613 torna ad esprimersi sui reati culturalmente orientati, ovvero quelle condotte che all’interno di una minoranza culturale sono accettate, mentre all’interno della cultura dominante sono considerate reato.
Nel caso di specie, l’imputato di origine albanese era stato assolto dal reato di violenza sessuale aggravata ex artt. 609 bis c.p. e 609 ter ultimo comma c.p. per aver succhiato il pene del figlio di 5 anni.
In particolare, il giudice dell’Appello arrivava ad escludere sia l’elemento soggettivo sia l’elemento oggettivo del reato, in quanto i gesti compiuti dall’imputato non avrebbero avuto un significato sessuale ma sarebbero stati una manifestazione ludica, ultra affettiva e dimostrativa dell’orgoglio paterno, in accordo alla tradizione presente in alcune aree rurali dell’Albania, secondo cui sarebbe di buon augurio accarezzare le parti intime dei figli maschi.
Secondo la Suprema Corte, la sentenza della Corte di Appello merita di essere censurata con riferimento all’asserita insussistenza sia dell’elemento soggettivo sia di quello oggettivo.
Infatti, quanto all’elemento soggettivo, l’imputato non poteva legittimamente invocare l’ignoranza inevitabile della legge penale italiana, poiché egli era residente in Italia da tempo e in quanto nel codice penale albanese è presente una disposizione assimilabile alla fattispecie di cui agli artt. 609 bis c.p. e 609 ter ultimo comma c.p..
Quanto al profilo che attiene all’elemento oggettivo del reato, la Corte di Cassazione rigetta la nozione soggettivistica di atti sessuali fatta propria dal giudice di secondo grado. Al contrario, al fine di consentire la tutela della libertà di autodeterminazione sessuale, è necessario ritenere vietati tutti gli atti invasivi della sfera sessuale di un individuo a prescindere dal motivo per il quale il soggetto agente li abbia posti in essere.
Reati contro il patrimonio – truffa – legittimazione ai fini della proposizione della querela
La Corte di Cassazione nella sentenza n. 41785, in tema di legittimazione a sporgere querela, dichiara di aderire alla giurisprudenza secondo cui il diritto di querela per il delitto di truffa spetta anche al commesso di un esercizio commerciale che si sia personalmente occupato della transazione commerciale, a prescindere dalla formale attribuzione del potere di rappresentanza.
Alla base di tale scelta ermeneutica si rinviene la valorizzazione del possesso inteso come relazione di fatto con il bene alla cui apprensione è funzionale la condotta illecita, possesso che si configura anche in assenza di un titolo giuridico.
La stretta relazione tra il bene illecitamente appreso e la persona che patisce l’azione fraudolenta consente di identificare nel possessore raggirato, ovvero l’addetto alla cassa, la persona offesa dal reato, anche se il danno patrimoniale incide sulla sfera patrimoniale di un altro soggetto che nel caso di specie è il titolare dell’esercizio commerciale.
Si ritiene dunque che, quando si procede per truffa, la titolarità del diritto di querela spetta sia al soggetto raggirato e materialmente defraudato del bene, sia al soggetto che ha patito il danno patrimoniale, ovvero a colui che vanta il diritto di proprietà sul bene appreso illecitamente, essendo possibile la coesistenza di più soggetti passivi di un medesimo reato.
Delitti contro il patrimonio – rapina aggravata exart. 628 c. 3 bisc.p. – reato complesso
Con la sentenza n. 30950, la Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione ha chiarito che chi si introduce nell’abitazione altrui con lo scopo di fare una rapina integra il reato di rapina aggravata previsto dall’art. 628 c. 3 bisc.p.
L’articolo 628 c.p. punisce infatti chiunque, per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si impossessa della cosa mobile altrui mediante violenza o minaccia; mentre l’aggravante prevista dal comma 3 bissi applica quando il fatto è commesso in luoghi di privata dimora o tali da ostacolare la pubblica o privata difesa.
Tale fattispecie configura un reato complesso, ovvero una figura criminosa in cui convergono gli elementi costitutivi di altri reati.
Nel caso di specie, quindi, non si realizza il concorso tra il reato di rapina e quello di violazione di domicilio, ma si applica la sola pena prevista per il reato complesso di cui all’art. 628 c. 3 bis c.p.
Ragionamento diverso deve essere fatto nell’ipotesi in cui, fatto ingresso abusivamente nell’abitazione altrui per ragioni differenti, il reo proceda poi ad impossessarsi anche del bene mobile della vittima.
In tale secondo caso sussiste invece il concorso di reati e si applicano le pene previste per il reato di violazione di domicilio ex art. 614 c.p. e per il reato di rapina ex art. 628 c. 3 bisc.p.
Arresto in flagranza – presupposti convalida – particolare tenuità del fatto
Secondo consolidata giurisprudenza, il giudice chiamato a convalidare l’arresto in flagranza di reato effettuato dalla polizia deve, oltre a verificare l’osservanza dei termini temporali previsti dagli artt. 386 e 390 c.p.p., controllare altresì la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto.
Il giudice della convalida deve quindi valutare la legittimità dell’operato delle autorità di polizia sulla base di un giudizio ex antein relazione allo stato di flagranza e all’ipotizzabilità di uno dei reati in cui è possibile procedere all’arresto in flagranza.
Quanto alle circostanze che vietano l’arresto, l’art. 385 c.p.p. afferma che l’arresto non è consentito quando, tenuto conto delle circostanze del fatto, appare che questo sia stato compiuto in presenza di una causa di non punibilità.
Con la sentenza n. 28522, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha chiarito che la polizia non è tenuta ad operare una valutazione circa la sussistenza della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto exart. 131 bisc.p., in quanto essa, presupponendo un approfondito vaglio di merito, non è ravvisabile in relazione alle mere “circostanze del fatto” alle quali solo si riferisce l’art. 385 c.p.p.
Gratuito patrocinio – cumulo dei redditi dei familiari conviventi – persona offesa
La Quarta Sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 29104 ha chiarito che, ai fini della determinazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, non può tenersi conto del reddito del familiare convivente che è persona offesa nel procedimento per il quale l’imputato richiede l’ammissione al gratuito patrocinio.
Risulta infatti intuitivo il fatto che l’imputato non possa fare affidamento sul reddito della moglie per far fronte alle spese del processo penale nel quale essi siano rispettivamente imputato e persona offesa.
Corte Costituzionale – benefici penitenziari – illegittimità art. 58 quaterL. 354/1975
Con la sentenza n. 149 depositata in data 11.07.2018, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art 58 quaterL. 354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e limitative della libertà), nella parte in cui si applica ai condannati all’ergastolo per i delitti di cui agli artt. 630 c.p. e 289 bisc.p. che abbiano cagionato la morte del sequestrato.
L’art 58 quaterL. 354/1975 stabiliva infatti che i condannati all’ergastolo per i delitti di cui agli artt. 630 c.p. (sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione) e 289 bisc.p. (sequestro di persona a scopo di estorsione) che avessero cagionato la morte del sequestrato non erano ammessi ad alcun beneficio penitenziario se non avessero espiato effettivamente almeno 26 anni di pena.
Tale disposizione è stata ritenuta incostituzionale sotto tre profili.
In primo luogo, l’appiattimento all’unica e indifferenziata soglia di 26 anni per l’accesso a tutti i benefici penitenziari si pone in contrasto con il principio della progressività trattamentale e flessibilità della pena, ossia del graduale reinserimento del condannato nel contesto sociale durante l’intero arco dell’esecuzione della pena.
In secondo luogo, la disposizione censurata, sterilizzando ogni effetto pratico delle detrazioni di pena a titolo di liberazione anticipata fino al termine dei 26 anni (tra cui principalmente l’effetto di anticipare i termini per la concessione dei singoli benefici) riduce fortemente per l’ergastolano l’incentivo a partecipare all’opera rieducativa.
In terzo luogo, il carattere automatico della preclusione temporale all’accesso ai benefici penitenziari e la connessa impossibilità del giudice di procedere a una valutazione individuale sul percorso rieducativo compiuto contrastano con la finalità rieducativa della pena. Tale finalità risulta ineliminabile anche nei confronti di autori di delitti gravissimi condannati alla pena dell’ergastolo, come affermato dalla costante giurisprudenza costituzionale, che ha indicato come criterio costituzionalmente vincolante quello che esclude rigidi automatismi nella materia dei benefici penitenziari (Corte Cost., sentenza n. 436 del 1999).
Delitti contro la famiglia – maltrattamenti in famiglia - violenza assistita
La Sesta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 18833 ha affermato che il delitto di maltrattamenti in famiglia di cui all’art. 572 c.p. può configurarsi anche nel caso di in cui i comportamenti vessatori non siano rivolti direttamente in danno dei figli minori, ma li coinvolgano (solo) indirettamente quali involontari spettatori delle feroci liti e dei brutali scontri fra i genitori che si svolgano all'interno delle mura domestiche, cioè allorquando essi siano vittime di c.d. violenza assistita.
La condotta di chi costringa minore, suo malgrado, a presenziare quale mero testimone alle manifestazioni di violenza, fisica o morale, è certamente suscettibile di realizzare un'offesa al bene tutelato dalla norma (la famiglia), potendo comportare gravi ripercussioni negative nei processi di crescita morale e sociale della prole interessata”.
Tuttavia in caso di violenza assistita, proprio perché fondata su una relazione non diretta fra il comportamento dell’agente e la vittima, la Suprema Corte afferma la necessità di provare in modo rigoroso che la condotta sia connotata da abitualità e che la stessa abbia cagionato uno stato di sofferenza psico-fisica nella vittima.
Ed infatti, nel caso di specie, la Corte di Cassazione ha ritenuto di censurare la sentenza impugnata sulla base del rilievo che essa mancava di adeguata motivazione in ordine alla sussistenza del requisito dell’abitualità e dello stato di sofferenza causato alla persona offesa.
Reati finanziari e tributari - omesso versamento di ritenute certificate – fatto antecedente al D. Lgs. 158/2015
Con ordinanza in data 23 novembre 2017, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, rilevata l'esistenza di difformità di orientamenti interpretativi, ha rimesso alle Sezioni Unite la seguente questione di diritto: “se, ai fini dell'accertamento del reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-bis, nel testo anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 7, comma 1, lett. b), sia sufficiente la sola dichiarazione modello 770 proveniente dal datore di lavoro per integrare la prova dell'avvenuta consegna ai sostituiti delle certificazioni delle ritenute fiscali”.
Le Sezioni Unite nella sentenza n. 24782 del 2018 hanno ritenuto che, con riferimento alla normativa previgente alla modifica del 2015, debba essere condiviso l'indirizzo maggioritario che esclude l’idoneità del solo modello 770, a provare l'elemento, da considerare presupposto del reato, del rilascio delle certificazioni.
E invero appare significativo che il quadro ST del modello 770 non rechi alcuna specifica indicazione in ordine al rilascio delle certificazioni, avendo invece ad oggetto unicamente i dati dell’“importo versato” e delle “ritenute operate”.
Le Sezioni Unite chiariscono inoltre che l’omissione sanzionata dall’art. 10 bis prima della riforma era limitata alle ritenute risultanti dalla certificazione e dopo la riforma è stata estesa anche alle ritenute emergenti dalla dichiarazione, ovvero dal modello 770. Trattandosi di legge successiva sfavorevole, essa non può applicarsi retroattivamente ai fatti commessi prima della sua entrata in vigore.
Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte nella sentenza n. 24782 del 2018, afferma il seguente principio di diritto: “con riferimento all’art. 10-bis nella formulazione anteriore alle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 158 del 2015, la dichiarazione modello 770 proveniente dal sostituto di imposta non può essere ritenuta di per sé sola sufficiente ad integrare la prova della avvenuta consegna al sostituto della certificazione fiscale”.
Corte Costituzionale – sospensione del procedimento con messa alla prova – illegittimità art. 517 c.p.p.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 141 del 2018, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 517 c.p.p., nella parte in cui, in seguito alla nuova contestazione di una circostanza aggravante, non prevede la facoltà dell’imputato di richiedere al giudice del dibattimento la sospensione del procedimento con messa alla prova.
La giurisprudenza costituzionale sulla facoltà dell’imputato di richiedere i riti alternativi dopo nuove contestazioni si è andata evolvendo nel tempo in modo significativo.
La Corte Costituzionale ha progressivamente riconosciuto che, in seguito a nuove contestazioni mosse in dibattimento, siano esse “tardive” (relative cioè a fatti che già risultavano dagli atti di indagine al momento dell’esercizio dell’azione penale) o “fisiologiche” (relative agli elementi acquisiti nel corso dell’istruzione dibattimentale), l’imputato viene a trovarsi in una posizione diversa e deteriore rispetto a chi della stessa imputazione fosse stato chiamato a rispondere fin dall’inizio. Infatti, condizione primaria per l’esercizio del diritto di difesa è che l’imputato abbia ben chiari i termini dell’accusa mossa nei suoi confronti.
Diviene dunque chiaro che, nel caso di contestazione di una nuova circostanza aggravante in fase dibattimentale, non concedere all’imputato di accedere ai riti alternativi del patteggiamento, del giudizio abbreviato e della sospensione del procedimento con messa alla prova si risolve in una violazione degli artt. 3 e 24 Cost.
Art. 162 ter c.p. – estinzione del reato per condotte riparatorie – giudizio pendente in Cassazione
Con la sentenza n. 26285 del 2018, la Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha affermato il seguente principio di diritto: “la causa di estinzione del reato di cui all’art. 162-ter c.p. deve ritenersi applicabile anche ai processi pendenti in sede di legittimità al momento dell’entrata in vigore della relativa disciplina, quando le condotte riparatorie siano state eseguite nel corso del giudizio di merito”.
Infatti l’art. 11 della L. 103/2017, che ha introdotto 162 ter c.p.p., statuisce espressamente che la norma si applica anche ai processi in corso alla data di entrata in vigore della legge e quindi anche ai processi pendenti avanti alla Corte di Cassazione.
La medesima norma esclude, in relazione al solo giudizio di legittimità, la possibilità di fissare un termine per provvedere alle condotte riparatorie, ergo a contrario si deve concludere che sia applicabile la causa di estinzione del reato prevista dall’art. 162 ter c.p.p. nel caso in cui la condotta riparatoria sia effettuata anteriormente della prima udienza del giudizio in Cassazione.
Intercettazioni telefoniche – utilizzabilità in procedimento diverso – connessione teleologica o probatoria tra procedimenti
Con la sentenza n. 28361 del 2018, la Corte di Cassazione I Sezione Penale ha annullato l’ordinanza con cui il Tribunale di Roma, in funzione di giudice del riesame, ha sostituito le misure cautelari disposte nei confronti di due militari impiegati nel servizio di scorta di un collaboratore di giustizia. Essi erano accusati di aver effettuato più accessi abusivi al Sistema informativo interforze e alla banca dati esterna ACI, per ragioni estranee al loro ufficio e al solo fine di acquisire notizie riservate e non accessibili al pubblico, che comunicavano al suddetto collaboratore di giustizia.
Le notizie di reato a carico dei militari erano state acquisite sulla base delle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito del filone di indagine relativo al reato di associazione di tipo mafioso e ai reati ascritti al suddetto collaboratore di giustizia.
La Suprema Corte ha statuito che è necessario dare specifica e puntuale giustificazione del vincolo di connessione tra i plurimi episodi di accesso abusivo a sistema informatico ascritti agli imputati e i reati per i quali sono state disposte le operazioni di intercettazione, stante il divieto generale ex art. 270 c.p.p. di utilizzare intercettazioni acquisite in altro procedimento.
Evasione fiscale – consigli forniti del commercialista ai clienti non coperti dal segreto professionale
Con sentenza 26 marzo 2018 n. 14007 la Corte di Cassazione, sezione III penale ha stabilito che i consigli forniti dal commercialista intercettato al cliente per evadere il fisco non sono coperti dal segreto professionale e sono pienamente utilizzabili anche ai fini cautelari.
Secondo la Suprema Corte, infatti, il divieto di inutilizzabilità si applicherebbe soltanto ai fatti di cui il professionista è venuto a conoscenza a causa della sua attività professionale, non rientrando in quest’ ultima categoria le informazioni fornite al cliente per spostare il patrimonio all’estero, anche se di natura tecnica.
Tenuità del fatto – inapplicabilità al reato di esercizio abusivo di professione
La Cassazione, sezione VI penale, con sentenza 29 marzo 2018 n.14501, ha escluso l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto in capo ad un falso odontoiatra il quale aveva ricoperto il ruolo di direttore sanitario in uno studio dentistico senza avere le necessarie abilitazioni e che si era qualificato come odontoiatra nelle dichiarazioni dell’Asl.
La Corte ha così affermato che è escluso il beneficio di cui all’art. 131 bis c.p. per il reato di esercizio abusivo della professione in quanto si tratta di una fattispecie che presuppone una condotta che “in quanto connotata di ripetitività, continuità, o, comunque, dalla pluralità degli atti tipici, è di per sé ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità”.
Truffa commessa mediante accrediti sulla carta postepay
Con sentenza 24 gennaio 2018 n. 3329 la Cassazione, sez. II ha affermato che nel delitto di truffa, quando il profitto è conseguito mediante accredito su carta di pagamento ricaricabile (nel caso di specie postepay) il tempo e il luogo di consumazione del reato coincidono con il momento in cui la persona offesa ha proceduto al versamento del denaro sulla carta di pagamento.
La ragione è individuata nel fatto che è questo il momento in cui si realizza contestualmente il profitto da parte dell’agente, che ottiene l’immediata disponibilità della somma versata e la diminuzione del patrimonio della persona offesa dal reato in questione.
Mandato d’arresto europeo - minore età
Con sentenza 23 gennaio 2018 la Corte di Giustizia dell’UE che è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi in via pregiudiziale sull’interpretazione delle norme della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio relativa al mandato d’arresto europeo (MAE) e alle procedure di consegna tra gli Stati membri. In particolare, la Corte ha affermato che l’art. 3, punto 3 della decisione quadro 2002/584/GAI come modificata dalla decisione quadro 2009/299/ GAI debba essere interpretato nel senso che l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione deve rifiutare unicamente la consegna dei minori oggetto di un MAE che, secondo il diritto dello Stato membro di esecuzione, non abbiano raggiunto l’età richiesta per essere considerati penalmente responsabili dei fatti da cui trae origine il mandato d’arresto. Pertanto, l’autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione, afferma la Corte, per decidere in ordine alla consegna di un minore oggetto di un mandato d’arresto europeo, deve soltanto valutare se il minore abbia raggiunto l’età minima per essere considerato imputabile nello Stato membro di esecuzione, senza dover tenere conto di altre condizioni supplementari, relative a una valutazione personalizzata alle quali quello Stato subordina l’esercizio dell’azione penale o la condanna del minore per tali fatti.
Privacy - Trattamento dei dati personali in ambito penale – decreto legislativo 18 maggio 2018 n. 51
E’ stato pubblicato sulla G.U. 119 del 24 maggio il d. lgs. 51/2018 in attuazione della direttiva UE 2016/680 del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla «protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali da parte delle autorità competenti a fini di prevenzione, indagine, accertamento e perseguimento di reati o esecuzione di sanzioni penali, nonché alla libera circolazione di tali dati».
Si tratta di un testo unitario che prevede una disciplina relativa al trattamento, alla raccolta, alla conservazione e alla distruzione dei dati personali fondata sui principi di liceità, correttezza, adeguatezza e pertinenza al fine di assicurare ai dati personali in materia penale un’adeguata protezione e sicurezza.
In particolare il decreto stabilisce che i dati personali debbano essere:
- trattati in modo lecito e corretto;
- raccolti per finalità determinate, espresse e legittime e trattati in modo compatibile con tali finalità;
- adeguati, pertinenti e non eccedenti rispetto alle finalità per le quali sono trattati;
- esatti e, se necessario, aggiornati;
- conservati con modalità che consentano l’identificazione degli interessati per il tempo necessario al conseguimento delle finalità per le quali sono trattati, sottoposti ad esame periodico per verificarne la persistente necessità di conservazione, cancellati o anonimizzati una volta decorso tale termine;
- trattati in modo da garantire un’adeguata sicurezza e protezione da trattamenti non autorizzati o illeciti o dalla perdita, dalla distruzione o dal danno accidentali, mediante l’adozione di misure tecniche e organizzative adeguate.
L’eventuale trattamento dei dati per una finalità diversa da quella per cui i dati sono stati raccolti è permesso solo se il titolare del trattamento è dotato di specifica autorizzazione in tal senso.
E’ altresì significativa la disposizione del decreto in cui è previsto che il titolare del trattamento debba fornire all’interessato un complesso di informazioni in modo gratuito, completo e tempestivo tra cui quelle relative all’identità e ai dati di contatto del titolare del trattamento nonché del responsabile per la protezione dei dati (se previsto), le finalità del trattamento, la sussistenza del diritto di chiedere l’accesso ai dati, la rettifica, la cancellazione e la limitazione del trattamento nonché la sussistenza del diritto di proporre reclamo al Garante e i relativi dati di contatto.
L'interessato ha, inoltre, il diritto di ottenere dal titolare del trattamento la conferma dell'esistenza di un trattamento in corso dei dati personali che lo riguardano e il conseguente accesso a determinati dati e informazioni relative ad esso.
Il testo prevede, poi, che i diritti dell’interessato relativi ai dati personali contenuti in una decisione giudiziaria, in atti o documenti oggetto di trattamento nel corso di accertamenti o indagini, nel casellario giudiziale o in un fascicolo oggetto di trattamento nel corso di un procedimento penale o in fase di esecuzione penale, siano esercitati conformemente a quanto previsto dalle disposizioni di legge o di regolamento che disciplinano tali atti e procedimenti.
Dunque i diritti degli interessati possono essere ritardati, limitati o esclusi, secondo le relative disposizioni, quando ciò costituisce misura necessaria e proporzionata alla tutela:
- di esigenze processuali, di indagine e di esecuzione di sanzioni penali, misure di sicurezza e misure preventive;
- della sicurezza pubblica e nazionale;
- dei diritti e delle libertà altrui.
Per garantire i diritti in ambito giudiziario anche con riferimento ai terzi, si è previsto che qualsiasi interessato, durante il procedimento penale o dopo la sua definizione, possa chiedere la rettifica, la cancellazione o la limitazione dei dati personali che lo riguardano con le modalità di cui all’art. 116 c.p.p.
L’art. 4 del decreto distingue i dati personali in relazione alle diverse categorie di interessati previste dalla legge (persone sottoposte ad indagine, imputati, anche in procedimenti connessi, condannati, persone offese, parti civili, persone informate sui fatti, testimoni) e tra i dati fondati sui fatti da quelli che si basano su valutazioni.
Si impone altresì all’autorità giudiziaria di adottare misure idonee a garantire l’adeguata protezione di tutti i dati.
Il titolare del trattamento nomina la figura del responsabile del trattamento con il compito di assicurare l’adeguata protezione dei dati personali e dei diritti dell’interessato e con l’obbligo di tenere un registro di tutte le categorie di trattamento sotto la propria responsabilità.
Viene disciplinata anche la figura del Garante come autorità di controllo incaricata di vigilare sull’applicazione delle norme del decreto ad eccezione dei trattamenti effettuati dall’autorità giudiziaria nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali e dal Pubblico Ministero nell’esercizio di quelle giudiziarie.
Rilevante appaiono anche le disposizioni che stabiliscono dei limiti al trasferimento di dati personali verso i paesi terzi o organizzazioni internazionali. In particolare perché il trasferimento possa avvenire occorre:
- la necessarietà del trasferimento;
- la presenza di un’autorità competente ai sensi dell’art.1, comma 2 a cui trasferire i dati;
- l’autorizzazione preliminare al trasferimento conforme al proprio diritto nazionale da parte dello Stato che rende disponibili i dati;
- una decisione di adeguatezza da parte della Commissione Europea o, eventualmente, adeguate garanzie.
Il decreto abroga la decisione quadro 2008/977/GAI del Consiglio ed entrerà in vigore l’8 giugno 2018.
Informativa sul trattamento dei dati personali – aggiornamento della policy sulla privacy
Si comunica che lo Studio, a seguito dell’entrata in vigore del Regolamento Generale Sulla Protezione dei Dati (GDPR), ha aggiornato la sua policy sulla privacy.
Lo scopo dello Studio è da sempre quello di offrire ai propri assistiti, consulenti e colleghi una relazione professionale esclusiva e un’accoglienza personalizzata nel rispetto delle normative vigenti.
Per questa ragione la scelta dello Studio è quella di garantire con priorità la sicurezza dei dati personali di tutti gli utenti e la conformità al nuovo Regolamento UE.
In questo contesto, lo Studio ribadisce che i vostri dati personali saranno raccolti nel rispetto e in applicazione del Regolamento Europeo e continueranno ad essere utilizzati esclusivamente per l’invio di comunicazioni sulle novità giuridiche e giurisprudenziali al fine di rendere un servizio sempre al passo con l’evoluzione del diritto. Nessun dato verrà divulgato o reso noto a terzi e non sarà utilizzato per scopi diversi da quelli indicati.
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D.lgs. 21/2018 – Modifiche al codice penale: nuovi reati
E’ stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 68 del 22 marzo 2018 il Decreto Legislativo 1 marzo 2018, n. 21 che entrerà in vigore il prossimo 6 aprile, recante “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103”.
Il Decreto risponde all’esigenza di razionalizzare e rendere maggiormente conoscibile e comprensibile la normativa penale.
In particolare, la nuova normativa prevede la attuazione, sia pure tendenziale, del principio della riserva di codice nella materia penale e stabilisce che le norme introduttive di nuovi reati debbano essere collocate nel codice penale oppure in leggi extra codicistiche che disciplinino in maniera organica la materia al fine di una migliore conoscenza dei precetti e delle sanzioni e, quindi, dell’effettività della funzione rieducativa della pena.
Nello specifico, le novità introdotte dalla novella legislativa sono:
1. art. 289-ter c.p. (in sostituzione dell’art. 4 L. 718/1985) che prevede l’introduzione del reato di sequestro di persona a scopo di coazione e punisce con la reclusione da venticinque a trenta anni "chiunque, fuori dei casi indicati negli articoli 289-bis e 630, sequestra una persona o la tiene in suo potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione";
2. art. 388 comma 2 c.p., che assorbendo la previsione dell’art. 6 L. 154 /2001, introduce tra le condotte elusive del provvedimento del giudice punite dalla norma, anche quella contro l’ordine di protezione avverso gli abusi familiari;
3. art. 570-bis c.p., che punisce con la reclusione fino a un anno o la multa da 103 euro a 1.032 euro le violazioni degli obblighi imposti dal giudice con il provvedimento di separazione e di divorzio, punendo di fatto la mancata corresponsione dell’assegno di mantenimento disposto dal giudice in caso di separazione o divorzio;
4. art. 586-bis c.p., che punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni “chiunque utilizzi o somministri farmaci o altre sostanze al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”;
5. art. 593-bis c.p., il quale, abrogando gli artt. 17 e 18 della L.194/1978, prevede che sia punito con la reclusione da tre mesi a due anni “chiunque cagiona a una donna per colpa l'interruzione della gravidanza è punito con la reclusione da tre mesi a due anni”, mentre la stessa pena diminuita fino alla metà è prevista per coloro che "cagionano a una donna per colpa un parto prematuro”;
6. art. 601 c.p. commi 3 e 4 (tratta di persone) in sostituzione degli artt. 1152 e 1153 del codice della navigazione, che introduce l’aggravante per il fatto commesso dal comandante o dall’ufficiale nonché la responsabilità del componente dell’equipaggio della nave destinata alla tratta, anche se non è stato compiuto alcun fatto previsto dalla norma come reato;
7. art. 601-bis c.p. (traffico di organi prelevati da persona vivente), che punisce la condotta di “mediazione a scopo di lucro nella donazione di organi destinati ai trapianti con la reclusione da tre a otto anni e con la multa da euro 50.000 a euro 300.000”, abrogando la disposizione dell’art. 22-bis comma 1 della Legge 91 del 1999;
8. art. 604-bis c.p., che punisce il reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione e dispone: “salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito: a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi”. Le precedenti disposizioni in tema di aggravante della finalità di discriminazione sono pertanto confluite nell’art. 604-ter c.p.;
9. art. 452-quaterdecies c.p. rubricato “attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti”, che sostituisce l’art. 260 del d.lgs. 152/2006 e punisce con la reclusione da uno a sei anni “chiunque, al fine di conseguire un ingiusto profitto, con più operazioni e attraverso l'allestimento di mezzi e attività continuative organizzate, cede, riceve, trasporta, esporta, importa, o comunque gestisce abusivamente ingenti quantitativi di rifiuti; se si tratta di rifiuti ad alta radioattività si applica la pena della reclusione da tre a otto anni”. Inoltre, con modifica dell’art. 51 comma 3-bis c.p.p., si è attribuito tale reato alla competenza degli uffici della Direzione Distrettuale Antimafia;
10. art. 493-ter, che (abrogando l’art. 55 comma 5 del d.lgs. 231/2007) punisce per il delitto di indebito utilizzo e falsificazione di carte di credito e di pagamento “chiunque al fine di trarne profitto per se o per altri, indebitamente utilizza, non essendone titolare, carte di credito o di pagamento, ovvero qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi e chi, al fine di trarne profitto per se o per altri, falsifica o altera carte di credito o di pagamento o qualsiasi altro documento analogo che abiliti al prelievo di denaro contante o all'acquisto di beni o alla prestazione di servizi, ovvero possiede, cede o acquisisce tali carte o documenti di provenienza illecita o comunque falsificati o alterati, nonché ordini di pagamento prodotti con essi”;
11. art. 512-bis c.p., che (abrogando l’art. 12-quiquies comma 1 del d.l. 306/1992) prevede “salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque attribuisce fittiziamente ad altri la titolarità o disponibilità di denaro, beni o altre utilità al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali o di contrabbando, ovvero di agevolare la commissione di uno dei delitti di cui agli articoli 648, 648-bis e 648-ter, è punito con la reclusione da due a sei anni”;
12. art. 61-bis c.p., che introduce nel codice la circostanza aggravante dei reati transnazionali (commessi con il contributo di «un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più di uno Stato»), che fino ad ora era prevista all’art. 4 della Legge 146 del 2006;
13. art. 270-bis 1 c.p., che prevede un aumento della pena per i reati commessi per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico se punibili con pena diversa dall’ergastolo, l’attenuante della dissociazione da parte del concorrente e l’esimente per il colpevole quando volontariamente impedisca l’evento e fornisca elementi di prova determinanti per la ricostruzione del fatto e l’individuazione degli eventuali concorrenti. La norma abroga gli artt. 1, 4 e 5 del d.l. 625/1979;
14. art. 416-bis 1, che prevede che “la pena è aumentata da un terzo alla metà, per i delitti punibili con pena diversa dall'ergastolo commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni mafiose, con esclusione di ogni eventuale bilanciamento con altre circostanze attenuanti”, e in relazione al quale sono contestualmente abrogati gli artt. 7 e 8 del d.l. 152/1991;
15. art. 240-bis c.p. rubricato “confisca in casi particolari”, che prevede “la confisca del denaro, dei beni o delle altre utilità di cui il condannato per una serie di gravi reati tassativamente indicati dalla legge risulti avere la disponibilità, anche per interposta persona, in valore sproporzionato al reddito dichiarato o alla propria attività economica e non possa giustificare la provenienza”.
Misure alternative alla detenzione – incostituzionalità comma 5 art. 656 c.p.p.
La Corte Costituzionale con sentenza n. 41 del 2 marzo 2018 ha affermato l’illegittimità costituzionale dell’art. 656, comma 5, c.p.p. nella parte in cui prevede che il Pubblico Ministero sospenda l’esecuzione della pena detentiva, anche se costituente residuo di maggiore pena, solo per condanne non superiori a tre anni anziché a quattro anni.
L’intervento si è imposto a seguito dell’entrata in vigore della d.l. 146/2013 che aveva indicato in quattro anni il limite di applicazione della misura alternativa alla pena detentiva dell’affidamento in prova al servizio sociale (c.d. affidamento “allargato”), non operando tuttavia un coordinamento con la norma sulla sospensione dell’esecuzione prevista dall’art. 656 c.p.p. e portando inevitabilmente ad una disparità di trattamento tra i soggetti cui era concesso di usufruire dell’affidamento in prova.
Con la sentenza in commento, pertanto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto che “mancando di elevare il termine previsto per sospendere l’ordine di esecuzione della pena detentiva, così da renderlo corrispondente al termine di concessione dell’affidamento in prova allargato, il legislatore non è incorso in un mero difetto di coordinamento, ma ha leso l’art. 3 Cost.”.
Ad oggi è pertanto possibile ottenere la sospensione dell’ordine di carcerazione con il termine per chiedere la concessione di una misura alternativa alla pena detentiva anche quando la pena da espiare, anche se costituente residuo di maggior pena, ammonta ad anni quattro.
L’occasione è gradita per trasmettere a tutti i nostri migliori auguri di Buona Pasqua.
Intercettazioni di comunicazioni o conversazioni – Captatore informatico – Virus Trojan
Il d.lgs. 261/2017 è intervenuto sulla formulazione dell’art. 266 c.p.p., con l’aggiunta del comma 2-bis, prevedendo che l’attività di intercettazione di comunicazioni o conversazioni nel domicilio o in altri luoghi di dimora può essere autorizzata dal giudice soltanto qualora sussista fondato motivo di ritenere che vi si stia svolgendo l’attività criminosa. Ad eccezione dei reati di criminalità organizzata e terrorismo, l’intercettazione è sempre consentita (art. 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.).
In questo modo si è determinato un restringimento dell’ambito operativo del captatore informatico (il c.d. trojan), perché prima della riforma era possibile ricorrervi senza necessità di specificare i luoghi in cui attivarlo. Per trojan deve intendersi un virus occultamente installato dalle Forze dell’Ordine su dispositivi elettronici attraverso l’uso della connessione internet o immesso direttamente sull’apparato. Con il captatore è possibile acquisire, e quindi estrapolare e far copia, di qualsiasi tipo di dato presente sul dispositivo intercettato.
La riforma ha anche modificato l’art. 267 c.p.p. che adesso prevede l’indicazione, da parte del giudice nel provvedimento di autorizzazione dell’intercettazione, delle ragioni che rendono necessaria l’investigazione attraverso il captatore informatico, dei luoghi e della durata in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono (o meglio del captatore che attiva da remoto il microfono del dispositivo nel quale è stato immesso). È stato così introdotto un sistema dove, fissata la durata complessiva delle operazioni, l’attività di ascolto avverrà solo in specifiche occasioni preventivamente determinate.
Sempre all’art. 267 c.p.p. è stato introdotto un nuovo comma 2-bis che prevede l’intercettazione d’urgenza solo nel caso in cui si proceda per i delitti di cui agli articoli 51 commi 3-bis e 3-quater c.p.
Infine la novella ha investito anche l’art. 271 c.p.p. con l’introduzione del comma 1-bis e la previsione dell’inutilizzabilità delle intercettazioni eseguite al di fuori dei casi consentiti dalla legge, nonché di tutti i dati acquisiti nel corso delle operazioni preliminari all’inserimento del captatore sul dispositivo da controllare.
Whistleblowing – Responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato ex D.lgs. 231/2001
La Legge n. 179/2017 ha introdotto importanti modifiche alla materia del c.d. wistleblowing introdotta per la prima volta nel nostro ordinamento dalla Legge 190/2012.
Per wistleblowing (letteralmente suonatore di fischietto) si intende quel soggetto, dipendente di un ente pubblico o privato, che dall’interno dell’ente stesso viene a conoscenza di condotte illecite e decide di denunciarle all’Autorità (giudiziaria, amministrativa o contabile).
L’ordinamento riconosce una particolare forma di tutela nei confronti di questo soggetto in quanto con le sue condotte consente di implementare la legalità nel contesto economico.
Di particolare interesse è l’art. 2 che amplia l’ambito oggettivo della disciplina aggiungendo, tra i vari enti all’interno dei quali è ammessa la denuncia da parte del dipendente di condotte illecite, anche gli enti privati (prima di questa riforma la disciplina in questione era prevista solo per le imprese pubbliche).
La novella ha modificato l’art. 6 del D.lgs. 231/2001 (che prevede le caratteristiche per la predisposizione dei modelli organizzativi ai fini della prevenzione dei reati e dell’esenzione da responsabilità in capo all’ente) con l’introduzione di modelli che prevedano “canali che consentano ai soggetti apicali e sottoposti di presentare, a tutela dell’integrità dell’ente, segnalazioni circostanziate di condotte illecite, rilevanti ai sensi del d.lgs. 231/2001 e fondate su elementi di fatto precisi e concordanti, o di violazioni del modello di organizzazione e gestione dell’ente, di cui siano venuti a conoscenza in ragione delle funzioni svolte; tali canali garantiscono la riservatezza dell’identità del segnalante nelle attività di gestione della segnalazione”.
Istigazione e aiuto al suicidio – qualificazione delle condotte di istigazione e aiuto – art. 580 c.p.
La Corta d’Assise di Milano con l’ordinanza del 14 febbraio 2018 ha sospeso un procedimento penale per il reato di istigazione al suicidio e disposto la trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale affinché si pronunci sulla costituzionalità dell’art. 580 c.p. che punisce chi istiga o aiuta altri al suicidio.
L’ordinanza si sofferma sulla differenza tra i concetti di “istigazione” e di “aiuto”, affermando che il primo comprende la condotta di chi determini altri al suicidio facendogli assumere un progetto e una decisione che prima non aveva, oppure di chi rafforzi il proposito ancora non sicuro e non definito dall’aspirante suicida; il secondo è integrato dalle condotte di chi offra in ogni modo un’agevolazione alla realizzazione della decisione suicida.
La Corte milanese ha trasmesso gli atti alla Consulta, poiché sull’interpretazione delle condotte di aiuto ed istigazione si è pronunciata una sentenza della Corte di Cassazione (n. 3147/1998) che ha considerato le condotte di agevolazione come punibili a prescindere dalla ricaduta sul processo deliberativo dell’aspirante suicida in quanto alternative a quelle di istigazione. Tale impostazione si baserebbe, secondo la Corte di Cassazione, sull’idea di suicidio come fatto riprovevole e sulla ratio dell’art. 580 c.p. come norma a tutela della vita in quanto bene supremo. Tali considerazioni sono state riprese anche dalle sentenze della Cassazione n. 33244/2013 e n. 217748/2017.
La Corte d’Assise non aderendo all’interpretazione della Corte di Legittimità ha rimesso la questione alla Consulta affinché si pronunci sulla legittimità costituzionale della norma nella parte in cui ritiene sanzionabili con la pena della reclusione da 5 a 10 anni le condotte di agevolazione al suicidio, che non incidano sul percorso deliberativo dell’aspirante suicida.
Regolamento UE n. 679/2016 – Codice Privacy (D.lgs. 196/2003) – novità sulla governance delle imprese in ambito privacy
Il Regolamento UE n. 679 del 2016 promulgato dal Parlamento Europeo il 27 aprile del 2016 statuisce che entro il termine del prossimo 25 maggio imprese ed enti pubblici adeguino i loro sistemi di governance alla nuova disciplina modificativa del c.d. Decreto Privacy (d.lgs. 196/2003).
In particolare, il regolamento pone con forza l’accento sulla responsabilizzazione dei titolari del trattamento dei dati personali e sensibili, i quali saranno chiamati a rispondere in solido con i soggetti che abbiano provocato danni derivanti dal non corretto trattamento.
Le aziende private o la Pubblica Amministrazione in possesso di dati riferibili a persone identificate o identificabili per finalità di impresa o istituzionale assumeranno l’obbligo di conservare e proteggere tali dati, anche mediante l’adozione di specifiche misure finalizzate ad assicurare l'applicazione del Regolamento stesso.
Tali misure saranno adottate a seguito di una preventiva valutazione del rischio concreto che un determinato trattamento (per le modalità tecniche con cui è svolto e per le finalità) può avere sulla protezione dei dati.
In questo modo sarà possibile adottare strumenti e modalità di trattamento dei dati create ad hoc per ridurre il grado di rischio delle attività poste in essere dalle aziende (principio della privacy by default).
In ogni caso, vi sarà l’obbligo di adottare fin dall’inizio del processo produttivo comportamenti in grado di assicurare la correttezza, l’integrità, la riservatezza e la sicurezza dei dati (principio della privacy by design).
Per gli enti sarà possibile ottenere indicazioni da parte del Garante della Privacy su come valutare e gestire tali rischi.
Quanto all’Autorità Amministrativa, la sua attività di controllo a partire dal 25 maggio 2018 sarà ex post e non più preventiva. Il nuovo Regolamento, infatti, ha stabilito l’obbligo per ciascun ente di tenere un Registro dei trattamenti sui dati che contenga la descrizione dei trattamenti effettuati e le relative procedure di sicurezza adottate.
Inoltre i titolari dei dati avranno l’obbligo di notificare all'Autorità di Controllo, entro 72 ore e senza ingiustificato ritardo, le violazioni di dati personali di cui vengano a conoscenza (i c.d. data breach), sempre che tali violazioni siano ritenute rischiose per i diritti e le libertà degli interessati.
L’omessa notifica in caso di compromissione di dati verrà punita con sanzioni che per le violazioni più gravi potranno arrivare sino al valore più alto tra 20 milioni di euro e il 4% del fatturato mondiale di gruppo dell’esercizio precedente.
Per garantire l’efficacia di questo nuovo sistema le imprese dovranno provvedere alla nomina di un “responsabile della protezione dati” (RPD, ovvero DPO se si utilizza l'acronimo inglese: Data Protection Officer), il quale si occuperà tra le altre cose di promuovere la sensibilizzazione e la formazione del personale e avrà il compito di sorvegliare lo svolgimento della valutazione del rischio inerente al trattamento dei dati.
Infine, un’importante novità riguarda i paesi situati al di fuori dell’Unione Europea verso i quali sarà vietato il trasferimento dei dati, se non previa acquisizione del consenso espresso del diretto interessato o adozione di standard di sicurezza adeguati.
Reati tributari – provvedimento di confisca – pagamento parziale
La Corte di Cassazione con la sent. n. 4733/2017 (depositata 1 febbraio 2018), ha annullato con rinvio la decisione del Gip di Firenze che disponeva la confisca nei confronti dell’imputato per l'ammontare dell’intero debito tributario nonostante il suo parziale adempimento. La Corte ha chiarito che in tema di reati tributari, la disposizione di cui all’art. 12-bis c. 2 del D.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, secondo cui la confisca dei beni costituenti profitto o prodotto del reato "non opera per la parte che il contribuente si impegna a versare all'erario anche in presenza di sequestro", deve essere intesa nel senso che la confisca (così come il sequestro preventivo ad essa preordinato) può essere adottata anche a fronte dell'impegno di pagamento assunto, producendo tuttavia effetti solo ove si verifichi l'evento futuro ed incerto costituito dal mancato pagamento del debito.
Si è specificato, in particolare, che la locuzione "non opera" non significa affatto che la confisca, a fronte dell'accordo rateale intervenuto, non possa essere adottata ma che la stessa non divenga efficace con riguardo alla parte coperta da tale impegno salvo ad essere disposta allorquando l'impegno non venga rispettato ed il versamento promesso non si verifichi.
Solo l'integrale pagamento del debito tributario, in virtù della necessità di evitare la sostanziale duplicazione dello stesso, può condurre alla non operatività della confisca e, del sequestro imposto a tal fine, essendo invece insufficiente la mera ammissione ad un piano rateale di pagamento o il parziale pagamento effettuato a tale titolo.
Quanto detto si spiega in ragione del fatto che il profitto suscettibile di confisca corrisponde all'ammontare dell'imposta evasa, col pagamento di questa viene meno qualsiasi indebito vantaggio da aggredire col provvedimento ablatorio, per cui un successivo provvedimento comporterebbe una inammissibile duplicazione della sanzione.
Estinzione del reato per intervenuta prescrizione – applicazione della confisca diretta del prezzo e del profitto del reato
Con sentenza n. 51988 del 14.11.2017 la sezione II penale della Corte di Cassazione ha confermato la possibilità del giudice di disporre la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, purché vi sia stata una precedente pronuncia di condanna.
In particolare, i Giudici hanno affermato che la pronuncia di estinzione del reato non comporta la revoca della confisca che, nel caso in cui il prezzo o il profitto derivante dal reato sia costituito da denaro, deve essere qualificata come confisca diretta.
Nella fattispecie la Suprema Corte ha confermato la confisca diretta in relazione ad un caso di percezione indebita di fondi pubblici nonostante l’intervenuta prescrizione del reato.
Truffa contrattuale ex art. 640 c.p. – sussistenza del delitto in caso di silenzio malizioso su circostanze determinanti
La II sezione penale della Suprema Corte è tornata a pronunciarsi sul delitto punito dall’art. 640 c.p. con sentenza n. 53593 del 27.11.2017.
In particolare, i Giudici hanno affermato che la fattispecie di truffa contrattuale sussiste anche laddove l’agente abbia serbato un silenzio malizioso sulle circostanze determinanti nella valutazione delle reciproche prestazioni da parte del soggetto passivo.
Il silenzio da parte di colui che ha il dovere di far conoscere certe circostanze rilevanti ai fini della sottoscrizione o dell’esecuzione del contratto, integra l’elemento del raggiro idoneo ad influire sulla volontà negoziale del soggetto passivo.
Nel caso di specie, dal tenore del contratto stipulato si evinceva che i contraenti truffati confidavano nella titolarità del bene da parte del loro promittente venditore, il quale aveva falsamente affermato di averne acquistato la proprietà.
Violazione di domicilio – distinzione tra privata dimora e proprietà privata - art. 614 c.p.
La V sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 53438 del 24.11.2017, ha ribadito che in tema di violazione di domicilio, la definizione di privata dimora non può essere considerata equivalente a quella di proprietà privata.
Secondo la Corte, in conformità con l’affermazione delle Sezioni Unite penali sentenza 23.03.2017-22.06.2017, n. 31345, i concetti di privata dimora e proprietà privata non sono sovrapponibili in quanto il primo, molto più circoscritto del secondo, si riferisce esclusivamente ai luoghi in cui si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attività lavorativa o professionale.
Maltrattamenti contro familiari e conviventi – configurabilità della fattispecie anche a seguito di cessazione della convivenza art. 572 c.p.
Con sentenza n. 52723 del 20.11.2017, la Corte di Cassazione, sezione II penale, ha affermato che il delitto di maltrattamenti in famiglia può essere ascritto all’agente che commette violenze nei confronti del convivente more uxorio anche dopo la cessazione della convivenza stessa, qualora permanga una relazione con la vittima in ragione dei doveri degli ex conviventi verso i figli.
Per costante interpretazione della giurisprudenza di legittimità, infatti, il reato di maltrattamenti in famiglia è ravvisabile in riferimento non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma anche a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale.
Violenza sessuale di gruppo – sussistenza del delitto in caso di abuso delle condizioni di inferiorità della persona offesa a seguito di assunzione di bevande alcoliche
La III sezione penale della Cassazione è ritornata con sentenza n. 45589 del 4.10.2017 sul tema della violenza sessuale di gruppo, affermando che integra il delitto di cui al comma 2 n. 1 dell’art. 609-octies c.p. la condotta di coloro che, con abuso delle condizioni di inferiorità psichica o fisica della persona offesa, inducano questa a subire atti sessuali in uno stato di infermità psichica determinato dall'assunzione di bevande alcooliche, essendo l'aggressione all'altrui sfera sessuale connotata da modalità insidiose e subdole.
Infatti, secondo i Giudici di legittimità rientra tra le condizioni di inferiorità psichica o fisica anche la volontaria assunzione di alcolici o di stupefacenti, in quanto in tal caso la situazione di menomazione della vittima, a prescindere da chi l'abbia provocata, può essere strumentalizzata per il soddisfacimento degli impulsi sessuali dell'agente.
Rapina – applicabilità dell’attenuante del danno di speciale tenuità ex art. 62, n. 4 c.p. – necessità di valutazione globale dell’evento dannoso o pericoloso
Con sentenza n. 42536 del 18.09.2017 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto che la sussistenza dell’attenuante del danno di speciale tenuità di cui all’art. 62 n. 4 c.p. in relazione al delitto di rapina sia da valutare considerando non solo il modestissimo valore economico del bene sottratto, ma anche gli effetti globali dannosi connessi alla lesione della persona contro la quale è stata esercitata la violenza o la minaccia.
Di conseguenza, attesa la natura plurioffensiva del reato, può essere applicata l’attenuante della speciale tenuità solo in seguito ad una valutazione complessiva del pregiudizio derivato alla persona offesa che guardi tanto al danno patrimoniale, quanto alla libertà e l'integrità fisica e morale della persona aggredita.
Responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco – limiti all’applicazione dell’art. 590-sexies c.p.
Con sentenza n. 28187 del 7.06.2017 la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha approfondito per la prima volta la disciplina della cd. legge “Gelli-Bianco” (l. 8 marzo 2017, n. 24).
Secondo la Corte, la nuova normativa non trova applicazione né negli ambiti che, per qualunque ragione, non siano governati da linee-guida, né in quelle situazioni in cui queste raccomandazioni debbano essere completamente disattese per via delle peculiarità delle condizioni del paziente o per altre ragioni imposte da esigenze scientificamente qualificate.
La Suprema Corte, inoltre, ha statuito che l’art. 590-sexies c.p., poiché non contiene alcun riferimento al grado della colpa e, in tal senso, costituisce una disciplina meno favorevole rispetto a quella introdotta dal cd. Decreto Balduzzi del 2012, debba essere applicato solo ai fatti commessi successivamente alla riforma, ai sensi dell’art. 2 c.p.
Nel caso di specie, la IV sezione ha annullato con rinvio la sentenza impugnata che aveva concluso per la non punibilità di uno psichiatra accusato di omicidio colposo per aver reso possibile con più condotte attive ed omissive la realizzazione di un gesto cruento da parte di un suo paziente ai danni di un terzo soggetto.
Accesso abusivo a un sistema informatico – Condotta ontologicamente incompatibile con il titolo legittimante l’accesso
Le Sezioni Unite con sentenza n. 41210 dell’8.09.2017 sono intervenute per risolvere il contrasto giurisprudenziale relativo all’interpretazione dell’art. 615-ter c.p.
In particolare la Corte ha ritenuto che integri la fattispecie aggravata di accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, ai sensi dell’art. 615-ter comma 2 n. 1) c.p., la condotta di un pubblico ufficiale o di un incaricato di un pubblico servizio che, pur essendo abilitato e pur non violando le prescrizioni formali impartite dal titolare di un sistema informatico protetto, acceda o si mantenga per ragioni ontologicamente estranee o diverse rispetto a quelle per le quali ha la facoltà di accesso.
Nel caso di specie è stata riconosciuta la responsabilità di un cancelliere che, in quanto tale, aveva effettuato un accesso al registro delle notizie di reato al fine di ottenere informazioni relative ad un procedimento a carico di una conoscente.
Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto – Commissione di più reati nel medesimo contesto spazio temporale
La V sezione penale della Cassazione è nuovamente intervenuta in materia di non punibilità per particolare tenuità del fatto e con sentenza n. 35590 del 19.07.2017 ha stabilito che non è esclusa l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. qualora siano stati commessi due reati distinti nelle medesime circostanze di spazio e di tempo.
Secondo il ragionamento della Suprema Corte, infatti, la volontà criminosa è sostanzialmente unica e quando regge una singola azione o più azioni poste in essere nel medesimo contesto spazio-temporale è compatibile con il concetto di estemporaneità dell’azione illecita rispetto alla positiva personalità del reo.
In questo senso, quando le condotte siano poste in essere nelle stesse circostanze di spazio e tempo, la pluralità delle fattispecie di reato non costituisce elemento ostativo all’applicazione della causa di non punibilità.
Nel caso di specie, poiché l’imputato nel medesimo contesto aveva commesso i reati di violazione di domicilio e di minaccia, la Corte ha rigettato il ricorso del Procuratore Generale avverso la sentenza che applicava la non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Reati contro la libertà individuale – atti persecutori – sufficienza di due delle condotte descritte nella norma
La V sezione penale, con sentenza n. 35588 del 19.07.2017, si è pronunciata sulla fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., ritenendo che integrino il reato di atti persecutori anche solo due tra le condotte descritte nella norma, anche reiterate in un arco di tempo molto breve, purché si tratti di atti autonomi.
Al contrario, un solo episodio, anche se tanto grave da determinare il grave e persistente stato di ansia e di paura o altri eventi naturalistici della fattispecie del 612-bis c.p., non è sufficiente a determinare la lesione del bene giuridico che la norma protegge.
Approvazione delle modifiche al codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, al codice penale e alle norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del codice di procedura penale e altre disposizioni
In data 27.09.17 è stata approvata in via definitiva dalla Camera dei Deputati la proposta di legge A.C.1039 ed altre unificate che ha introdotto diverse novità all’interno del c.d. Codice antimafia e dei Codici penale e di procedura penale.
In particolare, è stato previsto l’ampliamento della platea dei destinatari di misure di prevenzione, che con la modifica in oggetto è arrivata a comprendere anche i soggetti sottoposti ad indagini per reati contro la pubblica amministrazione, quali il peculato, la concussione e, in alcuni casi, la corruzione, e quelli cui vengono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata alla commissione di delitti contro la pubblica amministrazione, assistenza agli associati, terrorismo e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche e stalking.
Sono stati istituiti, inoltre, collegi e sezioni specializzati per la trattazione dei procedimenti di applicazione delle misure di prevenzione patrimoniali.
Ancora, la modifica legislativa, con l’intenzione di assimilarne la disciplina a quella della confisca di prevenzione antimafia, ha esteso l’ambito di applicazione della c.d. confisca allargata rendendola obbligatoria nei confronti dei soggetti cui vengono contestati il delitto di autoriciclaggio e alcuni reati contro l’ambiente. Il testo di legge ha stabilito, inoltre, che la confisca allargata si applichi anche in caso di amnistia e intervenuta prescrizione.
Il testo approvato ha poi ridisegnato il procedimento di nomina e revoca dell’amministratore giudiziario di beni confiscati al fine di garantire l’assoluta trasparenza nella scelta, la rotazione degli incarichi tra gli amministratori e le competenze idonee allo svolgimento dell’incarico. Con riferimento alla scelta degli amministratori, poi, il nuovo testo di legge ha introdotto criteri che assicurino la mancanza di legami economici, familiari o professionali dell’amministratore con il magistrato cui è riservato di conferire l’incarico.
Infine, il progetto di legge ha previsto l’introduzione di alcune modifiche al d. lgs. 231/2001. In particolare, all’art. 25-duodecies, dopo il comma 1, sono stati inseriti i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater che hanno introdotto sanzioni pecuniarie e interdittive per gli enti in relazione ai delitti di procurato ingresso illecito di cui all’art. 12, commi 3, 3-bis, 3-ter e 5 del Testo unico sull’immigrazione (d. lgs. 286/1998).
Misure di sicurezza patrimoniali - Confisca - Diritto di difesa del terzo estraneo
Con sentenza n. 29174 del 12.06.2017, la I sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in tema di confisca e di diritto di difesa dei terzi interessati.
In particolare, i Giudici della I sezione hanno confermato che nel caso in cui la confisca del bene sia stata disposta illegittimamente sussistendo la causa impeditiva di cui all’art. 240, comma 3 c.p., il soggetto proprietario della cosa confiscata estraneo al reato e al procedimento penale ha il diritto di chiedere in contraddittorio che venga revocata la misura di sicurezza inflitta all’imputato condannato.
Secondo il ragionamento della Corte, nessuna forma di confisca può determinare l’estinzione dei diritti reali di garanzia costituiti sulla cosa, spetta al terzo tuttavia dimostrare i fatti costitutivi della pretesa fatta valere sulla res confiscata e l’estraneità dal reato.
Poiché, quindi, è necessario che sia garantito al soggetto terzo il corretto esercizio del diritto di difesa nel contraddittorio tra le parti, qualunque violazione di tale diritto costituisce causa di nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha quindi ritenuto illegittimo l’ordine di confisca dell’immobile di proprietà del padre dell’imputato disposto dal giudice dell’esecuzione de plano e sulla base della sola presunzione di conoscenza del reato da parte dell’ascendente, in quanto non era stato concesso al terzo estraneo l’esercizio del diritto di difesa in contraddittorio.
Reati tributari - Confisca – Profitto confiscabile anche nella forma di risparmio di spesa derivante dal mancato pagamento di tributi
La III sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 28077 del 7.06.2017, è intervenuta nuovamente in tema di confisca disposta ai sensi dell’art. 12 bis D.lgs. 10.03.2000 n. 74.
Secondo i Giudici di legittimità, conformemente alla pronuncia delle Sezioni Unite n. 18374 del 31.01.2013, in tema di reati tributari, il profitto confiscabile è costituito da qualsivoglia vantaggio patrimoniale direttamente conseguito alla consumazione del reato e, per questa ragione, può consistere in un risparmio di spesa derivante da mancato pagamento di tributi, interessi, sanzioni.
In queste situazioni il profitto viene ad essere costituito proprio dal risparmio derivante dalla condotta di omesso pagamento, cui il debitore avrebbe potuto adempiere attingendo a qualunque risorsa finanziaria del suo patrimonio, con l'unica eccezione dei cespiti sottoposti a formale vincolo di destinazione e come tali destinati a non confondersi con le altre utilità della sua sfera patrimoniale. In mancanza di un siffatto vincolo che renda distinguibili i beni in questione, il sequestro può essere pacificamente eseguito su tutte le somme di denaro presenti nel patrimonio del destinatario della misura reale, rispetto alle quali il sequestro si realizza, dunque, nella forma "diretta" e non in quella "per equivalente".
Perquisizione di sistema informatico o telematico e sequestro di materiale – Misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati
Con sentenza n. 31918 del 3.07.17, la III sezione penale della Corte di Cassazione si è pronunciata sul tema della perquisizione e del sequestro di sistema informatico o telematico. I giudici, in particolare, hanno delineato i confini applicativi degli artt. 247, co. 1-bis, e 260, co. 2, c.p.p., precisando che è imposta l’adozione di “misure tecniche e di procedure idonee a garantire la conservazione dei dati informatici originali e la conformità ed immodificabilità delle copie estratte per evitare il rischio di alterazioni”, ma è prevista alcuna specifica modalità esecutiva.
Secondo la Suprema Corte, quindi, la valutazione di idoneità delle misure e procedure impiegate nell’esecuzione della perquisizione e del sequestro da parte dell’autorità giudiziaria procedente deve riguardare unicamente la fase dell’analisi dei dati da parte dei tecnici incaricati dell’acquisizione degli stessi dal supporto informatico o telematico. Gli aspetti logistici o temporali del sequestro rimangono, dunque, esclusi dalla valutazione di idoneità.
Reati contro la libertà sessuale - Violenza sessuale – Valutazione delle modalità di esecuzione del fatto per la concessione dell’attenuante della minore gravità
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30145 del 19.04.2017 emessa dalla III sezione penale, ha ribadito che nei casi di violenza sessuale l’attenuante della minore gravità ai sensi dell’art. 609 bis ultimo comma c.p. può essere dichiarata unicamente a seguito di una valutazione globale e approfondita del fatto.
A tal fine assumono rilevanza elementi quali i mezzi e le modalità esecutive dell’azione, il grado di coartazione esercitata sulla persona offesa e le condizioni psicofisiche della vittima anche in relazione all’età. Per il diniego dell’attenuante, invece, i Giudici hanno statuito che è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità nella commissione del delitto di violenza sessuale, quale ad esempio le modalità violente dell’azione a fronte anche di una richiesta di fermarsi da parte della vittima.
Introduzione del reato di istigazione alla corruzione tra privati tra i reati-presupposto di cui all’art. 25-ter del d.lgs. 231/2001
Con d.lgs. n. 38 del 15.03.2017 è stata annoverata una nuova fattispecie tra i reati-presupposto della responsabilità amministrativa degli enti prevista dal d.lgs. n. 231/2001.
Nel dettaglio, sono state apportate alcune modifiche al Capo IV, Titolo XI del Libro V del codice civile, tra cui l’introduzione del reato di istigazione alla corruzione tra privati.
In particolare, in primo luogo è stata modificata la sanzione pecuniaria prevista nel caso di commissione del delitto di corruzione tra privati, nei casi previsti dal terzo comma dell’art. 2635-bis c.c.. Il reato risulta attualmente punito con la sanzione pecuniaria da quattrocento a seicento quote (mentre prima era punito con la sanzione pecuniaria da duecento a quattrocento quote).
In secondo luogo, il nuovo reato di istigazione alla corruzione tra privati è stato inserito tra i reati presupposto di cui all’art. 25-ter del d.lgs. 231/2001.
E’ opportuno, pertanto, che le aziende che hanno adottato e attuato il modello di organizzazione, gestione e controllo previsto dal d.lgs. n. 231/01 provvedano tempestivamente ad aggiornare e adeguare i propri modelli organizzativi alla luce del nuovo reato-presupposto.
Introduzione con la legge n. 110/2017 degli articoli 613 bis e 613 ter del codice penale, concernenti rispettivamente i reati di tortura e di istigazione del pubblico ufficiale alla tortura
La legge 14 luglio 2017, n. 110, pubblicata in G.U. il 18 luglio, introduce nell’ordinamento italiano i reati di tortura e di istigazione del pubblico ufficiale alla tortura, recependo così, in modo parzialmente coincidente, le indicazioni contenute nella Convenzione ONU contro la tortura ed altri trattamenti e pene crudeli del 1984.
In particolare l’art. 613 bis c.p. punisce con la reclusione da 4 a 10 anni “chiunque con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa”.
Il fatto deve essere commesso mediante più condotte ovvero deve comportare un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona.
A differenza di quanto previsto nella Convenzione ONU, la quale classifica il delitto di tortura come reato proprio del pubblico ufficiale, il codice penale italiano considera la condotta come reato comune e identifica come aggravante la commissione del fatto da parte di un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio.
In tali ultimi casi, infatti, quando il reato è posto in essere con abuso di poteri o in violazione di doveri, la pena va dai 5 ai 12 anni di reclusione.
Per quanto concerne le sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti, invece, queste rimangono al di fuori del campo di applicazione della fattispecie aggravata.
Il testo approvato dalla Camera e dal Senato, come si è detto, presenta alcune differenze rispetto a quello della Convenzione internazionale del 1984.
Ai sensi della nuova normativa, infatti, la situazione di inferiorità della vittima del reato non è limitata alla privazione della libertà personale e le possibili modalità di attuazione della condotta non hanno forma libera, ma sono espressamente definite dalla norma.
Le pene sono ulteriormente inasprite nel caso in cui dalle condotte in esame derivino più gravi conseguenze per la persona offesa, quali la lesione personale, nella sua variabile gravità, o la morte, sia essa voluta o meno.
L’art. 613 ter c.p., invece, punisce con la reclusione da 6 mesi a 3 anni il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che nell’esercizio delle proprie funzioni istighi in modo concretamente idoneo altro ufficiale o incaricato a commettere il delitto in esame, sia che l’istigazione non sia accolta sia che, seppur accolta, non porti in effetti alla commissione del reato.
La stessa legge n. 110/2017, poi, introduce una disposizione procedurale che stabilisce l'inutilizzabilità, nel processo penale, delle dichiarazioni eventualmente ottenute per effetto di tortura. La norma fa eccezione a tale principio solo nel caso in cui tali dichiarazioni vengano utilizzate contro l'autore del fatto e solo al fine di provarne la responsabilità penale.
Reati contro il patrimonio – configurabilità del furto in abitazione ex art. 624 bis c.p. anche in luoghi non propriamente deputati alle attività domestiche o familiari – furto all’interno di una farmacia
La IV Sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 21865 del 5.5.2017, si è pronunciata sulla nozione di privata dimora utilizzata dall’art. 624 bis c.p. in conformità all’orientamento recentemente espresso dalle Sezioni Unite, con sentenza n. 31345 del 23 marzo 2017.
In particolare, i Giudici hanno delineato con maggior precisione i confini del concetto di abitazione di cui all’art. 624 bis c.p., stabilendo che, ai fini della configurazione del reato, il luogo in cui è stato perpetrato il furto debba avere, “per sua struttura o per l’uso che se ne faccia in concreto, una destinazione legata e riservata all’esplicazione di attività proprie della vita privata della persona offesa, ancorché non necessariamente coincidenti con quelle domestiche o familiari, ma identificabili anche con attività produttiva, professionale, culturale, politica”.
In questo senso il requisito di riservatezza se, da un lato, porta all’esclusione dei luoghi di pubblico accesso, dall’altro, individua come privata dimora anche quei luoghi destinati ad un’attività lavorativa o professionale nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata.
Pertanto, nel caso di furto realizzato all’interno di una farmacia, il reato di cui all’art. 624 bis c.p. è ritenuto sussistente solamente quando “l’introduzione clandestina avvenga nelle aree assolutamente interdette al pubblico (dove sono stivate le scorte di medicinali) o nei locali (spogliatoi, armadietti, servizi igienici) riservati al titolare e ai dipendenti in cui questi, durante i turni di lavoro, ma anche quando non sono in servizio, ripongono e custodiscono effetti personali”.
Al contrario, la norma menzionata non è applicabile nel caso di furto di merce esposta nel locale della farmacia destinata alla vendita.
Reati contro il patrimonio – usura – irrilevanza della causa dello stato di bisogno ai fini della configurabilità dell’aggravante
Con sentenza n. 26525 del 26.05.2017 la Corte di Cassazione, sez. II penale, è tornata a pronunciarsi sul reato di usura e, in particolare, sulla nozione dell’aggravante dello stato di bisogno del soggetto passivo di cui al comma 5, n. 3 dell’art. 644 c.p.
I giudici della Suprema Corte hanno statuito che in tema di usura “lo stato di bisogno va inteso non come uno stato di necessità tale da annientare in modo assoluto qualunque libertà di scelta, ma come un impellente assillo che, limitando la volontà del soggetto, lo induca a ricorrere al credito a condizioni usurarie, non assumendo alcuna rilevanza né la causa di esso, né l'utilizzazione del prestito usurario”.
Ciò che si richiede ai fini della sussistenza dell’aggravante, dunque, è una situazione che elimini o comunque limiti la volontà del soggetto passivo, portandolo a contrattare in condizioni di inferiorità psichica tali da viziare il consenso, senza prendere in considerazione né i fattori che hanno portato alla creazione dello stato di bisogno né le modalità concrete con le quali la vittima ha usufruito del prestito contratto.
Misure cautelari reali – confisca dei beni nella disponibilità del condannato di cui non sia giustificata la provenienza – irrilevanza della “pertinenzialità” del bene confiscato rispetto al reato – aspetto temporale
I Giudici della IV Sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 23075 dell’11.05.2017 sono intervenuti in tema di confisca disposta per uno dei reati indicati nell’art. 12-sexies del d. l. 306/1992 convertito dalla l. 356/1992 (quali, tra i tanti, i reati di estorsione, usura, ricettazione, riciclaggio, trasferimento fraudolento di valori) al fine di definire i requisiti necessari alla sua applicazione.
Nel dettaglio, la confisca viene disposta allorché, da un lato, sia provata l’esistenza di una sproporzione tra il reddito dichiarato dal condannato o i proventi della sua attività economica e il valore economico di detti beni e, dall’altro, non risulti una giustificazione credibile circa la provenienza di essi.
Secondo l’orientamento della Corte, la “pertinenzialità” del bene rispetto al reato per cui si è proceduto non ha alcuna rilevanza, tant’è vero che il fatto che il bene in questione sia stato acquisito in epoca anteriore o successiva al reato per cui è intervenuta condanna, o che il valore dello stesso superi il provento della condotta illecita non comporta l’esclusione della confisca.
Con riferimento al fattore temporale, infatti, l’unico standard da rispettare è quello della ragionevolezza per il quale un bene non è stato acquisito illegittimamente e, pertanto, non deve essere confiscato, solamente quando sia “ictu oculi estraneo al reato perché acquistato in un periodo di tempo eccessivamente antecedente alla commissione di quest’ultimo”.
Cause di esclusione della punibilità – astratta compatibilità della particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p. con reati avvinti dal vincolo della continuazione
Con pronuncia n. 19932 del 26.04.2017 la Seconda Sezione penale della Corte di Cassazione ha statuito che la sussistenza del vincolo di continuazione tra reati non può portare automaticamente a non ammettere la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p.
L’applicazione dell’art. 131 bis c.p. non è ammessa, infatti, nel caso in cui la condotta illecita abbia carattere di “abitualità”, cioè sia espressiva di una sorta di tendenza o inclinazione al crimine la cui presenza deve essere valutata dal giudice di volta in volta nel singolo caso concreto, mentre la norma nulla dice in relazione alla continuazione.
Secondo quanto affermato dalla Suprema Corte “il giudice, sulla base dei due indici-requisiti della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, dovrà soppesare l’incidenza della continuazione in tutti i suoi aspetti (ad esempio gravità del reato, capacità a delinquere, precedenti penali e giudiziari, durata temporale della violazione..) per giungere ad esprimere un giudizio di meritevolezza o meno al riconoscimento della causa di non punibilità”.
La continuazione, infatti, non può automaticamente identificarsi nell’abitualità del reato e l’esclusione automatica del reato continuato dall’area di operatività dell’art. 131 bis c.p., inoltre, andrebbe a porsi in contrasto con l’obiettivo di deflazione processuale perseguito dal legislatore con l’introduzione della tenuità del fatto, obiettivo il cui conseguimento risulterebbe notevolmente limitato qualora si ritenesse aprioristicamente inapplicabile la declaratoria di particolare tenuità del fatto in presenza di più reati uniti dal vincolo della continuazione.
Con l’occasione auguriamo a tutti buone vacanze!
Approvato il progetto di legge “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario (C. 4368)”
Mercoledì 14.06.2017, l'Aula della Camera ha approvato definitivamente il progetto di legge “Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all'ordinamento penitenziario (C. 4368)”.
Sul piano del diritto sostanziale, il provvedimento introduce una nuova causa di estinzione dei reati perseguibili a querela a seguito di condotte riparatorie, modifica la disciplina della prescrizione, interviene sulla disciplina di alcuni reati, in particolare contro il patrimonio, inasprendone il quadro sanzionatorio e delega il Governo a modificare il regime di procedibilità di alcuni reati, la disciplina delle misure di sicurezza, anche attraverso la rivisitazione del regime del cosiddetto doppio binario, e quella del casellario giudiziale.
Nel dettaglio, rivestono particolare interesse le modifiche alla disciplina di alcuni reati contro il patrimonio e le novità introdotte in tema di prescrizione, la cui disciplina è stata profondamente modificata.
I commi da 6 a 9 intervengono, infatti, sulla disciplina di alcuni reati contro il patrimonio (si tratta in particolare di: furto in abitazione e con strappo (art. 624 bis c.p.), furto aggravato (art. 625 c.p.), rapina (art. 628 c.p.) ed estorsione (art. 629 c.p.)) aumentando le pene ed escludendo – in alcuni casi – gli effetti del bilanciamento delle circostanze.
Più nello specifico, per le fattispecie di furto in abitazione e furto con strappo, attualmente punito con la reclusione da uno a sei anni e la multa da euro 309 a euro 1.032, si passa alla reclusione da tre a sei anni ed alla multa da euro 927 a euro 1.500. Viene inoltre inasprito il quadro sanzionatorio relativo alle condotte aggravate contemplate dal terzo comma dell’art. 624 bis c.p. prevedendo un aumento sia del limite minimo di pena detentiva (che passa da 3 a 4 anni) che del limite minimo e massimo della multa (il minimo passa da 206 a 927 euro; il massimo passa da 1.500 a 2.000 euro). Viene infine aggiunto, con l’introduzione di un nuovo comma, il divieto di equivalenza e prevalenza delle attenuanti con le aggravanti di cui all’art. 625 c.p. (ad eccezione delle attenuanti di cui agli articoli 98 e 626 bis c.p.), con la conseguenza che le relative diminuzioni di pena si opereranno sulla quantità della stessa risultante dall’aumento conseguente alle aggravanti di cui all’art. 625 c.p.. Rispetto alle stesse aggravanti ex art. 625 c.p. si prevede un più severo aumento di pena, passandosi dall’attuale reclusione da uno a sei anni e multa da euro 103 a euro 1.032 alla reclusione da due a sei anni e multa da euro 927 a euro 1.500.
Il comma 8 interviene sul delitto di rapina di cui all’art. 628 c.p.: viene aumentata la pena della fattispecie base (attualmente punita con la reclusione da tre a dieci anni e con la multa da euro 516 a euro 2.065) prevedendo la reclusione da quattro a dieci anni e la multa da euro 927 a euro 2.500. Sono inasprite, analogamente, le sanzioni per le ipotesi aggravate di cui al terzo comma: la reclusione passa da quattro anni e sei mesi a cinque anni; la multa da euro 1.032 a euro 1.290 (invariati i massimi edittali pari, rispettivamente, a venti anni di reclusione ed euro 3.098 di multa). Infine, si introduce nell’art. 628 c.p. un ulteriore comma per il quale, se concorrono due o più delle aggravanti del terzo comma ovvero se una di tali circostanze concorre con altra fra quelle indicate nell’art. 61 (aggravanti generiche), la pena è della reclusione da 6 a 20 anni e della multa da 1.538 a 3.098 euro.
Infine, per quanto riguarda l’ipotesi di estorsione aggravata di cui all’articolo 629, comma 2, c.p. viene aumentata la pena detentiva minima che sale da sei a sette anni di reclusione.
In tema di prescrizione, invece, si segnala che il comma 10 del progetto di legge stabilisce che, per una serie di delitti in danno di minori, il termine di prescrizione decorre dal compimento del 18° anno di età della vittima, salvo che l'azione penale non sia stata esercitata in precedenza (nel qual caso il termine di prescrizione decorre dall'acquisizione della notizia di reato).
Sono state inoltre introdotte ulteriori ipotesi di sospensione del corso della prescrizione. Detto corso è infatti sospeso dal termine per il deposito della motivazione della sentenza di condanna in primo grado, anche se emessa in sede di rinvio, fino alla pronuncia del dispositivo che definisce la sentenza che definisce il grado successivo, e comunque per un tempo non superiore a un anno e sei mesi e dal termine per il deposito della motivazione della sentenza di condanna di secondo grado, anche se emessa in sede di rinvio, fino alla pronuncia del dispositivo della sentenza definitiva, e comunque per un tempo non superiore a un anno e sei mesi.
Per quanto attiene le modifiche di natura processuale, gli interventi riguardano l'incapacità irreversibile dell'imputato di partecipare al processo, la disciplina delle indagini preliminari e del procedimento di archiviazione, la disciplina dei riti speciali, dell'udienza preliminare, dell'istruttoria dibattimentale e della struttura della sentenza di merito e, infine, la semplificazione delle impugnazioni e la revisione della disciplina dei procedimenti a distanza.
Per quanto concerne, ad esempio, le modifiche alla disciplina delle indagini preliminari e dell’archiviazione, il provvedimento in esame interviene sugli artt. 407 e 412 c.p.p., dove si prevede che alla scadenza del termine di durata massima delle indagini preliminari il Pubblico Ministero ha tempo tre mesi (salva proroga di ulteriori 3 mesi concessa dal Procuratore Generale presso la Corte d’Appello) per decidere se chiedere l’archiviazione o esercitare l’azione penale; il citato termine è di 15 mesi per reati di mafia, terrorismo ed altri specifici gravi reati (nuovo comma 3 bis dell’art. 407 c.p.p.). Al mancato esercizio, nel termine, dell’azione penale o dell’archiviazione consegue l’avocazione da parte del Procuratore Generale (art. 412 c.p.p.).
La riforma interviene, inoltre, sull’art. 408 c.p.p., per allungare da 10 a 20 giorni il termine concesso alla persona offesa per l’opposizione alla richiesta di archiviazione e chiedere la prosecuzione delle indagini e per prevedere che anche per il furto in abitazione o con strappo il Pubblico Ministero debba notificare all’offeso la richiesta di archiviazione concedendogli 30 giorni (anziché 20) per opporsi.
Il provvedimento reca infine deleghe al Governo per la riforma del processo penale, in materia di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni – individuando, fra gli altri, anche puntuali criteri direttivi con riguardo alle operazioni effettuate mediante immissione di captatori informatici (c.d. Trojan) - e per la riforma dell'ordinamento penitenziario attraverso, fra le altre, la revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative e ai benefici penitenziari, l'incremento del lavoro carcerario, la previsione di specifici interventi in favore dei detenuti stranieri, delle donne recluse e delle detenute madri.
Con la riforma della disciplina delle intercettazioni il legislatore si è mosso nel tentativo di trovare una mediazione tra l'esigenza della Pubblica Accusa di svolgere le indagini e quella alla riservatezza su dati e informazioni personali che nulla hanno a che fare con l'inchiesta stessa.
In quest’ottica, il Governo dovrà, tra le altre cose, garantire la riservatezza delle comunicazioni e conversazioni telefoniche e telematiche oggetto di intercettazione, in conformità all’art. 15 della Costituzione, con particolare riferimento ai colloqui con il difensore e disciplinare le intercettazioni di comunicazioni o conversazioni tra presenti mediante immissione di captatori informatici (c.d. Trojan) in dispositivi elettronici portatili.
Con questo criterio direttivo innovativo, si richiede al Governo di prevedere, ad esempio, che l’attivazione del microfono avvenga solo in conseguenza di apposito comando inviato da remoto dalla Polizia Giudiziaria (o dal personale incaricato su indicazione della Polizia Giudiziaria) tenuta a indicare l’ora di inizio e fine della registrazione, dando atto nel verbale descrittivo delle modalità di effettuazione delle operazioni. E’ inoltre richiesto che il trasferimento delle registrazioni sia effettuato soltanto verso il server della Procura, così da garantire originalità ed integrità delle registrazioni e che al termine della registrazione il captatore informatico venga disattivato e reso definitivamente inutilizzabile su indicazione del personale di Polizia Giudiziaria operante. Da ultimo, si richiede che i risultati intercettativi così ottenuti possano essere utilizzati a fini di prova soltanto dei reati oggetto del provvedimento autorizzativo e possano essere utilizzati in procedimenti diversi a condizione che siano indispensabili per l'accertamento dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza ex art. 380 c.p.p. e che non possano essere in alcun modo conoscibili, divulgabili e pubblicabili i risultati di intercettazioni che abbiano coinvolto occasionalmente soggetti estranei ai fatti per cui si procede.
Responsabilità medica – incidente stradale – errore del medico – mancata interruzione del nesso causale
Con sentenza n. 28010 del 16.05.2017, la Corte di Cassazione, sezione IV penale, è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità medica.
Con tale pronuncia, i Giudici di legittimità hanno affermato che l'eventuale errore dei sanitari nella prestazione delle cure alla vittima di un incidente stradale non può ritenersi causa autonoma ed indipendente, tale da interrompere il nesso causale tra il comportamento di colui che ha causato l'incidente e la successiva morte del ferito.
La Suprema Corte ha altresì precisato che l'errore medico non costituisce un accadimento al di fuori di ogni immaginazione, a maggior ragione quando l'aggravamento della situazione clinica del ferito e la necessità di interventi chirurgici complessi risultino preventivabili in ragione della gravità delle lesioni determinate dell'incidente stradale.
Delitti contro il patrimonio – truffa – la mancanza di diligenza da parte della persona offesa non esclude il reato
Con sentenza n. 25737 del 9.05.2017 la Corte di Cassazione, sezione II penale, ha affermato che ai fini della sussistenza del delitto di truffa, non ha rilievo la mancanza di diligenza da parte della persona offesa, dal momento che tale circostanza non esclude l'idoneità del mezzo, risolvendosi in una mera deficienza spesso determinata dalla fiducia ottenuta con artifici e raggiri.
In quel caso veniva confermata la condanna per tentativo di truffa posta in essere dall'imputato, fermato dalla polizia mentre stava per consegnare al compratore uno zainetto contenente solo le confezioni di prodotti elettronici riempite con del sale.
Infortuni sul lavoro – è ammissibile la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali indipendentemente dall’iscrizione del lavoratore al sindacato
Con sentenza n. 19026 depositata in data 20.04.2017, la Corte di Cassazione, sezione IV penale, ha affermato che è ammissibile, indipendentemente dall’iscrizione del lavoratore al sindacato, la costituzione di parte civile delle associazioni sindacali nei procedimenti per reati di omicidio o lesioni colpose, commessi con violazione della normativa antinfortunistica, quando l’inosservanza di tale normativa possa cagionare un danno autonomo e diretto, patrimoniale o non patrimoniale, alle associazioni sindacali, per la perdita di credibilità dell’azione di tutela delle condizioni di lavoro dalle stesse svolta con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali.
Con tale pronuncia viene data attuazione al principio secondo cui la tutela delle condizioni di lavoro con riferimento alla sicurezza dei luoghi di lavoro e alla prevenzione delle malattie professionali costituisce sicuramente uno dei compiti delle organizzazioni sindacali, le quali annoverano tra le proprie finalità la tutela delle condizioni di lavoro intese non soltanto nei profili collegati alla stabilità del rapporto e agli aspetti economici dello stesso, oggetto principale e specifico della contrattazione collettiva, ma anche per quanto attiene la tutela delle libertà individuali e dei diritti primari del lavoratore tra i quali quello, costituzionalmente riconosciuto, della salute.
Sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato ex art. 168 bis c.p.
La Suprema Corte, sez. I penale, con sentenza n. 21324/2017 depositata in data 4.05.2017 ha affermato che sulla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova, avanzata in sede di opposizione a decreto penale di condanna, è competente a decidere il giudice per le indagini preliminari e non il giudice del dibattimento, discostandosi in tale modo dal suo precedente arresto n. 25867/16, con cui aveva invece affermato che la competenza a decidere spettasse al giudice del dibattimento e non al giudice per le indagini preliminari.
Con tale pronuncia, i Giudici di legittimità hanno dichiarato abnorme il provvedimento con cui il giudice per le indagini preliminari aveva rigettato, ritenendola inammissibile, l’istanza di sospensione del procedimento con messa alla prova presentata con l’opposizione al decreto penale.
In altre parole, il provvedimento del G.i.p. – a detta della Suprema Corte – sarebbe in evidente violazione di legge per due ordini di ragioni.
In primo luogo, in quanto è previsto dall’art. 464 bis, comma 2, c.p.p. che con l’opposizione a decreto penale di condanna possa essere richiesta la sospensione del procedimento con messa alla prova.
In secondo luogo, atteso che un tale provvedimento determina un decisivo e verosimilmente non rimediale nocumento al diritto di difesa, finendo con il precludere all’interessato la possibilità di beneficiare della messa alla prova.
Omesso versamento di imposte – assoluta impossibilità di adempiere – carenza dell’elemento soggettivo del reato
In tema di omesso versamento di imposte, nella specie dell'I.V.A., la Suprema Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza del 20.01.2017 n. 18834 ha chiarito che “l'imputato può invocare l'assoluta impossibilità di adempiere il debito di imposta, quale causa di esclusione della responsabilità penale, a condizione che provveda ad assolvere gli oneri di allegazione concernenti sia il profilo della non imputabilità a lui medesimo della crisi economica che ha investito l'azienda, sia l'aspetto dell'impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità tramite il ricorso a misure idonee da valutarsi in concreto.
In altri termini, il soggetto deve allegare la prova che non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento dell'obbligazione tributaria, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di un'improvvisa crisi di liquidità, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale”.
Tale pronuncia risulta conforme ad altre sentenze emesse negli ultimi anni dai giudici di legittimità e di merito.
Ed invero, dopo un primo orientamento che aveva interpretato le fattispecie delittuose di omesso versamento di cui agli artt. 2 D.L. 463/1983, 10–bis e 10–ter d.lgs. 74/2000 valorizzando l’indagine sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato a discapito di quella inerente i profili soggettivi dello stesso, negli scorsi anni si è preferita una lettura che desse maggior rilievo alla insussistenza dell’elemento soggettivo del dolo con riferimento a fattispecie in cui il contribuente, chiamato al versamento delle imposte, dimostrava che l’omissione delle stesse era dipesa da una crisi di liquidità dell’azienda a lui non imputabile.
Sulla scia di tale ultimo orientamento, anche nella recente pronuncia di cui si tratta, i giudici di legittimità hanno chiarito che la prova data dall’imprenditore circa l'impossibilità di fronteggiare la crisi di liquidità esclude la punibilità dello stesso.
Reati contro il patrimonio – truffa – destinatario degli artifici e raggiri – persona che subisce il danno patrimoniale
La Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 18968, depositata in data 20.04.2017, è tornata a pronunciarsi sui reati di truffa e di furto commesso con mezzo fraudolento.
In particolare, con la menzionata pronuncia, i giudici di legittimità hanno chiarito che ai fini della sussistenza del delitto di truffa è necessario che vi sia identità tra il soggetto indotto in errore dall’autore del reato e colui che compie l’atto di disposizione patrimoniale in conseguenza degli artifici e raggiri subiti.
Viceversa, è configurabile il reato di furto commesso con mezzo fraudolento quando il soggetto indotto in errore è diverso dal soggetto che subisce il danno in conseguenza dell’atto di disposizione patrimoniale posto in essere.
Ciò, in quanto, “nel reato di truffa l’atto di disposizione patrimoniale, da cui deriva il pregiudizio economico, non può essere compiuto dal terzo, salvo il caso in cui quest’ultimo abbia la libera disponibilità del patrimonio del soggetto passivo danneggiato”.
Reati contro il patrimonio – ricettazione – furto – acquisto di cose di sospetta provenienza
La Corte di Cassazione, sezione II penale, con sentenza n. 20193, del 19.04.2017, si è pronunciata sul tema del delitto di ricettazione, analizzando la differenza tra lo stesso e le meno gravi ipotesi di furto e di acquisto di cose di sospetta provenienza.
In particolare, e con riferimento alla differenza tra il reato di ricettazione e quello di furto, i giudici di legittimità hanno chiarito che “risponde di ricettazione l'imputato, che, trovato nella disponibilità di refurtiva di qualsiasi natura, in assenza di elementi probatori indicativi della riconducibilità del possesso alla commissione del furto, non fornisca una spiegazione attendibile dell'origine del possesso”.
La differenza tra la configurabilità del delitto di ricettazione e la riconducibilità di una condotta alla contravvenzione dell'acquisto di cose di sospetta provenienza deve, invece, essere individuata nell’elemento soggettivo.
Ed invero, secondo la pronuncia in esame, sono integrati il reato di ricettazione e l’elemento soggettivo del dolo nella forma eventuale quando l'agente ha consapevolmente accettato il rischio che la cosa acquistata o ricevuta fosse di illecita provenienza, mentre può essere contestato unicamente il meno grave reato se vi è stata da parte dell’agente una semplice mancanza di diligenza nel verificare la provenienza della cosa.
Reati contro la pubblica amministrazione – malversazione in danno dello Stato - concorso formale con la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, a seguito di un contrasto giurisprudenziale, con sentenza n. 20664 del 23.02.2017, depositata in data 28.04.2017, hanno affermato che il delitto di malversazione in danno dello Stato, previsto dall’art. 316-bis c.p., può concorrere con quello di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche di cui all’art. 640-bis c.p..
In particolare, la prima fattispecie punisce colui che, estraneo alla pubblica amministrazione, “avendo ottenuto dallo Stato o da altro ente pubblico o dalle Comunità europee contributi, sovvenzioni o finanziamenti destinati a favorire iniziative dirette alla realizzazione di opere od allo svolgimento di attività di pubblico interesse, non li destina alle predette finalità”.
Diversamente, il reato di cui all’art. 640-bis c.p. sanziona il soggetto che con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno quando i fatti riguardano “contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee”.
Nell’ipotesi di cui all’art. 316-bis c.p. il soggetto agente aveva quindi titolo per ottenere i finanziamenti ma a seguito della ricezione degli stessi non destina le somme allo scopo per cui sono state concesse.
Viceversa, nella fattispecie di cui all’art. 640-bis c.p., è proprio attraverso gli artifizi o raggiri che l’autore del reato percepisce le erogazioni da parte dello Stato, di altri enti pubblici o delle Comunità europee.
Esecuzione - sospensione dell'esecuzione di pena detentiva – istanza di affidamento in prova al servizio sociale ex art. 47, comma 3 bis, ord. pen. – limiti edittali
In tema di esecuzione delle pene detentive brevi, la I sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 51864/16, ha affermato che “in considerazione del richiamo operato dall’art. 656, comma 5, c.p.p. all’art. 47 ord. pen., ai fini della sospensione dell’ordine di esecuzione, correlata ad una istanza di affidamento in prova ai sensi dell’art. 47, comma 3-bis, ord. pen., il limite edittale non è quello di tre anni, ma di una pena da espiare, anche residua, non superiore a quattro anni”.
La pronuncia in esame riveste particolare rilevanza atteso che l’affidamento in prova è stato recentemente oggetto di una discussa modifica legislativa.
Con d.l. n. 146/2013 convertito dalla l. 10/2014 è stato, infatti, introdotto nel nostro ordinamento (art. 47, comma 3-bis, ord. pen) l’istituto dell’affidamento in prova c.d. allargato che consente l’accesso alla misura alternativa al carcere a soggetti con pena detentiva non superiore a 4 anni, mentre in passato il limite per l’accesso al beneficio era individuato nei 3 anni di pena.
La sentenza in esame ha fornito una soluzione al problema di coordinamento tra la menzionata riforma legislativa e l’art. 656, comma 5 c.p.p., atteso che anche oggi tale ultima norma consente la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena solo per condanne non superiori ai 3 anni, evitando solo a colui che può beneficiare della misura alternativa nella forma non allargata l’ingresso in carcere.
Il difetto di coordinamento avrebbe dovuto condurre all’illogica conseguenza per cui per pene tra i 3 e i 4 anni l’accesso all’affidamento in prova sarebbe stato necessariamente successivo ad un ingresso nell’istituto di pena da parte del condannato.
La sentenza in esame rende quindi possibile la sospensione dell’ordine di esecuzione della pena detentiva e l’accesso immediato alla misura dell’affidamento in prova (ove ne sussistano i requisiti) anche nel caso in cui la condanna sia ricompresa tra i 3 e i 4 anni, superando il fatto che l’art. 656, comma 5, c.p.p. si riferisca unicamente all’ipotesi di condanna inferiore ai 3 anni.
Corte di Giustizia dell’Unione Europea - compatibilità con il diritto comunitario della disciplina italiana che prevede il c.d. doppio binario sanzionatorio, amministrativo e penale
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è recentemente pronunciata sulla compatibilità con il diritto comunitario della disciplina italiana che prevede il c.d. doppio binario sanzionatorio, amministrativo e penale.
Con sentenza del 5.04.2017 è stato infatti affermato che la normativa nazionale “che consente di avviare procedimenti penali per omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dopo l’irrogazione di una sanzione tributaria definitiva per i medesimi fatti, qualora tale sanzione sia stata inflitta ad una società dotata di personalità giuridica, mentre detti procedimenti penali sono stati avviati nei confronti di una persona fisica” è conforme all’articolo 50 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che sancisce il divieto del ne bis in idem.
I giudici di Lussemburgo hanno pertanto stabilito che non vi è alcun rischio di bis in idem per gli omessi versamenti Iva quando la sanzione tributaria colpisce la società e quella penale la persona fisica, essendo pertanto possibile che venga celebrato tanto un procedimento tributario quanto un processo penale in relazione ai medesimi fatti.
Truffa – vendite on line – sussistenza dell’aggravante della minorata difesa
La Corte di Cassazione, VI sezione penale, con sentenza n. 17937 del 22.03.2017 ha affermato che nelle vendite on line la distanza fisica intercorrente tra il venditore e l’acquirente è l'elemento che pone l'autore di una truffa in una posizione di forza e di maggior favore rispetto alla vittima.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte – che riguardava la vendita on line di beni elettronici che, poi, non venivano consegnati – in considerazione della posizione di forza del venditore che caratterizza le vendite on line è stato ritenuto integrato il reato di truffa aggravato dalla minorata difesa.
Delitti contro la libertà individuale – violenza sessuale di gruppo – inapplicabilità dell’attenuante della minore gravità
In tema di reati contro la libertà sessuale, la III sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 9358 depositata in data 27.02.2017, ha affermato che l’attenuante relativa all’ipotesi di minore gravità di cui all’ultimo comma dell’art. 609-bis c.p., che comporta una riduzione della pena sino ai 2/3, non può essere estesa al reato di violenza sessuale di gruppo ex art. 609-octies c.p., sia perché specificatamente riferita soltanto alla violenza sessuale individuale, sia perché logicamente incompatibile con la maggiore gravità di una violenza sessuale commessa in gruppo.
Diffamazione commessa con il mezzo della stampa – responsabilità del Direttore della testata - responsabilità per colpa dovuta al mancato controllo sul contenuto dell’articolo
La Corte di Cassazione, V sezione penale, con sentenza del 31.01.2017, n. 4672, è tornata sul tema della responsabilità del direttore della testata per violazione dell’obbligo giuridico di impedire che con il mezzo della pubblicazione siano commessi reati.
In particolare, i giudici di legittimità hanno precisato che il giudice di merito ha l’obbligo di spiegare le ragioni per cui ha ritenuto inidoneo il controllo esercitato dall’agente valutando tanto il contenuto dell’articolo pubblicato, quanto il comportamento del suo autore.
Non è, dunque, sufficiente per ritenere integrata la responsabilità del direttore della testata il solo fatto che con il mezzo della pubblicazione siano commessi reati, essendo invece necessaria una valutazione dei comportamenti di tutti i soggetti coinvolti oltre al contenuto concreto della pubblicazione.
Reati contro il patrimonio – appropriazione indebita – mancata restituzione di somme versate in acconto del prezzo di un preliminare di vendita – mero inadempimento contrattuale
Con sentenza n. 15815 depositata in data 29.03.2017 la II sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che non integra il delitto di appropriazione indebita, ma un mero inadempimento di natura civilistica, la condotta del promittente venditore che, a seguito della risoluzione del contratto, non restituisca al promissario acquirente l’acconto sul prezzo del bene promesso in vendita.
I giudici di legittimità in motivazione hanno precisato che nelle ipotesi quali quella esaminata, le somme consegnate entrano a far parte del patrimonio del soggetto a cui sono destinate con conseguente esclusione del reato di appropriazione indebita che si può ritenere integrato solo qualora il soggetto sia un mero detentore del denaro e non ne diventi proprietario.
La fattispecie di cui all’art. 646 c.p. prevede, invero, che l’autore del reato per procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, si appropri del denaro o della cosa mobile altrui di cui abbia, a qualsiasi titolo, il possesso.
Salute e sicurezza sul lavoro – applicabilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto – assoluzione dell’imputato
La IV sezione penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 17163 depositata in data 5.04.2017, ha affermato che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto è applicabile anche in materia di sicurezza sul lavoro, soprattutto nel caso in cui sussista un concorso colposo del lavoratore infortunato.
La Corte, secondo cui l’applicabilità dell’art. 131-bis c.p. non può prescindere dall’analisi del caso concreto, ha respinto il ricorso del Pubblico Ministero che richiedeva che venisse negata la nuova causa di non punibilità a un datore di lavoro accusato del reato di lesioni personali gravi ai danni di un dipendente che si era infortunato mentre stava svolgendo attività di manutenzione all’interno dello stabilimento produttivo.
Proprio l’esame del caso concreto - e in particolare il concorso colposo del lavoratore - rendevano applicabile l’istituto di cui all’art. 131-bis c.p.
Riforma legislativa n. 24/2017 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 64 del 17 marzo 2017 - Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie
La recente riforma legislativa introdotta con legge n. 24 dell’ 8 marzo 2017, c.d. Legge Gelli, affronta e disciplina i temi della sicurezza delle cure e del rischio sanitario, della responsabilità dell’esercente la professione sanitaria e della struttura sanitaria pubblica o privata, delle modalità e caratteristiche dei procedimenti giudiziari aventi ad oggetto la responsabilità sanitaria, nonché degli obblighi di assicurazione e dell’istituzione del Fondo di garanzia per i soggetti danneggiati da responsabilità sanitaria.
Fra gli obiettivi della riforma c’è quello di ridurre il contenzioso avente ad oggetto la responsabilità medica, sia civile che penale, nonché di garantire un più efficace sistema risarcitorio nei confronti del paziente vittima di malasanità.
La nuova legge – che proprio al primo articolo individua la sicurezza delle cure come parte costitutiva del diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost. – presenta importanti novità soprattutto in relazione alla responsabilità penale del medico, il quale non sarà più punito per imperizia qualora abbia rispettato le linee-guida o si sia attenuto alle buone pratiche mediche.
Ed infatti, la nuova legge abroga l’art. 3 della legge Balduzzi (l. n. 189/2012) che stabiliva la non punibilità del sanitario che aveva rispettato le linee guida e le buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica nelle sole ipotesi di colpa lieve.
La Legge Balduzzi richiedeva due requisiti per pervenire alla dichiarazione di irrilevanza penale del fatto illecito colposo commesso dal medico. Da un lato era necessario il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica mentre, dall’altro, serviva l’assenza di colpa grave.
Ebbene, proprio tale riferimento all’assenza di colpa grave è venuto meno con la recente riforma legislativa che inserisce nel codice penale il nuovo articolo 590-sexies, rubricato “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario”.
La nuova norma esclude la punibilità del medico nelle ipotesi di omicidio colposo e lesioni colpose “qualora l’evento si sia verificato a causa di imperizia” e siano state “rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico – assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto”.
Appare pertanto evidente che sono stati notevolmente ridotti i casi in cui risulta possibile attivare lo strumento penale dinnanzi a condotte colpose poste in essere dal sanitario.
Con la riforma resta invece fermo il rispetto delle linee guida e delle buone pratiche, anche se le stesse dovranno essere ora “definite e pubblicate ai sensi di legge” e proprio a questo proposito la riforma impone che un elenco completo ed esaustivo sia istituito e regolato con Decreto ministeriale ed inserito nel Sistema nazionale per le linee guida (SNLG).
Responsabilità medica – nesso causale – condotta colposa successiva di altro professionista – interruzione del nesso di causalità
La suprema Corte di Cassazione, sezione IV penale è tornata a pronunciarsi sul delicato tema del nesso causale nelle ipotesi di responsabilità professionale e in campo medico.
In particolare i giudici di legittimità hanno chiarito che è configurabile l'interruzione del nesso causale tra condotta ed evento quando la causa sopravvenuta innesca un rischio nuovo e incommensurabile, del tutto incongruo rispetto al rischio originario attivato dalla prima condotta.
(Fattispecie in cui la Suprema Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna di un medico ritenendo non approfondito il tema del nesso causale tra un errore del sanitario e il decesso di un paziente in presenza di un comportamento parimenti colposo di altro medico che era intervenuto successivamente, così ritenendo interrotto dalla condotta successiva il nesso causale tra il comportamento dell’imputato e l’evento morte. Cass. pen., sez. IV, 23.01.2017, n. 3312).
Insolvenza fraudolenta – preordinato proposito di non adempiere all’obbligazione assunta – mero illecito civile – differenze
Con sentenza n. 8893 del 3.02.2017 la seconda sezione penale della Corte di Cassazione ha precisato la differenza tra le condotte del debitore riconducibili alla fattispecie delittuosa di insolvenza fraudolenta di cui all’art. 641 c.p. e i meri illeciti di rilevanza civile.
Nel dettaglio, i Giudici di legittimità hanno chiarito che ai fini della sussistenza del reato di insolvenza fraudolenta la condotta di chi tiene il creditore all'oscuro del proprio stato di insolvenza al momento di contrarre l'obbligazione assume rilievo quando sia legata al preordinato proposito di non adempiere alla dovuta prestazione.
Al contrario si è evidenziato che non si configura alcuna ipotesi criminosa, ma solo un illecito civile, nel mero inadempimento non preceduto da alcuna intenzionale preordinazione.
Testimonianza del prossimo congiunto di persona offesa dal reato commesso anche in danno di altre persone – esclusione della facoltà di astenersi dal deporre
La quinta sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza n. 13529 del 8.02.2017, depositata il 20.03.2017, ha affermato che “il prossimo congiunto dell’imputato, il quale sia persona offesa dal reato insieme ad altro soggetto estraneo al rapporto familiare, non ha facoltà di astenersi dal deporre, secondo quanto previsto dall’art. 199, comma 1, c.p.p., stante l’inscindibilità delle sue dichiarazioni, anche relative al soggetto non prossimo congiunto, e la necessità di una rappresentazione completa ed esaustiva di quanto a sua conoscenza”.
La qualifica di persona offesa, pertanto, annulla l’effetto protettivo di cui all’art. 199 c.p.p. sull’obbligo di testimonianza.
Responsabilità amministrativa degli enti da reato – esonero da responsabilità – adozione e attuazione dei modelli organizzativi
Con sentenza n. 52316 depositata in data 9.12.2016, la Corte di Cassazione, sezione II penale, è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità amministrativa degli enti da reato.
Con tale pronuncia, i Giudici di legittimità hanno affermato che non può definirsi idoneo a esimere la società da responsabilità il modello organizzativo che preveda l’istituzione di un organismo di vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza delle prescrizioni adottate non provvisto di autonomi ed effettivi poteri di controllo, ma sottoposto alle dirette dipendenze del soggetto controllato.
In altre parole, ai fini dell’esonero della responsabilità amministrativa da reato, l’approntamento di un modello organizzativo, ai sensi dell’art. 6 del d.lgs. 231/2001, non è a tal fine sufficiente, essendo anche necessaria l’istituzione di una funzione di vigilanza sul funzionamento e sull’osservanza del modello, attribuita a un organismo dotato di autonomi poteri di iniziativa e controllo.
La Corte ha, altresì, precisato che l’iniziativa e il controllo possono essere ritenuti effettivi e non meramente “cartolari” soltanto ove risulti la non subordinazione del controllante al controllato.
Nel caso di specie, l’inadeguatezza dell’organismo di vigilanza era stata dedotta dalla partecipazione, quale presidente, di un consigliere di amministrazione della società e dalla presenza, tra i componenti, di altri soggetti che, per i loro rapporti e il loro ruolo, non potevano essere considerati realmente indipendenti rispetto ai proprietari dell’ente.
Reati informatici – accesso abusivo a un sistema informatico – configurabilità del reato – condizioni – irrilevanza degli scopi e delle finalità che hanno motivato l’ingresso nel sistema
La Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 3818 depositata in data 25.01.2017, ha ribadito quanto già affermato dalla sentenza Casani delle Sezioni Unite del 27.10.2011 in tema di integrazione del reato di cui all’art. 615-ter c.p. che punisce l’accesso abusivo a un sistema informatico.
I Giudici di legittimità hanno, infatti, affermato che integra il delitto previsto dall’art. 615-ter c.p. la condotta di colui che, pur essendo abilitato, acceda o si mantenga in un sistema informatico o telematico protetto violando le condizioni e i limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare, rimanendo invece irrilevanti, ai fini della sussistenza del reato, gli scopi e le finalità che abbiano soggettivamente motivato l’ingresso nel sistema.
Nel caso di specie l’imputato era un ufficiale di polizia giudiziaria chiamato a rispondere di alcuni accessi abusivi nel sistema informatico SDI delle forze di polizia in quanto gli accessi da lui effettuati non erano fondati sull’esistenza di indagini in corso, quanto piuttosto sulla richiesta informale di un soggetto che, per quanto investito a sua volta di funzioni pubblicistiche, si era rivolto a lui come privato cittadino.
Parte civile – Commissario governativo della procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi - legittimazione a costituirsi parte civile in relazione a fattispecie diverse dai reati fallimentari
La Corte di Cassazione, V sezione penale, con sentenza del 14.02.2017, n. 6904 ha affermato che il Commissario governativo nominato nella procedura di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi è legittimato a costituirsi parte civile, nell’interesse del fallito e della massa dei creditori, anche nei processi per reati diversi dalla bancarotta e dagli altri reati fallimentari, dai quali sia derivato un danno al patrimonio dell’impresa fallita.
Nel caso sottoposto all’esame della Corte di Cassazione veniva ammessa la costituzione di parte civile del Commissario governativo in una ipotesi in cui veniva contestato il reato di associazione delinquere.
Diffamazione – il titolare di un sito internet che non rimuova tempestivamente un articolo diffamatorio inserito autonomamente da un autore sul portale concorre nel reato, se consapevole dell’esistenza del contenuto incriminato
La Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 54946 del 27.12.2016 ha chiarito i requisiti necessari per ritenere imputabile del reato di diffamazione nella veste di concorrente il titolare di un sito internet su cui sia stato pubblicato un articolo offensivo. I giudici, infatti, hanno statuito che la responsabilità penale del gestore del portale sorge nel momento in cui questo, pur consapevole dell’esistenza del commento incriminato, non abbia agito tempestivamente per la rimozione dello stesso. A questo fine non è rilevante che l’autore dell’articolo abbia inserito autonomamente il contenuto sul sito senza coinvolgere il titolare nell’operazione, purché quest’ultimo sia venuto a conoscenza del carattere diffamatorio del pezzo.
Nel caso di specie, infatti, la Suprema Corte ha confermato la condanna del titolare che aveva “mantenuto consapevolmente l’articolo sul sito, consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria” da quando ne apprendeva l’esistenza fino al momento dell’intervento dell’Autorità Giudiziaria, non rilevando che non avesse personalmente curato l’upload dell’articolo e risultando sufficiente, ai fini del riconoscimento della sua responsabilità, la consapevolezza della sua presenza sul sito e della sua carica diffamatoria.
Truffa in danno di un negozio gestito da società di persone – titolarità del diritto di querela della persona offesa dal reato che non sia titolare di diritti reali, ma solamente responsabile dei beni posti in vendita
Con la sentenza n. 50725 del 29.11.2016 la Corte di Cassazione, sez. II penale, ha statuito che la titolarità del diritto di querela in caso di truffa compete ad ogni persona offesa dal reato, ossia ad ogni soggetto che subisce la lesione dell’interesse penalmente protetto, indipendentemente dal ruolo rivestito dallo stesso nella società che, nel suo intero, viene colpita dalla condotta illecita. Invero, nei reati contro il patrimonio il bene giuridico protetto deve essere individuato non solo nella proprietà, ma anche nel possesso inteso come relazione di fatto con la cosa.
Nel caso di specie, infatti, la Suprema Corte ha riconosciuto come legittima la querela proposta dal commesso di un negozio che si era trovato al bancone di vendita nel momento in cui era stato effettuato il pagamento con assegno risultato poi contraffatto. I giudici, dunque, hanno ritenuto questo soggetto titolare di un proprio autonomo diritto di querela in quanto responsabile, in quel momento, delle attività del negozio. Proprio lui aveva direttamente subito il raggiro e quindi, nonostante non fosse il titolare dell’azienda, doveva godere della titolarità del diritto di querela.
Cause di non punibilità – declaratoria di non punibilità per particolare tenuità del fatto – rilevabilità d’ufficio
La III sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza del 14.02.2017, n. 6870 ha affermato che la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131-bis c.p. è rilevabile d’ufficio in qualsiasi fase e stato del giudizio, salva l’eventuale formazione del giudicato, anche implicito, idoneo ad escludere la qualificazione del fatto in termini di particolare tenuità.
Reato commesso nell’interesse di una società da soggetto che abbia agito in nome dell’ente – sequestro per equivalente nei confronti dell’amministratore
Con sentenza n. 43561 depositata in data 14.10.2016, la Corte di Cassazione, sez. III penale, ha chiarito che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente è legittimo solo allorquando il reperimento dei beni costituenti il profitto del reato sia impossibile, sia pure transitoriamente, ovvero quando detti beni non siano aggredibili per qualsiasi ragione, cosicché il sequestro per equivalente richiede una previa verifica dell’impossibilità, anche transitoria, del sequestro in forma diretta del profitto del reato al momento della sua adozione.
Con la pronuncia in esame è stato precisato che il sequestro “diretto” può essere effettuato anche nei confronti della società che ha percepito il profitto del reato e può ricadere non solo su somme di denaro, ma anche su beni che possono configurarsi come reinvestimento del profitto stesso.
Nel caso di specie, infatti, la Corte ha annullato la misura cautelare con cui era stato disposto il sequestro per equivalente sul patrimonio degli amministratori della società nel cui interesse erano stati compiuti i reati incriminati, senza che prima fosse stata verificata l’impossibilità, anche solo transitoria, di procedere al sequestro diretto sul patrimonio dell’ente.
Presupposti e condizioni per l’applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 4 d.lg. 288 del 1944 – reazione ad un atto arbitrario del pubblico ufficiale
La Corte di Cassazione sez. VI penale, con sentenza n. 52558 del 30.11.2016 ha delineato chiaramente i confini entro i quali si può applicare la causa di giustificazione di cui all’art. 4 del d.lg. 288 del 1944 che rende lecita la condotta di resistenza a pubblico ufficiale.
Secondo la Suprema Corte, presupposto necessario per l’applicazione di tale scriminante è una attività ingiustamente persecutoria del pubblico ufficiale, il cui comportamento fuoriesca del tutto dalle ordinarie modalità di esplicazione dell'azione di controllo e prevenzione demandatagli nei confronti del privato destinatario.
Nel caso di specie è stata esclusa l'illegittimità della condotta tenuta dai Carabinieri nei confronti di una donna in stato di alterazione per ubriachezza, accusata del reato di resistenza a pubblico ufficiale.
E’ esclusa la sussistenza del reato di truffa per mancanza di elementi strutturali nel caso in cui il datore di lavoro ottenga dall’INPS il conguaglio di somme in realtà mai corrisposte al lavoratore
In tema di truffa da parte del datore di lavoro ai danni dell’INPS, la Corte di Cassazione, sezione II penale, con sentenza n. 51334 del 23.11.2016, ha statuito che la condotta del datore che espone falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di assegni familiari, ottenendo dall'I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, non integra il reato di truffa atteso che mancano alcuni elementi strutturali quali gli artifici ed i raggiri, l'induzione in errore del soggetto passivo e, soprattutto, un danno patrimoniale all'INPS.
Pena concordata con il Pubblico Ministero e poteri del giudice – impossibilità del giudice di alterare il contenuto dell’accordo intervenuto tra le parti
La Suprema Corte, sezione VI penale, con sentenza n. 46680 depositata il 7.11.2016, ha riconfermato il principio, già ampiamente condiviso dalla giurisprudenza, secondo cui il giudice non ha il potere di aggiungere nella sentenza di patteggiamento statuizioni ulteriori rispetto a quelle risultanti dalla richiesta di applicazione della pena formulata dalla parte e sulla quale il Pubblico Ministero abbia prestato il consenso.
Nel caso di specie, dunque, la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata limitatamente alla parte in cui il giudice, alterando il contenuto dell’accordo già raggiunto tra le parti, aveva disposto la subordinazione del beneficio della sospensione condizionale della pena al pagamento delle spese di costituzione di parte civile, ovvero all’adempimento di un obbligo che era rimasto estraneo alla pattuizione originaria.
Reati contro la libertà sessuale – atti sessuali con minorenne – la responsabilità omissiva della madre nel caso di reato commesso dal padre nei confronti della figlia – sussistenza del dolo eventuale
Con sentenza n. 45011 depositata in data 26.10.2016, la Corte di Cassazione, sezione IV penale, ha affermato che la responsabilità penale per omesso impedimento dell’evento può qualificarsi anche per il solo dolo eventuale a condizione che sussista e sia percepibile dal soggetto la presenza di segnali perspicui e peculiari dell’evento illecito caratterizzati da un elevato grado di anormalità: in tale situazione, quindi, l’agente pur essendosi rappresentata la concreta possibilità della verificazione di un fatto integrante reato come conseguenza del proprio comportamento persiste nella sua condotta accettando il rischio che l’evento si verifichi.
Nel caso di specie la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso di una madre avverso la sentenza che aveva ritenuto configurabile a suo carico la responsabilità per omesso impedimento dell’evento relativamente al reato di atti sessuali con minorenne di cui all’art. 609 quater c.p. commesso da padre nei confronti della loro figlia minore, valorizzando una molteplicità di elementi che avrebbero dovuto porla nelle condizioni di prefigurarsi l’evento dannoso ai danni della minore che sarebbe scaturito dalla sua condotta omissiva.
Infortuni sul lavoro – responsabilità del datore di lavoro – utilizzo di macchinario manomesso da parte dell’operaio
La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza n. 44327 depositata il 19.10.2016 ha stabilito che il datore di lavoro è responsabile delle lesioni occorse all’operaio in conseguenza dell’uso del macchinario che, pur non presentando alcun difetto di costruzione o di montaggio, per come in concreto utilizzato ha comunque esposto i lavoratori a rischi del tipo di quello in concreto realizzatosi (nella specie, trattavasi di infortunio sul lavoro conseguente all’utilizzo di una cesoia per il taglio di tondini di ferro la cui protezione mobile di sicurezza della zona taglio era stata manomessa dagli operai per ragioni di speditezza).
Turbata libertà degli incanti - consumazione
Con sentenza n. 43333 depositata in data 13.10.2016, la Corte di Cassazione, sezione VI penale, ha stabilito che il reato di turbata libertà degli incanti si realizza indipendentemente dal risultato della gara, essendo necessario soltanto che il normale svolgimento di quest’ultima venga alterato.
Truffa – false dichiarazioni all’I.N.P.S. – insussistenza dell’elemento oggettivo del reato
La Corte di Cassazione, II sezione, con sentenza n. 51334 depositata in data 23.11.2016 ha affermato che non integra il reato di truffa la condotta del datore di lavoro che espone falsamente di aver corrisposto al lavoratore somme a titolo di assegni familiari, ottenendo dall’I.N.P.S. il conguaglio di tali somme, atteso che mancano alcuni elementi strutturali di tale reato quali gli artifici ed i raggiri, l’induzione del soggetto passivo e, soprattutto, un danno patrimoniale all’I.N.P.S..
Persona giuridica - responsabilità degli enti da reato - connotazioni e limiti
Con sentenza n. 52316/16 la II sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato alcuni importanti principi in tema di responsabilità da reato degli enti.
Nello specifico, la Corte ha precisato i connotati della responsabilità ex D. Lgs. 231/2001 nelle ipotesi di gruppi di imprese chiarendo che è necessario verificare concretamente a chi appartenga effettivamente l’interesse favorito dall’azione delittuosa, al fine di valutare se quest’ultima sia stata posta in essere nell’interesse o a vantaggio della controllata oppure della holding.
La Corte nella sua pronuncia ha anche statuito che, con riferimento alla valutazione di idoneità dei modelli organizzativi nell’ipotesi di organismi di vigilanza senza poteri di controllo effettivi, il giudice non può affidarsi a personali convincimenti o soggettive opinioni, ma deve basarsi sulle “linee direttive dell’ordinamento, i principi della logica e i portati della consolidata esperienza”.
Da ultimo, la II Sezione ha affermato che l’intervenuta prescrizione del reato presupposto successiva alla contestazione dell’illecito all’ente non ne determina l’estinzione, in quanto il relativo termine, una volta esercitata l’azione, non corre fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il procedimento nei confronti della persona giuridica.
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Lesioni personali colpose - responsabilità medica - termini per proporre querela - estinzione del reato - prescrizione – decorrenza
Con sentenza n. 44335 dell’11.10.2016, la IV sezione penale della Corte di Cassazione ha affrontato le delicate questioni riguardanti i termini per proporre denuncia - querela e il decorso dei termini di prescrizione nelle ipotesi di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica.
Il caso sottoposto all’esame dei Giudici di legittimità riguardava un intervento chirurgico eseguito con grave imprudenza per aver cagionato al paziente una lesione neurologica.
Con riferimento ai termini per la proposizione della querela la suprema Corte, in ossequio ad un principio interpretativo ormai consolidato, ha statuito che: "Il termine per proporre la querela per il reato di lesioni colpose determinate da colpa medica inizia a decorrere non già dal momento in cui la persona offesa ha avuto consapevolezza della patologia contratta, bensì da quello, eventualmente successivo, in cui la stessa è venuta a conoscenza della possibilità che sulla menzionata patologia abbiano influito errori diagnostici o terapeutici dei sanitari che l'hanno curata".
Rispetto alla questione inerente l’individuazione della data dalla quale decorre il termine di prescrizione i Giudici hanno invece affermato che: “Nel reato di lesioni personali colpose provocate da responsabilità medica la prescrizione inizia a decorrere dal momento di insorgenza della malattia in fieri, anche se non ancora stabilizzata in termini di irreversibilità o di impedimento permanente”.
Sentenza di condanna – reato abrogato – trasformazione in illecito civile – sanzioni civili derivanti da reato - giudice dell’impugnazione - revoca delle statuizioni sugli interessi civili
Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la recente pronuncia del 29.09.2016 depositata in data 7.11.2016, n. 46688 hanno affrontato la questione relativa alla revoca degli interessi civili in caso di abrogazione di un fatto precedentemente previsto come reato per cui era intervenuta sentenza di condanna in un momento antecedente la depenalizzazione.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno statuito che se la sentenza di condanna relativa a un reato successivamente abrogato e qualificato come illecito civile ai sensi del d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7 è oggetto di impugnazione, il giudice dell’impugnazione, nel dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato, deve revocare anche i capi della sentenza che concernono gli interessi civili.
Nel caso di sentenza irrevocabile, viceversa, il giudice dell’esecuzione revoca la sentenza di condanna o il decreto irrevocabili con la medesima formula, lasciando ferme le disposizioni e i capi che concernono gli interessi civili.
Produzione all'ente erogatore di false autocertificazioni - indebita percezione di erogazioni pubbliche - induzione in errore dell’ente
Con sentenza n. 47883 del 25.10.2016, la Suprema Corte di Cassazione, sezione II penale, è tornata ad affrontare il tema delle indebite percezioni di erogazioni pubbliche derivanti dalla produzione all'ente erogatore di una falsa autocertificazione su cui si era già espressa con provvedimento del del 12.04.2016, n. 23163.
Confermando l’indirizzo giurisprudenziale maggioritario la II sezione penale ha rilevato che il reato di indebita percezione di pubbliche erogazioni si differenzia da quello di truffa aggravata finalizzata al conseguimento delle medesime erogazioni per la mancata inclusione, tra gli elementi costitutivi, della induzione in errore dell'ente erogatore.
Sulla scorta di tali premesse ha statuito che la produzione all'ente erogatore di una falsa autocertificazione finalizzata a conseguire indebitamente contributi previdenziali integra il reato di cui all'art. 316-ter c.p., anziché quello di truffa aggravata, qualora l'ente assistenziale non venga indotto in errore, in quanto chiamato solo a prendere atto dell'esistenza dei requisiti autocertificati e non a compiere una autonoma attività di accertamento.
Impugnazioni - sentenza di condanna - ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero – interesse ad impugnare
La Terza sezione penale della Corte di Cassazione ha affermato che è ammissibile il ricorso per Cassazione del Pubblico Ministero presentato in favore dell’imputato avverso una sentenza di condanna e volto ad ottenere l’esatta applicazione della legge, purché l’impugnazione sia sorretta da un interesse “concreto” ed “attuale”, volto cioè ad ottenere una decisione non solo teoricamente corretta ma anche praticamente favorevole all’imputato stesso (Cass. pen., sez. III, 17.11.2016, n. 48581).
Violenza sessuale – elementi costitutivi – significato sociale della condotta posta in essere – rilevanza del contesto in cui si svolge e dei rapporti tra le parti
La terza sezione penale della Corte di Cassazione ha ritenuto rilevanti, ai fini della valutazione sulla sussistenza del reato di violenza sessuale, anche elementi quali il significato sociale della condotta posta in essere dall’imputato, il contesto in cui la stessa si inserisce e i rapporti intercorrenti tra la persona offesa e l’autore dei fatti.
Nel dettaglio, i giudici di legittimità hanno statuito che: “La natura "sessuale" dell'atto deve essere valutata secondo il significato "sociale" della condotta, avuto riguardo all'oggetto dei toccamenti, ma anche - quando ciò non sia sufficiente - al contesto in cui l'azione si svolge, ai rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte e ad ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo che sia oggettivamente e socialmente percepibile come tale”.
Sulla scorta di tali osservazioni, i giudici di legittimità hanno ritenuto che il semplice e fugace bacio sulla guancia, dato senza alcuna interferenza nella sfera sessuale della vittima, non potesse essere oggettivamente considerato come "atto sessuale" alla stregua dei significato "sociale" che al gesto dell'imputato poteva essere oggettivamente attribuito.
Al contrario, tale condotta, proprio per quella connotazione "violenta" che trasversalmente qualifica le azioni poste in essere contro la volontà di chi le subisce, integrava piuttosto il reato di violenza privata di cui all'art. 610 c.p. (Cass. pen., sez. III, 19.11.2015, n. 18679).
Incidente stradale – comportamento colposo della vittima – principio di affidamento
In tema di responsabilità colposa da sinistri stradali il conducente ha l'obbligo di tenere un comportamento prudente ed accorto che consideri anche le imprudenze altrui ragionevolmente prevedibili.
Questa la sentenza n. 44323 emessa dalla IV sezione penale della Corte di Cassazione in data 19 ottobre 2016 attraverso cui la Suprema Corte ha ribadito che le norme sulla circolazione stradale impongono severi doveri di prudenza finalizzati a far fronte alle situazioni di pericolo anche se determinate da altrui comportamenti negligenti.
Dunque il conducente non può riporre fiducia nel fatto che i terzi mantengano un comportamento rispettoso delle regole; tale fiducia, se mal riposta, costituisce in sé un comportamento negligente sanzionabile.
(Fattispecie in cui l'imputato aveva tenuto una velocità non rispettosa dei limiti, così concorrendo nella determinazione del sinistro, riconducibile anche all'improvvida condotta di guida dell'altro automobilista).
Reati societari – infedeltà patrimoniale – anche il singolo socio è legittimato alla proposizione della querela
Con sentenza n. 35384 depositata in data 23.08.2016, la Corte di Cassazione, sezione V penale, ha affermato che la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso ma anche – e disgiuntamente – al singolo socio.
A detta dei giudici, infatti, la condotta dell’amministratore infedele è diretta a compromettere non solo le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa che, per l’infedele attività dell’amministratore, subiscono il depauperamento del proprio patrimonio.
In questa prospettiva, la legittimazione a proporre querela spetta anche al socio receduto dalla società, allorquando l’amministratore abbia compiuto l’atto infedele in un momento in cui egli faceva ancora parte della compagine sociale, trattandosi di comportamento in grado di determinare un depauperamento del valore della quota alla cui liquidazione il socio ha diritto all’atto di recesso.
Responsabilità medica – la posizione di garanzia del medico cui viene richiesto un consulto
La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza n. 39838 depositata in data 26.09.2016, è tornata a pronunciarsi in tema di responsabilità medica.
Secondo la Suprema Corte, il medico che sia pure a titolo di consulto accerti l’esistenza di una patologia a elevato e immediato rischio di aggravamento in virtù della sua posizione di garanzia ha l’obbligo di disporre personalmente i trattamenti terapeutici ritenuti idonei a evitare eventi dannosi.
Con la pronuncia in esame è stato altresì precisato che, in caso d’impossibilità di intervento, il professionista è tenuto ad operarsi facendo ricoverare il paziente in un reparto specialistico, portando a conoscenza dei medici specialistici la gravità e l’urgenza del caso e, nel caso in cui si accerti l’indisponibilità di posti letto in tale reparto, dovrà disporre che l’assistenza specializzata venga prestata nel reparto dove il paziente si trova ricoverato specie laddove questo reparto non sia idoneo ad affrontare la patologia riscontrata con la necessaria perizia professionale.
E’ esclusa la responsabilità penale del legale rappresentante di una società nel caso di falso documentale posto in essere da un dipendente
In tema di falso documentale riferibile a un ente collettivo, che agisce attraverso i suoi rappresentanti, la Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 32793 depositata in data 27.07.2016, ha annullato la sentenza che aveva riconosciuto la penale responsabilità – per falso documentale avente ad oggetto un D.U.R.C. allegato a una D.I.A. – della legale rappresentante di una società che aveva prodotto tale documentazione, ritenendo immotivata la condanna basata sul semplice rilievo che l’imputata, accettando la carica di amministratrice, era giunta “ad assumere consapevolmente i rischi connessi a tale investitura”.
A detta dei giudici, infatti, la responsabilità per la condotta falsificatoria non può essere automaticamente imputata all’amministratore della società, potendo invece ricondursi a uno degli altri soggetti impegnati nell’amministrazione della compagine sociale.
In quest’ottica, al fine di poter fondare la condanna dell’amministratore, occorre pur sempre accertare quale contributo – materiale o psicologico – sia stato da questi fornito alla perpetrazione dell’illecito, giacché, se per l’inosservanza di taluni obblighi (ad esempio per la tenuta della contabilità) può ravvisarsi, pressoché de plano, una responsabilità morale dell’amministratore, in considerazione della posizione di garanzia da lui rivestita, lo stesso non può affermarsi per il falso documentale, che viene posto in essere in unità di tempo e di luogo tali da poter sfuggire alla cognizione dell’amministratore, specie laddove la gestione della società sia delegata, di fatto, ad altri.
La sola esistenza di un manufatto abusivo ultimato non integra i requisiti della concretezza e attualità del pregiudizio nel periculum in mora che legittima il sequestro preventivo
La Suprema Corte, sezione III penale, con sentenza n. 35456 depositata in data 24.08.2016, ha chiarito i requisiti della concretezza e attualità del pregiudizio nel periculum in mora che legittima il sequestro preventivo di un manufatto abusivo.
E’ stato così precisato che il sequestro preventivo di un manufatto abusivo già ultimato, non solo in caso di illecito urbanistico, ma anche in caso di illecito ambientale-paesaggistico, necessita di una congrua e puntuale motivazione sul periculum in mora sotto il profilo della sussistenza delle conseguenze antigiuridiche ulteriori rispetto alla ultimazione dei lavori.
In altre parole, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra, di per sé, i requisiti della concretezza e attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare un’effettiva lesione dell’ambiente e del paesaggio.
Nel caso di specie, la Corte ha annullato l’ordinanza confermativa del sequestro di immobile abusivo emessa dal Tribunale che, chiamato a pronunciarsi sul periculum in mora, ne aveva ravvisato gli estremi nel solo fatto che l’immobile si trovasse in area sopposta a vincolo paesaggistico, non ritenendo necessario alcun ulteriore accertamento.
L’elemento oggettivo del reato di autoriciclaggio e la necessaria finalità di ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di denaro, beni o altre utilità provenienti dalla commissione di un delitto non colposo
Con sentenza n. 33074 depositata in data 28.07.2016, la Corte di Cassazione, sezione II penale ha escluso l’integrazione del reato di autoriciclaggio di cui all’art. 648-ter1 c.p. in relazione alla condotta di un soggetto che, dopo essersi impossessato di una borsa contenente una carta bancomat, ha prelevato una somma di denaro depositandola su una carta prepagata a lui stesso intestata.
La Suprema Corte ha argomentato tale conclusione valorizzando il dato che la norma punisce soltanto quelle attività di impiego, sostituzione o trasferimento di beni o altre utilità commesse dallo stesso autore del delitto presupposto che abbiano comunque la caratteristica specifica di essere idonee a “ostacolare concretamente l’identificazione della loro provenienza delittuosa”.
In altre parole, è necessario che la condotta sia dotata di particolare capacità dissimulatoria finalizzata a occultare l’origine illecita del denaro o dei beni oggetto del profitto, ipotesi questa che la Corte ha ritenuto non ravvisabile nel versamento di una somma in una carta prepagata intestata allo stesso autore del fatto illecito.
Precisa la Corte, infine, che il mero deposito di una somma su carta prepagata non costituisce né attività economica, né attività finanziaria così derivandone l’insussistenza stessa dell’elemento oggettivo del reato.
Reati fallimentari – bancarotta fraudolenta per distrazione – nesso di causalità tra condotta distrattiva e fallimento
La Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza n. 26806 depositata in data 28.06.2016, si è pronunciata in tema di bancarotta fraudolenta per distrazione affermando che, ai fini della sussistenza del reato, non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento.
A detta della Corte, infatti, una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento, le condotte distrattive assumono rilevanza penale a prescindere dal momento in cui sono state poste in essere e, quindi, anche quando l’impresa non versava ancora in condizioni di insolvenza.
Infortuni sul lavoro – responsabilità del datore di lavoro
La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza n. 39058 del 14.07.2016 è tornata a pronunciarsi in tema di salute e sicurezza sul lavoro affermando che il datore di lavoro riveste una posizione di garanzia tale per cui non può invocare la propria “legittima aspettativa” circa la diligenza del lavoratore quando non abbia, per propria colpa, impedito l'evento lesivo, laddove l'infortunato abbia operato in condizioni di pericolo.
Nel caso di specie, l’imputato veniva condannato per lesioni colpose aggravate dalla violazione della normativa antinfortunistica in danno di un soggetto cui erano stati dati in subappalto alcuni lavori. In qualità di datore di lavoro dell'impresa affidataria, non avrebbe vigilato sull'applicazione delle disposizioni e prescrizioni contenute nel piano di sicurezza e di coordinamento. In particolare, aveva ordinato di realizzare una struttura, c.d. parapetto (realizzato a mensola metallica), non prevista dal piano di sicurezza che cedeva a causa del peso del lavoratore.
La Corte di legittimità, a seguito del ricorso dell’imputato, ha affermato, da un lato, che la responsabilità dello stesso è stata correttamente fondata sulla posizione di garanzia che ricopriva in virtù della sua qualità di datore di lavoro dell'impresa affidataria dei lavori (ai sensi dell’art. 97 d.lgs. n. 81/2008, infatti, gli obblighi derivanti dall'articolo 26 (…) sono riferiti anche al datore di lavoro dell'impresa affidataria) e, dall’altro, che il riferimento alla “legittima aspettativa” circa la diligenza del lavoratore può trovare fondamento solo laddove il datore di lavoro non sia incorso in nessuna violazione degli obblighi posti a suo carico.
Ricettazione – elemento soggettivo – dolo eventuale – rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto
La Corte di Cassazione, sezione II penale, con sentenza n. 34770 depositata in data 10.08.2016 è tornata a pronunciarsi sul reato di ricettazione affermando che lo stesso è punibile anche a titolo di dolo eventuale che si configura in presenza della rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità – e non del mero sospetto – della provenienza della cosa da delitto e della relativa accettazione del rischio.
La Corte ha ribadito, in conformità a quanto precedentemente statuito dalle Sezioni Unite del 26.11.2009, che la prova del dolo può essere raggiunta anche sulla base dell’omessa – o non attendibile – indicazione della provenienza della cosa ricevuta, la quale è sicuramente rivelatrice della volontà di occultamento, logicamente spiegabile con un acquisto in mala fede.
Peculato – configurabilità – uso per fini personali dell’autovettura di ufficio
Con sentenza n. 34765 depositata in data 9.08.2016, la Corte di Cassazione, sezione VI penale, ha stabilito che integra il reato di peculato, e non già quello di peculato d’uso, la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio che utilizza reiteratamente l’autovettura di servizio per finalità attinenti alla vita privata, atteso che tale condotta si risolve nell’appropriazione di un bene della pubblica amministrazione.
In motivazione la Corte di Cassazione ha precisato che si configura una condotta appropriativa ogni qual volta l’agente esercita sul bene un potere uti dominus tale da sottrarlo alla disponibilità dell’ente.
Truffa – momento consumativo del reato – necessità che si verifichi una effettiva deminutio patrimonii
La Corte di Cassazione, sezione II penale, con sentenza n. 33225 depositata in data 29.07.2016, ha affermato che ai fini dell’integrazione del reato di truffa ex art. 640 c.p. è necessario l’effettivo conseguimento del bene economico o di altro bene che sia idoneo a una valutazione patrimoniale, con la definitiva perdita di esso da parte del soggetto passivo.
E’ dunque necessario, perché sia integrato il reato, che, oltre alla realizzazione della condotta tipica da parte dell’autore, si verifichi una effettiva deminutio patrimonii del soggetto passivo, intesa in senso strettamente economico, del soggetto passivo.
L’evento consumativo, infatti, è esplicitamente tipizzato in forma di conseguimento del profitto con altrui danno, elementi questi – quello dell’arricchimento e quello del depauperamento – che sono collegati tra loro in modo da costituire concettualmente due aspetti di un’unica realtà.
Responsabilità medica – le condizioni per l’esclusione della responsabilità del secondo operatore dell’equipe chirurgica – dissenso rispetto alle scelte effettuate dal primo operatore – forme di manifestazione
La Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza n. 43828 depositata in data 30.10.2015, in tema di colpa medica, ha affermato che il medico componente dell’equipe chirurgica in qualità di secondo operatore che non condivide le scelte del primario adottate nel corso dell’intervento operatorio ha l’obbligo di manifestare espressamente il proprio dissenso, esimendosi in tal modo da responsabilità penale.
La Suprema Corte ha, inoltre, specificato che non sono necessarie particolari forme di esternazione del dissenso, dovendosi avere riguardo al contesto in cui lo stesso è manifestato. Vanno, infatti, distinte le ipotesi in cui il disaccordo attiene a scelte puramente terapeutiche da quelle in cui lo stesso riguarda scelte di tipo operatorio, nel qual caso si dovrà necessariamente considerare la particolare situazione in cui versa il paziente.
Peculato – reato proprio – nozione di incaricato di pubblico servizio
Con sentenza n. 6847 del 22.02.2016, la VI sezione penale della Corte di Cassazione, tornando a pronunciarsi sulla nozione di persona incaricata di pubblico servizio ai sensi dell’art. 358 c.p., ha affermato che è incaricato di pubblico servizio colui che, privo dei poteri tipici del pubblico ufficiale, espleta mansioni non meramente d’ordine o materiali, nello svolgimento di un’attività subordinata all’altrui potere pubblicistico di autorizzazione e controllo e funzionale al soddisfacimento di un interesse pubblico.
Proprio tale disposizione normativa consente di ritenere, a detta della Corte, che riveste detta qualifica e realizza il reato di peculato l’amministratore di una società autorizzata dal Prefetto allo svolgimento delle funzioni di guardia giurata che si appropri del denaro di un cliente di cui abbia la disponibilità per il compimento di dette funzioni, essendo egli obbligato, tra l’altro, alla tenuta della relativa documentazione contabile e al rendiconto.
Riciclaggio – autoriciclaggio – elemento oggettivo del reato – versamento del profitto del furto su carta prepagata intestata allo stesso autore del delitto presupposto
La Corte di Cassazione, sezione II penale, con sentenza n. 33074, depositata in data 28.7.2016, si è pronunciata sulla configurabilità del delitto di autoriciclaggio di cui all’art. 648 ter1 c.p. introdotto dalla legge n. 186 del 15.12.2014, chiarendo che non costituisce l’elemento oggettivo del delitto in esame la condotta dell’autore del delitto presupposto che, successivamente, si limiti a versare il profitto del commesso reato di furto su una carta prepagata a lui intestata, atteso che la disposizione normativa richiede espressamente l’idoneità della condotta ad ostacolare concretamente l’identificazione della provenienza delittuosa del denaro oggetto del profitto.
Omesso versamento IVA – soglia di punibilità – applicabilità dell’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
La sezione III penale della Corte di Cassazione si è pronunciata, con sentenza n. 30397 dell’11.05.2016, sull’applicabilità dell’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, introdotto con d.lgs. n. 28 del 16.03.2015, alle ipotesi di omesso versamento IVA.
In particolare, ha precisato che, con riferimento al reato di omesso versamento IVA di cui all'art. 10 ter del d.lgs. n. 74 del 2000, il superamento della soglia di punibilità integra l’elemento costitutivo dell'illecito, con la conseguenza che il mancato superamento di detta soglia comporta l'assoluzione dell'imputato perché il fatto non sussiste.
Ai fini dell’applicabilità dell’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, la tenuità dell'offesa, che ben potrà riguardare le ipotesi in cui il superamento della soglia di punibilità sia esiguo, a detta della Corte richiederà in ogni caso un giudizio più ampio, non fondato esclusivamente sull’eccedenza dell’importo non versato, ma sulla condotta considerata nella sua interezza.
Bancarotta – offesa solo potenziale degli interessi dei singoli creditori – ruolo del curatore nella procedura fallimentare
La Corte di Cassazione, sez. V penale, con sentenza n. 23647 dell’11.04.2016 ha affermato che il reato di bancarotta non può dirsi offensivo degli interessi di ciascun creditore uti singuli, essendo l’offesa solo potenziale e talvolta esclusa in radice.
Sarebbe, invece, la generalità dei creditori (rappresentata dal curatore nella procedura fallimentare) a subire l’offesa del reato allorché l’imprenditore, agendo sul suo patrimonio, ponga in essere atti che compromettono la garanzia patrimoniale complessivamente a disposizione dei creditori.
Reati tributari – sequestro a fini di confisca per equivalente del profitto – limiti – annullamento della cartella esattoriale
La Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza n. 26450 depositata in data 24 giugno 2016, ha affermato che in tema di reati tributari, non è possibile disporre o mantenere il sequestro funzionale alla confisca del profitto in caso di annullamento della cartella esattoriale da parte della commissione tributaria perché ciò comporta il venir meno della pretesa tributaria.
Reato colposo – responsabilità – posizione di garanzia – fondamento e contenuto
In tema di responsabilità colposa è intervenuta recentemente la Corte di Cassazione, sezione IV penale, con la sentenza n. 20050, depositata in data 13 maggio 2016, che ha ribadito le condizioni in presenza delle quali è possibile configurare una posizione di garanzia, non solo con riferimento alla causalità omissiva, per identificare il soggetto titolare dell’obbligo di impedire l’evento ai sensi dell’art. 40, comma 2 c.p., ma anche in relazione alla causalità commissiva per identificare il “gestore” del rischio nelle situazioni pericolose, cioè il titolare dell’onere di prevenire che esso si concretizzi in eventi di danno.
Alla luce di quanto affermato dalla Suprema Corte, è possibile riconoscere la sussistenza di una posizione di garanzia solo qualora vi sia un bene giuridico che necessiti di protezione, poiché il titolare da solo non è in grado di proteggerlo, una fonte giuridica (che può essere la legge, il contratto, la precedente attività svolta o altra fonte obbligante) che abbia la finalità di tutelarlo, a condizione che tale obbligo gravi su una o più persone specificamente individuate e che queste ultime siano dotate di poteri atti a impedire la lesione del bene garantito, ovvero che siano a esse riservati mezzi idonei a sollecitare gli interventi necessari a evitare che l’evento dannoso sia cagionato.
Reati contro la Pubblica Amministrazione – concussione – minaccia di un danno contra ius – assenza di un vantaggio per la vittima – induzione indebita a dare promettere utilità
La Corte d’appello di Roma, sezione III penale, con sentenza n. 1765 del 1 aprile 2016 è tornata a pronunciarsi sulla distinzione tra il reato di concussione ex art. 317 c.p. e quello di induzione indebita ex art. 319-quater c.p..
A seguito delle modifiche introdotte dalla legge 190/2012, il reato di concussione si caratterizzerebbe per un abuso costrittivo del pubblico agente che si attua con violenza o minaccia, implicita o esplicita, di un danno contra ius da cui deriva una grave limitazione della libertà di determinazione del destinatario che, senza alcun vantaggio per sé, viene posto di fronte all’alternativa di subire un danno o di evitarlo con la dazione o la promessa di un’utilità indebita.
La Corte precisa altresì che, per contro, il reato di induzione indebita si caratterizzerebbe per una condotta di persuasione, inganno, pressione morale che ha un più tenue calore condizionante della libertà di determinazione del destinatario il quale, avendo maggiori margini di scelta, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta di prestazione non dovuta, per conseguire un tornaconto personale.
Reati fallimentari – bancarotta semplice – scopo della norma incriminatrice – perdita e danneggiamento delle aspettative dei creditori – ritardo nell’instaurazione della procedura concorsuale
Il Tribunale di Firenze, sezione I penale, con sentenza n. 1687 depositata in data 11 aprile 2016, in tema di bancarotta semplice, ha affermato che lo scopo della norma di cui all’art. 217 R.d. 267 del 1942 è quello di impedire che l’esercizio dell’impresa già in stato di decozione possa aumentare le perdite e danneggiare ulteriormente i creditori.
Secondo quanto sancito dal Tribunale, pertanto, la disposizione mirerebbe a punire il ritardo con cui si è instaurata la procedura concorsuale, essendo sufficiente, ai fini della configurabilità del reato, che l’aggravamento delle condizioni dell’impresa costituisca naturale esito del prolungamento dell’attività dell’impresa medesima.
Nel caso di specie, il reato è stato ritenuto integrato dalla condotta dell’imprenditore che aveva trattenuto in cassa per oltre un anno degli assegni circolari al fine di consegnarli al curatore in ipotesi di eventuale dichiarazione di fallimento della società.
Persona giuridica – amministratore di diritto – responsabilità per falso documentale commesso da soggetto delegato alla gestione - condizioni
La Corte di Cassazione, sezione V penale, con sentenza del 13 giugno 2016, depositata il successivo 27 luglio 2016, è tornata a pronunciarsi sulla responsabilità dell’amministratore di diritto, affermando che l’amministratore formale di una società non risponde automaticamente, per il solo fatto della carica rivestita, del reato di falso documentale commesso da altro soggetto delegato alla gestione della compagine sociale, dovendosi verificare la sua compartecipazione materiale o morale al fatto.
Con l’occasione si comunica che lo studio rimarrà chiuso per ferie dall’8 al 19 agosto. I professionisti saranno comunque rintracciabili, per le urgenze, sui rispettivi recapiti di telefono cellulare e rimane in ogni caso attivo anche il numero fisso dello Studio.
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Reati tributari – Occultamento o distruzione di documenti contabili – elemento soggettivo
Con sentenza n. 15900 depositata in data 18 aprile 2016, la Corte di Cassazione, sezione III penale, ha affermato che l’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 10 del d.lgs. 74/2000, che punisce l’occultamento o la distruzione di documenti contabili al fine di evasione, è costituito dal dolo.
Occorre, quindi, che il soggetto agente abbia avuto coscienza e volontà, non solo di occultare o distruggere i documenti contabili, ma dell’idoneità impeditiva (della ricostruzione dei redditi o del volume degli affari) di tale condotta.
La Suprema Corte ha, altresì, precisato che sarebbe richiesto il dolo specifico di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, di conseguire indebiti rimborsi ovvero di consentire l’evasione a terzi.
Trattandosi di reato di pericolo, non è però richiesta la realizzazione di tale obiettivo, essendo sufficiente, per la presenza del dolo, che la condotta sia così orientata.
Tale circostanza, continua la Corte di Cassazione, non può essere presunta sulla base della sola avvenuta realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, dovendo essere dedotta e valutata sulla base della complessiva condotta del soggetto attivo.
Reati tributari – Omesso versamento dell’Iva – configurabilità del dolo eventuale per il soggetto che subentra nella carica di amministratore o di liquidatore
La Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza n. 14744 depositata in data 11 aprile 2016, ha affermato che in tema di omesso versamento dell’Iva il soggetto che subentri ad altri nella carica di amministratore o di liquidatore di una società di capitali dopo la presentazione della dichiarazione di imposta e prima della scadenza del versamento, senza compiere il previo controllo di natura puramente contabile sugli ultimi adempimenti fiscali, risponde del reato di cui all’art. 10-ter del d.lgs. n. 74/2000 quantomeno a titolo di dolo eventuale. Non si può, infatti, ritenere che il soggetto versi in mera colpa in quanto l’assunzione della carica di amministratore o di liquidatore comporta, per comune esperienza, una minima verifica della contabilità, dei bilanci e delle ultime dichiarazioni dei redditi, per cui, ove questo non avvenga, colui che subentra e/o assuma la carica si espone volontariamente a tutte le conseguenze che possono derivare da pregresse inadempienze, accettandone il rischio di risponderne anche penalmente.
Responsabilità medica – Primario e aiuto – sussistenza in capo all’aiuto di autonoma posizione di garanzia
In tema di responsabilità medica ospedaliera, ex art. 7 del Dpr n. 128/1969, è intervenuta recentemente una sentenza della Corte di Cassazione che ha precisato i rapporti tra il primario e il suo aiuto.
Con sentenza n. 12679 del 29 marzo 2016 la Corte di legittimità ha, infatti, affermato che il primario può, in relazione ai periodi di legittima assenza da servizio, imporre all’aiuto l’obbligo di informarlo e ha diritto di intervenire direttamente.
Tuttavia se, quando avvertito, il primario abbia dichiarato di voler assumere su di sé la decisione del caso, l’aiuto non può restare inerte in attesa del suo arrivo, ma, essendo titolare di un’autonoma posizione di garanzia nei confronti dei pazienti, deve attivarsi secondo le regole dell’arte medica per rendere operativo ed efficace l’intervento del predetto primario.
Responsabilità medica – art. 3 legge n. 189/2012 – la conseguenza dell’abrogatio criminis parziale in relazione agli artt. 589 e 590 c.p. sui giudizi pendenti alla data di entrata in vigore della novella
La Corte di Cassazione, sezione IV penale, con sentenza depositata lo scorso 6 giugno, ha affermato in tema di responsabilità sanitaria che l’intervenuta parziale abrogatio criminis realizzata dall’art. 3 legge n. 189 del 2012 in relazione alle ipotesi di omicidio e lesioni colpose connotate da colpa lieve comporta che nei procedimenti relativi a tali reati, pendenti in sede di merito alla data di entrata in vigore della novella, il giudice, in applicazione dell’art. 2, comma 2, c.p., debba procedere d’ufficio all’accertamento del grado di colpa verificando se la condotta tenuta dal sanitario poteva dirsi aderente ad accreditate linee guida.
Il medico, infatti, non risponderà nell’ipotesi di colpa lieve solo laddove nello svolgimento della sua attività si sia attenuto a linee guida e a buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica.
Salute e sicurezza sul lavoro – è esclusa la responsabilità oggettiva del datore di lavoro in assenza di violazione di comportamento imposti dalla legge
La Corte di Cassazione, con sentenza n. 12347/2016, depositata lo scorso 22.06.2016, in tema di sicurezza e salute sul lavoro, ha affermato che in caso d'infortunio, la responsabilità civile del datore di lavoro ai sensi dell'art. 2087 c.c. può essere affermata solo laddove l'infortunio stesso derivi dalla violazione di determinati obblighi di comportamento imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche in relazione al lavoro svolto.
Tale principio ha trovato il proprio fondamento nella formulazione della norma richiamata con la quale viene esclusa la c.d. responsabilità oggettiva del datore di lavoro, non potendosi automaticamente desumere dal mero verificarsi del danno l'inadeguatezza delle misure di protezione adottate.
Nel caso di specie l'infortunio si era verificato per colpa di un dipendente di una società consorziata esercente lavori di manutenzione in uno stabilimento committente, il quale, nel fuoriuscire in bicicletta da un cunicolo d'ispezione, aveva investito e travolto un altro lavoratore dello stabilimento, che sopraggiungeva, anch'egli in bicicletta, nel sottopassaggio.
Illecito trattamento dei dati personali – il nocumento per la persona offesa è condizione obiettiva di punibilità
Il Tribunale di Bari, sezione II penale, con sentenza n. 327 del 3 marzo 2016 ha affermato che in materia di trattamento illecito di dati personali, il presupposto per la punibilità del reato previsto dall’art. 167 del d.lgs. n. 196/2003 è l’esistenza di un nocumento per la persona offesa, che costituisce elemento essenziale per la configurazione del reato, ossia una condizione obiettiva di punibilità.
Con tale pronuncia si è precisato, altresì, che il concetto di nocumento alla persona debba ritenersi più ampio di quello di danno, comprendendo qualsiasi effetto pregiudizievole che possa conseguire alla arbitraria condotta invasiva altrui.
Nel caso di specie, il Tribunale ha assolto per assenza di nocumento per la persona offesa due soci di un’associazione che, senza autorizzazione, avevano pubblicato l’immagine di un altro socio all’interno dell’opuscolo della medesima associazione.
Reati contro la pubblica amministrazione – esercizio abusivo della professione medica – elemento oggettivo – attività di naturopata
La VI sezione della Corte di Cassazione, con la sentenza del 3 marzo 2016 n. 8885, richiamando l’orientamento delle Sezioni Unite del 2012, ha confermato che per la configurabilità del reato di esercizio abusivo della professione medica deve aversi riguardo al concreto svolgimento di atti tipici, ovvero di condotte riservate a quella professione.
Proprio sulla base di questo principio si è ritenuto integrato il reato nelle ipotesi in cui l’agente, che pure abbia chiarito che svolge un’attività alternativa a quella medica tradizionale, compia atti tipici della professione medica.
A tal proposito si è stabilito che ciò che connota l’attività medica va rinvenuto nel possesso dei requisiti formali della laurea e della speciale abilitazione richiesta dalla legge e da quelli sostanziali connessi alla natura del lavoro svolto da rinvenirsi nell’attività diagnostica, di prevenzione e di cura.
Il compimento di atti di diagnosi, prevenzione o cura di patologie integra reato anche se tali attività siano poste in essere sulla base di metodi non tradizionali, se sono compiute da chi non ha ottenuto la predetta abilitazione.
Rimane pacifica, ad avviso della Corte, la possibilità di esercitare attività rientranti nel novero della medicina alternativa, quali quelle di naturopata, ma la loro liceità dipende dal fatto che gli atti compiuti non consistano in quelli tipici della sola professione medica.
Sicurezza sul lavoro – comportamento negligente e colposo del lavoratore – responsabilità del datore di lavoro – concorso di colpa
La sezione IV della Corte di Cassazione, con sentenza del 3 marzo 2016 n. 8883, ha evidenziato che il legislatore ha operato una trasformazione della normativa antinfortunistica sostituendo il precedente modello iperprotettivo, caratterizzato interamente da obblighi di protezione a carico del datore di lavoro, con un modello collaborativo, ove gli obblighi sono invece ripartiti tra più soggetti.
Sulla scorta di tali considerazioni i Giudici di legittimità hanno ribadito che se il datore di lavoro ha messo a disposizione tutti i mezzi di protezione, non può essere chiamato a rispondere dell’evento derivante da una condotta e colposa del lavoratore a condizione che la stessa sia imprevedibile al punto da porsi fuori dalla sfera di controllo del datore di lavoro e abnorme, con ciò ritenendosi che sia al di fuori delle attribuzioni e mansioni del lavoratore.
Sequestro preventivo – insussistenza dell’obbligo di dare avviso all’indagato della facoltà di farsi assistere dal difensore
Nell’ipotesi di sequestro preventivo disposto ad iniziativa della polizia giudiziaria ai sensi dell’art. 321, comma 3 bis, c.p.p., la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza del 13 aprile 2016 n. 15453 ha affermato che non sussiste l’obbligo di comunicare all’indagato presente al compimento dell’atto, la facoltà di farsi assistere da un difensore di fiducia.
La Corte, a supporto di tali conclusioni, ha posto in evidenza la differenza tra sequestro preventivo e sequestro probatorio.
In particolare, mentre il sequestro probatorio è un mezzo di ricerca della prova, quello preventivo mira ad inibire la libera disponibilità di un bene avendo funzione tipicamente cautelare.
Da tale diversità i Giudici di legittimità hanno fatto discendere la non applicabilità al sequestro preventivo dei meccanismi e degli avvertimenti all’indagato previsti per il sequestro probatorio.
Omesso versamento Iva – causa di non punibilità per tenuità del fatto
Nell’ipotesi di omesso versamento dell’Iva, la non punibilità per particolare tenuità del fatto è applicabile solo nel caso in cui il mancato versamento è di pochissimo superiore rispetto a quello fissato dalla soglia di punibilità.
A tali conclusioni perviene la Suprema Corte di Cassazione, sezione III penale, con sentenza del 10 marzo 2016, n. 9936.
I Giudici di legittimità hanno infatti precisato che, con riferimento agli omessi versamenti, il grado di offensività della condotta è già stato valutato dal legislatore attraverso la previsione di una soglia di punibilità, pertanto, solo uno scostamento di lieve entità dagli importi legislativamente previsti può condurre a una sentenza di non punibilità per particolare tenuità del fatto ex art. 131 bis c.p..
Bancarotta fraudolenta per distrazione – recupero del bene distratto – conseguenze
Il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, che si perfeziona con il distaccamento del bene dal patrimonio dell’impresa, viene a giuridica esistenza con la dichiarazione del fallimento.
Sulla base di tale principio la Suprema Corte di Cassazione ha chiarito che il recupero della cosa indebitamente sottratta dal patrimonio dell’impresa rappresenta un fatto successivo e che il legislatore, attraverso la previsione del delitto di bancarotta fraudolenta, ha inteso colpire l’azione diretta a sottrarre il bene in danno ai creditori.
Ne consegue, secondo quanto chiarito dai Giudici di legittimità, che il recupero ad opera del curatore della cosa distratta, anche attraverso l’azione revocatoria, non può comportare alcun vantaggio in termini di pena per l’autore della distrazione e, in particolare, non può essere ritenuta sussistente la circostanza attenuante della riparazione del danno prima del giudizio prevista dall’art. 62, numero 6 c.p.
Sul punto si è infatti chiarito che l’attenuante in esame non può in alcun modo essere invocata quando il recupero della res consegua all’intervento di terzi e, in particolare, del curatore fallimentare (Corte di Cassazione, sezione V, 29.02.2016 n. 8308).
Bancarotta fraudolenta per distrazione – consumazione del reato
Le condotte di bancarotta fraudolenta per distrazione, consumate prima della sentenza dichiarativa del fallimento, si considerano commesse in tale ultima data ed è in relazione a questa che bisogna aver riguardo ai fini del calcolo del termine prescrizionale.
Infatti, è a partire dalla dichiarazione di fallimento che si concretizza e si consuma il reato di bancarotta fraudolenta (Corte di Cassazione, sezione V, 29.02.2016 n. 8308).
Responsabilità amministrativa degli enti - D.Lgs. n. 231/2001 – interesse e vantaggio dell’ente
In tema di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, l’art. 5 consente di muovere un rimprovero anche all’ente nell’ipotesi in cui il reato commesso dalla persona fisica sia stato compiuto nell’interesse o a vantaggio del medesimo.
La Corte di Cassazione, sezione VI penale, con sentenza 25 marzo 2016, n. 12653 ha chiarito che i due criteri di imputazione (interesse o vantaggio) possono essere tanto alternativi quanto concomitanti.
In particolare l’interesse, secondo quanto chiarito dalla VI sezione, è riferibile ad una valutazione del reato apprezzabile ex ante, cioè al momento di consumazione dello stesso mentre, il vantaggio riguarderebbe una valutazione ex post, interessando gli effetti derivanti dalla condotta contestata.
Responsabilità amministrativa degli enti – Prescrizione dell’illecito amministrativo – Reato presupposto di corruzione
Con sentenza del 17 marzo 2016, n. 11442, la sezione VI, della Corte di Cassazione ha chiarito che in caso di responsabilità amministrativa degli enti, qualora il reato presupposto sia quello di corruzione, ai fini del calcolo della prescrizione dell’illecito amministrativo il momento consumativo deve essere identificato nei versamenti effettuati in adempimento degli accordi corruttivi.
Sul punto i giudici di legittimità hanno infatti ribadito che il reato di corruzione si perfeziona alternativamente con l’accettazione della promessa o la dazione e ricezione dell’utilità. Conseguentemente, nelle ipotesi in cui tali fatti si susseguono, il momento consumativo va identificato con l’ultimo atto, ovvero con la dazione/ricezione.
Responsabilità amministrativa degli enti – Trattamento sanzionatorio – Determinazione del profitto conseguito ai fini dell’applicabilità delle sanzioni interdettive
Con la recente sentenza del 17.03.2016, emessa dalla II sezione penale della Corte di Cassazione, si è statuito che, ai fini dell’applicazione delle sanzioni interdittive previste all’articolo 13, comma 1, lettera a) d.lgs 231/2001, la nozione di profitto di rilevante entità non si riferisce solo al profitto inteso come margine o utile netto di guadagno ma deve tener conto di tutti gli elementi che connotano in termini di valore economico l’operazione negoziale.
I giudici di legittimità hanno anche chiarito che il profitto non riguarda il solo vantaggio economico immediatamente conseguente al reato dovendo ricomprendere anche l’utile potenziale (Cass., pen., sez. II, 17.03.2016, n. 11209).
Responsabilità Medica – Aiuto primario – Configurabilità
Con recente pronuncia del 2 febbraio 2016 n. 12679 la Cassazione penale ha chiarito che “in tema di responsabilità medica anche l’aiuto primario è titolare in proprio di una posizione di garanzia non potendo essere considerato alla stregua di un mero esecutore degli ordini del primario” prevedendo, pertanto, una responsabilità propria dello stesso nell’esecuzione degli incarichi affidatigli (Cass. pen., sez. IV, 2.02.2016, n. 12679).
Estinzione del reato – Esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto
Con la pronuncia del 16 marzo 2016 n. 11040 i Giudici della VI sezione della Corte di Cassazione hanno chiarito i rapporti tra l’estinzione del reato per prescrizione e l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto.
In particolare i giudici di legittimità hanno statuito che “in relazione ad un reato estinto per il decorso del termine di prescrizione non può essere rilevata la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, giacché la definizione del procedimento con una pronuncia di estinzione per prescrizione rappresenta un esito più favorevole per l’imputato”.
Reati contro l'amministrazione della giustizia - Calunnia - Falsa denuncia di smarrimento di assegno consegnato a terzi in adempimento di un'obbligazione
La Sesta Sezione penale, con sentenza n. 8045 del 26 febbraio 2016 ha confermato l’orientamento secondo cui la falsa denuncia di smarrimento di assegni bancari presentata da un soggetto dopo averli consegnati ad altra persona in ragione di un'obbligazione integra il delitto di calunnia anche quando preceda la negoziazione dei titoli.
Sul punto i giudici di legittimità hanno altresì precisato che “sebbene in caso di falsa denuncia di smarrimento non venga formulata un’accusa riguardante uno specifico reato, tuttavia, la calunnia deve ritenersi configurabile in quanto, trattandosi di reato di pericolo, è sufficiente che i fatti falsamente rappresentati all’Autorità Giudiziaria, pur se non univocamente indicativi di una fattispecie di reato, siano tali da rendere ragionevolmente prevedibile l’apertura di un procedimento penale per un fatto procedibile d’ufficio a carico di una persona determinata”.
Intromissione nella casella di posta elettronica altrui - Reato di accesso abusivo ad un sistema informatico
La Cassazione penale, Sezione V, con la sentenza n. 13057/2016 ha statuito che colui che si intromette nell’e-mail altrui ai fini di prendere visione dei messaggi in essa contenuti risponde del reato di accesso abusivo a sistema informatico di cui all’art. 615-ter c.p., in quanto la casella di posta elettronica rappresenta un «sistema informatico» protetto dall’articolo 615-ter c.p..
I Giudici di legittimità hanno così confermato la condanna inflitta al responsabile di un Ufficio di Polizia provinciale che, approfittando della sua qualità e dell’assenza di un assistente nello stesso ufficio, si era introdotto in due occasioni nella casella di posta elettronica di quest’ultimo e, dopo avere preso visione di numerosi documenti, ne aveva scaricati due.
La Corte ha ricordato che nell’introdurre questa nozione nel nostro ordinamento, il legislatore ha fatto riferimento a concetti già diffusi ed elaborati nel mondo dell’economia, della tecnica e della comunicazione, “essendo stato mosso dalla necessità di tutelare nuove forme di aggressione alla sfera personale, rese possibili dallo sviluppo della scienza”.
Introduzione del reato di omicidio stradale e del reato di lesioni personali stradali
Il 26 marzo 2016 entrerà in vigore la Legge n. 41 del 23.03.2016, pubblicata in data odierna sulla Gazzetta Ufficiale, che ha introdotto il reato di omicidio stradale e il reato di lesioni personali stradali, nonché una serie di aggravanti.
Ecco il testo del nuovo art. 589-bis c.p. rubricato “Omicidio stradale”
«Chiunque cagioni per colpa la morte di una persona con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e' punito con la reclusione da due a sette anni.
Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, e' punito con la reclusione da otto a dodici anni.
La stessa pena si applica al conducente di un veicolo a motore di cui all'articolo 186-bis, comma 1, lettere b), c) e d), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, il quale, in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera b), del medesimo decreto legislativo n. 285 del 1992, cagioni per colpa la morte di una persona.
Salvo quanto previsto dal terzo comma, chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica ai sensi dell'articolo 186, comma 2, lettera b), del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, cagioni per colpa la morte di una persona, e' punito con la reclusione da cinque a dieci anni.
La pena di cui al comma precedente si applica altresì:
1) al conducente di un veicolo a motore che, procedendo in un centro urbano ad una velocità pari o superiore al doppio di quella consentita e comunque non inferiore a 70 km/h, ovvero su strade extraurbane ad una velocità superiore di almeno 50 km/h rispetto a quella massima consentita, cagioni per colpa la morte di una persona;
2) al conducente di un veicolo a motore che, attraversando un'intersezione con il semaforo disposto al rosso ovvero circolando contromano, cagioni per colpa la morte di una persona;
3) al conducente di un veicolo a motore che, a seguito di manovra di inversione del senso di marcia in prossimità o in corrispondenza di intersezioni, curve o dossi o a seguito di sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza di un attraversamento pedonale o di linea continua, cagioni per colpa la morte di una persona.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti la pena e' aumentata se il fatto e' commesso da persona non munita di patente di guida o con patente sospesa o revocata, ovvero nel caso in cui il veicolo a motore sia di proprietà dell'autore del fatto e tale veicolo sia sprovvisto di assicurazione obbligatoria.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora l'evento non sia esclusiva conseguenza dell'azione o dell'omissione del colpevole, la pena e' diminuita fino alla metà.
Nelle ipotesi di cui ai commi precedenti, qualora il conducente cagioni la morte di più persone, ovvero la morte di una o più persone e lesioni a una o più persone, si applica la pena che dovrebbe infliggersi per la più grave delle violazioni commesse aumentata fino al triplo, ma la pena non può superare gli anni diciotto.».
Il testo del nuovo art. 589-ter c.p. rubricato “Fuga del conducente in caso di omicidio”
«Nel caso di cui all'articolo 589-bis, se il conducente si da' alla fuga, la pena e' aumentata da un terzo a due terzi e comunque non può essere inferiore a cinque anni».
L'articolo 590-bis c.p., ora rubricato “Lesioni personali stradali gravi o gravissime”, e' stato cosi sostituito:
«Chiunque cagioni per colpa ad altri una lesione personale con violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale e' punito con la reclusione da tre mesi a un anno per le lesioni gravi e da uno a tre anni per le lesioni gravissime.
Chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di ebbrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all'assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope ai sensi rispettivamente degli articoli 186, comma 2, lettera c), e 187 del decreto legislativo 30 apri